FROSINONE – Termina con successo la mostra d’arte INCONTRI. Dal dialogo delle incognite, a cura di Valentina Lilla e svoltasi dal 28 al 30 luglio nella Casa della Cultura, nata di recente nei locali dell’ex mattatoio. Esposte al pubblico, dopo l’apertura con un vernissage serale tra musica, letture e momenti di discussione, le opere degli artisti Luca Grossi e Marco D’Emilia, che torneranno in una nuova e più completa mostra prevista a Roma in autunno.
Un weekend in cui centrare nuovamente sguardi distratti dalla rapidità metropolitana, dalla fretta degli impegni quotidiani e dal peso di un’abitudine che appanna la forza penetrante della “visione”. Se quest’ultima non dipende solo dalle immagini catturate dai nostri occhi, è evidente che per restituirle nuovo nitore occorra il coraggio di un’esperienza individuale e collettiva profonda. Un concetto eloquentemente espresso sin dal titolo nell’esposizione INCONTRI. Dal dialogo delle incognite, svoltasi dal 28 al 30 luglio nella Casa della Cultura, che ha da poco trovato collocazione nei locali dell’ex-mattatoio.
La mostra, curata da Valentina Lilla, giovane storica dell’arte che vanta anche un parallelo percorso teatrale, ha esposto le opere degli artisti Marco D’Emilia e Luca Grossi. Di sicuro effetto la serata inaugurale, con un piacevolissimo vernissage presentato con brio dalla stessa curatrice fra letture di brani accompagnati dal contrabbasso del Maestro Maurizio Turriziani e momenti di discussione con il pubblico. Riproporre il pensiero “laterale” e riscoprire il punto di vista dello sconfitto, di chi non ha scritto la storia, del pensiero ermetico divergente: queste le dichiarazioni programmatiche alla base dell’evento, ricordate in un breve quanto brillante intervento dal Prof. Biagio Cacciola. Un invito che deborda dalla mera sfera di pertinenza di un’esposizione e che guarda a nuove forme del vivere sociale, in cui l’arte per tutti e in tutte le sue forme sia protagonista. INCONTRI si è dimostrato un promettente inizio di un programma di esperienze di condivisione, frutto dell’impegno di giovani che hanno sfidato il rischio di mettersi in gioco per la propria comunità e le contingenti difficoltà organizzative a cui è tristemente avvezzo il modo della cultura.
Significativo anche, come spiegato da Cacciola, il rapporto tra contenitore e contenuto della mostra. La ritualità ciclica della vita e della morte che lega l’uomo e l’animale in un luogo che è stato un mattatoio, per molti espressione della bestiale voracità tutta umana, trova dirette consonanze nelle opere di Marco D’Emilia, per poi interrogarci su quale futuro si prepari oltre i tasselli della memoria ricercata con fatica da Luca Grossi. In Sinapsi, i contorni sfumati del volto dell’artista da bambino si fissano con pittura ad olio sulla materia solida del compensato
un attimo prima di perdersi nuovamente nell’oblio. Sulla tela che incornicia l’immagine, la patina giallastra delle foto d’epoca o della muffa viva come la memoria che muta, si espande e si struttura. Ancora profili di volti rigano la superficie scurita delle pietre leccesi nel gruppo Mnemosine, fra i cui angoli spigolosi l’autore gioca con lo sguardo del visitatore fino a condurlo nei meandri alveolari dei ricordi nascosti oltre una spessa lente. Un altro ipertesto che ci ricollega al luogo dell’esposizione, intitolato il 19 marzo scorso a Giuseppe Bonaviri, poeta e scrittore siciliano che a Frosinone trascorse gran parte della sua vita, si trova proprio nella dura pietra. Durante l’occasione ufficiale appena ricordata, il Sindaco Nicola Ottaviani aveva infatti richiamato l’aneddoto che legava la passione poetica del Maestro all’aura magica che circondava una pietra, detta della poesia, che si trovava sull’altopiano catanese di Camuti. In questo luogo pare si riunissero numerosi poeti provenienti da ogni parte della Sicilia per dar luogo a piccoli agoni in cui si scrivevano e si recitavano versi. La stessa atmosfera che unisce tutti coloro che vivono insieme l’arte, come intima necessità prima che maschera elitaria di uno status symbol.
Simile lunghezza d’onda, con qualche differenza nei temi e negli stili, si ritrovava nei pezzi esposti da Marco D’Emilia, di cui ci ha parlato lui stesso mentre li osservavamo.
Ci sono dei temi o dei soggetti ricorrenti nelle Sue opere?
Mi sono sempre occupato di figurazioni e preferisco lavorare con pigmenti e materiali che hanno una prossimità con la pittura. Credo che la terra impastata tenda a liquefarsi e a diventare pittura. A me piace ricercare il limite tra la materia “vera” e quella “imitata” dall’arte. Anche questi inserimenti metallici tendono per me a diventare liquido piuttosto che a solidificarsi. Il metallo viene alterato sino a creare zone di confine in cui si confonde con la materia pittorica. Sia per quanto riguarda la terra sia per gli altri elementi inseriti, le composizioni qui esposte tendono alla fluidità piuttosto che alla solidità plastica della scultura. Una possibile chiave di lettura potrebbe essere quella di vedere l’essenza delle figure rappresentate proprio in questi inserimenti di materia viva. Ad esempio nel caso del toro, l’anima di quest’ultimo potrebbe intendersi come rappresentata dall’omologo metallico che ne riproduce la sagoma della testa.
Vengono in mente le tesi contenute ne “Il ramo d’oro” di Frazer o ne “Il capro espiatorio” di Girard rispetto al significato simbolico e ciclico che la vittima sacrificale assume all’interno della comunità umana. La nota trasposizione cinematografica di “Cuore di Tenebra” di Conrad realizzata da Francis Ford Coppola con “Apocalypse Now” rappresenta visivamente alcuni momenti di violenta ritualità in cui proprio un toro viene macellato in montaggio parallelo con la morte di Kurtz.
I riferimenti in questione hanno una loro pertinenza. Ho voluto accostare degli elementi terreni a delle forme simboliche più astratte, così come la figura umana e quella animalesca sono poste in rapporto, quasi potessero entrare in simbiosi. L’uomo ha in sé degli aspetti bestiali, sebbene abbia un’anima distinta rispetto all’animale.
Dunque possiamo immaginare un rapporto di corrispondenze tra gli elementi uomo-teschio-toro-testa animale metallica?
Certo.
Troviamo invece riferimenti mitici nella tela più grande con minotauro?
In quest’opera il punto di partenza è il simbolo zodiacale del toro, ma si richiama anche il mito del minotauro, che è simbolo di sofferenza e di costrizione, in cui entra prepotentemente un’altra immagine simbolica: quella del labirinto.
Il tema della sofferenza sembra sotteso all’intera esposizione, se osserviamo tanto i Suoi pezzi quanto quelli di Luca Grossi. Del resto il messaggio rivolto ai visitatori non è altro che l’eco del loro stesso grido, che è anche il disagio di un’epoca in particolare, evidentemente.
Sì, l’accostamento di diverse componenti materiali è il mio personale modo di esprimere questi temi.
In questa seconda opera la sovrapposizione di materia pittorica a quella solida tridimensionale sembra voler dare un messaggio più diretto. È possibile vedere una sorta di maschera metallica con lineamenti umani che copre solo parzialmente la ben più ampia testa animalesca.
Intendo questa maschera come l’aspetto umano della figura animalesca. Il minotauro è sempre stato rappresentato come un essere dal corpo di uomo e dalla testa taurina, ma io ne percepisco la forte componente umana, che cerco di rappresentare come più solida e reale.
Può dirci qualcosa in più rispetto a quanto anticipava all’inizio, sulle tecniche e i materiali che utilizza?
Io utilizzo la terra vera e propria, impastata con un’emulsione acrilica che applico direttamente sulla tela con la spatola ed il pennello, fino a renderla quasi uguale alla pittura: la terra posso quasi “dipingerla”. Mi interessava spingere al limite il punto di fusione tra la materia concreta e la materia “simulata”.
Questa tecnica nasce da un lavorio personale o Le è stata trasmessa come un metodo già consolidato?
Non sono chiaramente il primo ad utilizzare materiali “extrapittorici”: Alberto Burri è stato uno di questi, con la differenza che lui non esprimeva figurazioni, ma presentava semplicemente la materia. A me non interessa presentare la materia come una finzione della pittura, ma cercare il limite tra la materia vera presentata e quella rap-presentata.
È la prima volta che le opere in sala vengono esposte?
Questa è la prima occasione di esposizione per le opere presenti in questo spazio. Una volta è stato esposto in verità questo (tela con minotauro, NdR), che fa parte di un trittico che sarà esposto in occasione della mostra che si terrà a Roma a novembre.
La mostra INCONTRI è stata infatti un’occasione densa, ma limitata nella durata e nelle opere esposte. I due artisti e la vulcanica curatrice torneranno nel novembre prossimo con un nuovo e più ampio evento, che comprenderà l’intera mostra pittorica, tutti i brani musicali e tutte le letture correlate. L’appuntamento avrà luogo a Roma presso il Moby Dick – Biblioteca Hub culturale della Garbatella e sarà successivamente riproposta in altre città italiane.
Si ringrazia Stefano Strani per la gentile concessione dei suoi scatti
Mostra INCONTRI
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