ITALIA – Chi è Matilda? Matilda è la gioventù, l’adolescenza e la definitiva presa di coscienza di come una malattia subdola come l’endometriosi, possa farsi strada in un corpo di donna che cresce, mettendola di fronte a scelte imperative e premature, come non dovrebbe mai essere nella vita di nessuna donna. Matilda è la protagonista del bel romanzo di Cecilia Mazzeo, Matilda con la A, prima edito da Cicogna editore, ora ripubblicato di recente e disponibile su Amazon.
Tutto nasce da un trasloco, il primo trasloco di Matilda, bolognese di trent’anni, alle prese con gli oggetti che si affacciano dagli scatoloni: molti sostengono che la fatica di un trasloco sia paragonabile all’elaborazione di un lutto. L’identità si sbriciola, si frammenta, si separa allo stesso modo degli oggetti. Tolti dal loro sfondo rassicurante e riposti, quasi buttati, negli scatoloni.
E la fatica che pervade il trasloco non è più solo fisica, ma soprattutto emotiva: i quaderni, i libri di scuola, i disegni, le cartoline, le fotografie, le memorie di una vita, impongono un viaggio nella memoria a Matilda. Nei suoi ricordi più dolci, come lo sbocciare della sua bellezza di donna, i primi amori, le prime certezze che si fanno strada dal mondo nebuloso dell’adolescenza. Ed anche i ricordi più dolorosi, come il rapporto conflittuale con il padre e la malattia, l’endometriosi, patologia crudele ed invalidante, quanto poco nota. Un viaggio che si colora di azzurro e di rosso, i colori della sua adolescenza. E delle fragole. Le fragole a novembre, la dolce e creativa metafora che Matilda inventa per raccontare e raccontarsi una malattia che ancora un spiegazione definitiva non sembra avere, che invalida e tormenta moltissime donne (e io tra loro), liquidata negli anni come “dolori femminili”, quasi fosse una brutta scusa inventata da femmine per essere ulteriormente schernite in un mondo già anche troppo maschio.
“Sono nata con l’azzurro e il rosso.
L’azzurro è arrivato subito, è una linea di mercurio che tengo serrata nella pelle. Il rosso, invece, si è fatto vivo undici anni dopo.
Il problema è che non so mai con che faccia arriverà l’azzurro. Sotto quali mentite spoglie. Cantante, attore o poeta.
Non so se avrà la sponda stretta di un fiumiciattolo o la spuma odorosa dell’alta marea. Non so se avrà la consistenza fresca del gelato al Puffo o la cospirazione stellata di un fazzoletto di notte rischiarato dai lampioni.
Fatto sta che io l’azzurro ce l’ho dentro.
Ed è un tornante della Bretagna. Brivido.
Un ghiacciolo Cof all’anice. Disgusto.
Il rosso, invece, mi viene a trovare tutti i mesi. E’ una zia bugiarda che abita in campagna.
Ad ogni azzurro, ad ogni rosso … sono dolori.
Basta mischiarli e renderli inoffensivi. Trasformali nel viola, il mio colore. Non il colore della morte, ma quello dell’ametista e delle violette del pensiero.
Del resto, io, sono fatta al contrario.
Adoro il numero diciassette, i gatti neri, i matti. Ho un giardino segreto e ai funerali ci andrei solo vestita di bianco. Forse perché è nel bianco che bisogna tornare prima o poi, sì insomma nella luce.
La colpa è sempre di quelli che vengono prima. Di noi.
Nonostante l’azzurro e il rosso la mia musica è un allegro.
Un andante con spirito.
Ah, dimenticavo … abito nella più bella città del mondo. Che si sappia in giro che Bologna è cosamia. Mia e punto”.
Matilda ripercorre la sua storia partendo dai suoi quattordici anni, dal suo nascere come donna, uscendo dal brutto anatroccolo e diventando lo splendido cigno pronto a spiccare il volo nella vita. Matilda chiude gli occhi e in mezzo agli scatoloni e alla polvere, ritrova poco alla volta quella se stessa che aveva dovuto lasciare addormentata sul lettino della sala operatoria, quando la malattia aveva cominciato a battere senza pietà su di lei. La voce della ragazzina con la sua osservazione amara dei disagi e della solitudine adolescenziale si sovrappone alla voce della donna, che con tenerezza e disincanto ripercorre i ricordi, gli incontri e quasi parla a se stessa “bambina”.
Bologna fluisce densa, amatissima e sempre presente, tra le righe della Mazzeo. I portici si snodano amichevoli nel bello e nel cattivo tempo, i luoghi di una vita diventano un patrimonio comune da amare e condividere, teatro e palcoscenico di Matilda, ma anche vividi e co-protagonisti di questa storia bella e splendidamente raccontata.
“E’ difficile spiegare Bologna ai non bolognesi. Come la spieghi una radice? Una culla? Un perimetro di mattoni rossi e colli verdi? Come spieghi i portici?
Come spieghi le osterie, la piazzola, piazza Santo Stefano, le persiane verdi, i sampietrini, le sfogline, le sdoure, i nonni, i fangein, i piccioni? Tutti i soccia, i sorbole, i ma va’ a cagher, ma va ben a rusco, che du maron, i brisa, i dare il tiro, la cassa, il bordello? Come spieghi le botteghe, il mercato, i vicoli stretti e dolci, la simpatia, la golosità, la “grassezza” dell’anima e della risata? Come spieghi un calice di vino rosso, la perfezione di un tortellino? E le terrazze nascoste sotto i tetti. E gli odori. Gli ippocastani. I tigli. I Giardini Margherita, Parco Talon. Come la spieghi la vita? La vita qui? Puoi solo viverla e da Bologna non si scappa.”
Ironico, fluido, brillante e ottimamente scritto: ogni capitolo dischiude un universo, una tematica nuova, una consapevolezza che si evolve rapida dall’adolescenza verso l’età adulta. In questo libro le parole hanno una vita propria, comandano, si colorano a crescono con la protagonista: da adolescente in crescita, con il fidanzatino “per forza” perché stare da sole è da sfigate, fino alla scoperta dell’amore della vita, passando attraverso consapevolezze e delusioni. Da giovane donna, rivestita del suo corpo da adulta che senza ancora saperlo, cova il doloroso ed invalidante segreto dell’endometriosi.
Un libro da cui “non si scappa”: avvolgente, mai noioso ne scontato. Un libro per chi Bologna la ama ma anche per chi non la conosce. Una consapevolezza nuova sul dolore e sull’universo femminile partendo dal micro cosmo dell’adolescenza. Un libro da leggere e consigliatissimo.
Cecilia Mazzeo, bolognese al suo primo romanzo, ma non alla sua prima prova letteraria, convince e trasforma questo libro, pubblicato inizialmente in sordina nel 2012, in un piccolo caso letterario da cui si fa fatica a staccarsi. Con una prefazione medica di Renato Seracchioli ed una amichevole di Claudio Fabi, padre del musicista Niccolò, è uno di quei libri che quando giunge al termine ti lascia quel sottile dolore del distacco. Come solo i libri belli danno.
Un incontro online (evento facebook) con l’autrice si terrà Martedì 22 Dicembre alle ore 18.00 presso la Biblioteca Civica Gauberti.
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