Abebe Bikila: il grande maratoneta che correva scalzo

Abebe Bikila: il grande maratoneta che correva scalzo

ACCADDE OGGI – Il 25 ottobre 1973, a quasi cinquant’anni dalla sua morte, vogliamo ricordarlo come merita. Un uomo che ha fatto la storia della maratona olimpica, un guerriero etiope che ha vinto di tutto, finché non è stata la malasorte a fermarlo. 

L’Etiopia è conosciuta in tutto il mondo per essere una terra essenzialmente povera, un angolo dell’Africa orientale che ha avuto molti padroni nel corso dei secoli. Ma è conosciuta anche per Abebe Bikila.

Anche noi italiani, durante il periodo fascista, per cinque anni abbiamo occupato la loro terra: un colonialismo barbaro e fallimentare, una terra conquistata mediante armi chimiche utilizzate per contrastare la resistenza dei deboli etiopi.

Quell’attacco vigliacco ci ha indeboliti, mentre in loro ha aumentato la voglia di resistere, di combattere, di saper stringere i denti nei momenti difficili. Proprio come ha fatto il grande Abebe Bikila, che noi vogliamo ricordare in occasione dell’anniversario della sua morte.

ETIOPIA: LA TERRA DEI CORRIDORI 

Dopo quel periodo storico così buio, in Etiopia sono emersi tanti campioni: quello Stato arido è divenuto la fucina di uomini resistenti alla sofferenza: atleti adatti ad affrontare le gare di fondo. Chi frequenta la scuola, corre per andarci. Colui che lavora, arriva al suo impiego correndo. Se bada al bestiame, segue il gregge a grandi falcate.

Uomini e donne dotati di un fisico esile, di muscoli resistenti ma assolutamente leggeri, alti, magri, competitivi, con l’animo pulito e ingenuo di chi rispetta prima l’avversario e poi sé stesso.

È in questa nazione dimenticata dalla pioggia che nasce Abebe Bikila, l’uomo che avrebbe cambiato per sempre il modo di approcciarsi alla regina fra le corse. Chi non lo conosce si perde un pezzo di storia, chi non lo ha mai visto e lo guarda per la prima volta si meraviglierà dei suoi piedi scalzi.

Chi ha un suo poster in camera, avrà sognato almeno una volta di assomigliare a quell’eroe silenzioso che volava sull’asfalto, Abebe Bikila.

ABEBE BIKILA: LA GUARDIA IMPERIALE

Nasce il 7 agosto del 1932 a Jato, un piccolo villaggio nella regione degli Amara, un puntino sulla cartina geografica del centro settentrionale dell’Etiopia. Un posto arido dove per riempire un secchio d’acqua si devono percorrere dieci chilometri.

Abebe Bikila arriva ad Addis Abeba grazie ad un parente che mercanteggiava vasellame ed inizia a correre per fare le consegne da un lato all’altro della città. Amava farlo. Anni dopo dirà che correre per lui era libertà, l’unico momento nel quale si sentiva davvero vivo durante la giornata.

Grazie a degli amici viene a sapere che in polizia stanno assumendo personale: cercano giovani atletici e al concorso la prima cosa che conta sono le prove fisiche. Quando lo vedono correre non credono ai loro occhi, si chiedono da dove arrivi quel timido ragazzino all’apparenza denutrito.

Nel giro di un anno Abebe Bikila diventa guardia del corpo personale dell’Imperatore Hailé Selassié, con il quale stringe una bella amicizia. Entra anche nella squadra degli atleti di sua maestà: corre, si allena, vince ogni gara nazionale su media e lunga distanza, non è mai stanco.

Il bambino del microscopico villaggio sperso fra le radure è diventato un giovane uomo in divisa che onora il suo paese. Non è mai uscito dall’Etiopia e forse non ci ha nemmeno mai pensato. Ha dichiarato che per lui la sua nazione era anche troppo grande e che non aveva la smania di girare il mondo.

La sua gioia si realizza al mattino presto quando percorre quei sentieri polverosi, prima di cambiarsi e prestare servizio come guardia imperiale.

ROMA 1960: L’AFRICA INIZIA LA SUA ASCESA

Quando l’Imperatore gli ha ordinato di partecipare alle Olimpiadi di Roma, Abebe Bikila non sapeva nemmeno esattamente dove si trovasse l’Italia, né quanto tempo occorresse per arrivarci. Ma le Olimpiadi di Roma sarebbero state segnate per sempre dal suo arrivo.

Fino a quel giorno non aveva mai partecipato ad una gara fuori dalle mura amiche, ma la sua patria aveva fiducia in lui. L’imperatore in persona scelse l’uomo che lo avrebbe allenato in tutto l’anno precedente alla grande gara: fece arrivare ad Addis Abeba lo svedese di origini finlandesi Onni Niskanen.

Lo scandinavo ed il giovane etiope formarono una coppia perfetta: un sergente di ferro che conosceva meglio di chiunque altro i 42 km, ed un giovane abituato ad ubbidire e faticare in silenzio.

Fino a quel momento l’Africa non era mai stata una potenza nelle lunghe distanze, gli atleti di colore raramente riuscivano a mantenere la vigoria inziale sino a fine gara.

Quando Abebe Bikila si presentò alla partenza di Roma, scalzo, gli avversari sghignazzavano pensando al solito personaggio pittoresco che avrebbe mollato già dopo il decimo chilometro. Nessuno aveva notizie su di lui, nessuno lo aveva incontrato in gare precedenti.

Aveva il pettorale numero undici ed un baffetto d’ordinanza fra le guardie imperiali. Annientò tutti gli avversari, uno dopo l’altro e quella sera Bikila divenne il simbolo dell’Africa che si liberava dal colonialismo europeo.

Conquistò la prima medaglia d’oro olimpica del continente europeo, chiuse la gara in 2 ore, 15 minuti e 16 secondi stabilendo il nuovo record olimpico.

TOKYO 1964: RECORD DEL MONDO

Con la stessa aria di chi capita al nastro di partenza quasi per caso, quattro anni dopo Roma, Abebe Bikila è nella capitale nipponica ma stavolta indossava le scarpe. Si presenta a quella gara in condizioni di forma peggiori, anche perché era stato operato di appendicite solo sei settimane prima.

Ma un campione destinato a rimanere nella storia poteva solo vincere, e così è stato. Non solo vinse, ma stabilì il nuovo record mondiale della distanza: chiuse la gara di maratona in sole 2 ore, 12 minuti, 11 secondi. È un tempo pazzesco, ancora oggi un record con il quale molti atleti vincono le gare.

Solo tre atleti nella storia di questo sport hanno vinto la maratona olimpica due volte di seguito, ma nessuno come lui è arrivato tanto vicino a vincerla per tre volte.

Ai giochi olimpici del 1968 a Città del Messico era ormai anziano per questo tipo di sport così faticoso, ma lui aveva ancora fame di corsa e si allenò come non aveva mai fatto.

Sino al trentacinquesimo chilometro era in testa, poi le conseguenze dell’altitudine, degli anni e del deperimento fisico lo fecero crollare al suolo. Di colpo si spense la luce del più grande di tutti i tempi e, da quel momento, la sua vita cambiò.

La dea fortuna lo ha abbandonato quel giorno, sotto il sole messicano.

ABEBE BIKILA E L’ADDIO AL SUO SUPERPOTERE

Nel 1968 torna in patria e riprende il suo lavoro al fianco dell’Imperatore, quando la sua carriera sportiva è ormai evidentemente finita.

Abebe Bikila sente di non avere più i mezzi fisici per affrontare altri quattro anni di rinunce ed entra così in depressione. Adesso, correre per sentirsi vivo non è più sufficiente, ha l’amaro in bocca e continua a pensare a quei 7 km rimasti incompiuti in Messico, a quanto era arrivato vicino ad una tripletta impossibile in natura.

Nel 1969 Bikila sta guidando il suo maggiolino nei pressi della Capitale, quando ha un terribile incidente. Rimane paralizzato dalla vita in giù: la malasorte ha tolto al corridore più forte del mondo l’uso delle gambe, il suo superpotere.

L’interesse nazionale per mesi si focalizza sulla salute del campione ed in molti si augurano che l’Imperatore conosca un medico specializzato in miracoli. Purtroppo, nonostante gli sforzi, i tentativi e le consultazioni fra gli specialisti di mezzo mondo, Abebe Bikila non camminerà mai più.

La sua fame di medaglie lo spinge però a sognarne una terza, in una disciplina diversa: gareggia infatti alle paralimpiadi di Heidelberg nel 1972 nel tiro con l’arco, ma senza i risultati sperati. Le Paralimpiadi, proprio come lo sono oggi, potevano essere il suo riscatto d’onore.

ABEBE BIKILA: UN GRANDE VUOTO

Ogni allenatore racconta la storia di Abebe Bikila ad un giovane che inizia a fare fatica. Ogni professionista ha letto di quanta tenacia avesse e di come fosse stato in grado di trasformare la sua mente in una macchina perfetta.

Nella maratona il fisico è importante, la preparazione è determinante, anche le condizioni climatiche incidono: ma quello che distingue uno come Abebe Bikila da tutti gli altri è la forza mentale.

L’amatore, il podista della domenica, il campione italiano, quello olimpico: tutti soffrono dopo il trentesimo chilometro. Chi riesce a chiudere in un cassetto la sofferenza, vince la gara. Chi di sofferenza non ne ha mai provata è Abebe Bikila e purtroppo ci ha lasciati a soli 41 anni per un’emorragia cerebrale.

Ancora oggi esistono tanti atleti professionisti che scelgono l’Etiopia per allenarsi. Ognuno di loro è stato almeno una volta nel cimitero parrocchiale di San Giuseppe, ad Addis Abeba, per rendere omaggio a quel bambino che correva per dieci chilometri solo per bere un po’ d’acqua.

Chiunque abbia corso una maratona, almeno una volta, ricorda la fatica che ha fatto e la gioia che ha provato dopo il traguardo. Ha provato la medesima stanchezza anche l’etiope Siraj Gena che ha vinto la Maratona di Roma nel 2010 e per onorare il suo illustre connazionale, prima di tagliare il traguardo, ha tolto le scarpe.

 

Scritto da Francesco Danti

 

Autore MyWhere

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