Per una fenomenologia di Mao Zedong. Nasceva oggi il Grande Timoniere

Per una fenomenologia di Mao Zedong. Nasceva oggi il Grande Timoniere

ACCADDE OGGI – Mao Zedong, per usare la grafia corretta, o Mao Tse-tung per calcarne graficamente il suono della pronuncia, nacque oggi, il 26 dicembre del 1893, a Shaoshan, e nel 1949 fondò la Repubblica Popolare Cinese. In occasione dell’anniversario della sua nascita, vogliamo ricordarlo a chi ne sa già qualcosa e raccontarlo a chi non ne conosce la storia.

Mao Zedong, figura chiave dal punto di vista storico e sociale. Dire comunismo è come dire popolo o amore, ogni volta, una cosa diversa. I detrattori della più grande utopia mai pensata, e per utopia intendiamo il tentativo di escludere qualsiasi pretesta di divino nella storia andando a edificare razionalmente quello che genericamente viene chiamato “mondo moderno”, hanno da sempre amalgamato e mantecato, abbastanza rozzamente, in un unico vocabolo molteplici significati.

Il comunismo è stato tante cose: c’erano gli anarchici, i marxisti leninisti, gli insurrezionalisti, gli internazionalisti, i situazionisti, i terzo-internazionalisti cubani, gli stalinisti, tutti accomunati da una matrice comune ma allo stesso tempo tutti diversi tra loro e tutti più comunisti degli altri. A questa nutrita combriccola, alla quale gli storici del comunismo hanno dedicato pagine memorabili, se ne aggiunse un’altra, sul finire degli anni ’40 del secolo breve: i maoisti.

LA FIGURA DI MAO ZEDONG

Mao Zedong viene ricordato soprattutto per tre cose: per essere stato, della Cina arrivata fino ai nostri giorni, l’unificatore e il fondatore, per essere stato un dittatore comunista – fra virgolette – e per portare sulla coscienza, così stimano gli esperti e i conoscitori della storia della Cina di Mao, più di cinquanta milioni di morti tra il 1949 e il 1976, anno della sua morte e della conseguente fine del suo regno indiscusso.

Quella di Mao Zedong è stata una figura storica importantissima, non solo sul piano politico e culturale ma anche su quello filosofico, di teorizzazione strategica, per una Cina di oggi che sempre più progressivamente si accosta, e in molti casi sopravanza, l’Occidente. Come tutti i grandi miti della storia, che fanno precedere la loro portata oracolare e carismatica alla loro azione, anche Mao ha da sempre polarizzato le opinioni, schiacciando il pendolo del consenso tra ammiratori e detrattori in una disquisizione molto spesso superficiale e approssimativa sui suoi misfatti; se il dividi et impera è sempre servito ai potenti del mondo per cristallizzare il consenso e obnubilare le masse con finti problemi, Mao Zedong lo capì fin da subito.

Non a caso, nonostante il lascito complessivamente tragico delle sue politiche sociali, economiche e culturali, con una Cina in ginocchio e una carestia che picconava le pance del popolo cinese, quella del grande timoniere ancora per molti rimane una figura intaccabile, un’icona tran-secolare che sfugge dai giudizi della storia per rintanarsi nel guscio della sua leggenda.

Egli nacque sul finire dell’Ottocento da un ricco agricoltore e da una donna di fede buddista. Si formò all’interno di una famiglia disfunzionale, si direbbe oggi, con un padre che picchiava i figli e che costrinse lui, a soli quattordici anni, a sposare la giovane diciassettenne Luo Yigu. Un matrimonio combinato, non voluto, che durò pochissimo anche a causa del decesso della giovane ragazza che morì nel 1910 e che condusse il giovane Mao Zetong a spostarsi dalla sua provincia di origine a Pechino, mecca e miraggio dell’intera nazione.

Iniziò a lavorare come assistente bibliotecario all’Università per poi, nel 1921, iscriversi al Partito Comunista Cinese e iniziare da quel momento la lenta scalata. Nel 1925 – che vide fino a quel momento Partito Nazionale Cinese e Partito Comunista agire e operare assieme – il Partito Nazionale Cinese decise che l’ideologia comunista non poteva più trovare spazio con la nuova dirigenza instaurando così, con la conseguente sconfitta Kuomintang, una sanguinosa guerra civile che portò il Partito Comunista Cinese ad assumere pieno potere e il totale predominio politico sul paese.

Mao Zedong raggiunse una posizione di dominio assoluto e nel 1949, al termine del conflitto, fondò la Repubblica Popolare Cinese. I suoi metodi di gestione del consenso e del potere erano manichei: o con me o contro di me. Lo spazio per il confronto e il conflitto politico, non c’era: l’identificazione del leader con il suo popolo, rappresentando il tutto attraverso un’unica voce e filtrando qualsiasi sussulto dissenziente con plotoni di esecuzione e campi di lavoro, aveva portato alla creazione di una fenomenologia della forza impossibile da arrestare.

DALL’ASCESA DI MAO ALLA GRANDE RIVOLUZIONE CULTURALE

Sul finire degli anni ’50 del Novecento, nel pieno della Guerra Fredda che vedeva contrapposti Usa e Unione Sovietica, Mao Zedong annunciò un piano di industrializzazione generale del Paese. Doveva rappresentare il grande balzo in avanti, un piano alternativo per la crescita economica della nazione che si differenziava da quello sovietico che invece poggiava sull’industria pesante e che trovava comunque consenso, seppur minoritario, tra i comunisti cinesi.

L’intento era quello di portare progressivamente i contadini a diventare operai, collettivizzando l’agricoltura e puntando su piccole industrie rurali. Il segno tracciato era chiarissimo: industrializzare, in brevissimo tempo, la Cina rurale. Il grande balzò, però, naufragò miseramente nel 1961 dopo che il depauperamento di generi alimentari colonizzò il paese conducendo alla morte milioni di persone innescando così il grande balzo all’indietro.

Questa disfatta iniziò ad offuscare e opacizzare la figura di Mao all’interno del partito – con Liu Shaoqi e Deng Xiaoping a capeggiare il fronte anti Mao al quale volevano attribuire solo un ruolo simbolico e di rappresentanza svincolandolo dal potere reale – e ciò lo diresse nel 1966 a lanciare la Grande rivoluzione culturale, nella quale il centralismo burocratico comunista veniva scavallato dalle Guardie rosse, un gruppo di giovani ragazzi che erano autorizzati a formare dei veri e propri fasci tribunalizi.

Questa stagione, che portò anche alla distruzione di molti monumenti antichi poiché considerati appannaggio di una borghesia dissidente e anticomunista, si concluse nel 1969 con il timore da parte di Mao che questa ondata giovanilistica potesse portare a una degenerazione del movimento. Malato di Parkinson, e con problemi polmonari e cardiaci, Mao Zedong morì a Pechino il 9 settembre 1976 e la sua salma venne esposta per otto giorni a Piazza Tienanmen.

La storia non assegna giudizi morali, non risponde a categorie che sono eminentemente filosofiche e stolte se rivolte alla comprensione di fenomeni storici: la storia si limita – si fa per dire – a spiegare una fenomenologia. Quella di Mao è stata fagocitante. La sua politica, se vogliamo fare nostre le parole di Hegel rivolte all’Europa, è stata quella di un leone affamato, che vedeva nella classe contadina l’alfiere per sviluppare e generare la rivoluzione.

Scarseggiando di classe operaia, il dittatore cinese fece leva sull’insoddisfazione delle aree rurali creando così terreno fertile per la diffusività delle teorie maoiste puntando anche a una rinnovata teoria del materialismo dialettico ateo. Mao si distinse dal Marxismo promuovendo un comunismo anarchico, affermando il concetto di rivoluzione ed estendo, tra le larghe maglie semantiche dell’ideologia comunista, il maoismo come ideologia di riferimento.

Come nella Roma classica, Mao Zedong è stato cives da cui è sorta la civitas.

Claudio Troilo

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