Dal 17 al 20 Febbraio, ospiti del Teatro Comunale di Bologna si è esibita una delle più interessanti compagnie di danza sia francesi che internazionali: la Compagnie deBallet du Rhin, diretta da Ivan Cavallari. L’eccellente capacità proteica che dimostra questa Compagnia – in grado di spaziare dal repertorio classico a quello contemporaneo, esibendo parallelamente una grande qualità in entrambe – la colloca fra le più interessanti nell’ambito internazionale. Nata nel 1974 la Compagnie de Ballet du Rhin ha sede a Mulhouse, in Alsazia ed è composta da una trentina di danzatori molti dei quali provenienti anche da Paesi stranieri. Domenica pomeriggio è stata l’ultima replica per poterli ammirare, sul palcoscenico della Sala dei Bibiena.
La prima parte del programma presentava Without, coreografia creata da Benjamin Millepied, uno dei coreografi più apprezzati del panorama mondiale, già collaboratore nientedimeno che di Michail Barishnikov, e fondatore del L. A. Dance Project, nella città californiana. Ritornato a Parigi ne ha diretto poi fino a poche settimane fa l’Opera. Without, sulle note di Chopin, imbastisce un discorso coreutico omettendo però una trama strettamente definita. Ricco di suggestioni e pieno di spunti, Without è una coreografia che coinvolge dieci ballerini sulla scena e in maniera esplicita anche il pubblico in sala. Grazie a un connubio fra un’esemplare classicità e un lirismo fluido delle movenze più ascrivibili ad un repertorio contemporaneo, il testo mette in risalto in modo ottimale le caratteristiche stesse della Compagnie de Ballet du Rhin. La Compagnia francese sfodera infatti un repertorio vasto che le permette di muoversi con estrema agevolezza dal repertorio classico a quello contemporaneo, dal moderno al barocco, una peculiarità di cui sono unici portavoce. L’esecuzione di Without è risultata quindi fluida e precisa insieme, esibendo un’agilità e un’inventiva che sposano una presentazione egregia; in ossequio anche ad una visione d’insieme della danza che abolisce ogni settorialismo, ponendo l’accento sull’unitarietà della disciplina, sfaccettando con prismatica eleganza le numerose varianti, aprendosi a più possibilità, non disdegnando poi la sperimentazione.
Stando a la Compagnie de Ballet du Rhin – la Settima Musa non viene vissuta come qualcosa di rigido, ma al contrario come un sistema vitale dotato di più linguaggi al suo interno in grado di esaltare la ricchezza. Without (Senza n.d.r.) pone la centralità del duo, della coppia, in un insieme di alternanze di passioni e sentimenti, anche contrastanti, rispecchianti uno stato d’animo suggerito dalla musica. Ci si ritrova, ci si separa, il singolo si contrappone al gruppo o il contrario. Un’espressione di danza contemporanea fluida e dinamica che non riesce a fare a meno delle punte e che attinge al repertorio musicale romantico creando un felice connubio tra la poesia del movimento e la poesia espressa da Chopin attraverso il pianoforte, non poteva che sfociare in un prodotto di lodevole qualità estetico-artistica.
Brano per 10 danzatori, Without presenta in cinque passi a due una buona gamma di varianti, non disgiunta da una certa originalità: una variegata tavolozza cromatica di possibilità e differenti passi nelle più diversificate combinazioni. Nessuno sfondo, nessuna scenografia, costumi semplici dove il colore diverso per ogni coppia fa una garbata presenza, niente fronzoli insomma a distrarre lo spettatore, a celare tramite esso un contenuto poco interessante, qui al contrario l’attenzione ben si deve indirizzare verso la qualità dei danzatori, così evidente.
La Strada è il titolo del balletto proposto nella seconda parte del programma, la cui coreografia firmata da Mario Pistoni che ne interpretò anche il ruolo del Matto, si rifà alla celebre pellicola di Federico Fellini, uscita un decennio prima. Il balletto, scritto nel 1967, ben ricrea l’ambientazione filmica, le cui musiche composte da Nino Rota vennero in seguito adattate e implementate per il palcoscenico. La storia è tra le più note del cinema neorealistico e contagia con la stessa fama anche la versione tersicorea di cui abbiamo visto una valida versione. Favola nebbiosa affrontata con tutta la poesia del caso, stempera sul filo della bravura il fondo amaro sul quale tutta la vicenda viene imbastita. Una scenografia che riesce ad essere evocativa e semplicemente efficace, idonea al racconto e molto suggestiva. Le tre parti principali affidate rispettivamente a Zampanò (Alain Trividic), Gelsomina (Stéphanie Madec – Van Horde) e il Matto (Alexander Van Hoorde) sono state ben rese secondo la sensibilità verso tali ruoli dei tre artisti, qualsiasi raffronto con altre edizioni non sarebbe utile e, considerato che il titolo era assente da molto tempo nei cartelloni dei teatro italiani, il balletto è stato affrontato senza comunque sbavature, dando un’ottima impressione d’insieme.
In un ambiente post bellico quello della storia, dove una dilagante miseria rende il senso della morale quasi latitante, vediamo una madre che vende la propria ragazzina (Gelsomina) a un girovago saltimbanco (Zampanò), seguiamo quindi le loro peregrinazioni venendo così a contatto di un universo sfaccettato fatto di processioni con tanto di ceri e madonne portate in spalla, matrimoni di campagna, la brutalità dell’addestramento di lei perché impari a suonare il tamburo strumenti di richiamo per le prodezze un po’ risibili di Zampanò, ma tant’è! L’arrivo del circo con la relativa sfilata dei personaggi canonici, momento dedicato ad una serie di acrobatici divertissement, un insieme che racconta in modo un po’ ironico ma con una fascinazione verso quest’arte che è tutta francese, d’altro canto sono stati loro a creare Dzing!, la sola fragranza dedicata al mondo circense. La brutalità mista a gelosia di Zampanò verso Gelsomina, l’incontro col Matto e la doppia tragedia attraggono ancora chi vi assista, con la complicità non indifferente della musica, il cui tema principale è ormai uno dei più celebri. A distanza di anni né la trama né il balletto hanno mostrato segni di polvere, eseguito con padronanza, lirica precisione è stato apprezzato per più motivi insieme; sicuramente il fatto di riferirsi ad una storia nostrana e considerata anche l’importanza della pellicola alla quale fa riferimento, trova un felice terreno. Non va poi omesso che mentre nel caso di Without si è ricorso alla registrazione musicale, ben diverso è accaduto per La Strada dove invece è stata proprio l’Orchestra di casa a fare gli onori, ben diretta dal Maetro F. Krieger ha reso un più che doveroso omaggio alla partitura.
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