“Invisibili”: il documentario sulle reazioni avverse da vaccino. Intervista al regista Paolo Cassina

“Invisibili”: il documentario sulle reazioni avverse da vaccino. Intervista al regista Paolo Cassina

MILANO – Invisibili è un documentario prodotto da Playmastermovie per la regia di Paolo Cassina, in collaborazione con Alessandro Amori e Nicola Bottos, che raccoglie le testimonianze dei danneggiati da vaccino Covid19. Ecco la mia intervista.

Paolo, come ti sei formato e quali sono i tuoi mentori?  Ho sempre avuto una vena artistica. Disegnavo fumetti, fin da piccolo. Poi, dopo il liceo artistico, ho trovato questo corso finanziato dalla comunità europea, che dava un’infarinatura su tutte le professioni legate all’immagine video per cui grafica, montaggio, regia. L’ho fatto e mi sono appassionato dapprima alla grafica, per cui ho fatto il grafico per alcuni anni, poi ho inserito il montaggio video, per cui lavorato per diverse post produzioni milanesi. Poi ho scoperto che la cosa che mi piaceva fare di più erano le riprese. Allora ho cominciato a realizzare cortometraggi, a lavorare come operatore, a unire praticamente queste due professioni: quella del montatore e dell’operatore, che poi si riassumono nella figura del filmmaker e ho cominciato ad avere qualche esperienza di regia. La cosa che mi piace fare di più sono appunto i documentari. Ho avuto anche molte esperienze come filmmaker per programmi e trasmissioni di cronaca e devo dire che la cosa mi è piaciuta molto. Se, come mentori, intendi i registi che mi hanno ispirato sicuramente allora Werner Herzog mi piace veramente tanto, e ho avuto la fortuna di seguire un suo seminario. Mi piace molto Kim Ki-duk, il coreano, Lars Von Trier, mentre, per andare un po’ di più sul mainstream. sicuramente Christopher Nolan e Tim Burton.

Come e quando nasce il progetto Invisibili?  Il progetto “Invisibili” nasce sostanzialmente un anno fa. Ero appena uscito da un’esperienza con una trasmissione mainstream e ho sentito la necessità di raccontare questo fenomeno delle reazioni avverse, che si stava sviluppando veramente esponenzialmente e che aveva colpito anche delle persone che conoscevo, perché vedevo che questo fenomeno sostanzialmente veniva raccontato veramente in minima parte dal mainstream e per pochissimo tempo. Secondo me queste storie meritavano di essere raccontate in maniera più approfondita per sensibilizzare appunto le persone su qualcosa che stava accadendo e che era giusto che sapessero, rispetto anche alle conseguenze del vaccino antiCovid. Il titolo migliore per questo documentario mi è sembrato “Invisibili”, perché rappresenta perfettamente quello che loro sono stati e che sono tuttora ancora, ora forse un po’ di meno, per la società, per le istituzioni ospedaliere, per le istituzioni politiche e spesso purtroppo anche per le loro famiglie, che a volte non credevano alle patologie che sopportavano queste persone, patologie a volte veramente molto invalidanti. “Invisibili” vuole mettere una lente di ingrandimento anche sui decessi sospetti. Si è parlato in parte anche in televisione, soprattutto nei primi mesi, di alcuni ragazzi appunto che erano deceduti dopo la vaccinazione antiCovid.. però purtroppo il fenomeno sta andando avanti e l’ultima testimonianza del documentario parla appunto di un ragazzo che è deceduto pochi giorni dopo l’inoculazione per un attacco cardiaco.

Qual è l’obiettivo di Invisibili? E’ quello di fare conoscere questo fenomeno, per cui sicuramente portare queste persone a essere curate, a essere prese in gestione della sanità pubblica, che per ora li sta totalmente ignorando, sebbene abbiano tutte una documentazione medica, che attesta il loro danno e che spesso, come si vede anche nel documentario, attesta anche la correlazione con il vaccino. Per cui sicuramente il primo obiettivo è quello di farli conoscere e di farli curare, il secondo obiettivo è chiaramente quello di sensibilizzare le altre persone appunto sul fatto che queste terapie possono essere dannose.

Qual è la storia, tra quelle che hai documentato, che ti ha colpito di più? Non può che essere l’ultima, quella di una mamma, che ha perso il figlio diciottenne, che si è spento tra le sue braccia per un attacco di cuore. Lei chiede che venga fatta giustizia, e che venga fatta una ricerca approfondita sulle cause della sua morte.

Qual è la difficoltà di gestire la regia di un progetto cosi complesso? Di difficoltà tecnica non ce n’è stata molta, perché sono abituato ad andare in giro e a fare appunto questa figura triplice di operatore, direttore della fotografia, autore e poi montatore. La difficoltà più grande è stata invece quella umana, ovvero quella di avvicinarsi alle persone, che avevano subito questi traumi, che erano ancora e che sono ancora in difficoltà a raccontare la loro storia, oltre alla difficoltà anche di raggiungere un’empatia con loro, per riuscire appunto a farmi raccontare la loro storia nei minimi dettagli. Mi ha dato una grande mano a trovare le persone da intervistare il Comitato Ascoltami, che è’ un comitato composto esclusivamente da persone danneggiate da vaccino antiCovid. Il Comitato Ascoltami conta oggi circa 3.000 iscritti e, giusto per dare l’idea delle dimensioni del fenomeno, ogni settimana loro hanno circa 100.000 contatti sulla loro pagina Facebook, una pagina che si può scorrere sostanzialmente per giorni e giorni e giorni a ritroso e dove si possono vedere appunto migliaia di storie di persone danneggiate dal vaccino antiCovid.

Quali altri documentari ha realizzato e qual è il comune filo conduttore? Ho partecipato alla realizzazione di diversi documentari negli ultimi anni non sempre come regista ma molte volte come filmmaker, come direttore della fotografia oppure semplicemente come montatore quando si parlava di montare prevalentemente materiale d’archivio. Devo dire che scelgo un progetto piuttosto che un altro se il contenuto è molto forte, con storie particolarmente interessanti, che magari raccontino un punto di vista diverso dal solito. Per esempio ho partecipato come filmmaker a un documentario che parlava delle penultime elezioni dal punto di vista dei social media manager. E’ andato su Sky ed è stato un esperimento veramente molto interessante. Poi gli ultimi due documentari che ho realizzato prima di “Invisibili” parlavano di storie di emarginazione e toccavano molto l’aspetto del carcere. Uno soprattutto mi è rimasto diciamo nel cuore perché l’ho realizzato sostanzialmente da solo con un ragazzo che mi ha fatto da seconda camera: abbiamo girato sei carceri in Italia e abbiamo intervistato veramente tantissimi detenuti, raccontando la loro storia, le loro esperienze e la loro voglia di redenzione. Si chiama “Zona rossa sempre” , è andato su Tv2000. Ed è un progetto a cui tengo davvero molto.

Che progetti hai per il futuro? In questo momento sia io che Playmaster Movie, la casa di produzione che ha prodotto “Invisibili”, siamo impegnati nella promozione del documentario in tutta Italia. A proposito, chi desiderasse organizzare proiezioni di “Invisibili” nella propria città può scrivere direttamente a: info@playmastermovie.com.  Per il resto, non c’è ancora un progetto ben definito per il futuro. Sicuramente voglio continuare a raccontare così, dando voce alle persone che non hanno la possibilità di essere ascoltate, rappresentando storie con un punto di vista diverso da quello della normale narrazione del mainstream.

Paolo Cassina è un regista e filmmaker. Dopo il liceo artistico, frequenta un corso intensivo della Regione Lombardia in filmaking e post-produzione. Arricchisce la sua formazione con training specifici, come il laboratorio di cinema e scrittura con Werner Herzog alla Scuola Holden di Torino e la masterclass “Documentario, cinema della realtà” con Daniele Segre e Marco Bellocchio. Dopo aver lavorato come video-editor per diversi anni, collaborando con alcune fra le più note case di produzione italiane, si dedica alla regia e alle riprese video, realizzando numerosi cortometraggi, che partecipano a diversi festival in Italia. Dal 2010 è attivo come regista e videomaker in ambito televisivo, web e aziendale e si specializza in documentari, docu-fiction e reportages. Nel 2014, per la trasmissione “Lucignolo 2.0” di Italia 1, realizza con Elena Redaelli l’inchiesta “Con gli occhi della Neet Generation”, che vince il premio giornalistico Ilaria Alpi. Nel 2017, per la trasmissione “La Gabbia Open” di La7 realizza con Annalisa Corti il videoreportage sul ghetto islamico di San Siro che si aggiudica il premio giornalistico Guido Vergani.

Il documentario “Invisibili” è visionabile e scaricabile gratuitamente dal sito Playmastermovie

Alessandra MR D'Agostino
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