Il Museo Nazionale Alinari della Fotografia (MNAF), presenta una straordinaria mostra sull’opera di Guy Bourdin, il grande fotografo che ha cambiato il modo di comunicare della moda
Guy Bourdin e l’apparizione della morte nella fotografia di moda
Negli anni settanta la foto di moda sembra cambiare pelle. Dopo l’invasione di giovinezza entusiasmante, ribelle, trasgressiva ma pur sempre compatibile con una certa idea di bellezza dominante dall’inizio dei sessanta in poi, pensate alle foto di quel periodo di Bailey e Bob Richardson, improvvisamente una sequenza sconcertante di immagini mostrarono un lato della realtà fino a quel momento rimosso dall’immaginario della moda.
I protagonisti furono essenzialmente due: Helmut Newton e Guy Bourdin. Il primo cominciò proprio in quegl’anni la sua esplorazione del lato perverso del desiderio (feticismo, bondage, lesbismo, sado masochismo) che lo trasformò in una celebrità; il secondo installò nel cuore del mondo dorato della moda addirittura la rappresentazione della morte: il fotografo francese in una serie di scatti dall’effetto polarizzante, e subito ci fu chi li difese ad oltranza contro chi li considerava indigeribili per l’opinione pubblica e di conseguenza per il business della moda, sponsorizzati dal produttore di scarpe Charles Jordan, introdusse di forza nel meta racconto della moda figurazioni che in modo a volte ironico altro grottesco, rimandavano all’inequivocabile presenza della morte.
A mio avviso l’immagine più devastante per l’incantato mondo seduttivo della moda fu lo scatto pubblicato sul catalogo della collezione Charles Jourdan-spring 1975: in una strada buia di fianco ad un’auto incidentata compare la silhouette del corpo femminile disegnata sull’asfalto per consentire alle indagini di stabilire le cause del disastro; la abbondanti scure macchie di sangue fanno mettono in evidenza le scarpe della vittima, tragicamente di moda per gli standard del periodo, suppongo. Il rosa shocking delle calzature ha la stessa potenza tragica che avevano i teschi, insetti, frutte in decomposizione nei quadri che ammonivano la vanitas nei ritratti e nelle nature morte del cinquecento.
G.Bourdin usò una messa in scena simile in un altro celebre scatto dell’82 (per Roland Pierre):siamo in prossimità di un bosco, i cadaveri di due donne pietosamente ricoperti da fogli di giornale sono abbandonati sul ciglio di un strada; una loro amica sta cercando soccorso da una cabina telefonica; le perfette gambe dei cadaveri, senz’altro di donne molto sexy, indossano eleganti scarpe sopravvissute al probabile incidente.
A mia memoria, non era mai accaduto che oggetti di moda fossero istallati in modo così brutale in un contesto totalmente estraneo alle emozioni e passioni considerate fino a quel momento degli assoluti per la comunicazione della moda. La significazione delle merci risultava così deviata altrove, dislocata lungo una linea di confine lontana dalle magnificazioni estetiche dell’oggetto, a favore dell’affioramento di istanze narrative suscettibili di rendere intellettualmente più intrigante il testo visivo.
C’è da dire che erano gli anni in cui la messa in discussione dei vangeli ideologici del mondo borghese sembrava un atto portatore di verità autoevidenti. Tuttavia i creativi più dotati, forse senza averne piena coscienza, approfittando di una libertà espressiva senza precedenti, mostravano un aldilà dei codici che non alludeva affatto ad una ricomposizione tranquilla delle pulsioni che agitavano la soggettività. Mi piace ricordare che a Parigi impazzavano le teorie di J. Lacan, lo psicoanalista che meglio di chiunque altro esplorò la cosiddetta dimensione di Jouissance del desiderio, ovvero riconosceva nel godimento del soggetto il punto di rottura psicotico che intrecciava piacere e pulsione di morte. Ovviamente, non so se G.Bourdin conoscesse le teorie lacaniane ma di sicuro il successo inquietante dei suoi scatti vanno nella direzione indicata dal celebre psicoanalista: nel punto più infuocato della moda, che possiamo considerare come una escrescenza spettacolare delle strategie di desiderio, nel preciso momento in cui si intrecciano le spinte verso novità di bellezza (in realtà ripetizioni di un paradigma sottoposto a un principio di studiate variazioni) emerge “l’incidente” o il “trauma” che presentifica l’ospite indesiderato del piacere. Le scoperte visive di G.Buordin cambiarono il modo di comunicare la moda offrendo ai suoi interpreti un campo di variazioni semantiche, discutibile finchè si vuole, ma senza dubbio efficace per strapparla alla sterile noiosità di scontate emozioni.
Creatività e arte ridanno energia all’immaginario della moda
G.Bourdin era nato a Parigi nel 1928. I pochi tratti biografici che conosco, mi portano a congetturare che il percorso scolastico tradizionale non ebbe alcun rilievo nella sua vita. Probabilmente si interessò solo delle questioni che lo appassionavano in modo anarchico e ribelle. Di certo, a suo modo, studiò con dedizione e profitto l’arte e il disegno prima di applicarsi alla fotografia.
Nel 1952 espose i suoi primi scatti alla Galleria 29: il catalogo fu impreziosito da una introduzione di Man Ray nella quale lo scapigliato ex dadaista, ex surrealista, agitatore delle arti nonché geniale fotografo gli pronosticava una grande carriera. Che il talento non mancasse al giovane fotografo fu subito chiaro ai direttori responsabili delle riviste di moda con le quali G.Bourdin cominciò a collaborare a partire dal 1955. Doveva essere raro incontrare image makers con una coerenza interna così solida. Al punto che il fotografo divenne famoso tra gli addetti ai lavori anche per la conformità delle sue immagini all’aspettualità grafica con cui dovevano essere impaginate sulle riviste che le pubblicavano.
Il culmine creativo della sua carriera, possiamo situarlo negli anni settanta del novecento. Probabilmente proprio nell’arco temporale disegnato dalla cronologia delle foto esposte al Museo Alinari.
Tutte le immagini più importanti di G.Bourdin in un modo o nell’altro non riescono ad attrarci senza inquietarci. La sua bellezza segnata spesso da qualche trucco che la spinge verso il terribile, spesso oltraggiosamente ironica era immediatamente riconoscibile, così come il suo stile doveva risultare fatalmente anti convenzionale per la maggior parte delle riviste. Bisogna a questo punto ricordare che dall’inizio degli anni ‘70 il programma editoriale di molte testate, Vogue America prima tra tutte cominciò ad essere dominato da una visione del marketing molto attenta al “mercato”. Dopo la sbornia trasgressiva degli anni sessanta i manager cominciarono a posizionare i prodotti editoriali su un profilo d’immagine assolutamente conservativo. Per esempio un mostro sacro della moda come Diana Vreeland, famosa anche per la sua spregiudicatezza nel pubblicare immagini di giovani fotografi trasgressivi, venne brutalmente licenziata per la sua incompatibilità con le strategie narcotizzanti suggerite dai cosiddetti esperti del mercato. Ma c’è da dire che questa reazione alle provocazioni innescate a catena dall’ondata anti sistema degli anni sessanta fu un fenomeno più americano che Europeo. Infatti altre edizioni di Vogue, come Vogue Italia, Vogue Francia e Vogue UK, cominciarono invece a dare spazio e provocazioni impensabili per la mentalità del marketing del periodo.
Guy Bourdin attirò subito su di sé l’attenzione dei pubblicitari più intelligenti e il suo stile dissacrante, per molti critici imparentato al surrealismo, divenne leggendario. Verso la fine degli anni settanta, molti marchi della moda che decisero di ritagliarsi un posto nei territori di stile che normalmente definiamo avanguardia, approfittarono della novità delle sue inquietanti crude interpretazioni di una donna/desiderio che gioca ad essere perfetta in situazioni di pericolo. Qualche nome, oltre al già citato Charles Jordan, sarà sufficiente per convincervi: Issey Miyake, Callaghan by Versace, Gianfranco Ferrè (lo stilista italiano in quel periodo pur essendo un creativo attratto da una idea di bellezza di certo non convulsiva o folle quanto quella di Bourdin, come nuova marca era attratto da un progetto d’immagine provocante e un po’ fuori dai canoni).
Ma si può dire che ancor maggiore fu l’impatto che il suo stile ebbe su moltissimi fotografi che possiamo collocare dal punto di vista generazionale dopo il suo lavoro. Non credo che a Guy Bourdin importasse molto l’influenza che le sue scelte creative potevano avere sui giovani fotografi. Ma questo suo sprezzante atteggiamento anti conformista non poteva che attrarre l’attenzione dei colleghi, specialmente nelle fasi iniziali della carriera. Di passaggio ricordo al lettore che il fotografo non rilasciava interviste, non ritirava i premi attribuitegli dalle più importanti istituzioni, non bramava mostre personali sulle opere (commerciali?) che lo avevano trasformato in un personaggio di spicco.
Le sue fotografie hanno la devastante ironia dei migliori quadri di Dalì e, grazie all’uso particolarmente violento del flash, dalle sue immagini trasuda l’erotismo lucido, freddo, impossibile, che mi rimanda ai primi romanzi di Bataille o delle sequenze cinematografiche migliori dei film di Buñuel. Per certi rispetti si può paragonare il senso dell’atto fotografico di Bourdin al lavoro dissacrante che propose William Klein quando cominciò la sua riflessione critica contro la moda. Lo stile fotografico dei due tuttavia era molto diverso: il fotografo francese padroneggiava perfettamente la tavolozza dei colori mentre il collega era un finissimo interprete del bianco e nero; Klein, nella sua fase di piena maturità, si divertì a dissacrare le labili certezze della moda ma nel suo testo visivo pur rovesciandole di senso manteneva la centralità delle figure tipiche dei messaggi; per contro Bourdin allarga le potenzialità espressive delle cornici della moda e il suo strappo dai codici standard dell’immaginario fashion fu senz’altro più lacerante.
Guy Bourdin in mostra a Firenze
Il Museo Alinari presenta il lavoro di Guy Bourdin con due raggruppamenti di immagini. “A Message for You” esibisce gli scatti di fine anni ‘70, quando nel pieno della sua maturità artistica, il suo sguardo attento registra i cambiamenti sociali tipici di quegli anni e li traduce in messaggi paradossali che ne fanno implodere il senso: la libertà sessuale, le frivolezze del capitalismo, gli eccessi del consumismo e la presenza crescente dei media. Tutti questi temi sono rivisitati con la forza eversiva delle tecniche di straniamento e di provocazione culturale inaugurate dalle avanguardie artistiche del novecento, alle quali G.Bourdin aggiunge la dimensione che il già citato Bataille definiva “l’impossibile”. Nessuno meglio di Sergio Finzi mi ha chiarito questo aspetto della ricerca dello scrittore francese la cui traccia trovo nelle immagini del fotografo: “L’impossibile è la morte e la sessualità, l’unità della morte e della sessualità… L’impossibile è l’eccesso oltre l’eccesso, l’impotenza e il desiderio del vuoto al di là della ricerca del piacere…” (Sergio Finzi, Il vento di fuori; saggio introduttivo all’Impossibile di G.Bataille, ed. Guaraldi 1973).
Osservate come in molte foto di G.Bourdin, le cose della moda sono immerse in un campo nel quale c’è rappresentazione del desiderio (le modelle sono perfette, audaci, proattive), ma al tempo stesso si trovano raggelate in un vuoto di senso. Ecco perché mi piace pensare che il grande fotografo abbia a più riprese costeggiato l’impossibile della moda.
Con il senno di poi non posso non chiedermi come mai le immagini un po’ folli di Bourdin trovarono la collocazione perfetta sulle pagine patinate delle riviste glamour. Probabilmente negli anni settanta termina definitivamente la fase di innamoramento di se stessa della moda. In un attimo tutto ciò che aveva rimosso dal suo immaginario irrompe con violenza e ne cambia il regime discorsivo. E anche se dall’inizio degli anni novanta il paradigma iperseduttivo tornerà a dominarne la scena, gli esiti della lacerazione inflitta da Bourdin rimarranno ben vivi per mostrare l’adattabilità della moda ad un dialogo serrato con la parte maledetta del desiderio.
Oltre agli scatti pubblicati sulle diverse riviste con le quali nel periodo citato G.Bourdin collaborò, “A Message For You” espone immagini mai pubblicate provenienti dall’archivio del fotografo.
Un secondo interessantissimo raggruppamento di immagini consiste in una proiezione in cui vengono presentati appunti di viaggio, annotazioni, polaroid. In sintesi, i curatori della mostra hanno tentato di mostrarci aspetti del lavoro di G.Bourdin con le immagini, non facilmente intuibili dall’osservazione diretta dei suoi capolavori.
Termino, i miei appunti suscitati dall’incontro con le opere di G.Bourdin, col segnalare un aspetto della mostra col quale forse avrei dovuto esordire.
La mostra, oltre al grande fotografo, celebra la modella che lo ha accompagnato nell’esaltante avventura creativa che a mio avviso rappresenta uno dei picchi della sua lunga carriera.
Nicolle Meyer è presente in tutte le sue foto fondamentali e si intuisce il gioco a due che certamente ha retroagito positivamente sulle visioni del fotografo. Se è vero che le immagini di G.Bourdin non si rinchiudono in se stesse, ma narrano in modo esemplare le infinite contorsioni della bellezza, sembra ragionevole pensare che questa istanza dialogica possa essere stata favorita da una modella-musa capace di intuire qualche volta persino di suggerire, con la sua recita davanti all’obiettivo, effetti che l’intelligenza visiva di G.Bourdin sapeva cogliere al volo.
Nicolle incontrò il fotografo quando aveva diciassette anni e collaborò con lui fino all’inizio degli anni ottanta. Esattamente l’arco temporale documentato dalla mostra.
L’ex modella, oggi splendida cinquantenne, co-curatrice della mostra, co-autrice del catalogo, era presente all’anteprima con la stampa e con rara competenza ha raccontato dettagli sul modo di lavorare di G.Bourdin che hanno arricchito la visione delle sue opere. Mi hanno colpito particolarmente due informazioni:
a. la serietà con la quale il fotografo interpretava il suo lavoro con la moda, come se fosse un art director dei magazine con i quali collaborava. Ecco perché era in grado di consegnare esattamente le immagini che andavano pubblicate e di essere irriducibile sulle foto che fin dall’inizio aveva progettato pensando alle pagine delle riviste;
b. la necessità che sentiva di ritrovare nell’immagine, spesso sconvolta da contenuti che la rendevano un po’ folle, l’ordine della bellezza formale.
Questo mi permette di capire il perché quant’era in vita circolava la leggenda che sul set fosse intrattabile con le modelle. Non si trattava, come dissero alcuni, di sadismo gratuito. Era semplicemente coerenza con ciò che sentiva in termini di necessità. Strappare da quella specie di vuoto in cui precipitavano la maggioranza degli scatti di moda, le imago che potessero rilanciarne l’istanza creativa e creatrice di desiderio (di senso), l’obbligava ad immergersi tra i propri fantasmi. La trasformazione di essi in potenti simboli, capaci di scuotere un pubblico intossicato di immagini, non è una cosa scontata. Non tutti ci riescono. Non è un lavoro che possa fare un Io seppur dotato di tutte le conoscenze tecniche che potete immaginare. Ecco dunque “l’altro”, la modella, divenire un fattore portante per l’atto creativo.
Nicolle è stata fortunata ad aver incontrato G.Bourdin quanto il fotografo è stato premiato per averla scelta come punto d’appoggio per esplorare il fantastico mondo di ciò che definiva le idèe Peinture.
I grandi fotografi e le loro modelle preferite. Ecco una mostra che mi piacerebbe vedere e studiare.
MNAF Museo Nazionale Alinari della Fotografia
Piazza S. M. Novella 14a/r
Firenze
ORARIO: Tutti i giorni 10.00/18.30 – MERCOLEDI CHIUSO
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Adoro la fotografia di Guy Bourdin! La moda di ora lo riprende molto spesso…nel 2008 Marc Jacobs ha fatto una campagna pubblicitaria riutilizzando l’idea delle gambe di donna che aveva fatto ai tempi per le calzature di Charles Jourdan ad esempio.
Nell’olimpo dei maggior fotografi di moda del XX secolo appaiono in primis nomi quali David La Chapelle, Nick Knight, Mario Testino, Patrick Demarchelier, Oliviero Toscani per poi arrivare ad artisti quali Guy Bourdin, Helmut Newton, Irving Penn e Richard Avedon che si innestano nella mente di alcuni eletti, ma che in realtà sono gli artefici a loro insaputa del successo dei primi che hanno tratto dai loro “avi” l’ispirazione per le grandi foto.
Guy Bourdin è un nome che, pardon per la mia ignoranza in arte fotografica, fino a ieri risuonava invano nella mia mente senza accendere nessuna lampadina in seguito rischiarata dalla mostra itinerante sul fotografo francese che dal 10 gennaio al 10 marzo 2013 è ospitata dal Museo Nazionale Alinari della Fotografia a Firenze.
L’incontro realizzato tra moda e arte surrealista in alcuni scatti è un incontro perfetto tra genio e rottura degli schemi tradizionali, innovazione. La modella-musa Nicole Meyer è infatti ritratta in pose anticonvenzionali che poco legano con il mondo di lustrini che commissiona tali immagini, ma che sono un’interpretazione ipercritica dei cambiamenti dell’epoca (anni ’70) tra cui libertà sessuale e capitalismo.
La parte erotica è una componente fondamentale del lavoro di Guy Bourdin che mi trasmette un personalissimo richiamo al mondo del regista spagnolo Pedro Almodovar dovuto all’uso costante del colore rosso, simbolo per eccellenza di passione ed erotismo; e all’immagine della donna ornata di abbondanti elementi scandalistici e provocatori che ho spesso ritrovato nei film del regista. Un altro forte richiamo è al mondo surrealista di Magritte, Buñuel e Salvador Dalì con immagini che personalmente hanno uno stretto legame con il cortometraggio Un Chien Andaluz in cui vengono riproposte una serie di immagini surreali, prive di un nesso logico, che ritraggono particolari del corpo umano che ben si legano al focus affrontato nelle immagini del fotografo sulle gambe della donna sempre accompagnate da decolté a rinforzare la carica erotica delle iconografie. Una figura femminile interpretata da Nicole Meyer in a Message For You, il titolo della mostra, che rimanda ad un mondo governato da eros & thanatos, una sensualità pericolosa che ci riporta al set di un film noir in cui vengono esposte metafore di perversione umana, realtà contraddittorie ed erotismo che tengono incollati al soggetto e incatenano l’attenzione.
Sicuramente quello di Guy Bourdin è un lavoro che delimita il confine del cambiamento nella fotografia di moda post anni ’60 indagando su passioni prima oscurate da quel mondo. Nella mostra viene immortalato attraverso video anche il cambiamento dei modelli che da manichini in posa diventano parte del set interagendo con lo spazio in una serie di movimenti che ad ogni flash causano un incidente fotografico creando unione di originalità e studio delle forme.
Una mostra da vedere che diventa location per il legittimo reclamo di un posto d’onore nell’olimpo dei grandi fotografi e che riporta ad una sola riflessione:
i grandi di oggi sono frutto della grandezza di ieri. Come la storia che si è dimostrata un percorso ciclico, l’arte è una continua ripresa e riadattamento di stimoli ricevuti dal passato secondo il personalissimo genio artistico. Non adombriamo il trascorso; bensì celebriamo i pionieri del nuovo; il resto è solo arte “aiutata”.
Interessante il riferimento di Sara ai film noir. Suspense, passioni estreme, morte e una verità che si nasconde. Non ci avevo pensato.
I had never heard of Guy Bourdin before and was very pleasantly surprised!! I really enjoyed looking at how daring his photography was. One of my favorite photos of his was the images for Charles Jourdan. I really love how he could push the boundaries between art and fashion, and really brought new lengths to fashion photography.
The exhibition was a great tribute to the work of Guy Bourdin!
Ma cosa mi sono persa! torno indietro a Firenze per andare a vederla! Certo che se Alinari facesse un pò di comunicazione organizzando queste meraviglie non sarebbe male!!!
Necrofilia e biofilia, amor di vita e amor di morte. Nelle foto di Bourdin esiste una straziante tensione che gioca sugli abissi delle più oscure sfere dell’inconscio umano l’amore/eros e la morte, dissacrandoli entrambi con cinica ironia. Nelle immagini è presente un intrigante binomio tra il dinamismo e la forza vitale del primo e la staticità e la compostezza della seconda, in un gioco di gioco di associazioni che spinge spesso al limite della liceità e dell’etica benpensante.
Nonostante la mia ignoranza sull’opera di Bataille, trovo molto interessante l’interpretazione del concetto di “impossibile”, e lo trovo vicino al mio pensiero riguardo all’espressività lacerante delle immagini di Bourdin.
Consiglio vivamente la mostra a chi non l’ha ancora vista, una perla rara e una ventata di freschezza per Firenze!!
L’autore di questi scatti esposti al Museo Alinari, ritengo che, abbia cambiato il metodo e quindi un concetto di fotografia nel campo della moda, E’ un vero artista. Ho riflettuto sugli scatti molto particolari di questo fotografo e ho visto che ci vuole stupire e non solo presentare vestiti e accessori. La donna che li indossa è parte fondamentale della fotografia, ne esprime il carattere della fotografia stessa. Le donne, appunto, non sono solo “portatrici ” di abiti, ma protagoniste di un nuovo modo di essere anche un pò inquietante. Non si ferma solo sulla delicatezza della donna, ma pare che ne racconti una vera e propria storia. Usa dei Colori definiti e nella maggior parte delle sue fotografie usa molto un colore rosso che esprime il desiderio di andare oltre, verso l’impossibile. Trovo che questa mostra ci mandi un messaggio di apertura verso il nuovo, e anche l’occasione di riflettere sui cambiamenti degli stili fotografici sulla moda. Le fotografie di Bourdin mi hanno colpito molto, per l’ abilità della modella che sa interpretare perfettamente il mondo femminile di Bourdin, proprio così come voleva lui, e lo si sente e vede perfettamente.
Prima della visita della mostra al Museo Nazionale Alinari, non conoscevo questo autore e le sue opere. Guy Bourdin rivoluziona il modo di concepire la fotografia di moda, rompe gli schemi precedenti, evidenziando nelle sue foto elementi quali la sensualità, l’erotismo. Talvolta lascia anche un senso di irrequietezza, con immagini che riportano alla morte, senza tralasciare però quella punta di sensualità. Anche i colori utilizzati acquisiscono un importanza fondamentale. Difatti usa sempre colori forti, che risalgono subito all’occhio del pubblico, ad esempio il rosso che ritroviamo spesso nelle sue foto e che è un evidente richiamo all’erotismo e alla sensualità. Avendo visitato la mostra ho potuto notare anche la grande attenzione che bourdin dedicava alle sue foto, grazie al reportage dei suoi viaggi nei quali riprendeva i luoghi visitati per poi scegliere quello perfetto per i suoi scatti. Guy Bourdin è stato un grande fotografo, mai scontato, che cerca sempre di colpire l’attenzione del suo pubblico, con evidente successo.
Guy Bourdin si rifiutò di utilizzare i fini dichiarati dai precetti della fotografia e tanto meno di far uso del comune terreno di rappresentazione che la fotografia proponeva. Guy Bourdin si è dedicato al compito di spogliarla del suo carattere positivo,di costringerla ad abbandonare il suo carattere arrogante e le sue pretenziose rivendicazioni. La grandiosità dell’artista sta nel cogliere l’istante superiore, nello spingersi oltre immortalando,senza che le figure ne siano consapevoli,i loro momenti più fuggevoli. Sostituisce alla finzione della posa,la veridicità di una serie di movimenti unici e irripetibili. Dalla mostra “A messange for you” al museo Alinari,non si può fare a meno di notare la fortissima intesa tra Guy Bourdin e la sua modella-musa Nicolle Meyer,che insieme hanno fatto della fotografia un’arte automatica ; la foto infatti è immediata e al contrario della pittura non richiede di nessun periodo di gestazione ,in cui il ragionamento può impedire l’accesso all’incoscio diretto. Bisogna però anche dire che il più delle volte dietro ad un grande artista si nasconde un grande maestro,e in questo caso,il maestro di Guy Bourdin fu Man Ray. Man Ray è considerato il creatore della fotografia surrealista e delle sue opere disse “ Nessuna di queste opere può essere considerata sperimentale.L’arte non è una scienza “.E in Guy Bourdin ritroviamo senza alcun dubbio il concetto dell’”irrealtà contenuta nella realtà stessa “. Personalmente non essendo una grande esperta in arte fotografica ,posso giudicare solo sulla base di quello che l’artista mi trasmette e Guy Bourdin ha la capacità di travolgermi completamente nelle sue opere,di farmi dimenticare per quell istante di tutto quello che mi sta intorno e di catapultarmi nel suo mondo liberatorio e rivoluzionario
In realtà, molto in accordo con tutti i vostri commenti, non mi sento di aggiungere altro su questo artista, poiché non ho mai avuto occasione di studiare la storia della fotografia in modo sistematico, come si dà il caso sia necessario per qualsiasi forma d’arte espressiva. L’unica considerazione che mi permetto di fare, dopo aver visto solo un’infinitesima parte della sua produzione artistica, è che credo sia giusto dire che, non solo grandi maestri della fotografia come LaChapelle, devono a lui molta riconoscenza per essere stato un’enorme fonte d’ispirazione, ma anche alcuni stilisti, come ad esempio, Christian Louboutin, che proprio a settembre di quest’anno ha vinto una causa per avere il copyright sulla scarpa nera con suola rossa; stessa suola ritrovabile in una foto di Bourdin della fine degli anni ’70.
Che sia davvero solo coincidenza?
Anch’io, come altri, non ero a conoscenza delle opere di Guy Bourdin. Con la visita al museo Alinari sono rimasto affascinato dal suo genio anche se il senso di irrequietezza s’ è fatto sentire parecchio. Mi sono chiesto guardando i suoi scatti come mai l’artista fosse così vicino al tema della morte. Ho pensato che avesse avuto una vita difficile e questo l’ha spinto a realizzare opere a volte inquietanti. Quindi dopo una breve ricerca, ho trovato qualche accaduto per spiegarmi il perchè di queste opere. Nel 1971 sua moglie morì suicida e forse questo decesso potrebbe aver avvicinato l’artista al tema della Morte.
Caro Damiano, la tua congettura sull’impatto della morte della moglie e’ suggestiva. Tuttavia se ci pensi bene nelle foto di Bourdin e’ presente una velatura di humour tale da rendere troppo banale e improbabile un legame lineare tra evento tragico e salto creativo.
La rappresentazione simbolica della morte nel campo dell’immaginario della moda e’ ciò che le narrazioni di Bourdin, da un certo punto in poi, esplorano in diversi modi. Quali sono state le conseguenze di queste narrazioni? Perché hanno avuto successo in un contesto refrattario ad ogni contaminazione con la fragile realta’ e destino dell’essere umano?
Per rispondere a queste domande non abbiamo bisogno di fare congetture indimostrabili su come Bourdin visse un lutto lacerante.
Comunque il tratto biografico che hai segnalato e’ certamente un contributo per comprendere aspetti della personalita’ del fotografo che meritano di essere approfonditi.
Guy Bourdin was one of the photographers that contributed to the revolution of fashion photography. He entered the scene in the 1960’s and helped to bridge the gap between fashion photography and art photography.
Fortunately, I had the opportunity to visit an exhibiton of his work in Florence. Curated by his long time muse Nicolle Meyer, the presentation was a collection of his work that expressed his very close relationship with his principal model and friend.
While the photographs themselves were captivating I had a few issues with the organisation and overall presentation of the exhibition itself.
1. I found that the images lacked evolution- the first image could have easily been switched out for the last , and to me considering the show included works he produced over a 15 year period this was a negative thing
2. Bourdin produced such a wide range of themes through his work and I found it suprising that many weren’t included. Whether this was intentionally to further comunicate the relationship between the photographer and the muse or not I felt that it took away from exhibition. For a public who weren’t familiar with Bourdin it is extremely limiting and doesn’t fully express the extent and influence of his career on the fashion industry
3. Bourdin recieved much praise for his controversial and conversation starting pieces , however I feel like the exhibitions attempt to show this and focus on the unerstated and in some cases overt sexual tone took away the shock fact. It may have been more beneficial to show a bit of light and dark so that the more agressive pieaces were recieved and would a modern view as they would have when they were first published.
All in all, a pleasing experience even if the layout and decisions made for the exhibitons in my opinion took away from one of the most noted fashion photographers of the 20th century.
Buonasera. Sono stata prima volta a visitare la fiera del genere e posso dire che i lavori di questo creatore mi sono piaciuti tanto. Io non direi che sono volgari. Si vede che G.Bourdin ha cambiato i posti dei protagonista. Le modelle soffrano dalle posizioni scomode, ma le scarpe sono messe in meglio luce. Il know-how dell’arte, di communicazione. Il visitatore e’ stancato dalle cose banale, il cliente vuole di piu , innovazione , il vento fresco delle idee , ispirazione.
Grazie per questa possibilita’ di conoscere le persone importanti del mondo. Yana
Spero proprio che nessuno oggi consideri volgari le foto della mostra. Quindi il rischio adombrato dal commento di Yana non dovrebbe sussistere. La positura a volte innaturale delle modelle e il decentramento delle scarpe, l’oggetto moda suppongo, contribuisce a renderle più presenti. Concordo con Yana. Mi chiedo il perché. Ciò che l’occhio percepisce come improbabile genera un in più di senso? Possiamo considerare questa distonia come l’apertura dell’immagine al registro artistico?
Dopo aver letto quest’articolo, avrei voluto commentarlo subito raccontando di come ancora oggi questo grande fotografo sia ancora imitato, ma non ricordandomi chi avesse mandato in onda, in queste settimane, lo spot dove s’intuisce chiaramente l’ispirazione alla foto di “Guy Bourdin, Charles Jourdan, Spring 1978” come sopra mostrata, ho voluto aspettare di rivederlo in tv, ahimè non ci sono riuscita e tanto meno l’ho trovato sul web! Quindi lo racconterò sperando che qualcuno lo ricordi e mi possa dare risposta. Ciò che ricordo è che si vede una scena a colori di qualcuno che su uno scafale sta prendendo un detersivo e s’intromette, con lo stesso gioco di Bourdin, una foto in b/n di qualcun altro che in passato aveva già compiuto quell’azione che ora si stava ripetendo, lo spot va avanti con altre scene ugualmente svolte. Facile è capire come questa foto abbia ispirato i creatori della pubblicità, perché visitando la mostra, sono rimasta rapita da quello scatto proprio come loro. L’artista si diverte a intromettersi fra il tempo e la macchina fotografica, inserisce una mano che regge una foto davanti all’obiettivo, una scena che rappresenta attimi già vissuti in passato che in quel momento sembrano ripetersi in un futuro immediato, esprimendo come la moda si ripeta e si ripresenti in modi sempre nuovi o forse denunciando proprio tutto questo.
Indubbiamente Bourdin nella sua carriera esprime queste idee perfettamente portando la fotografia di moda a un livello superiore introducendo opere insuperabili a cui molti s’ispirano ancora oggi.