MILANO – Cividini alla Milano fashion week evoca lo stile coloniale della Blixen con un nuovo mix da safari in città che si contraddistingue per la pulizia del design, l’uso di materiali pregiati e le lavorazioni artigianali di altissima qualità.
Sarà forse stato per l’afa di fine settembre che ha investito la capitale Italiana della Moda e dell’Alta finanza proprio nel bel mezzo della Milano fashion week, e per la piacevole frescura che ho trovato nella sala delle Cavallerizze del Museo della Scienza e delle Tecnologie, che assistere alla sfilata di Cividini mi ha portato il sollievo di una tazza di tè nella savana, prima di ripartire per un altro evento del fitto calendario della settimana della moda milanese .
I temi sempre contemporanei del viaggio, del nomadismo, della contaminazione etnica e culturale, lo spirito di avventura e la nostalgia dell’eterno ritorno, il rapporto con la natura e la vita “in urbe” vengono interpretati da Cividini con una collezione esotica e al tempo stesso urbana che ricorda i costumi della Canonero nel pluripremiato film di Pollack, La mia Africa.
Nel film, Mirella Canonero cala Meryl Streep nei panni di Karen Blixen, una scrittrice danese che nel 1913 parte per l’Africa insieme al cugino, il barone svedese Bror von Blixen-Finecke, col quale nel frattempo si era fidanzata, per vivere lontano dalla civiltà e provare nuove emozioni. Nel 1914 Karen sposa il cugino Bror ed insieme acquistano una piantagione di caffè vicino a Nairobi. Il matrimonio termina nel 1921 con il divorzio, non perché Karen non ami il marito, ma per le continue infedeltà di lui, che peraltro solo un anno dopo il matrimonio la contagia con la sifilide, obbligandola a cure di arsenico e mercurio. Karen resta da sola a dirigere la piantagione che ormai è la sua ragione di vita, impara a conoscere i suoi braccianti, ospita amici aristocratici e bohémienne tra cui Berkeley Cole e Denys Finch Hatton, che lei chiama “l’amore della sua vita”. Una grande crisi del mercato del caffè la costringe però a chiudere la fattoria nel 1931 e a far ritorno quindi in Danimarca il 31 agosto dello stesso anno. Karen non tornerà mai più nella sua amata Africa e si dedicherà con passione alla scrittura. Nel 1937 scrive una sorta di diario in cui racconta gli anni passati in Africa, l’ammirazione per i nativi del posto e il loro modo di vivere, il suo rapporto contrastato con la società coloniale e il maschilismo dell’etica borghese.
La mia Africa venne proiettato al cinema nel 1986 solo qualche anno prima che Miriam e Piero Cividini – partner nel lavoro così come nella vita privata – pensassero di creare il brand. Con un mix sapiente di cotone grosso, seta e lino nelle nuance del beige, dell’avorio, blu navy, verde militare e nero, la Canonero aveva magistralmente ricreato lo stile coloniale della Blixen con giacche e pantaloni di foggia maschile, lunghi abiti in lino che scendevano morbidi e a lembi incrociati, gonnelloni con la cravatta sulla camicetta a collo alto abbottonato, fazzoletti annodati sul collo aperto o chiuso, giacche sahariane e cinture che sottolineavano il punto vita.
Oggi l’essere donna forte e indipendente dalle mode alla Karen Blixen, nomade e nostalgica delle radici, colta e consapevole delle proprie scelte, viene interpretato dalla collezione primavera estate 2019 di Cividini con uno stile safari in città che si contraddistingue per la pulizia del design, l’uso di materiali pregiati e le lavorazioni artigianali di altissima qualità.
Per Cividini l’estero vale già il 90% del fatturato annuale. In Giappone le collezioni dell’azienda sono distribuite in 20 shop in shop e 60 boutique pluribrand, mentre negli Stati Uniti i multimarca sono 40. Altri 250 store wholesale sono dislocati tra Italia, Europa, Russia, Korea e Taiwan. Quest’anno anche Cividini punta sull’e-commerce e su una rete di shop in shop nei più prestigiosi mall della Cina, come il Golden Eagle International di Shangai e il multibrand lff Gallery di Nanjing.
Cividini applica a fibre naturali, finissime leggere e brillanti come il cashmere, la lana baby alpaca e la seta tecniche di pittura a mano, stencil e rullato. Su alcuni capi il colore viene nebulizzato con l’aerografo, ottenendo un effetto di colore non uniforme; altri prima del bagno di colore vengono trattati con l’antica tecnica dello shibori che, diffusasi dalla Cina al Giappone nell’8 secolo DC, conobbe il suo massimo splendore durante l’era Edo (1608-1868) e consiste nel ripiegare i tessuti su se stessi, arrotolarne lembi intorno a bastoni di legno o annodarli intorno a piccoli oggetti, in modo da preservare dal colore alcune parti del tessuto e ottenere così l’alternanza ordinata ed elegante di colorazioni diverse.
Mentre le modelle e i modelli di Cividini sfilano ordinatamente in stile horse-walk nel razionale perimetro della Sala delle Cavallerizze, le palette della collezione mi ricordano il manto vellutato delle zebre e degli elefanti della savana, i tramonti, la terra rossa e i fiori del Kenya, il lavoro nelle piantagioni di caffè di My Africa, le sahariane, le uniformi e i khaki militari della società coloniale del primo novecento. Leggins e dolcevita a grandi pois sbavati come i contorni del sole quando tramonta nel cielo kenyota o con righe e quadrati dipinti a mano su tessuti leggerissimi, sbucano sotto e sopra gonnelloni e vestiti avvolgenti in tessuti brillanti, stretti in vita da cinture semplici o con tasche applicate. Maglie leggere e shorts a pois e a righe anche per gli uomini. Blazer allungati e morbidi e spolverini chiusi da piccoli snaps completano un look metropolitano intimo e avvolgente che si può indossare e togliere a strati, a seconda dei ritmi e delle temperature della giornata lavorativa.
Mi sovviene inevitabilmente il ricordo di una scena superba de La Mia Africa, le mani di Robert Redford tra i capelli di Meryl Streep, il sorriso che si apre sul viso di Meryl mentre lui le lava i capelli massaggiandole delicatamente la testa e la camera di Pollack che segue lentamente il rivolo biancastro dello shampoo che si mischia con la terra della savana Keniota.
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