Esiste il gioiello che fa tendenza?

Esiste il gioiello che fa tendenza?

Sembrerebbe scontato rispondere di sì. Ma a quali condizioni un gioiello fa tendenza? Ha senso oggi parlare di tendenze? Perché è difficile fare a meno di una parola il cui significato scivola via da tutte le parti?download (1)

 Prologo: Introibo ad altare Dei…(1)

 1. 

Tra la moda, intesa come abbigliamento, e il campo dei gioielli, non c’è più da tempo una differenza significativa. Lo sappiamo tutti. Entrambe, per esistere sul mercato devono fare riferimento a massicci investimenti in comunicazione, devono configurare il sistema di oggetti prodotti dalle aziende all’interno dell’aura semiotica ed emozionale di un brand. Ma soprattutto, chi agisce con ruoli strategici in entrambi i settori, non può permettersi di rimuovere il problema dei (necessari) slittamenti estetici, del gusto, degli stili di vita dei modanti e dei loro feedback sulla concezione/progettazione dei nuovi prodotti.download (1)

2.

La valenza concreta di un gioiello possiamo provvisoriamente classificarla secondo questo ordine:

a) il gioiello assoluto (Ga): riservato a pochi privilegiati, basato sulla preziosità dei materiali (pietre pregiate, oro, argento…), a pratiche artigianali raffinate; a esperienze di consumo certamente gratificanti, legate a un mondo di valori che suggeriscono la prevalenza della tradizione e uno stile di vita che vive il cambiamento più come un rischio che come un’opportunità. Bisogna aggiungere che i Ga hanno perso l’aderenza col corpo ovvero non li si indossa quasi più (rimangono per molto più tempo nelle casseforti e nelle cassette di sicurezza delle banche, segregate anche allo sguardo del proprietario/a).

b) il gioiello pret-à-porter (Gpap): sono l’espressione del lusso oggi dominante. Non raggiungono i costi proibitivi dei primi, ma possono essere ritenuti degli eccellenti indicatori di status. Prodotti in serie limitate non possono ambire ai valori storici e mitici del gioiello assoluto, ma proprio per questo hanno acquistato contenuti immateriali più efficaci per via delle ondate narrative prodotte dalle aziende per trasformare il gusto dei clienti. Sono il ricettacolo di un design creativo debordante rispetto al concetto di forma del gioiello assoluto.

c) il gioiello bijou (Gb): è il regno delle sperimentazioni di materiali un tempo improbabili per la salvaguardia della preziosità del gioiello. Vetro, plastica, legno, imitazioni sfacciata di materiali preziosi. Il bijou è una liberazione dal ricatto della materia rara. A tal riguardo, scriveva Roland Barthes in un breve saggio che vi consiglio di leggere: “vario nelle forme e nei materiali, infinitamente utilizzabile, non più soggetto alla legge del prezzo alto né a quella di un uso particolare, festivo, quasi sacralizzato…Finché la ricchezza regolava la rarità del gioiello, questo poteva essere valutato in base al prezzo…ma nelle nostre società democratiche, e tuttavia ancora differenziate, quando una cosa diventa quasi alla portata di tutti, quando l’opera diventa prodotto bisogna sia sottoposta a una discriminazione di ordine diverso: quella del gusto, di cui proprio la moda è giudice e custode”

foto 1- Gucci 2019 gioiello
Gucci 2019
foto 2 - Giorgio Armani 2019 gioiello
Giorgio Armani 2019

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Il gioiello Gpap e Gb fanno parte dunque del sistema di oggetti con i quali la moda crea il disordine programmato attraverso il quale configura la soggettivizzazione più favorevole al consumo e al repentino cambiamento ( o pseudo cambiamento ) del gusto.

Da ciò discende che il gioiello, come tutti altri elementi costitutivi del look, è sottoposto alle eterogenee procedure di messa in circolazione dell’oggetto che ordinariamente chiamiamo tendenze (qualsiasi sia l’idea, la definizione, il concetto che avete di esse). download (1)

3.

Pur con tutte le ambiguità che si trascina dietro la parola “tendenze”, chi lavora nella e con la moda, di solito parla e agisce come se il suo significato fosse trasparente, condiviso e ammantato di certezze. Tuttavia conviene mettere subito in chiaro che la tendenza è quasi sempre una narrazione che serve a convincere i creduloni. Dobbiamo altresì considerare che, per come siamo fatti, è complicato per una azienda strutturata presentarsi sul mercato senza una provvisoria “storia” che funzioni. Però, non si deve confondere l’auspicata efficacia delle narrazioni create ante quem, cioè narrazioni che incorporano ovviamente tendenze possibili delle quali non possiamo conoscere gli esiti, con l’irrazionale credenza che sia possibile conoscere con certezza il futuro (oppure, se volete, i futuri desideri dei clienti). Le tendenze sono una nostra costruzione e dovremmo sempre partire dal fatto che non esiste una tecnica (o una persona, o uno stregone, o un mago, o una AI) che ci consenta di predire il futuro con certezza. Con le tendenze le aziende si prendono dei rischi. A volte vincono (ci azzeccano) e l’aumento dei fatturati è il premio della quota di rischio che hanno deciso di assumersi (e non la conseguenza della tendenza). download (1)

4.

Sono molto diffuse sulla stampa e tra i manager, analisi dei consumatori e del mercato, elevate, al rango di scienza. Ma non si dovrebbe confondere la metodologia spesso articolata e complicata messa in campo dai ricercatori, con gli esiti previsionali che, relativamente al comportamento futuro dei consumatori, ad essere buoni, molto più spesso di quanto potreste immaginare, dovrebbero venire confinati nell’immensa pattumiera dello scientismo e degli psicologismi. Non ci credete? Spendete un po’ del vostro tempo per rileggervi una piccola parte delle ricerche di mercato e sondaggi degli ultimi anni, segnatevi l’etichetta delle tendenze ad esse correlate, e parametrate il tutto con ciò che sappiamo, a cose fatte, essere stato lo sviluppo reale del business. Infine, dopo il confronto, provate a farvi un giudizio di esse in termini di utilità, affidabilità, rigore. Ovviamente non posso sapere il vostro giudizio, ma vi anticipo il mio: desolante, con struggenti note di comica ironia.

Come funziona lo scientismo? Prendete un burocrate/accademico e mettetelo davanti a soggetti sottoposti a domande su un problema tipicamente umano del tipo: cosa desideri? Ti piace questo o quest’altro? Guarda questo oggetto e dimmi cosa pensi..e così via. Per giustificare la fattura salata che appiopperà all’azienda, organizzerà un questionario da sottoporre a individui profilati, applicherà ai dati del campione (selezionato ad hoc), il linguaggio e le tecniche mutuate dalle scienze sperimentali (numeri, algoritmi, presunte leggi etc.). L’idea di fondo che muove lo scientista è questa: la (sua) scienza praticamente può affrontare e risolvere tutti i problemi della vita. Il problema serio è che molti personaggi che hanno trovato spazio nelle aziende, proprio non riescono a distinguere la scienza dallo scientismo, quindi sono tutt’altro che rigorosi. I più pericolosi sono quelli che lavorano con gli schemi di previsione finanziaria. Per esempio, nessuno di loro o quasi, ha previsto la crisi del 2007/8 che ha devastato il mondo. Questa tragedia avrebbe dovuto ridimensionarne il ruolo. E invece sono ancora tutti al loro posto, pronti a subbissarci di consigli su come investire i nostri soldi. Subito dopo gli esperti dell’economia e della finanza, come livello di pericolosità, vengono quelli delle statistiche e dei sondaggi, che tra l’altro sono le tecniche più comuni per affrontare le tendenze dal punto di vista scientista. La loro colpa più grande è questa: inducono a usare statistiche senza sapere come sono state ricavate. Si arricchiscono senza metterci la faccia, facendo ricadere i costi su manager e imprenditori creduloni. La loro punizione è che, non rischiando niente o quasi (evidentemente sarà l’azienda a pagare i costi delle loro eventuali idiozie), non imparano niente.

Spero comprenderete che le mie parole sono rivolte esclusivamente a chi ha la pretesa di estrarre da un prederterminato campione con tecniche di analisi spesso fantasiose, con tanto di medie statistiche (e rimozioni della code), argomentazioni sul futuro ammantate di scienza.

Devo altresì aggiungere che il comparto gioielli italiano essendo frammentato in piccole e medie aziende, si è trovato quasi immunizzato rispetto alle idiozie degli scientisti. Il vecchio imprenditore, che rischia ogni giorno i suoi soldi e la pelle dell’azienda, rimane saggiamente refrattario a prendere sul serio gli scientismi sulle tendenze. I suoi manager, formatisi nelle scuole dove gli scientismi imperversano, risultano meno immuni. Ma rischiando grosso (il posto di lavoro, la carriera…), molti di loro, imparano in fretta a segregare le ricerche di mercato nei cassetto della scrivania e a far funzionare cervello, esperienza e cuore. download (1)

5.

Il successo del branding anche nel mondo del gioiello è correlabile alla presa di comando dei manager. Le loro responsabilità strategiche proiettate nel futuro prossimo, li ha resi molto sensibili alle tendenze e alla misurazione dell’efficacia delle proprie iniziative. A fronte di ciò si mobilitano in due modi: a. Registrano e studiano il tracciato delle vendite (cosa acquistano le persone e che cosa si può dedurre dalle loro scelte). Sembrerebbe a prima vista una mossa sensata. Ma, purtroppo per loro, in realtà, le tracce degli acquisti non spiegano affatto perché le cose sono andate in un modo piuttosto che l’altro. Possono solo confermare vittorie o sconfitte; b) Allora, succede che, per cercare previsioni più che spiegazioni, i manager si appellino alle ricerche di mercato, cioè fanno porre delle domande ai clienti/consumatori. Ma tutti noi sappiamo bene che c’è una grande differenza tra quello che le persone fanno è quello che dicono. Soprattutto se le domande ci interrogano sul possibile futuro (di qualsiasi cosa). Gli unici che fanno finta di non saperlo sono gli scientisti. Ovviamente c’è una ragione molto profonda per questa distrazione: non potrebbero più fatturare nulla.

Da ciò discende il valore relativo delle tecniche di analisi post quem ( cioè con la freccia del tempo orientata verso il passato), rispetto alla necessità di conoscere qualcosa che avverrà più avanti nel tempo.

In sintesi dunque: è pratica diffusa chiedere alle persone che cosa pensano, preferiscano o vorrebbero. Ma queste tecniche di ingaggio con possibili futuri scenari animati da vecchi e nuovi clienti, in realtà non ci dicono nulla che ci consenta di prevedere come agiranno.

Non è scientifico classificare e fare previsioni su ciò che le persone dicono di credere.

La razionalità di una credenza non esiste.

Esiste, per contro, la razionalità di una azione.

Perché i manager (e i loro consulenti) sono attratti dallo scientismo? L’enfatizzazione di formule quantitative (percentuali di scelte; numero di adesioni; statistiche ordinarie, medie ponderate…), immaginate congruenti al linguaggio della scienza, ha il compito di esorcizzare la loro fragilità (la fragilità del manager di fronte al problema del che fare? Cosa produrre?, voglio dire), fornendogli al contempo un immaginario sostrato solido per le decisioni che dovranno prendere. In realtà si tratta solo di scientismi di scarsissimo valore predittivo. Possono certo lasciarci intravvedere trend, ma occorre ribadire la loro totale dipendenza dal passato e la loro sostanziale cecità verso il futuro (fare previsioni all’indietro è troppo facile, e aggiungo, di scarsa utilità).

Un discorso a parte dobbiamo riservarlo ai cosiddetti Big Data. L’idea che li promuove è molto semplice. Navigando in Internet e facendovi degli acquisti non possiamo fare a meno di lasciare delle tracce. Non ci vuole certo un grande sforzo intellettuale per capire che con dei buoni algoritmisti l’enorme quantità di dati che ciascuno di noi lascia dietro di sè quando naviga nel web, può essere trasformata in una sorta di misura per possibili tendenze di consumo o di propensioni, caratterizzate da un livello di precisione difficile da raggiungere con le ordinarie ricerche di mercato basate su interviste o su focus group. Tuttavia sappiamo anche che con Internet sono apparsi all’orizzonte enormi problemi legati alla tutela della privacy. Senza contare che le prime analisi basate sui dati di navigazione e utilizzo del web, sottolineano il ruolo certo non secondario di fattori inconsci ed emozionali. Comunque sia, nuove metriche applicate ai nostri comportamenti saranno sempre più diffuse e dovremo abituarci ad algoritmi ehe possono offrire in tempo reale, risposte in prodotti e narrazioni immaginati essere conformi ai nostri desideri. L’elaborazione automatica di un enorme numero di dati, in origine traccia di comportamenti individuali, può suggerire tendenze collettive? Sembra ragionevole sostenere che mai il marketing aveva avuto uno strumento così potente per mettere alla prova progetti, prodotti o semplicemente per mettere a fuoco narrazioni in qualche modo fatte emergere da comportamenti. Ma a questo punto la parola “tendenze” sembra spesa male. In realtà ci troviamo di fronte non a semplici previsioni ma a “probabilità”. Gli algoritmi daranno al futuro le sembianze di un calcolo delle probabilità applicato a ogni azione umana. Forse non è lontano il giorno in cui coolhunter e trendesetter dovranno confrontarsi passa a passo con gli algoritmisti. Consiglio a tutti loro di leggersi il vecchio ma sempre valido filosofo Carneade di Cirene (219/4-129 a.C.). download (1)

6.

Alle aziende che consideriamo all’avanguardia nel processo di modazione, gli scientismi applicati alle tendenze non servono a nulla. Il più delle volte fanno del male.

Molto meglio prendersi dei rischi creativi, parametrati all’esperienza concreta del proprio mercato di riferimento.

Anche se funziona un po’ come una superstizione o una profezia, la tendenza come narrazione emozionale e creativa, per come siamo fatti, quando non svolge un effetto puramente decorativo (come in gran parte del giornalismo di moda), può essere un buon antidoto ai veleni che il futuro può riservarci. 

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7.

Proviamo a ripetere quanto ho scritto sopra, secondo un diverso registro enunciativo.

Casa intendiamo normalmente con tendenza/e?

Quando usiamo questa parola con un certo criterio vogliamo fare riferimento a un’insieme di oggetti, fatti, eventi, stili, discorsi, persino persone che avrebbero la proprietà di suggerirci con buona approssimazione come apparirà il futuro (del mercato, degli stili, oggetti e segni).

Perché chi opera nella moda ha, per così dire, una fiducia anticipata nel concetto?

La risposta è semplice: le aziende moda-orientate lavorano per un ideale soggetto desiderante collocato nel futuro (devo produrre oggi per vendere domani, la prossima stagione, tra sei mesi…).

 

Ora consentitemi di raccontarvi una favola.

C’era una volta qualcosa che mi piace chiamare Normalistan. Come funzionava la moda nel Normalistan? Tutti credevano ciecamente nel potere che le novità attribuivano a chi voleva sentirsi più avanti degli altri. I brand lo sapevano e cercavano di anticipare futuro con oggetti che lo facevano sembrare già avvenuto. Bastava solo comprarlo. Nella moda, il salto in avanti promesso dai prodotti di tendenza era all’incirca di sei mesi (fu Dior, dopo la seconda guerra mondiale a imporre questo timing, relativo alla presentazione di nuove collezioni, mantenuto fino alla soglia del terzo millennio). Nel Normalistan un consumatore avido di acquisti (domanda >/= offerta) rendeva le tendenze quasi un gioco: comunque andasse la maggioranza dei player sul mercato vinceva qualcosa. In questa fase bastavano pochi “quaderni di tendenza” per generare la messa in ordine del gusto della gente, senza drammi per nessuno: la gente consumava prodotti percepiti come novità, era felice e le aziende incassavano.

Ma poi, complice la globalizzazione, il web, il terrorismo, virus, crisi economiche mai viste prima, la moda si è trovata in Estremistan. In Estremistan è scomparsa la felicità del consumatore nello stare al gioco. La perdita di fiducia però non ha intaccato i consumi: al contrario li ha resi più frenetici, ma privi del piacere di giocare. Di conseguenza, in Estremistan, abbiamo potuto osservare una catastrofe del timing della modazione che ha reso ancora più opaco il futuro e imprevedibile il mutamento del gusto dei modanti (in particolare quello dei famosi, citatissimi e corteggiatissimi  Millennials). Le tendenze si sono moltiplicate al punto da trasformarsi non più in un gioco bensì nel suo contrario: in Estremistan si fatica a seguirle perché sono scomparse le regole del gioco.

A cosa voglio alludere con l’evocazione del contrario del gioco? Ovviamente parlo dei giochi della moda che oggi sembrano dipendere da una incessante lotta per autolegittimarsi di aziende e individui (più fatica). I giochi della moda sono divenuti troppo seri (troppi reali) e quindi presentati e vissuti dai modanti con investimenti passionali estremi che alimentano conflitti. 

Gli effetti Estremistan hanno prodotto l’emersione della presentificazione della moda (cioè atti Moda schiacciati sul presente). Quindi in Estremistan è di tendenza ciò che funziona adesso. Ma ciò equivale ad annullare il senso storico della parola/concetto e a riporre in soffitta le tecniche che lo supportavano (per es. i quaderni di tendenza).

 Consentitemi di porvi una domanda che potrà sembrarvi cretina?

Secondo voi oggi ci troviamo in Normalistan o Estremistan? Per quanto mi riguarda, penso che non ci possano essere dubbi: un mondo nel quale il disequilibrio diviene normale, il disordine surclassa l’ordine, le dissonanze sovrastano le armonie, i volori storici evaporano, è chiaramente un mondo nel quale fenomeni estremi sono molto più frequenti. La moda non fa eccezione.

Signori e signore, benvenuti in Estremistan.

 

Ora ritorniamo al nostro tema. Chiediamoci: La moltiplicazione delle tendenze in Estremistan, cioè il fatto che funzionano per fasci granulosi a orientamento dissonante (e non più secondo una traiettoria lineare), ha forse permesso alle aziende di agire secondo modalità predittive più efficienti?

No! A meno che non ci arruoliamo tra gli adepti dello scientismo o tra le vittime della creduloneria. Ma mentre in Normalistan il modante aveva interesse nel credere alla promessa di futuro delle aziende (in definitiva, facendo finta di crederci, poteva consumare di più, protetto da una bolla di piacere), in Estremistan l’atto di consumo auto-legittimante (del lusso, qualsiasi definizione diate alla parola) comporta godimento e incorporazione dell’oggetto come parte significante dell’identità (in questo senso è troppo reale). A questo punto è scontato congetturare che la valenza dell’oggetto (nel nostro caso il gioiello-moda), dipende molto più, rispetto al passato, dall’interferenza con valori extramoda ( valori etici, sostenibilità, reazione alle mode che favoriscono l’anoressia, contro il razzismo…). La superfetazione delle tendenze, l’impossibilità di conoscerle tutte anche solo per sentirsi informati (per poi decidere in una direzione o nell’altra), il disordine di sistema che ne discende, paradossalmente, ha reso importanti il fascio di valori culturali e sociali, che dal di fuori della moda, consentono di ristabilire ordine e misura, alla dismisura di ogni godimento. Ora, è mia opinione che partendo da questi valori fuori-dalla-moda sia possibile ancorare possibili tendenze /narrazioni a isole di futuro alle quali il consumatore post-moderno o liquido (cioè infedele e schizofrenico per via dell’evaporamento dei valori tradizionali, ma anche alla ricerca di un loro simulacro) può approdare.

Di conseguenza la lotta per essere di tendenza è debordata dal prodotto in sé al brand (ritenuto responsabile della correttezza o meno del “mondo possibile” prefigurato dalle politiche attivate dalla marca). Bisogna considerare che le narrazioni che attualizzano tendenze, anche se sembrano concentrate su un oggetto particolare (un gioiello, un abito, una borsa), mettono sempre in gioco l’identità dell’azienda, e funzionano secondo una logica performativa cioè non è importante come si prefigurino il futuro (in realtà chi ci crede più?), bensì l’immediatezza dell’effetto emozionale (e degli atti di consumo che ne discendono). La tendenza in Estremistan è più evento che profezia. Ecco perché la potenza di fuoco mediatica e l’energia accumulabile da un brand è molto più determinante rispetto al passato. Non è più la creduloneria l’obiettivo primario, ma il costante eccitamento del mercato (e ovviamente del modante). Il prezzo da pagare per questa sorta di autolegittimazione delle tendenze a dominante emozionale, il cui senso non è più il significato di una storia ma la corrente di piacere o eccitamento che la rende percettivamente pregnante, è la costante ed ossessiva attenzione del consumatore al comportamento etico dell’azienda.

 

 

Gran finale:…Ad Deum qui laetificat juventutem meam

8. 

Nel breve prologo che ho ritenuto di proporvi per favorire un approccio più pensoso nei riguardi di una parola/concetto, tendenza, usata spesso con noncuranza, abbiamo visto che i gioielli si muovono al ritmo della modazione del momento. In sostanza, come già ricordava R.Barthes nel saggio citato sopra, il gioiello deve essere pensato in relazione al resto del look e allo stile prescelto: “La novità, se si vuole, sta nel fatto che il bijoux non è più solo, è un termine di quel rapporto che lega contemporaneamente il corpo, il vestito, gli accessori e la circostanza, fa parte di un insieme, e quest’insieme non è più fatalmente cerimoniale”(4).

Insomma, aldilà del gioiello assoluto, sempre presente in termini di prestigio e/o di bene rifugio tra i ricconi (10/15% dei bipedi parlanti), i fatturati importanti dipendono dalle forme di gioiello che sono percepite come parte del vestito o, se volete, del look. La loro funzione diviene doppia: impreziosire e alludere a uno stile. Senza dimenticare, e seguo ancora le intelligenti argomentazioni dello scrittore e semiologo francese, che per la sua fattura il bijou recita in modo esemplare il ruolo del dettaglio, ovvero quel nonnulla che funziona come un supplemento decisivo per la significazione del look orientato verso la stilizzazione (5).

Ai fini del mio discorso dunque, proprio perché il gioiello parla lo stesso linguaggio della moda, la sua configurazione deve passare attraverso la porta stretta delle tendenze (sia che si appellino alle ricerche di mercato e sia quelle quelle che si basano su narrazioni creative).

È chiaro che (siamo in Estremistan, lo ricordate?) non esiste un metodo standard o una formula precisa come un algoritmo, che consenta di calcolare la tendenza (cioè qualcosa di collocabile nel futuro) con ragionevole certezza. Ogni azienda moda orientata, si organizza a proprio modo e non ha interesse a perdere tempo per raccontarci nei particolari come realmente arriva a farsi la propria visione del futuro e a condensarla in una collezione e in narrazioni che, come le nuvole, viaggeranno nella semiosfera (cos’è la semiosfera? Anche se non li vedete, sapete benissimo che tutt’intorno al pianeta scorrono velocissimo messaggi provenienti da ognidove. Quindi, si può dire dunque che noi viviamo e agiamo anche nella semiosfera).

Tuttavia noi sappiamo con certezza che quando l’oggetto appare in pubblico, di solito è accompagnato dalla trasfigurazione simbolica che deve comunicarlo. Questa trasfigurazione avviene attraverso eventi (le sfilate, ad esempio), immagini, video, comunicati stampa, interviste al designer etc.

Quindi, se osserviamo con attenzione le narrazioni utilizzate dalle aziende per scatenare le nostre passioni, allora, diviene possibile mappare le aree tematiche più battute, individuare le forme emergenti, seguire tracce che prefigurano futuri possibili.download (1)

 9. 

Quali futuri possibili si intravedono oggi a partire dalle narrazioni dominanti delle aziende moda orientate? Quali sono i concetti che incorporano le forme gettate sul mercato? Prendendo come campione le ultime sfilate delle marche più importanti del prêt-á-porter, sono arrivato a individuare tre campi gravitazionali con forti propensioni ad attrarre quelle deviazioni del gusto che chiamiamo tendenze, immaginandole posizionabili in avanti cioè nel futuro, ma anche fortemente ancorate o innervate nell’orologio biologico che scandisce i battiti delle nostre vite.

a) Il gioiello sostenibile.

Intendiamoci: la sostenibilità praticamente di tutto, anche del vostro gatto, è divenuto un refrain ossessivo e talmente diffuso a tal punto da farci quasi desiderare inquinamenti devastanti, buchi dell’ozono colossali, tornadi sulle Alpi.. Tuttavia, dobbiamo considerare che ne parliamo da tanto tempo perché, 1) è una questione controversa; 2) non sappiamo come risolverla senza mettere in discussione il nostro stile di vita; 3) la posta in gioco è la sopravvivenza della vita, così come la conosciamo. Da tutto ciò, discendono due effetti da non sottovalutare. Il primo è questo: anche gli esseri più inquinanti (cioè quasi tutte le persone che conosco, me compreso) non possono fare a meno di sentirsi coinvolte. Ricordate: è in gioco la sopravvivenza! Il secondo è una derivata del primo: la pulsione nominalistica degli esseri umani (cioè le chiacchiere o per meglio dire, l’idea che parlarne, a favore o contro non importa, rappresenti in sé una soluzione) funziona alla massima potenza. Cosa possiamo abdurre dalla vischiosità del “sostenibile”? Io la metterei giù così: se, nelle situazioni di ingaggio con i nostri referenti, embrichiamo i nostri oggetti ( in questo caso, gioielli) con narrazioni che alludono alla sostenibilità saremo senz’altro nel futuro immaginario e discorsivo dei nostri referenti. Vorrei farvi notare che la valenza performativa di siffatte narrazioni/tendenze discende dal fondo problematico al quale alludono. Un problema, per ora, irrisolvibile ma che tutti a loro modo, conoscono. Un problema che potremmo riformulare in questo modo: un domani esisterà ancora l’umanità (come la viviamo oggi?). Ebbene, questo genere di questioni, apparentemente estranee all’ideologia popolare della moda, non spaventano affatto gli attuali strateghi della modazione dal momento che offrono al brand la possibilità di iscrivere nel contratto fiduciario con i propri referenti un’istanza etica di grande valore emozionale.

 

Dalle considerazioni precedenti vi presento la mia prima massima sulle tendenze:

Partite da problemi veri cioè dalla posta in gioco altissima e vi troverete nel futuro.

 

Il fatto che si parli di sostenibilità e di ecologia da molto tempo non deve trarvi in inganno. Le forme, le istituzioni, i discorsi, le abilità di lunga durata hanno maggiori probabilità di sopravvivenza di quelle bollicine evanescenti che sono le tendenze nominalistiche (quelle inventate dal giornalistese). La tendenza efficace, per come la vedo io, è un frattale del tempo che visto su scala diversa compone forme che assumono una fisionomia sempre più vicina a configurazioni che possiedono una storia (quindi un passato).

In Estremistan la lotta per trovare posto nelle tendenze anche per le aziende moda non è solo un gioco. Vince chi rimane vivo.

 Sostenibilità può significare molte cose. Per esempio, produrre in modo etico, tutelare chi lavora, rispettare l’ambiente, riciclare materiali, evitarne altri, optare per la trasparenza… Voglio dire che le forme dell’espressione e del contenuto di esse a livello di specifica narrazione possono essere quant’altro mai eterogenee e quindi rendere problematica la risposta alla domanda: quale potrà essere la narrazione più efficace? Ma, se partiamo dal campo semantico che per i ragionamenti sopra riportati non può non risultare pregnante per tutti, salvo per gli idioti, allora quantomeno, passatemi l’espressione, non potremo non essere nel futuro. È già tanta roba. 

È possibile utilizzare questa parola (sostenibilità) per la vostra attività di creativi del gioiello?

Se avete dei dubbi, vi consiglio di prendervi il piacere di andare a vedere la mostra organizzata dallo staff del Museo Ferragamo, intitolata Sustainable Thinking. Si tratta di un evento espositivo dislocato in più sedi e ricchissimo di sorprendenti soluzioni. Personalmente non avevo mai visto tante ingegnose soluzioni capaci di condensare in oggetti o forme, innovazione, sperimentazione, creatività e bellezza, attraversate da una sensibilità etica (cioè in qualche modo responsabile rispetto a valori solidi).

 

Come esempio concreto di gioiello sostenibile vi cito l’ultima creazione di Giovanni Raspini. Guardate l’immagine che ho scelto (fig.3).

 

Giovanni Raspini 2019 gioiello
Giovanni Raspini 2019

 

 

La forma del gioiello prende spunto da organismi marini. È chiaramente un gioiello che proviene dal mare. Questo sembra dire al primo sguardo l’immagine. E poi aggiunge: sono prezioso come il mare, come l’acqua…che tutti noi sappiamo essere a rischio di inquinamenti multipli.  Che ne sarà della mia bellezza? Domandano la coppia gioiello/acqua, quando pa percezione si trasforma in unità semantiche. Infatti è impossibile negare la bellezza del gioiello Raspini. Una bellezza che trascende l’oggetto e fa emergere risonanze etiche che solo i poveri di spirito o i ritardati mentali non possono udire.

Io non so se Giovanni Raspini venderà o non venderà i gioielli di questa collezione. Ma quando ho visto le immagini, ho capito che era nel futuro. È questa una esemplificazione della fattura della tendenza alla quale dobbiamo tendere? Mi piacerebbe rispondere di sì.

Ma mi rendo altresì conto che se osservassimo l’immagine che ho selezionato dal repertorio pubblicitario di Raspini, con le lenti degli esponenti più intransigenti degli agitpop del paradigma della sostenibilità, potremmo essere autorizzati a concepirla come un tipico esempio di irritante “greenwhashing” ovvero come una mossa tattica di una azienda che crea narrazioni per “dipingersi” addosso una patina di verde, invece di investire risorse a favore dell’ambiente.
Lo sappiamo tutti che in Estremistan i manager amano le parole che sembrano avere un fondamento scientifico per convincerci a comprare i loro prodotti. E non ci sono dubbi sul fatto che oggi le parole che animano le narrazioni a sfondo ecologico, siano percepite dal largo pubblico come contigue ad una idea di scienza, vaga, approssimativa, divulgativa, a rischio di ideologia, ma alla quale tante persone, in buonafede, si aggrappano nella speranza di un mondo migliore.
 

Tuttavia vorrei ricordare ai fondamentalisti della sostenibilità che un effettivo cambiamento di mentalità non avverrà solo grazie ad una adesione incondizionata a dichiarazioni scientifiche, ma richiede un pressante lavoro sugli immaginari della gente. A tal riguardo le politiche dei brand, pur con tutti i dubbi che è lecito avere, possono seriamente contribuire al mutamento delle mentalità e di riflesso dei consumi. Ecco allora, narrazioni che al momento rischiano di apparire  più vicine al greenwhashing rispetto all’auspicabile “azione diretta sull’ambiente”, possono trasformarsi in innumerevoli piccoli colpi, non privi di efficacia, utili per cambiare attese e disposizioni della gente.
Ma non è questa la sede per discutere sul cosa si debba intendere per sostenibilità.

Prudentemente, mi limito a sottolineare ancora una volta che uno degli aspetti fecondi del mio modo di mettere ordine al groviglio di tendenze frammentate e nominalistiche, è la relazione che il futuro intrattiene con i problemi veri della nostra vita, con le innovazioni che da essi discendono, con la creatività diffusa che stimolano. A tal riguardo gli appelli alla sostenibilità impliciti ad eventi come mostra al Museo Ferragamo e la pubblicità di Raspini sono dei buoni esempi. Ne esistono tanti altri; lascio a voi il piacere di trovarli.

b) Il gioiello genderless

Senza voler esagerare, si può sostenere che alla domanda: quanti sono i sessi? non possiamo più rispondere con la noncuranza del passato. Si va diffondendo in Occidente l’idea che tra il polo maschile e quello femminile vi siano altre configurazioni della soggettività legittimate a pretendere gli stessi diritti. Sostanzialmente, vengono messi in discussione i presunti privilegi degli uomini etero, rispetto alle donne etero, agli omosessuali, alle lesbiche e alle varie tipologie transgender. Naturalmente sappiamo che ogniqualvolta entrano sulla scena questioni inerenti l’identità sessuale e le sue conseguenze, i dibattiti si infuocano, l’opinione pubblica si polarizza, le chiacchiere volano. A giusta ragione, direi. Vengono messe in discussione culture, linguaggi, comportamenti, istituzioni che sino a ieri erano la norma o quasi. È lecito attendersi che questo focolaio di polemiche appassionate durerà a lungo.download (1)

Eccoci giunti alla seconda massima sulle tendenze:

Partite da problemi che coinvolgono la sessualità e vi troverete nel futuro.

 gucci 2018 gioiello
Gucci 2018

 

c) Il gioiello oversize (Maxi gioiello):

nelle ultime stagioni la maggior parte dei brand della moda hanno presentato look impreziositi da gioielli di fattura inusuale. Perché? Un riconoscimento all’importante funzione significante che abbiamo indagato attraverso le parole di Roland Barthes? Si aumenta la visibilità dei gioielli per dare nuova linfa ai fatturati? Una conseguenza di fashion show sempre più sfarzosi e spettacolari? Io aggiungerei a queste argomentazioni una congettura. Non c’è dubbio che nella società liquida le questioni legate alle identità corporea debbano essere poste diversamente rispetto il passato. L’aumento di attenzioni per il corpo è un sintomo della sua aumentata fragilità. A un corpo divenuto fragile, la moda reagisce, fornendo oggetti-per-il-corpo, di valenza ortopedica. Se osservate la sequenza di immagini, riprese da sfilate che presentavano i look per la prossima stagione, l’idea di un gioiello che si compenetra sempre più con l’abito, divenendo pelle del soggetto in movimento, è sì chiaramente una narrazione emozionale ( cioè non ha la pretesa di presentarsi come l’interpretazione definitiva della virata maxi), tuttavia non la banalizzerei. Il gioiello, protesi di un corpo che fa problema, è certamente una idea audace, ma suffragata da una marea di indizi, primo tra tutti la domanda di interventi di chirurgia estetica fin da giovanissimi. download (1)

 Siamo dunque alla terza massima sulle tendenze: 

Osservate con attenzione le derive del corpo e vi troverete sui sentieri stretti che portano nel futuro.

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Oltre al gioiello oversize anche la propensione alle sovrapposizioni o alla serialità possono essere poste in correlazione con una ingegnosa regolazione del corpo fattosi liquido nella post modernità (le immagini che ho tratto, dai look delle ultime sfilate, parlano chiaro). Evidentemente, la moda odiando tutto ciò che è negativo, ce li presenta come l’espressione di un nuovo glamour esibizionista, narcisista e vanitoso fino alla spudoratezza. Non fatevi ingannare. Il gioiello diventa maxi o impilamento di forme, perché il corpo del soggetto della moda è bucato, evaporato, ha un costante bisogno di restauri.

Guardate le immagini dei gioielli che sembrano diventare dei nuovi organi che si sovrappongono a quelli del corpo. Solo un eccesso decorativo? È lecito dubitarne. È chiaro che con i gioielli indossati in serie, aumentano le possibilità di “personalizzare” il look, ovvero lo stile individuale. Ma questo effetto di superficie non suggerisce forse la relazione inversa tra corpo immaginario della moda e corpo reale? Se uno cresce l’altro non può che evaporare.

Insomma, per farla breve, avrete capito spero che la mia riformulazione del concetto di tendenza si basa su di un assunto, facile da capire: trovate il problema e lavorerete per il futuro.

 

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10.

Dopo aver letto il libro di Nassim Nicholas Taleb, Rischiare grosso (ilSaggiatore, 2018), del quale vi raccomando anche tutti gli altri libri, una delle mie massime preferite è diventata: “I matematici pensano in termini oggetti e relazioni (definiti e mappati con precisione), i giuristi e teorici del diritto in base a costrutti, i logici per operatori completamente astratti, e gli sciocchi…a parole”(6).

Il mondo delle tendenze è dominato dalle chiacchiere, da parole usate come etichette. Se investite un po’ del vostro tempo a navigare nel web, scoprirete facilmente un mare di tendenze quant’altre mai eterogenee, che in questo momento annunciano il futuro. Probabilmente troverete riferimenti al gioiello etico, al maxi, al genderless, insieme a tanti altri del tipo, il gioiello eclettico, etnico, naturale, botanico, animalier, minimalista..etc. La moltiplicazione delle tendenze annulla la valenza del concetto. Se tutto è di tendenza che senso ha parlarne? Il furore nominalistico del giornalismo di moda, reso esplosivo dal bloggerismo dilagante, sta soffocando la parte nobile della semantica di base della parola tendenza. Chissà, forse ne avremo dei vantaggi. Per esempio avrete notato che nei vuoti lasciati dalle tendenze è improvvisamente apparso il mito di una creatività ribelle, libera, devastante. Ma, provare ad agire in modo creativo senza parametri o precauzioni è come chiacchierare di tendenze. Ci si sente liberi, leggeri, audaci…perché non ci si accorge di stare camminando nel vuoto, come sonnambuli.

Se condividete le parole creatività e tendenza conversando con un amico al bar, è molto probabile che, inconsapevolmente, usiate questi termini con significati diversi uno dall’altro. E chi se ne frega, penserete; in quella situazione è più importante stare bene insieme. Sono d’accordo. Figuriamoci, io di solito al bar sparo cazzate. Ma ci sono altre situazioni nelle quali, ci conviene credere che anche le parole possano essere usate con maggiore rigore (ed efficacia operativa). Giustamente, N.N. Taleb, nel libro citato, ci ricorda che, quando la conversazione diventa difficile (aumenta la posta in gioco: vi sono luoghi e tempi dove se dite cazzate rischiate di perdere il lavoro), basta fare come Socrate e chiedersi: cosa pensiamo di aver detto con quelle parole? Potrà sembrarvi bizzarro ma la filosofia è cominciata così, con delle domande ben poste, e senza invitarvi a diventare dei filosofi, sono convinto che messi alle strette anche voi vi dareste da fare per non finire travolti dal guazzabuglio di sciocchezze che, senza un controllo, finirebbero per sommergervi. Questo vale anche se, poniamo, vi considerate degli abili sofisti (i sofisti erano particolarmente abili a districarsi nel groviglio di concetti creati dalle parole, facendone ricadere i costi sugli altri).

Ebbene, lo scopo di questa ultima parte della mia lezione era cercare di farvi riflettere con maggiore attenzione su un concetto che non possiamo affrontare integralmente con il linguaggio della scienza. L’arte, la moda, l’estetica, soprattutto se le pensiamo in forme orientate al futuro, sono un campo di indagine molto diverso da quello della fisica o della matematica. E poi, mi piace pensare che il futuro sia aperto, cioè non integralmente prevedibile. Ma quando non possiamo proprio fare a meno di affrontarlo (ovvero all’inizio del processo creativo che culminerà in un oggetto presentato al un pubblico dal gusto mutante), non significa che dobbiamo arrenderci alla magia, agli stregoni, ai guru o agli scientismi. È vero, un pensiero fatto solo di parole porta alle sciocchezze. Ma le parole con un po’ d’attenzione possono diventare dei concetti; a loro volta i concetti possono creare la possibilità di nuove relazioni tra oggetti, materie, forme espressive; ma soprattutto se ben organizzati possono donarci i costrutti che i manager chiamano “avere una visione (del futuro)” e che io preferisco definire teorie. A questo punto la questione non è se siano vere, verificabili, giuste. Le teorie (o le visioni sul futuro) sono un inizio e non la fine. Io le penso come un work in progress, che lascia ampi spazi di libertà e di sperimentazioni, soprattutto quando lo ancoriamo a qualcosa di solido, che sopra vi ho espresso nella forma di “problemi consistenti”.

Quindi, cercate il vostro problema,  tenetelo ben fermo davanti ai vostri occhi (a questo servono le teorie) e rischiate grosso con la creatività (un progetto/processo creativo è sempre reversibile cioè può essere corretto). È l’unico modo che io conosco per affrontare il futuro al riparo da illusioni, false certezze, incantamenti, inutili romanticismi.

 

 

Addenda

Lo script che vi ho presentato è la parte finale delle mie lezioni su “Moda e tendenza” al Master di Storia, Design e Marketing del Gioiello dell’Università di Siena, concepito e diretto dal prof.Paolo Torriti. Tuttavia, ho pensato che il riferimento alle tendenze del gioiello così come le ho immaginate e supportate dalle immagini, investendo l’attualità, lo rendesse interessante anche per un lettore appassionato del settore. Troverete pubblicate solo un minima parte delle immagini esposte in aula. Ma con un po’ di pazienza, navigando in internet, ne troverete tantissime.

 

 

Note:

1) Introibo ad altare Dei. Ad Deum qui laetificat juventutem meam (mi accosterò all’altare di Dio, a Dio che allieta la mia giovinezza): era la frase che udivo pronunciare dal sacerdote mentre usciva dalla sagrestia, quando facevo il chierichetto.

Ovviamente nel mio articolo l’entità divina è la Moda nelle sue risonanze mitiche, come viene vissuta dai creduloni.

Il numero sterminato di creduloni in circolazione, rende pertinenti ed efficaci le chiacchiere sulle tendenze (le quali, quasi sempre, sono poco più di innocue e divertenti buffonate).

L’idea di fondo è che se crediamo alle liturgie della Moda, allora le narrazioni sulle tendenze acquistano un senso pratico del quale riesce difficile farne a meno. In breve, Alcune di esse funzionano come le profezie che si autoavverano, ricordate dal filosofo Karl Popper nelle numerose pagine che dedicò nei suoi libri, per contrastare il sonnambulismo dilagante nel mondo civile tra le due grandi guerre, culminato nel nazismo e nel fascismo. A questo punto le vere domande sarebbero: perché ci crediamo? Perché ci viene utile seguire le tendenze?

 

2) Roland Barthes, Il senso della moda, Einaudi 2006, pag.67;

 

3) Il gioiello ha difeso per secoli la propria gloriosa autonomia dalla moda. Probabilmente è stata Coco Chanel l’artefice della sorprendente valorizzazione del bijoux rispetto alle valenze classiche dei gioielli preziosi. La sua scoperta, propedeutica all’emersione del design artistico come fattore di adeguamento dell’oggetto ai problemi di stile, dominanti nel modernismo, è fondamentale per comprenderne gli sviluppi esplosi nella post modernità ( dai sessanta in poi). È difficile sopravvalutare gli effetti dell’idea che la creatività possa rivaleggiare, in funzione della produzione di valore, con la preziosità dei materiali base. Da essa discende un nuovo mondo per il gioiello. Un nuovo mondo che ha come centro operativo il brand (o la brandizzazione). Tuttavia i numeri ci dicono questo: nel 2005 il fatturato complessivo del gioiello (così come viene inteso oggi) brandizzato, fatta base 100, era 13; nel 2020 si prevede che salirà fino al 40%(dati mcKinsey). Questo significa che le strategie moda orientate stanno imponendo un vertiginoso cambiamento di registro a tutte le aziende e che i valori immateriali aggregabili a forme, materie, design vengono considerati decisivi. È utile ricordare ancora una volta che i valori di cui stiamo parlando non sono dati, bensì discendono dall’efficacia delle narrazioni che chiamiamo tendenze.

 

4) Roland Barthes, ibid, pag.67;

 

5) Varrebbe la pena di riflettere con attenzione sulle implicazioni che discendono dalla parole di R. Barthes, che voglio ricordarvi: “Il bijou regna sul vestito non perché è prezioso in sé, ma perché concorre a renderlo significante. Ad essere prezioso è ormai il senso di uno stile, e questo senso dipende non dai singoli elementi, ma dal loro rapporto. E, all’interno di tale rapporto, è proprio il termine staccato (una tasca, una sciarpa, un bijou) quello che detiene il potere ultimo di significazione”. L’assunto di fondo che sorregge questo punto di vista è che il consumatore oltre al gioiello compri del “senso”. 

 

 6) Nassim Nicholas Taleb, Rischiare grosso, il Saggiatore, 2018, pag.243;

 

 

 

Lamberto Cantoni
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21 Responses to "Esiste il gioiello che fa tendenza?"

  1. Plania M.   8 Maggio 2019 at 19:48

    Le tendenze credo siano state il motore della società e delle relazioni sociali da sempre, e per “sempre” intendo da quando la distribuzione gerarchica ha iniziato ad essere accentuata da differenze estetiche che dettassero lo status delle persone.
    Essere obbligati ad esibire un certo dress code per adempiere alla credibilità del proprio gradino societario, ha permesso alla moda di trovare man mano il proprio valore, diventando, in passato, Arte dei giorni nostri ( basti pensare a tutti i quadri che possiamo ammirare in cui sono ritratti personaggi rilevanti o meno, i quali presentano abbigliamenti, acconciature ed accessori differenti a seconda del periodo storico di appartenenza) e, ai giorni nostri, un incontro tra tendenze attuali e Arte del passato.
    Le tendenze sono chiaramente dettate da quello che secondo il Marketing può più o meno funzionare, ma certamente anche da quello che lo stilista vorrebbe dimostrare di essere in futuro. Questo meccanismo ha permesso a molte aziende importanti di modificare il proprio stile e la propria immagine, incontrando (o scontrando) i pareri degli addetti ai lavori ma soprattutto degli amanti del Fashion System, attualmente promotori e fidati divulgatori della moda.
    Ad ogni modo, in ogni collezione, che per ovvi motivi nasce con la ragione prima di essere venduta, troviamo sempre una piccola capsule sentimentale, legata alla capacità artistica e all’anima dello Stilista che, a testa alta e con fiera convinzione porta avanti il nome della Maison di appartenenza, proponendo sempre un sogno insieme ad un acquisto, e dimostrando al commercio ed alle sue regole che la moda è sì un mero desiderio, ma è anche un bisogno intimo e personale di dimostrare a se stessi e al mondo intero chi siamo, cosa siamo e cosa vogliamo diventare.

    Rispondi
    • Antonio Bramclet
      Antonio   8 Maggio 2019 at 21:36

      L’intervento di Plania mi è piaciuto molto. Secondo me tra moda e tendenze non c’è molta differenza. Una è l’altra faccia dell’altra. Procedono insieme. Impegnarsi a fare tendenza per me significa far sognare il consumatore. Infatti tutti coltivano la speranza di essere delle persone uniche, diverse dagli altri. Aderire alle tendenze soddisfa questo sogno. Mi è piaciuta anche la parte dedicata ai bijou. È vero quello che ho letto. Il gioiello prezioso è fatto per non essere indossato spesso. È cerimoniale, sacro e importabile. È il bijou che mi serve per costruirmi l’identità pubblica che più mi piace.

      Rispondi
  2. Plania M.   8 Maggio 2019 at 20:50

    Da amante del Gioiello, invece, posso ammettere che, quando legato ad una collezione in un Brand che si propone completo di abbigliamento ed accessori, viene proposto come completamento di un mondo in cui si possono trovare diverse proposte a cui è possibile abbinare il Gioiello in modo più o meno connesso.
    In questo caso il discorso di “tendenza” segue un concetto più ampio che vede la sua nascita in una intera collezione in cui il Gioiello figura come degno completamento, seguendo quindi la tendenza ricercata, oppure proponendosi come dettaglio classico in contrapposizione ad un look contemporaneo.
    Nel caso in cui ci si trovi ad osservare un Brand di sola Gioielleria (intesa in ogni sua forma più o meno nobile e più o meno ricercata), il concetto tendenzialmente non cambia ma può risultare più monotono nell’ottica della ricerca di una tendenza, poiché non sempre viene proposto in una forma di innovazione e, se sì, il concetto rischia di sedimentarsi in uno strascico di rendita dovuto al successo di una determinata linea fortunata.
    Per questo, credo che il Fashion Jewelry sia il vero ambito di ricerca della Gioielleria e che grazie a questo genere, il Gioiello, stia maturando sempre di più una posizione di rilievo nella moda.
    A tal proposito, tengo a precisare che, pur essendo una grande estimatrice del Gioiello visto nella Sua visione più nobile e classica, tendo a contemplare con ammirazione ogni tipo di ornamento per il corpo, poiché, sia che segua oppure no una ricerca, rappresenta da sempre un modo per distinguere le diverse personalità e, mai come oggi, ha il grande potere di pilotare un intero look nella direzione desiderata, esprimendo un messaggio decifrabile ormai da tutti.

    Rispondi
    • Lamberto Cantoni
      Lamberto Cantoni   8 Maggio 2019 at 21:44

      Intervento molto pertinente che condivido.

      Rispondi
  3. james   9 Maggio 2019 at 11:42

    Interpretazione originale e ricca di spunti. Però trovo eccessive le critiche ai sondaggi e alle ricerche di mercato. Come fanno le aziende a non utilizzarli? L’articolo mi ha fatto pensare agli exit poll durante le elezioni. A cosa servono? basta aspettare qualche ora e sapremo tutto. Eppure siamo avidi di sapere subito come andrà e allora ci fidiamo delle tendenze. Perché? Per lo spettacolo; per poter restare davanti alla Tv, per ascoltare chiacchiere. Cosa voglio dire? voglio solo dire che le tendenze sono una conseguenza dei mass media e della loro discreta ma inflessibile capacità di modificare la mentalità, i comportamenti e le aspettative degli utenti.

    Rispondi
  4. ann   9 Maggio 2019 at 14:12

    Forse non sono la persona più adatta per apprezzare i discorsi sulle tendenze nei gioielli. Io amo la storia, gli stili solidi e adoro le tecniche di lavoro artigianali. Concordo sui rilievi proposti dall’autore che riguardano l’importanza della scelta dei gioielli per dare giustezza all’insieme delle nostre apparenze. Le tendenze sono solo pubblicità. Capisco che non se ne possa fare a meno. Ma non credo che il vero intenditore di gioielli sia interessato a prenderle sul serio. Io penso che chi ama i gioielli guardi la bellezza della composizione, la maestria della costruzione e la preziosità dei materiali. Per me più che creatività serve sensibilità artistica e senso del decoro.

    Rispondi
    • Lamberto Cantoni
      Lamberto   10 Maggio 2019 at 08:01

      È vero che le tendenze possono essere solo chiacchiere nel vuoto. Ma se ci poniamo le domande: perché tante chiacchiere? Come fanno, quando funzionano, a cambiare il gusto della gente? Se ci poniamo domande di questo tipo allora dobbiamo riconoscere che la visione sul futuro che la tendenza esibisce, suggerisce, evoca, scegli tu l’espressione che ti piace, implica un “ fare” per niente banale. Se parliamo di gioielli è ovvio che entrino in gioco abilità, tecniche, stime sui materiali…Solo questo? A me sembra ovvio che l’oggetto mentre cerca la sua forma non possa che retroagire al progetto estetico che lo rende significante per un pubblico ideale. Perché sembra auspicabile che un designer si faccia un’idea su cosa desideri chi indosserà l’oggetto? Beh, non bisogna essere dei fini teorici per trovare una risposta accettabile. In questo modo il gioiello diminuisce il rischio di non essere riconosciuto come pertinente per la stilizzazione del look.
      Quindi la domanda: quali sono le forme che potrebbero far desiderare qualcuno ad utilizzarle questo o quest’altro? Non è priva di senso pratico. Ma se accettiamo la sfida implicita nella domanda, in qualche modo, come in una fiction, siamo costretti ad immaginarci viaggiatori nel tempo, collocandoci su scenari che trascendono il qui e ora. Se quando utilizziamo la parola tendenza, pensiamo a tutto questo, allora possiamo dire che con essa agiamo per sfuggire a un “fare” fine a se stesso, autoespressivo e, forse, troppo romantico.

      Rispondi
  5. Marco   9 Maggio 2019 at 18:31

    La distinzione tra forme di gioiello secondo me è fondamentale. Se pensiamo al sistema Italia, è il gioiello seriale a fare la differenza. I diamanti avranno sempre un valore speciale. Ma saranno sempre per pochi eletti. Potrà non piacere ai designer artistici ma se vogliamo i fatturati ci vuole il marketing. L’autore mette il dito nei paradossi delle tendenze. Lo fa senza fare troppi sconti a nessuno. Ma mi chiedo: se vogliamo comunicare i gioielli ai consumatori, possiamo farlo senza la promessa della tendenza?

    Rispondi
    • james   12 Maggio 2019 at 09:56

      Sono d’accordo. Le storytelling sono importanti anche per i gioielli. I prodotti che non raccontano storie non vanno lontano.

      Rispondi
  6. vincenzo   10 Maggio 2019 at 17:53

    Per me non si tratta di essere dei creduloni, ma di saper scegliere il gioiello che serve agli scopi del momento. Se devo fare un regalo a qualcuno che conosco bene ma al quale non tengo in modo particolare cercherò qualcosa di spiritoso. Se tengo alla persona cercherò il più prezioso che posso permettermi. Non guardo pubblicità. Ma vado da un gioielliere di cui mi fido. Le tendenze possono interessare a chi non sa scegliere e ha bisogno del prestigio di una marca o dei suggerimenti delle riviste di moda. Può darsi che i più giovani siano influenzabili da messaggi che non c’entrano nulla con il gioiello. Ma questo dipende anche dalle aziende. Se sono le prime a seguire le mode come possono pretendere che i nuovi consumatori sappiano distinguere un bel gioiello da uno dozzinale?

    Rispondi
    • Lamberto Cantoni
      Lamberto   13 Maggio 2019 at 10:33

      Il punto di vista di Vincenzo è il resoconto del modo di agire da cliente. Il mio script si interessa fino a un certo punto di questo. Ero interessato molto di più a fornire elementi utili per ragionare e agire quando ci si trova dall’altra parte, cioè dalla parte di chi deve concepire e creare un gioiello per il mercato allargato. Sembra scontato che se osserviamo il problema in scala globale, le narrazioni aggregate all’oggetto non solo rappresentano la porta stretta da attraversare, ma in molti casi anticipano la concezione dell’oggetto determinandone la forma espressiva.

      Rispondi
  7. mau   12 Maggio 2019 at 09:51

    Io preferisco le controtendenze, anche se in fondo credo che funzionino come le tendenze vere e proprie.
    Per esempio io sono per il gioiello che non ha bisogno di gridare per farsi riconoscere. Alla pietra preziosa si può rinunciare solo in presenza di un design creativo ma anche pulito e concettuale. Il nuovo lusso è avere la forza di scegliere solo ciò che ci piace.

    Rispondi
  8. Aneta Malinowska
    aneta   13 Maggio 2019 at 16:30

    Come artista mi è capitato provare a creare dei gioielli ,unica mia tendenza partita da dentro anima era riciclare i pezzi interessanti dalle pietre ,conchiglie ,sassolini ,fili di aluminio o rame ,personalizzate e uniche .Gioiello non sempre rappresenta il valore economico spesso la gente sceglie di avere un gioiello di valore affettivo qualcosa che ci rappresenta che rispecchia la nostra anima – un semplice sassolino trovato nel fiume con una forma unica incastrato nella collana puo diventare qualcosa di piu prezioso che un gioiello con diamante e d,oro …Tendenze di oggi penso sia la creatività ,semplicità ,varietà ,libertà di scegliere per se non per piacere agli altri.Un gioiello che parla di noi con la sua forma, materia ,colore e
    appariscenza .

    Rispondi
  9. Alberto   17 Maggio 2019 at 14:41

    Tendenza ,Fare tendenza è una modalità consolidata di interpretare il futuro, ma siamo così sicuri che tutti quelli che nel proprio settore fanno tendenza hanno la capacità intellettive o professionali di farlo?Molti si buttano a fare tendenza ma solo pochi centrano l’obiettivo. Personalmente non vedo di buon occhio quando sono i comunicatori che fanno tendenza, a mio avviso il loro mcompito è quello di divulgare i fatti concreti e non di influenzare il pubblico con previsioni che spesso non trovano il bersaglio

    Rispondi
  10. Valeria   18 Maggio 2019 at 00:16

    Mai come oggi il concetto di tendenza é in crisi. Tutto fa tendenza e quindi quando diciamo tutto indichiamo anche il niente. Viviamo il presente, il momento, l’attimo in una società liquida, fluida in cui ogni cosa si versa e poi scorre.
    Per quello che riguarda il gioiello é ancora più difficile parlare di tendenza perché contrariamente a un capo d’abbigliamento, una borsa, o delle scarpe, il gioiello – da quello più costoso a quello più economico – racchiude in sé qualcosa di particolare: può essere simbolo del momento storico che viviamo ( si parla di gioielli etnici, minimalisti, ecologici…), oppure è simbolo di. un’emozione ( che può essere un ricordo, un dono inatteso, una gratificazione, una promessa o molto più semplicemente una piccola soddisfazione per aver valorizzato qualcosa di noi- dall’abito al nostro corpo-). Un giornalista non può quindi fare tendenza per un gioiello, ma si deve limitare ad osservare, a descrivere, in quanto ciò che il gioiello “contiene” è infinitamente più importante del gioiello stesso.

    Rispondi
  11. emanuele T   27 Maggio 2022 at 23:00

    A partire dagli anni ’60, con la sostituzione dei vecchi canoni stilistici (completo grigio per l’uomo ed abito per la donna) con la nascita di nuovi trend che vennero assorbiti dai vari gruppi giovanili di quell’epoca, penso che le tendenze non siano più uniche ma dettate da ogni brand per i propri clienti, a mio avviso ogni brand in ogni sfilata lancia un trend personale che differisce completamente dagli altri brand. Tutto ciò perchè si necessita di una differenziazione totale dal resto dei marchi, lo stile che si comunica deve essere in linea con i valori e con l’identità della marca; a tal proposito penso che non esista più un ‘unica tendenza bensì più trend che il consumatore sceglie quotidianamente in base ad una serie di sentimenti ed impegni a cui dovrà sottostare.
    inoltre penso che il gioiello (per gioiello intendo alta gioielleria e gioielleria pret a porter) proprio come l’abbigliamento abbia delle tendenze diverse in base al brand che si va ad esaminare, ogni tot le forme cambiano, così come i colori, ma non il significato intrinseco, infatti, ci sono gioielli che più che tendenza oramai sono assoggettati da canoni e tradizione come il solitario, la collana di perle, il trilogy che vengono utilizzati sempre in determinate occasioni, proprio come uno smoking o una cravatta o un tailleur.
    Questo non vale per i bijou che sono privi di significati importanti essendo un bene di massa e che quindi vengono semplicemente acquistati per ornamento o per completare per poco tempo un outfit particolare e che appartengono totalmente al Mondo dell’estremistan e contribuiscano in modo significativo al disperdersi di valori e accortezze che dobbiamo avere per salvaguardare il nostro pianeta.
    Per quanto riguarda la sostenibilità penso sia un valore intrinseco nel gioiello sin dalle sue origini, basti pensare a quanti consumatori rifondono, rimodellano e ripensano i gioielli ereditati dalla famiglia per trasformarli in gioielli contemporanei ma senza disperdere ciò che li compone, una caratteristica che possono avere però solamente i gioielli con la ”G” maiuscola perchè composti da materiali che perdurano nel tempo e molte volte sono lo specchio dell’eternità. Ecco perchè serve anche una rieducazione del cliente alla bellezza, alla personalizzazione di un gioiello in modo totale ed unico che li rappresenti per gran parte della vita e tutto ciò può esser attuato solamente dai brand, i veri idoli di una moda che ormai ha abbandonato i valori funzionali, qualitativi in favore di un marchio che oramai trasmette più emozioni dei prodotti che vende.

    Rispondi
    • Lamberto Cantoni
      Lamberto Cantoni   29 Maggio 2022 at 07:20

      Ottimo intervento. Però sottovaluti i limiti che molti brand hanno nella costruzione della propria identità. I fenomeni di omologazione, sostanziale imitazione a livello di prodotto sono molto frequenti. Ecco perché per differenziarsi si lavora soprattutto nel simbolico. Sono d’accordo sulla rieducazione della bellezza ma da dove cominciare? Dalla personalizzazione di un gioiello unico, totale che li rappresenti per gran parte della vita? Ammirevole, commovente, un po’ rischioso…presuppone una adesione al brand paragonabile ad una sorta di fascismo di marca. Si vive meglio aderendo ad una bellezza infedele, che ci liberi da rigide costrizioni e aperta al cambiamento, alle ibridazioni

      Rispondi
  12. T.Nicolò   28 Maggio 2022 at 14:09

    A distanza di qualche tempo gli spunti dell’articolo sono ancora validi. Il finale mi pare sia il succo dell’esposizione e la cosa più interessante: individuare i problemi del nostro tempo significa poter intuire le tendenze del costume e della moda. Se riformulato il concetto potrebbe suonare persino banale: studiamo gli uomini e potremo intuire come tendenzialmente si comporteranno.
    La semplicità non è mai banale e la verità è sempre semplice; ad un occhio sociologico i tre problemi individuati come questioni generatrici di tendenze (macro-tendenze rispetto alle micro che si moltiplicano, ma non è pure oggi una tendenza in Estremistan la moltiplicazione stessa?) si riconoscono come facce contemporanee di questioni umane, quindi con una lunga storia; le sintetizzo in binomi per riprenderle: sostenibilità-sopravvivenza, sessualità-identità, corporeità-aspetto. Per guardare nel profondo, alla lente della sociologia sovvrapporrei quella dell’antropologia dicendo che tali questioni mi pare si radichino nella struttura essenziale dell’uomo, e lo sostengo applicando una delle categorizzazioni filosofiche più comuni in Occidente nel bene e nel male (ma sono convinto che i conti tornerebbero anche con altre griglie di comprensione), quella della metafisica platonica: il buono, il vero e il bello come dimensioni dell’essere di Dio e dell’uomo.
    La sostenibilità in vista della sopravvivenza o come responsabilità verso gli altri e verso il pianeta non è forse espressione della ricerca umana del bene? La sessualità come difesa della propria identità di genere non risponde forse al desiderio di ricercare e affermare la verità di quello che sentiamo di essere? La corporeità come attenzione al nostro aspetto esteriore nella carne e sulla carne non è desiderio di affermare ciò che per noi è bello?
    Ovviamente queste dimensioni possono essere accondiscese come avversate (l’eccezione conferma la regola) ma sono sentite, mutano la loro espressività nel tempo ma hanno una radice stabile.
    Per esempio quella che nell’articolo è individuata come tendenza del consumatore liquido a guardare oggi più al brend e meno al prodotto, nella fascia del gioiello bijou è già meno vera di qualche anno fa, o perlomeno è affiancata dalla tendenza a ricercare il prodotto unico hand made; tendenza che secondo me non è lontana dalla ricerca del prodotto responsabile (distribuzione ricchezza che non va ad un unico brend) e che si acquista nel contesto positivo dalla relazione umana (con l’artigiano) e quindi risponde al desiderio di bene del consumatore, ma è pure espressione della volontà di affermare la nostra inimitabilità (per la transizionalità del gioiello: pezzo unico l’oggetto, pezzo unico io che lo indosso) e quindi ancora la nostra verità.
    Sono perciò d’accordo con quanto esposto nell’articolo, c’è possibilità, se non di prevedere, almeno di intravedere anche molto presto delle tendenze e per i più bravi e determinati di influenzarle e sfruttarle: conosci te stesso e conoscerai le persone, conosci le persone e potrai intuire le loro tendenze. Anche nel campo della moda.

    Rispondi
    • Lamberto Cantoni
      Lamberto Cantoni   29 Maggio 2022 at 08:28

      Veramente non ho mai parlato di “studiare gli uomini” bensì di ricerca dei problemi veri (cioè il genere di questioni che gli individui da soli non possono affrontare e risolvere, ovvero le situazioni dalle quali si esce solo mettendoci la faccia e assumendosi dei rischi). Il tipo di ingaggio percettivo e cognitivo presupposto dai contesti ai quali alludo è molto diverso dal sonnambulismo indotto dal clamore mediato scatenato dall’attuale “tutto fa tendenza”.
      Mi hai letto come se avessi proposto un neo umanesimo applicato al problema delle previsioni.
      Mai approvato il “conosci te stesso” dal momento che la parte di me stesso che posso conoscere molto spesso non è quella che mi porta ad agire (altrimenti non esisterebbe l’inconscio o qualcosa del genere, non esisterebbe il problema della coscienza). Mai pensato che fosse sensato porsi il problema di conoscere gli altri attraverso l’introspezione. Piuttosto consiglierei di fare attenzione al loro fare e agire nel mondo. Io non parlo da nessuna parte del “se stesso” alias “anima” ovvero “mondo interiore soggettivo” …Parlo invece di “corpo” e sessualità che sono il rovescio del concetto di “persona”. Corpi e sessualità ci mettono a contatto con gli spiriti animali della moda dai quali possiamo indovinare tracce di futuro più contagiose presso gli umani.

      Rispondi
  13. Roshi   29 Maggio 2022 at 16:54

    Dal mio punto di vista il Trand ( la tendenza) può essere considerato come il motore di ricerca per un Disagner, in cui lo costringe di essere costantemente in ricerca e a elaborare su i suoi progetti per migliorare e modificare la moda che propone. Specialmente nelle società mediorientali ( mondo Arabo, Turchi e Persiani) dove seguire la moda, e l’usanza costante dei gioielli , vestiti e profumi ecc… è un modo di avere un riconoscimento nella società e dunque “essere alla moda” diventa un movimento molto importante .

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  14. Matilde T   29 Maggio 2022 at 23:48

    I gioielli e il bijou fanno parte del mondo della moda, sopratutto da quando sono diventati accessibili a tutti per via delle riduzioni di prezzo. Nel momento in cui tutti hanno potuto approcciarsi a certi prodotti le stagioni della moda si sono velocizzate: si può avere tutto subito. Infatti, l’alta gioielleria, accessibile si pochi, non fa tendenza, è eterna. A mio avviso, la tendenza va di pari passo con la nascita della moda, non c’è moda senza tendenza e viceversa. Il mercato contemporaneo evolve molto rapidamente ed è per questo che prevederlo è sempre più difficile, ma si può provare a stare al passo, anzi si deve e il tempo delle tendenze, ossia la loro durata per stagionalità, si va accorciando. La quantità vale più della qualità, in modo tale da mantenersi in relazione con le mode che mutano. Nell’epoca in cui viviamo, dove i problemi sociali e ambientali sono tematiche presenti, la moda e il gioiello devono abbracciare questi problemi, che sia una scusante per vendere di più, è il modo più efficace di creare tendenze e andare avanti. Il gioiello deve divenire, ed è divenuto, identificazione ed espressione di valori che però devono essere affini a quelli del brand.

    Penso che la sostenibilità nel mondo della moda abbia un punto di vista positivo, magari potrebbe anche influire su un rallentamento nella produzione? È anche da dire che sostenibilità sta diventando una scusa per alzare i prezzi.

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