I 25 anni di Trainspotting: quando i junkies sgangherati di Edimburgo distrussero il Tatcherismo

I 25 anni di Trainspotting: quando i junkies sgangherati di Edimburgo distrussero il Tatcherismo

ACCADDE OGGI – Il 23 febbraio del 1996 usciva nel Regno Unito Trainspotting, il film visionario di Danny Boyle che racconta i devastanti abissi della tossicodipendenza. Una pellicola che ha scosso il cinema e che ha assunto il ruolo di caposaldo di un’intera generazione troppo stanca dell’era Tatcher. Ma perché, ancora oggi, Trainspotting rappresenta un cult e resta nell’immaginario popolare?

È il febbraio del 1996 e sul suolo britannico sta per atterrare un alieno. Ma non è un extraterrestre, bensì un film. Si chiama Trainspotting e da lì a poco tempo cambierà ogni cosa.

Nei film, prima dell’atterraggio di un alieno, spesso la trama ci da dei segnali. E anche lì, nel Regno Unito, nel 1996, qualcosa sta inevitabilmente cambiando.

Uno di questi segnali ce lo da Jarvis Cocker. È un musicista britannico, frontman dei Pulp e quel giorno, ai Brit Award del 1996 non riesce a trattenersi. Sale sul palco mentre Michael Jackson si sta esibendo, contornato da bambini adoranti e un rabbino, come fosse una sorta di Cristo. Jarvis sale, protesta e viene mandato via dalla polizia. “Che credeva di fare Michael Jackson venendo in questo paese dopo tutto quello che ha fatto (e credo che tutti sappiano di cosa sto parlando) – dirà poi Cocker in un’intervista – vestito di bianco, cioè, come se fosse il messia, voglio dire, ma chi si crede di essere? Me?”.

Jarvis diventa un eroe controculturale, un’icona. Non sarà l’unico e nemmeno così grande. Perché quella sera, al Brit Award, i veri vincitori sono gli Oasis, i ragazzacci di Manchester che prendono le difese di Jarvis –  “dovrebbe essere nominato Baronetto per quello che ha fatto” dirà Noel – e cementificano il loro ruolo di capopolo della cultura Britpop, ricevendo la standing ovation della serata.

La cultura Britpop appunto, il rinascimento culturale del Regno Unito dopo gli anni cupi del tatcherismo. La Britpop è come una bomba atomica pronta ad esplodere e per farlo manca solo una scintilla. Quale? L’alieno, l’extraterrestre arrivato sulla terra non per dominarci o per aiutarci, ma per raccontarci un microcosmo di junkies edimburghesi sgangherati, un microcosmo plasmato dall’irriverente penna di Irvine Welsh e dalla macchina da presa di un certo Danny Boyle.

Quell’alieno atterra nel Regno Unito il 23 febbraio del 1996 e si chiama Trainspotting.

SCEGLI LA VITA: LA BELLEZZA DEL VIVERE IL MOMENTO E L’ORRORE DELLA DIPENDENZA

Il modo in cui Trainspotting cattura lo zeitgeist nel 1996 va ben oltre le scelte estetiche azzeccate e le coincidenze fortunate. Il film di Danny Boyle è un ritratto inflessibile della Edimburgo dell’era Tatcher, all’epoca devastata dal dramma della disoccupazione giovanile, dilaniata dalla piaga dell’eroina e dall’epidemia di HIV.

La forza dell’opera di Boyle, sta nel non dimenticare – nonostante le tematiche dure e putride di fondo – di dare spazio all’ironia e perché no, anche a una forma di ottimismo. Un po’ come aveva fatto 2 anni prima il capolavoro Pulp Fiction, pellicola che aveva palesato un appetito popolare nei confronti di prodotti potentemente provocatori e cupamente divertenti.

Trainspotting ha immortalato la vertiginosa euforia del giovane amore e del cameratismo. Ci ha fatto ridere, ci ha “fomentato”, esaltando il divertimento delle uscite serali, alcoliche ed esagerate, mantenendo sempre una doppia faccia critica. Trainspotting è un film che ci spinge a vivere il momento, ma allo stesso tempo, è un film che trasmette, con stile sapiente, l’orrore divorante e il degrado della dipendenza.

A 25 di distanza dall’uscita, è perfettamente intuibile il motivo del successo cult del film, una pellicola che oscilla incessantemente tra l’oscurità più scioccante e la gioia estatica.

Trainspotting è un film che si connette perfettamente con i sentimenti di quella generazione, una generazione che aveva vissuto sulla pelle la recessione degli anni ’80 e che aspettava con impazienza un nuovo inizio.

NESSUNA GIUSTIFICAZIONE E NESSUNA RASSICURAZIONE

Tutti questi messaggi e lo spirito fortemente identificativo della cultura BritPop, avrebbero significato poco o nulla se il film stesso non fosse stato qualcosa di meno stellare. Dal primo fotogramma, Trainspotting abbaglia lo spettatore con una tecnica audace, con un montaggio frenetico e quel senso di realismo spaventosamente realista.

Ad aggiungere sostanza allo stile, c’è il cast, allora sostanzialmente sconosciuto. Ewan McGregor nei panni di Renton resta tutt’oggi un mito. È riuscito come mai nella sua carriera, a tirare fuori un personaggio incredibilmente potente, amorale e accattivante. Prima di Trainspotting, i tossicodipendenti erano spesso raffigurati ai margini della società, reietti senza arte né parte e spesso con un passato talmente mostruoso da giustificare tutte le loro azioni. Con Renton, assistiamo ad un anno zero: non ci viene offerto alcun retroscena straziante sul suo passato, nessuna spiegazione psicologica per giustificare la sua dipendenza dall’eroina, e soprattutto, nessuna rassicurazione sul fatto che a noi, tutto questo, non potrebbe mai capitarci.

Il motivo? Semplice, Trainspotting è un racconto universale di formazione, forse uno degli ultimi proposti, purtroppo.

L’EREDITA’ DI TRAINSPOTTING

Oltre a Renton, ogni personaggio è al suo posto ed è perfettamente credibile in tutte le sue contraddizioni e mostruosità. Da Begbie a Sick Boy, da Spud a Thomas, nessuno si salva. Il loro comportamento e le loro relazioni, sono sempre deplorevoli, ma nonostante questo, il film s’immola come un inno al cameratismo e all’amicizia. “La ragione per cui c’è una gioia feroce in Trainspotting nonostante le atrocità che accadono in esso, è che si tratta fondamentalmente di amici bisognosi”. Scrisse il critico Roger Ebert all’uscita del film.

Nell’incipit dell’articolo, avevo paragonato l’uscita di Trainspotting ad un atterraggio alieno e forse, scrivendo questo articolo, mi sono ricreduto. Il film di Danny Boyle fu un lampo cinematografico, una meraviglia irripetibile che sembra fresca oggi come 25 anni fa.

Un lampo appunto, ma non la scintilla finale per cambiare il cinema. Perché film come Trainspotting, dal 1996, di quel livello, di quella profondità e di quello storytelling generazionale, io non ne ho più visti.

Paolo Riggio

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