Chiara Ferragni nel CdA Tod’s, parla l’Avv. Alberto Improda: “Bene, ma che diventi benissimo”

Chiara Ferragni nel CdA Tod’s, parla l’Avv. Alberto Improda: “Bene, ma che diventi benissimo”

ITALIA – “Chiara Ferragni nel CdA Tod’s? Che sia, per dirla alla Fedez, una Bella Storia”. L’ingresso dell’influencer nell’azienda di Diego Della Valle è una notizia clamorosa che ha portato ad una risalita incredibile del marchio in borsa. Per capirne le motivazioni e le conseguenze abbiamo intervistato l’Avvocato Alberto Improda.

Chiara Ferragni entra nel CdA di Tod’s e Piazza Affari s’infiamma. Il titolo della società ha chiuso la seduta di Borsa in rialzo del 14%, portandone la capitalizzazione a quasi 1040 milioni di Euro, dopo che nel giorno precedente si era attestata sulla soglia dei 945 milioni di Euro. Numeri così in casa Tod’s non si vedevano dal febbraio 2020 .

“La conoscenza di Chiara del mondo dei giovani sarà sicuramente preziosa. Inoltre, insieme, cercheremo di costruire progetti solidali e di sostegno per chi ha più bisogno, sensibilizzando e coinvolgendo sempre di più le nuove generazioni in operazioni di questo tipo”. Diego Della Valle

Che dire? La scelta di Diego Della Valle di nominare in consiglio d’amministrazione l’influencer per eccellenza (23 milioni di follower su Instagram) ha portato nell’immediato grandi risultati. Ma è la decisione giusta? E cosa c’è dietro questa clamorosa nomina? Per fare chiarezza ho intervistato Alberto Improda, avvocato e Managing Partner dello Studio Legale Improda e  vecchia conoscenza di MyWhere.

La notizia dell’ingresso di Chiara Ferragni in Tod’s ha fatto schizzare il titolo del brand in borsa

Avvocato, la notizia dell’ingresso della Ferragni nel CdA di Tod’s sta dividendo molto. Da una parte c’è chi elogia, dall’altra c’è chi critica ferocemente. Lei che ne pensa?

La persona e la storia di Chiara Ferragni, innanzitutto, meritano rispetto e considerazione: questa giovane donna in pochi anni ha creato un piccolo impero economico, sa parlare alle persone di tutte le età e di ogni classe sociale, si batte per i diritti di genere, è impegnata nel sociale e si è vista riconoscere l’Ambrogino d’Oro – insieme al marito Fedez – per il proprio contributo nella lotta al Covid.

Voglio dire anche che in certe critiche preconcette alla sua figura vedo una buone dose di snobismo e forse un pizzico di sessismo: se lo stesso percorso fosse stato realizzato da un uomo, probabilmente, desterebbe meno ironia e più ammirazione.

È innegabile perà che il coinvolgimento dell’influencer si presti a qualche riflessione…

Personalmente credo che, tra l’entusiasmo incondizionato e l’ostilità preconcetta, il giusto – come capita spesso – stia nel mezzo.

L’operazione Ferragni-Tod’s mi sembra senz’altro positiva, ma con il rischio di risultare molto parziale: va nella direzione giusta, però potrebbe non percorrerla fino in fondo.

Si spieghi.

Tod’s, accogliendo nel proprio CdA un personaggio come Chiara Ferragni, certamente ha dimostrato la volontà di aprirsi allo spirito del tempo, di connettersi con il contemporaneo.

Il Comunicato Stampa della Società, molto significativamente, ha motivato l’ingresso nel Board della imprenditrice e influencer di Cremona “ritenendo sempre più importante occuparsi di impegno sociale, della solidarietà verso il prossimo e della sostenibilità nel rispetto dell’ambiente e del dialogo con le giovani generazioni”.

Tod’s sembra così in qualche modo comprendere l’altezza delle aspettative della propria comunità, la profondità delle speranze che i clienti ripongono nel suo Brand.

Com’è cambiato il Consumo negli ultimi anni?

Oggi, pacificamente, il Consumo è diventato un esercizio molto più importante e coinvolgente di quanto non fosse nel passato; le scelte di Consumo contribuiscono in modo determinante a definire l’identità delle persone, a perimetrare il loro universo valoriale.

Andrea Fontana ha brillantemente scritto, ormai alcuni anni addietro, che “il consumo assume la valenza di “marcatore autobiografico”.

E il Brand, in questo contesto, assume a sua volta una importanza decisiva, nella costruzione del mondo che circonda e costituisce qualsiasi individuo.

Io con L’avv. Alberto Improda
Io con l’avv. Alberto Improda durante l’intervista nel suo studio a Roma

Una volta ha scritto che nella realtà contemporanea il brand è per l’uomo soprattutto un indicatore di Senso, nella duplice accezione di Senso come Direzione e di Senso come Significato”. Ci spiega questo concetto?

In modo di certo più acuto, più di tre lustri or sono, Douglas Atkin ha affermato che “i brand fungono da sistemi di significato completi. Rappresentano un’opportunità per il consumatore […] di dichiarare pubblicamente una serie di credo e di valori emblematici”.

Il grande ruolo che i Brand hanno assunto nella vita delle persone, naturalmente, comporta per le aziende una grande assunzione di responsabilità: i consumatori si riconoscono nei valori comunicati dall’impresa e da essa pretendono comportamenti conseguenti.

I clienti non si accontentano più delle storie raccontate nelle pubblicità, ma chiedono concretezza, operatività, etica, pragmatismo.

Ha detto Bruno Bertelli: “Oggi i brand oltre a parlare e prendere posizione devono fare qualcosa di più. Ecco perché parlo sempre di storyacting. Non è più il momento per declamare, ma occorre passare alle azioni, facendo qualcosa di tangibile e partendo dalla sostenibilità”.

Philip Kotler, che – insieme a Christian Sarkar – ha dedicato un saggio al “Brand Activism”, dice che “oggi non conta più ciò che dici, ma ciò che fai”; le chiacchiere stanno a zero: l’impegno si misura in azioni concrete, autentiche, plurali.

Il binomio Ferragni-Tod’s potrebbe consumarsi nel Brand Activism che come sappiamo si esprime in forme molto diverse…

Stiamo assistendo in modo sempre più ampio e frequente ad episodi di Corporate Activism: le imprese, oltre a prendere posizione dal punto di vista comunicativo e a proporre i propri valori in sede pubblicitaria, entrano materialmente in azione e scendono effettivamente in campo.

Così, solo per fare qualche esempio tra i molti, Gilette, marchio della galassia P&G e tradizionale icona di mascolinità, si schiera con decisione contro machismo, bullismo, sessismo; il colosso bancario HSBC tappezza le stazioni della metropolitana di Londra con manifesti a favore dell’inclusione; Ikea realizza una campagna contro la violenza sulle donne, anche in ambito famigliare; Levi’s si batte contro la diffusione delle armi da fuoco, tema particolarmente sensibile negli USA, effettuando importanti donazioni a “Everytown for Gun Safety”.

Un altro fenomeno ormai conclamato vede i capi delle grandi aziende esprimersi su temi di grande interesse della comunità. Ci fa qualche esempio?

Si tratta di un fenomeno inedito, vale a dire il CEO Activism. Così, ancora a titolo esemplificativo, il CEO di Starbuks, Howard Schultz, pensa alla corsa per la Casa Bianca; Paul Polman, ex CEO di Unilever, si spende molto sul climate change; Tim Cook, leader di Apple, prende con fermezza posizione sulla difesa di genere.

Vittorio Cino e Andrea Fondana, portando il concetto all’estremo, hanno dedicato un interessante saggio alla “Corporate Diplomacy”.

Dice Andrea Fontana, parlando di “sovranismo di marca”: “le aziende non solo diventano sovrane, detentrici di valori di comunità dei consumatori, ma anche sovraniste perché prendono posizione nel dibattito sociale, si schierano e fanno di tutto per accentuare le contrapposizioni sociali, entrando in empatia con alcuni pubblici di riferimento ed isolando altri”.  

Si tratta di un impegno tangibile ed effettivo, al quale le aziende sono chiamate in prima persona, senza la possibilità di delegare o subappaltare, perché la presenza diretta del Brand sul campo è condizione essenziale per la credibilità dell’operazione.

In questa prospettiva è collocabile anche la strategia, sviluppatasi in ambito pubblicitario negli ultimi anni, di mettere sotto i riflettori e rendere protagonisti delle relative campagne gli imprenditori in prima persona, da Giovanni Rana a Patrizio Podini.

Riconducibile a tale discorso è pure la diversa funzione che viene svolta dai testimonial negli spot: il personaggio famoso di turno non è più colui che si fa carico di convincere i consumatori della qualità del prodotto reclamizzato, ma un componente della comunità del marchio – seppure con una sua peculiare visibilità – che ne condivide i valori e le attività.

Emblematica, al riguardo, è l’evoluzione delle campagne Nespresso, della celebre linea “What else”: George Clooney, che inizialmente ci convinceva con il suo charme della bontà del caffè che stava sorseggiando, oggi – senza tanti ammiccamenti – è immerso nella vita dell’azienda, accovacciato al fianco del più umile degli agricoltori.

Con Chiara Ferragni in Tod’s potrebbe aprirsi una nuova era per gli influencer, sempre più importanti per lo sviluppo delle aziende

Tornando all’investitura della Ferragni, la sua opinione sembra molto chiara.

L’azienda di Della Valle, accogliendo nel proprio CdA la giovane e brava imprenditrice, ha compiuto una scelta largamente condivisibile, dimostrando velocità di pensiero, apertura al nuovo e desiderio di contemporaneo.

Sarebbe un errore, però, pensare che a Chiara Ferragni possa essere delegato, mi riporto al Comunicato Stampa, il ruolo del Brand in tema “di impegno sociale, della solidarietà verso il prossimo e della sostenibilità nel rispetto dell’ambiente e del dialogo con le giovani generazioni”.

In sostanza, cosa dobbiamo aspettarci da questa partnership?

La neo consigliera di amministrazione sarà per Tod’s certamente una risorsa preziosa, fondamentale per l’accesso a nuove fasce di consumatori, però a condizione che la sua attività sia inserita in un progetto complessivo dell’impresa, effettivo ed efficace, coerente con il mondo valoriale professato dall’azienda.

Non è tempo di imbrogli, di maquillage comunicativo, di Green Washing, di Pink Washing, di Social Washing, o di Ferragni Washing.

Le persone, oggi, così come attribuiscono ai Brand una grande importanza, così come utilizzano il Consumo quale marcatore autobiografico, allo stesso modo pretendono dalle imprese comportamenti etici e conseguenti, pronti a punire eventuali furberie e defaillance con la massima severità.

Ricordo, sempre a titolo esemplificativo, la vicenda – ormai di qualche anno addietro – che negli USA ha visto coinvolta la State Street Global Advisors.

La nota società di investimenti, a supporto della propria campagna contro le disparità di genere, commissionò all’artista Kristen Visbal la statua in bronzo chiamata “Fearless Girl”, riproducente una ragazza in chiaro e coraggioso atteggiamento di sfida.

L’opera, collocata a Browling Green, nel quartiere finanziario di Manhattan, crea una perfetta contrapposizione con lo storico “Wall Street Bull”, ponendosi come icona della battaglia sulla leadership al femminile.

L’operazione è risultata molto apprezzata dai clienti dell’azienda ed ha generato in breve tempo una considerevole crescita del valore dell’impresa.

Allorchè la società ha subito un’azione per discriminazioni, sul fronte retributivo, da parte di circa trecentocinquanta dipendenti: la reazione dei consumatori è stata di estrema fermezza e l’azienda ha ritenuto bene affrettarsi a pagare circa cinque milioni di dollari in risarcimenti ed interessi.

Insomma, ok la Ferragni ma che sia un punto di partenza.

Dunque, in conclusione, idea intelligente l’inserimento di Chiara Ferragni nel CdA di Tod’s, ma che non sia un’operazione di facciata e che non si pensi di poter scaricare su di lei l’impegno dell’azienda nel sociale.

Il coinvolgimento dell’imprenditrice cremonese nella vita dell’impresa sia solo il tassello di una strategia più ampia, che veda il Brand scendere direttamente in campo, realizzando iniziative concrete e coerenti con il proprio universo valoriale.

Perché oggi solo quelli che fanno questo sono Brand degni di tale nome, mentre gli altri –  per utilizzare le parole di Umberto Eco – sono “segni che sembrano tali e invece sono privi di senso, come blitiri o bu-ba-baff …

Fabiola Cinque

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