ITALIA – Per conoscere più a fondo la Riforma delle IG e il Ruolo dell’EUIPO abbiamo scelto di farci illustrare dall’avvocato Alberto Improda le differenze tra Brand e Indicazioni Geografiche. La Proposta di Revisione, infatti, prevede una maggiore centralità dell’EUIPO, l’Ufficio dell’Unione Europea per la Proprietà Intellettuale, agenzia decentrata dell’Unione Europea con compiti di gestione in tema di Marchi e Design.
La Commissione Europea ha adottato una Proposta di revisione del sistema delle Indicazioni Geografiche per i vini, le bevande alcoliche e i prodotti agricoli.
Le nuove misure sono finalizzate, sostanzialmente, ad incrementare la diffusione delle IG, dare supporto all’economia rurale, incentivare la sostenibilità delle produzioni, rafforzarne la tutela, soprattutto on line.
La Proposta di revisione, schematizzando, poggia su quattro elementi cardine.
In primo luogo, una semplificazione della Procedura di Registrazione: le varie norme tecniche saranno unificate, realizzando una procedura comune e semplificata per i richiedenti dell’Unione Europea e dei Paesi Terzi, con conseguenti facilitazioni nella gestione delle pratiche ed abbreviazione dei tempi.
In secondo luogo, un rafforzamento della tutela, in particolare su Internet: le nuove disposizioni incrementeranno la protezione on line, specialmente riguardo alle vendite tramite piattaforme informatiche, nonché con riferimento alla registrazione e all’utilizzo in malafede nel sistema dei nomi di dominio.
In terzo luogo, un maggiore impegno verso la sostenibilità: i produttori, in linea con la strategia “farm to fork”, potranno valorizzare le loro iniziative in materia di sostenibilità nel disciplinare di produzione, contribuendo a preservare le risorse naturali e le economie rurali, garantire le varietà vegetali e le razze animali locali, tutelare il paesaggio del territorio e il benessere degli animali.
In quarto luogo, un incremento dei poteri delle associazioni di produttori: gli Stati membri dovranno riconoscere le organizzazioni di produttori che ne faranno richiesta; le associazioni riconosciute avranno la facoltà di gestire, rafforzare e sviluppare le proprie Indicazioni Geografiche, anche grazie all’accesso alle competenti autorità anticontraffazione e doganali.
Il presente intervento è specificamente finalizzato a promuovere una riflessione in merito al primo aspetto sopra evidenziato, relativo alle modalità di registrazione delle Indicazioni Geografiche.
La Proposta di Revisione, infatti, prevede una maggiore centralità dell’EUIPO – l’Ufficio dell’Unione Europea per la Proprietà Intellettuale, agenzia decentrata dell’Unione Europea con compiti di gestione in tema di Marchi e Design.
La questione, ben lungi dal rappresentare un argomento di natura squisitamente organizzativa, può determinare conseguenze di enorme portata, implicando un determinato approccio dal punto di vista giuridico e culturale.
Il concetto di fondo, sul quale qui si vuole mettere la massima enfasi, è che rappresenterebbe un grave errore creare situazioni di confusione tra Brand e Indicazioni Geografiche, istituti caratterizzati da differenze profonde e significative.
E’ il caso di sommariamente rammentare in cosa consistono, in estrema sintesi, le maggiori Indicazioni Geografiche (DOP e IGP) e il Marchio (vocabolo qui atecnicamente utilizzato come sinonimo di Brand).
Il termine DOP – Denominazione di Origine Protetta identifica un prodotto originario di un luogo, regione o, in casi eccezionali, di un determinato Paese, la cui qualità o le cui caratteristiche sono dovute essenzialmente o esclusivamente ad un particolare ambiente geografico ed ai suoi intrinseci fattori naturali e umani e le cui fasi di produzione si svolgono nella zona geografica delimitata.
Con IGP – Indicazione Geografica Protetta si indica un prodotto originario di un determinato luogo, regione o Paese, alla cui origine geografica sono essenzialmente attribuibili una data qualità, la reputazione o altre caratteristiche, la cui produzione si svolge per almeno una delle sue fasi nella zona geografica delimitata.
Il Marchio è un segno distintivo, facente usualmente capo a un’Azienda, atto a contraddistinguere i relativi prodotti, fungendo da vettore verso i Consumatori del mondo valoriale e del profilo reputazionale riconducibile all’Impresa di provenienza e/o al Prodotto contrassegnato.
Il rapporto tra Brand e Indicazioni Geografiche è sempre stato molto delicato, caratterizzato da apparenti affinità e differenze profonde.
Le similitudini tra IG e Brand risultano soprattutto di natura comunicativa e percettiva, in quanto entrambi gli istituti sono oggetto di utilizzo da parte dei soggetti interessati in ambito pubblicitario, usualmente mediante l’utilizzo dei medesimi strumenti: etichette, packaging, media, etc. etc.
Tra il Marchio e le Indicazioni Geografiche, tuttavia, intercorrono differenze essenziali, sotto il profilo giuridico, economico e culturale.
L’intera disciplina delle IG ruota intorno a due concetti di base, che ne costituiscono al tempo stesso le fondamenta cardinali e le finalità ideali: i) un forte legame con il Territorio di riferimento; ii) un indissolubile vincolo alla Qualità dei Prodotti.
Il Brand, strumento peraltro di straordinaria attualità e utilità, rispetto a questi due capisaldi presenta modalità di funzionamento radicalmente diverse rispetto a quelle proprie delle Indicazioni Geografiche.
Innanzitutto, laddove le IG fanno del vincolo con il Territorio una loro specifica cifra identificativa, il Marchio si caratterizza proprio per la sua impermeabilità a qualsiasi legame: non solo con ogni ambito territoriale, ma anche con l’Impresa di provenienza e, addirittura, con il Prodotto contraddistinto.
Questa assoluta e precipua autonomia del Brand ha un preciso fondamento giuridico e una genesi collocabile con esattezza nel tempo. L’art. 15 del R.D. 21 giugno 1942, n. 929, in tema di cessione del marchio, infatti, ne prevedeva il divieto di alienazione separatamente dall’azienda o da un suo ramo particolare: il Brand, dunque, era letteralmente incatenato all’Impresa dalla quale proveniva. Questo divieto è stato abrogato in forza dell’art. 83, D. Lgs. 4 dicembre 1992, n. 480: il Marchio, in altre parole, dai primi Anni Novanta si è trasformato in un bene avente una vita propria, del tutto indipendente da qualsiasi ente terzo, Territorio o Azienda che sia.
Oggi il Brand costituisce sostanzialmente un nucleo di valori, messaggi e suggestioni che rappresenta una entità autonoma e autosufficiente, che vive ed evolve sulla base di logiche che prescindono dalla sua appartenenza territoriale o aziendale. Gli esempi per rendere maggiormente esplicito il concetto potrebbero essere infiniti, attingibili dai più disparati settori dell’Impresa. Nel campo del Food potremmo ricordare, tra le tante, le vicende dei marchi Buitoni e Grom.
Tanto Buitoni quanto Grom sono nati, in epoche diverse, come brand appartenenti a imprese tipicamente italiane, per poi passare nella titolarità di grandi conglomerati multinazionali come Nestlè e Unilever.
Eppure, indifferentemente rispetto alla provenienza da aziende fortemente radicate nel territorio o da enormi realtà dal respiro planetario, i due marchi hanno continuato ad esprimere sempre gli stessi valori, a inviarci i medesimi messaggi, nella fattispecie di genuinità (“Casa Buitoni”) e di artigianalità (“Grom Il gelato come una volta”).
Un altro esempio, eclatante ed emblematico, può essere tratto dal mondo dell’Automotive e riguarda il celebre brand Land Rover. Il nome Land Rover, infatti, nasce in una azienda automobilistica britannica, dalla chiara dimensione regionale, la Rover, precedentemente British Leyland; il marchio è entrato poi nel portafoglio della BMW, noto gruppo tedesco del segmento premium; a distanza di qualche anno, vi è stato un ulteriore passaggio del brand alla Ford, conglomerato statunitense per antonomasia; infine, nel 2008, il marchio è passato a Tata, compagnia indiana specializzata nella produzione low cost.
E’ difficile immaginare una serie di passaggi più estremi, di portata quasi siderale: da una casa automobilistica regionale britannica (Rover) ad un gruppo tedesco del segmento premium (BMW), da un conglomerato statunitense dal respiro planetario (Ford) ad una compagnia indiana con la vocazione per il low cost (Tata).
Ma il Brand è rimasto impermeabile a questi giganteschi salti, ha continuato a vivere la propria esistenza in autonomia, restando portatore sempre dei medesimi valori: Land Rover come emblema di amore per la campagna e per l’avventura, icona di affidabilità, simbolo di sportività.
Il Marchio nel tempo si è liberato non solo dei propri legami con il Territorio e con l’Azienda, ma addirittura in una certa misura – dei vincoli con il suo Prodotto.
Sempre più spesso, infatti, vediamo che un Brand, una volta che ha acquisito un forte e consolidato valore reputazionale, diventa strumento di promozione per prodotti diversi rispetto a quelli di provenienza.
Gli esempi, anche qui, potrebbero essere numerosissimi.
Nel campo del Food, possiamo fare riferimento alla vicenda del Pan di Stelle, marchio di grande successo del gruppo Barilla, nato nel 1983 come biscotto da colazione della linea Mulino Bianco.
L’Azienda, facendo leva sull’affermazione del prodotto originario, ha progressivamente esteso l’utilizzo del Brand ad una gamma più estesa di prodotti, come merende, torte e cereali; infine, nel 2019, nell’attivarsi in diretta competizione con la leggendaria Nutella del gruppo Ferrero, Barilla ha fatto leva proprio sulla forza di questo Marchio, trasferendolo sulla Crema Pan di Stelle.
Il settore Automotive, di nuovo, ci fornisce una ricca serie di casi emblematici, con numerosi marchi (500, Giulia, Panda, Mini, Golf, etc. etc.), che – una volta acquisito un proprio posizionamento nell’immaginario pubblico – vengono utilizzati per contraddistinguere vetture parzialmente ed a volte radicalmente diverse da quelle di origine.
Dunque, mentre le Indicazioni Geografiche trovano nel legame con il Territorio un elemento imprescindibile della propria carta d’identità, il Brand nel tempo si è sempre più andato caratterizzando per l’assoluta libertà di vincoli con Territorio, Impresa e, nel senso sopra indicato, Prodotto.
Anche sul versante della Qualità le differenze tra il Brand e le Indicazioni Geografiche sono davvero rilevanti.
Certamente non sono più i tempi del Marchio visto come strumento di inganno e di manipolazione in danno dei Consumatori, delle campagne di contestazione No Logo ad opera nei primi Anni Duemila, tra gli altri, di Naomi Klein e Richard Sennett.
Il Brand, al contrario, oggi è tenuto a mantenere una forte carica etica, ad operare in modo coerente con i valori propugnati, a rispettare gli impegni assunti nei confronti della propria comunità.
Ho recentemente scritto, in un articolo su Linkiesta, che il Marchio oggi può essere concepito come un Fairmark, indice della lealtà dell’impresa ai suoi ideali, perché
“il Brand […] nella società post Pandemia è più che mai chiamato ad un dovere di Lealtà verso i consumatori, ad andare oltre la semplice conquista emozionale e la mera intesa emotiva, mettendo in campo azioni concrete, misurabili e condivise”.
Anche da un punto di vista tecnico-giuridico, si badi bene, il Marchio ha dei paletti da rispettare, sul versante del rapporto con il Mercato, nel senso che il Brand non può mai diventare lo strumento per mettere in pratica azioni ingannevoli e manipolatorie nei confronti dei Cittadini.
Eppure, ribadiamo, sul fronte della Qualità le modalità di funzionamento tra Marchio e Indicazioni Geografiche risultano molto differenti. Le IG hanno un rapporto con la Qualità che potremmo definire ontologico, oggettivo: un Prodotto può rientrare nel concetto di DOP o IGP soltanto se presenta determinate caratteristiche qualitative. In caso contrario, non esiste comunicazione, non esiste promozione, non esiste valorizzazione che tenga: quel Prodotto non può rientrare nel concetto di DOP o IGP.
Il Brand con la Qualità ha invece un rapporto che potremmo definire relativo, soggettivo, scaturente da un processo decisionale all’interno dell’Impresa.
Un’Azienda, continuando ad utilizzare lo stesso Marchio, ben può assumere la decisione – rispettando le norme a tutela dei Consumatori – di modificare la Qualità del proprio prodotto, in basso o in alto, per aggredire fasce diverse del mercato o sulla scorta di altre strategie imprenditoriali.
Le DOP e le IGP non possono che essere uguali a sé stesse, ovviamente evolvendo nel tempo, ancorate al dettato dei relativi disciplinari ed alla cultura dei territori di riferimento.
Per il Brand è diverso: può tranquillamente accadere, ad esempio, che nel Fashion un Marchio nato per contraddistinguere prodotti altamente qualitativi e dichiaratamente esclusivi evolva in modo da andare a contrassegnare capi destinati alla fascia media del mercato (Enrico Coveri, Lancetti, etc.); oppure, al contrario, che nell’Automotive marchi originariamente relativi a vetture estremamente economiche e popolari (500, Mini, etc.) passino a contraddistinguere prodotti di fascia premium.
Torniamo, in conclusione, all’attualità, al fatto che ha dato la stura alle presenti considerazioni.
Nella Proposta di revisione del sistema delle Indicazioni Geografiche, che la Commissione Europea ha recentemente adottato, si prevedono misure atte a semplificare e accelerare le procedure di registrazione delle IG. L’intento è chiaramente e pienamente condivisibile.
Al fine di raggiungere questo obiettivo, si prevede un ruolo di maggiore importanza e centralità dell’EUIPO, l’Ufficio dell’Unione Europea per la Proprietà Intellettuale, avente competenza sui Marchi e Design comunitari.
Il punto deve essere oggetto di profonda e attenta riflessione. Qualsiasi assimilazione tra Brand e Indicazioni Geografiche, infatti, sarebbe improprio e fuori luogo, frutto della scarsa conoscenza delle profonde differenze giuridiche, economiche e culturali che intercorrono tra i due istituti.
Le Indicazioni Geografiche, pacificamente, rappresentano un fenomeno di grande successo, dal respiro tipicamente europeo, caratterizzato da specifiche caratteristiche e peculiarità. L’ontologica specificità delle IG, basata sui concetti di legame con il Territorio e di garanzia di Qualità, costituisce una peculiare ricchezza economica e culturale, che deve essere coltivata in modo responsabile e non messa in pericolo con dannosi travisamenti.
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