Scrivere per lo Zecchino d’Oro: intervista al paroliere Mario Gardini

Scrivere per lo Zecchino d’Oro: intervista al paroliere Mario Gardini

ITALIA – Ripercorriamo la storia del Festival internazionale dedicato alla musica per bambini. Tutto sullo Zecchino d’Oro attraverso l’intervista al paroliere: Mario Gardini.

Lo Zecchino d’Oro è un Festival internazionale dedicato alla musica per bambini, che si tiene, ogni anno, in Italia dal 1959. I bambini sono, però, solo gli interpreti delle canzoni e non concorrono, in quanto la gara si svolge tra le canzoni stesse, andando a premiare quindi i rispettivi autori e compositori.

Mario Gardini, paroliere di canzoni per bambini, ha partecipato a ben sedici edizioni del Festival, con 21 canzoni, vincendo due volte lo Zecchino d’Oro (2014 e 2018), quattro volte quello d’Argento (2003, 2008, 2012, 2020) e una quello di Bronzo (2022).

Chi è Mario Gardini?

Una persona che ha sempre amato la musica e che è cresciuta ascoltandola.

Da bambino avevo problemi a socializzare con i miei coetanei e così preferivo rinchiudermi in un mondo di fantasie tutte mie.

Disegnavo giornalini, imitando i fumetti per adulti che mia madre non mi faceva leggere, e toglievo alle mie canzoni preferite i testi che poi riscrivevo io.

Mi ricordo che una delle prime fu “La folle corsa” della Formula 3.

Trent’anni fa, in un momento molto difficile e doloroso della mia vita, iniziai a scrivere come terapia dei testi totalmente autobiografici, che non sono mai usciti dal mio cassetto.

Uno di questi, che avevo scritto basandomi sulla musica di “Hat full of stars” di Cyndi Lauper iniziava dicendo: “Mi ricordo di un bambino che correva per la via, senza mai un amico tranne la sua fantasia”.

Per cui direi che la mia passione per la scrittura è nata dalla mia incapacità (o dal mio eccessivo pudore) nell’esternare i miei sentimenti. Così non ero io a svelare me stesso, era la canzone.

Come si esercita un paroliere?

Scrivendo, scrivendo e ancora scrivendo. La creatività è come un muscolo, se non la eserciti si atrofizza. Inoltre bisogna essere curiosi, guardarsi sempre intorno. Magari da un’immagine o da una parola sentita per caso può nascere una bella idea. Io non giro mai con un taccuino perché mi fido della mia memoria (anche se ultimamente perde qualche colpo). Ho imparato che, se un’idea è buona, rimane incollata nella testa, come una ragnatela. Se invece non è buona, così come è venuta se ne va.

Quando e come è iniziata la tua collaborazione con lo Zecchino d’Oro?

Nel 2002 scrissi nove testi per il disco di una cantautrice che amavo molto. Era Grazia Di Michele, che qualche anno prima si era fatta conoscere con il brano “Le ragazze di Gauguin”.

Lei mi propose di fare una canzone per lo Zecchino d’Oro, dato che un suo collega lo faceva da anni (il collega era Franco Fasano, con il quale, in seguito, diventai amico). Io le dissi che non sapevo scrivere per i bambini ma che ci avrei provato lo stesso. Lei voleva scrivere una canzone sull’adozione a distanza, dato che aveva un bambino in Africa a cui era legata e voleva dedicargli una canzone. Mi informai sull’argomento (di cui sapevo poco o nulla) e nacque così “Il mio fratellino a distanza (Assulaiè)”, che vinse lo Zecchino d’Argento. Da lì è iniziata la mia storia di autore per i più piccoli.

Avevi canzoni in gara anche per l’Edizione 2022?

Sì, un brano intitolato “L’orso col ghiacciolo”, che tocca una tematica che mi sta molto a cuore: lo scioglimento dei ghiacciai. Da buon animalista come sono, sto male nel vedere soffrire i poveri orsi polari a causa dei cambiamenti climatici e così ho voluto invitare i bambini ad essere più consapevoli della catastrofe ambientale che stiamo vivendo. La canzone non era rassicurante né divertente, al di là del titolo che fa sorridere, però, con mia immensa sorpresa, è stata recepita dai bambini, tanto da classificarsi terza. È stata una grandissima soddisfazione.

Quanto c’è di te nelle canzoni che scrivi?

Tanto, tantissimo… per non dire tutto. Se una cosa non la sento, non sono in grado di scriverla. Come puoi trasmettere agli altri un’emozione se non la provi tu per primo?

Hai scritto anche altri testi, oltre a quelli per i piccoli interpreti dello Zecchino d’Oro?

Ne ho scritti moltissimi e purtroppo sono rimasti quasi tutti inediti. Un po’ è stata colpa mia che, da giovane, temendo il giudizio degli altri scrivevo le mie canzoni e non le proponevo in giro per paura di un rifiuto. Inoltre scrivevo sempre quando ero in certe situazioni emotive, per cui la maggior parte dei miei testi erano delle vere e proprie sedute di psicanalisi. Mi ricordo un discografico che mi disse “Gran bei lavori, complimenti. Ma, in allegato al disco, mettiamo anche una confezione di antidepressivo?” Comunque sia, alcuni miei lavori sono stati cantati da Raffaella Carrà, Franco Fasano, Irene Fargo, Orietta Berti.

C’è una canzone, che hai scritto, a cui sei legato di più?

Dello Zecchino d’Oro certamente “L’ amico mio fantasma” del 2005. Fu eliminata e non arrivò in finale, ma col tempo è diventata una delle canzoni più amate dell’Antoniano. Poi amo “Il rompigatto” del 2015, che è dedicata al mio gatto Stitch che non c’è più e che ho amato come un figlio. Ogni volta che un bambino la canta o la balla, il mio gatto è ancora vivo. Un’altra mia canzone che amo molto si chiama “Rubantino” e l’ho presentata a fine ottobre ad Ascoli Piceno al Festival canoro “Note in radio”. Ha vinto il premio come miglior testo. Parla di un bambino che ruba. Ma lui ruba l’infelicità agli adulti, perché questo è quello che fanno i bambini: ci aiutano a sentirci meno tristi. La scrissi nel 2017 quando nacque Sebastiano, il figlio di mia nipote. È lui il mio Rubantino.

E una canzone, che invece non hai scritto, ma che avresti voluto scrivere?

Bella domanda… Per i bambini non saprei cosa rispondere, forse “44 gatti”, così tutti conoscerebbero una mia canzone quando dico che scrivo per i bambini. Oppure “Volevo un gatto nero” dato che amo i gatti neri. Per gli adulti tantissime. “The way we were” di Barbra Streisand, “Danza” di Mia Martini, “Per un’amica” di Ornella Vanoni, “I giardini di marzo” di Lucio Battisti. Nei testi dei giovani d’oggi non mi ci ritrovo più, mentre amo tantissimo la freschezza e l’ironia di Cesare Cremonini. Mi piacerebbe molto sapere scrivere come lui e i suoi autori di fiducia.

In quali altri modi si declina la tua scrittura?

Dato che, ahimè, con la musica non riesco a vivere, per guadagnarmi la pagnotta, da più di trent’anni, scrivo testi per la pubblicità. E’ un lavoro che, un tempo, ho abbastanza amato e nel quale, oggi, mi trovo un po’ a disagio considerati i cambiamenti che questo settore ha subito negli ultimi anni. Inoltre da qualche anno scrivo anche libri per bambini e adolescenti. Mi piacciono soprattutto i primi perché sono da fare tutti in rima. E io adoro le rime: sono un vero godere per un paroliere!

Ricordiamo che il Festival dello Zecchino d’Oro è nato a Milano nel 1959 da un’idea di Cino Tortorella che abbiamo ricordato in quest’articolo per la sua scomparsa.

Alessandra MR D'Agostino
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