Michael Jordan compie 60 anni: ripercorriamo la carriera di un’icona mondiale

Michael Jordan compie 60 anni: ripercorriamo la carriera di un’icona mondiale

ACCADDE OGGI – Michael Jeffrey Jordan, leggenda assoluta del NBA e del basket mondiale nonché figura iconica nell’immaginario americano e non solo, oggi, 17 febbraio 2023, spegne 60 candeline.

“GOAT”, sigla che negli Stati Uniti sta per: “Greatest of all time”, tradotto nella nostra lingua “Il migliore di tutti i tempi”. Eco come è descritto Michael Jeffrey Jordan da chiunque abbia visto anche un solo spezzone di qualcuna delle sue partite più spettacolari in NBA. D’altronde, la maggior parte degli osservatori del gioco del basket, concordano che Jordan con la sua combinazione di abilità tecnica, incredibile forza di volontà e realizzazione sia il più grande giocatore di sempre.

Jordan: un’icona assoluta a 360 gradi

L’influenza di Jordan sulla società del 20° secolo lo separa da chiunque altro nel gioco. Il suo legame con il brand  Nike e Air Jordan ha cambiato il panorama della moda per le scarpe sportive. La sua presenza ha influenzato anche la lunghezza in cui i giocatori indossano i pantaloncini della divisa e il loro aspetto estetico: dagli orecchini alla testa rasata. Michael Jordan ha giocato 13 stagioni con i Chicago Bulls con un anno e mezzo di pausa per giocare a baseball nella squadra della lega minore dei Chicago White Sox. Ha concluso la sua carriera da giocatore con due stagioni con i Washington Wizards e ha continuato nel mondo del basket diventando il proprietario dei Charlotte Hornets.

Un riassunto della sua carriera cestistica e dell’influenza sul gioco non riesce inevitabilmente a rendergli giustizia. D’altronde, in quanto atleta fenomenale con una combinazione unica di solidità fondamentale, grazia, velocità, potenza, abilità artistica, capacità di improvvisazione e un desiderio competitivo inestinguibile, Michael Jordan ha ridefinito il concetto di Superstar di NBA.

Michael Jordan
Michael Jordan

I trionfi e l’impatto di Michael Jordan

Un breve elenco dei suoi migliori risultati includerebbe quanto segue: Rookie of the Year; Cinque volte MVP NBA; Sei volte campione NBA; Sei volte MVP delle finali NBA; Dieci volte All-NBA First Team; Nove volte NBA All-Defensive First Team; Difensore dell’anno; 14 volte NBA All-Star; Tre volte NBA All-Star MVP; Squadra di tutti i tempi per il 50° anniversario; Dieci titoli di punteggio: un record NBA e sette Wilt Chamberlain consecutivi corrispondenti; Si è ritirato con la media di punteggio più alta della NBA di 30,1 punti a partita; Candidato alla Hall of Fame.

Tuttavia, l’impatto di Michael Jordan sul mondo è di gran lunga maggiore di premi e campionati. Ha fatto irruzione in NBA con addosso l’etichetta di principiante stupendo chiunque segnando un numero infinito di punti distinguendosi per un primo passo ineguagliabile, schiacciate acrobatiche e tanta dirompenza fisica. Lungo la strada, è diventato un vero campione che ha guidato la globalizzazione della NBA con le sue abilità dinamiche in campo e il suo personale senso dello stile che è stato commercializzato alle masse. Era una star accessibile che riusciva a mantenere un’aria mistica. La collaborazione con Nike, la creazione di Air Jordan, e la partecipazione in quanto star assoluta nel film “Space Jam”, sono solo alcune delle sue conquiste che lo hanno resto un’icona più che generazionale.

L’inizio della carriera

Sebbene sia nato a Brooklyn,  Michael Jordan è cresciuto nella più tranquilla Carolina del Nord. Figlio di Delores e James Jordan, condivideva un legame speciale con suo padre, che includeva il baseball come primo amore per entrambi. Tuttavia, seguendo suo fratello maggiore, Larry, suo idolo e grande atleta, iniziò a giocare a basket. Michael ha frequentato la Laney High School di Wilmington, nella Carolina del Nord, ma al secondo anno per via del suo fisico non ancora sviluppato, è stato escluso dalla squadra di basket. L’estate prima del suo anno da junior, è cresciuto non poco ed ha iniziato il suo percorso verso la celebrità. In seguito, studente presso l’Università della Carolina del Nord, al secondo anno, è stato nominato College Player of the Year da  The Sporting News.

C’è ancora una tappa che aspetta Michael prima di passare nei professionisti: l’Olimpiade del 1984 a Los Angeles con il Team USA. La nazionale americana, guidata da Bobby Knight, era composta solo da giocatori di college, senza la presenza ingombrante di giocatori NBA. In questo contesto Jordan si mette in luce come non mai, guidando la squadra all’oro con 17.1 punti di media e otto vittorie su otto partite.

Il 12 settembre 1984, dopo essere stato scelto come terzo assoluto al Draft NBA, Michael firma uno dei contratti più onerosi della storia della lega ancora prima di calcare effettivamente il parquet del campo. Non solo, l’impatto che Jordan ha già avuto nella sua ancor breve carriera convince Sonny Vaccaro, al tempo executive della Nike, a puntare su di lui come prossimo uomo immagine. Il contratto, oltre a portargli una montagna di denaro, permette a Michael di avere una propria signature-shoe, la prima nel suo genere: la Air Jordan. Fino a quel momento gli atleti erano obbligati a portare scarpe anonime e solo la Converse aveva avuto come sponsor alcuni giocatori come Larry Bird e Magic Johnson. Una vera e propria rivoluzione.

L’esplosione del talento della Carolina del Nord

Intanto in campo, a suon di prestazioni incredibili con i Bulls, Michael ottiene il premio di Rookie of The Year nel 1985 e tanta attenzione mediatica: attenzione che non raccogli i favori di illustri colleghi come Isiah Thomas, play dei Detroit Pistons con cui Jordan inizia una faida dentro e fuori dal campo. Al suo secondo anno guida di nuovo i Bulls ai Playoff con 16 vittorie nelle ultime 18 gare di stagione regolare. Il percorso anche qui viene interrotto e ostacolato da una delle superpotenze del basket degli Anni 80, i Celtics di Larry Bird. MJ però si distinguerà ancora una volta e segnerà 63 punti in Gara 2, pur perdendola. Ancora oggi è la miglior prestazione in termini di scoring in post-season.

Successivamente, in casa Chicago Bulls si attua una rivoluzione con l’arrivo di Phil Jackson, eccentrico coach degli Albany Patroons in CBA. Con lui arrivano anche Scottie Pippen, Horace Grant, Bill Cartwright, tutti giocatori utili al contesto che Jackson sta creando. Da questo momento in poi la storia è nota al mondo intero, i Chicago Bulls in quegli anni domineranno il panorama NBA in lungo e in largo. In tanti cercheranno di fermare Jordan e compagni ma nessuno riuscirà nell’obiettivo. Michael e la sua squadra sono inarrestabili, vincono tutto, il ragazzo nativo di Brooklyn raccoglie premi su premi, trofei su trofei, arrivati a seguito di numeri spaventosi per un essere umano.

Statua Michael Jordan
Statua Michael Jordan

Il ritiro

Nell’ottobre del 1993 Michael si sente demotivato, non gioca più come prima e come se non bastasse arriva una tragedia insensata: suo padre James viene ucciso da due rapinatori che lo avevano trovato addormentato in macchina. Per Jordan è una ferita troppo profonda tanto che decide di annunciare il suo ritiro dal basket. Matura in lui l’idea di cominciare una carriera nel baseball, suo sport d’infanzia e grande punto di contatto con il padre.

I Bulls intanto continuano ad essere nell’élite della lega ma non raggiungono i risultati degli anni precedenti: perdono le semifinali di Conference contro i Knicks interrompendo la striscia di tre Finals consecutive. D’un tratto iniziano a nascere delle voci sul ritorno di Michael Jordan, dapprima insensate ma che con il tempo diventano realtà. “I’m back” vale a dire “Sono tornato”, semplice ed efficace ecco come il campione annuncia il suo ritorno nei Chicago Bulls dove intanto la sua maglia numero 23 è stata ritirata tanto che Michael sceglie la numero 45.

Il ritorno in campo 

Jordan ci mette un po’ a tornare in forma ma in occasione della famosa double nick game ne segna 55 ai New York Knicks. La squadra però non è più l’inarrestabile corazzata degli anni precedenti. Dunque nella stagione successiva arriva Dennis Rodman, tra i migliori rimbalzisti di tutti i tempi. Importante è considerare anche la presenza qualche rinforzo pescato negli anni precedenti come Steve Kerr, Toni Kukoc e Ron Harper.

La marcia verso i Playoff è trionfale, i Bulls infrange il record di vittorie in regular season fino a quel momento con 72-10 e si portano in finale di Conference contro gli stessi Magic che l’anno prima avevano interrotto il loro percorso. La storia però è cambiata. Jordan e compagni rifilano un secco 4-0 e approdano alle Finals contro Seattle, pratica chiusa in sei partite e quarto titolo per la franchigia. Si tratta del preludio ad un altro Three-peat. I Bulls dominano praticamente incontrastati le annate successive sfidando per ben due volte gli Utah Jazz della coppia Stockton-Malone in Finale, con due vittorie su due.

The Last Dance

La stagione 97-98 è quella che sarà rinominata “The Last Dance” dall’allenatore Phil Jackson. I dirigenti Krause e Reinsdorf, concordi sul da farsi, annunciano che al termine della stagione la squadra sarà smantellata. Jackson non sarà riconfermato e Pippen sarà scambiato. Jordan a quel punto decide che non avrebbe mai più giocato se non per coach Phil, dando così di nuovo adito alle voci che lo vedrebbero al ritiro a campionato finito. Con una tale pressione addosso qualunque altra squadra ne sarebbe rimasta schiacciata ma non i Bulls.

Il percorso è assurdo: 62 vittorie e 20 sconfitte, spazzati via Nets e Hornets ai primi turni dei Playoff. Vittoria di stretta misura alle Conference Finals contro Indiana: questo è il ruolino di marcia fino alle Finals 98 contro i Jazz. Jordan è di nuovo MVP della lega per quella che potrebbe essere la sua ultima stagione e vuole chiudere in bellezza. La serie contro Utah, così come quella dell’anno precedente, è tesa ai limiti grazie alle prestazioni stellari dei due fenomeni degli avversari, il miglior assistman della storia e il secondo miglior scorer di sempre.

La missione richiede ancora uno sforzo decisivo a dei Bulls ormai stremati e in Gara 6, dopo essere stati sotto quasi tutta la partita, le loro fatiche vengono premiate. Michael Jordan trionfa ancora una volta, vince il sesto anello per sé stesso e per i Chicago Bulls. Sarebbe inutile tentare di raccontare uno scenario del genere dunque meglio lasciar parlare le immagini.

Il vero ritiro di Michael Jordan: la fine di un’era

A fine stagione il ciclo è finito e stavolta il campione cresciuto in Carolina del Nord lascia per sempre la sua iconica squadra. Si ritira dal basket, stavolta in maniera definitiva. O forse no. Già perché nel 2001 Jordan, ormai trentottenne, convinto di poter giocare ancora un paio di stagioni a buoni livelli, firma un contratto con i Washington Wizards. Le sue prestazioni in campo sono lontane anni luce da quelle di un qualsiasi altro atleta al crepuscolo della carriera. 22.9 e 20 punti medi tenuti nei due campionati trascorsi con i Maghi, con cui si guadagna per altre due volte il distintivo di All Star.

Oggi, 17 febbraio 2023, Michael Jordan compie 60 anni e allora tantissimi auguri all’atleta più grande di tutti i tempi, un milione di questi giorni.

 

Stefano Gentili

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