Dennis Rodman compie 60 anni: la storia di The Worm, molto più che un bad guy

Dennis Rodman compie 60 anni: la storia di The Worm, molto più che un bad guy

MONDO – Dennis Keith Rodman, la più affascinante e introversa personalità che il mondo sportivo abbia conosciuto, oggi compie 60 anni. Ripercorriamo insieme la storia di The Worm.

Cinque titoli NBA, sette volte consecutive vincitore della classifica dei rimbalzisti e per due volte miglior difensore. Ma Dennis Rodman è ricordato più per la sua eccentrica vita fuori dal campo che per i grandi meriti sportivi.

Nasce il 13 maggio 1961, a Trenton in New Jersey. Fin da subito è costretto a fare i conti con una vita che, al piccolo Dennis, non regalerà nulla. A soli 3 anni il padre lascia la famiglia e, insieme alla madre e alle sorelle, cresce a Dallas in uno dei quartieri più poveri. A scuola non rende e il suo aspetto fisico, molto magro e con le orecchie a sventola, non lo aiuta finendo per subire le angherie dei compagni. Non riesce a imporsi né a basket né a football, a differenza delle sorelle più grandi, entrambe cestiste. L’unica cosa per cui si distingue è il modo, scomposto, con cui gioca a flipper. Non sta mai fermo e viene soprannominato il verme, the worm. Un nomignolo che lo accompagnerà per tutta la vita.

Dopo la scuola, terminata a fatica, comincia a lavorare in un aeroporto dove ruba cinquanta orologi. Viene ripreso dalle telecamere e messo in prigione. Le accuse vengono, però, subito ritirate. La madre, insofferente, lo caccia di casa. Si ritrova così a vagare tra strade, parchi e supermercati. Ma, per sua fortuna, una delle sue qualità fisiche è l’altezza: 203 centimetri. Non può che riavvicinarsi al basket. La palla lo salva dallo spaccio. Gioca, si diverte e, grazie all’altezza, domina su tutti. Non passa molto che la madre lo fa tornare tra le mura domestiche.

Le prime squadre

Mentre gioca in un campetto, viene notato da un’amica della sorella che lo convince a fare un provino per il Cooke County College, in Texas. Gli bastano 15 minuti per mostrare tutto il suo talento e prendersi una borsa di studio, a 20 anni e senza aver mai giocato prima in una vera squadra. Ma la scuola non fa per lui e dura, quindi, solo 16 partite, con un media di 17 punti e 13 rimbalzi. Tornato a Dallas, la madre lo caccia, ancora, e torna a vagabondare. Ma evidentemente, la Dea bendata è dalla sua parte. Sono, infatti, quelle sedici partite disputate che lo fanno risaltare agli occhi di Lonn Reisman, della Southeastern Oklahoma State University, a Durant in Oklahoma. Dennis capisce che è la sua ultima occasione.

La vita lì è difficile e il colore della pelle non aiuta. Ma a parlare è il campo. Le sue qualità sono incredibili e alla prima partita domina. Segna 24 punti e prendi 19 rimbalzi. Il parquet diventa tutto il suo mondo, che vive con una gioia mai vista. Comincia anche a essere accettato dalla comunità e finisce per fare amicizia, durante un campo estivo, con un ragazzino di tredici anni, Byrne Rich. Finiscono per diventare inseparabili. Per Dennis Rodman è una svolta, perché per la prima volta si sente accettato e viene accolto dalla famiglia di Byrne.

La felicità nella vita privata si riflette sul campo. Con i Savages vince per due anni la classifica rimbalzi e viene selezionato per tre volte come uno dei migliori prospetti della NAIA a livello nazionale.

Un nessuno che arriva dal nulla 

Nella decima puntata di The Last Dance, si parla di come Rodman si stesse allontanando dai Bulls nel 1998. Il documentario mostra come il cestista – in concomitanza tra gara 3 e gara 4- abbia passato parte del suo tempo allo show di Wrestling WCW Nitro in compagnia di Hulk Hogan.

Nelle post-seasons dà sempre tutto sé stesso, cercando di mostrarsi migliore di tutti gli altri. Ma non riesce a colpire quanto basta gli scout. Fino al giugno del 1986. Al secondo turno, alla ventisettesima chiamata del draft, ecco l’occasione della vita: i Detroit Pistons scelgono Dennis Rodman. Nessuno sa chi sia quel ragazzo magro, tanto che al primo training camp un giornalista gli domanda chi fosse. Un nessuno che arriva dal nulla, risponde. A 26 è in NBA, in una squadra che ambisce a diventare un top team. I due leader sono Bill Lamibeer, uno dei giocatori più odiati nella storia, e Isiah Thomas, uno dei migliori playmaker.

Dennis Rodman è entusiasta e si trova nel posto giusto al momento giusto. Conosce uno delle persone più importanti della sua vita. Chuck Daly, l’allenatore, diventa per lui un secondo padre e per lui avrebbe fatto qualsiasi cosa. Lo aiuta, perché sa di aver trovato una persona unica. Capisce subito che è un genio del pallone e in grado di leggere il gioco e i rimbalzi come nessun altro. Metteva tutto se stesso e le sue energie in quello che faceva. I tifosi cominciano ad apprezzarlo e diventa più amato anche di Isiah.

Acquista consapevolezza perché i Pistons sono un gruppo che vuole distruggere l’avversario sia dal punto di vista fisico che mentale, e lui ama questa visione del gioco. Arrivano alle finali di conference dell’87/88, perdendo contro i Bolton Celtics di Larry Bird. Di lui, Dennis, dirà che se fosse stato nero, sarebbe stato solo un buon giocatore. Scatta la gogna mediatica e la squadra fa cerchio intorno a lui e diventa, nel gioco, ancora più cattiva. Tutti li odiano e gli avversari hanno paura ad affrontarli. Nasce la leggenda dei Bad Boys.

Nella stagione 88/89 Dennis Rodman ha sempre più spazio e diventa importantissimo. Alle finals dimostrano che sono in grado di vincere, ma perderanno, in gara -7, contro i Lakers di Magic Johnson. I Pistons, però, sono ancora più uniti e la stagione successiva Dennis è fondamentale, contribuendo a far salire sul tetto del mondo la sua squadra. Il momento più importante della sua vita.

L’inizio della fine 

Dennis Rodman
Tra i numerosi flirt con donne famose, spicca quello con la cantante Madonna

Nella stagione 89/90 i Pistons vogliono il bis e tutti, ma proprio tutti, vogliono Dennis Rodman nel quintetto titolare. Vincono 25 partite su 26 e diventa la star più amata. Viene convocato agli All star game e nominato come miglior difensore della stagione. Per lui il sogno diventa realtà. Dopo essere stato nessuno per tutta la vita, adesso è al centro di tutto e amato da tutti. I Pistons, ancora una volta, vincono il titolo. Si tratta del momento più felice della sua carriera.

Ma dopo aver toccato il cielo con un dito, inizia la discesa. Come tutti i cicli, anche quello della squadra di Dennis finisce. Chuck Daly decide di lasciare la squadra nel 1992. Un colpo durissimo per lui, che perde la sua figura paterna. Non si rende conto che è tutto un business e si sente tradito da quella famiglia. Lui ne anche un’altra, di famiglia, ma non riesce neppure a fare il padre e la compagna gli porta via la figlia. Anche la pallacanestro perde importanza. Inizia a comportarsi in modo assurdo, non presentandosi agli allenamenti e saltando le partite per espulsioni e infortuni. Anche i tifosi sono stufi e chi lo frequenta pensa che qualcosa non vada e che possa anche farsi del male.

L’11 febbraio del 1993, Dennis è seduto in auto, di fronte al palazzetto. Non sa più cosa fare della sua vita. Accanto a lui, sul sedile del passeggero, ha un fucile. Lo posiziona sotto il mento e la voglia di sparare è tanta. Questo è il momento che segnerà la sua esistenza.

Ma decide di accendere la radio e, poco dopo, si addormenta. Un amico, non trovandolo a casa, avverte la polizia che lo ritrova la mattina dopo all’interno dell’auto. Vivo. Lì, nel parcheggio, ha avuto l’epifania: disse di sopprimere il suo vecchio Io, in modo da far prevaricare la sua vera persona. Il momento di cambiare era arrivato, senza più preoccuparsi del pensiero altrui.

Gli Spurs

Dennis Rodman
Rodman durante The Last Dance

Nel 1993 chiede di essere ceduto. Veste, così, la maglietta dei San Antonio Spurs. Lavoro, dedizione e disciplina sono le parole d’ordine per avere successo in questa franchigia. Il 14 ottobre viene presentato ai nuovi tifosi. Il palazzetto freme. Lì, il mondo, ammirerà per la prima volta il nuovo Dennis Rodman. Capelli colorati, tatuaggi e piercing saranno il suo marchio distintivo, che usa per comunicare con il mondo. Ma il pubblico non è ancora pronto per quell’immagine, così poco perfetta. Ma a Dennis non interessa e in campo è fenomenale, vincendo per il terzo anno di fila la classifica rimbalzi.

Fuori dal campo, il ragazzo comincia a frequentare Madonna. Diventa una vera e propria superstar, nonostante la relazione con la cantante giunga velocemente ai titoli di coda. Finisce, poi, sulla copertina di Sport Illustreted e nell’intervista dichiara di avere fantasie omosessuali.

Le difficoltà sorgono appena mostra il suo lato ribelle e tira testate agli avversari, si arrabbia con arbitri e compagni. Diventa incontenibile. In tredici mesi agli Spurs si becca tre sospensioni, nove espulsioni e quaranta falli tecnici. Questo è il suo modo di farsi notare, mostrando il suo lato nascosto solo per piacere alla gente. Nel 94/95 le cose peggiorano e viene sospeso per insubordinazione. Dennis comincia a odiare la squadra.

E nessuno lo vuole più. O quasi.

Bulls

 Dennis Rodman
Batman & Robin? No, Michael Jordan e Dennis Rodman!

Per la stagione 95/96 i Chicago Bulls, che vedono Michael Jordan nelle proprie file, vogliono cinque o sei nuovi profili per potenziare la squadra. Tra questi c’è Dennis Rodman. Non tutti sono d’accordo. Nelle precedenti sfide, era stato violento e falloso contro i giocatori dei Bulls. Il coach, Phil Jackson, lo incontra e gli chiede se vuole diventare un giocatore del team, ma Dennis Rodman risponde che non gliene frega assolutamente nulla. La risposta è inaspettata: benvenuto a bordo!

Il 3 ottobre del 1995 viene presentato come nuovo giocatore dei Bulls. La sua ultima occasione. Sa che dovrà impegnarsi, prendere ogni rimbalzo, per non tornare sulla strada. La fortuna è ancora dalla sua e trova nell’allenatore una nuova figura paterna. Per Michael, Dennis è uno dei giocatori più intelligenti con cui abbia mai giocato, capendo le strategie difensive e le varie rotazioni. Poteva fare tutto e lui sarà la chiave del successo, con 72 vittorie su 82 nella regular season. Alle finals conquisterà il suo terzo titolo grazie a prestazioni stratosferiche. Poco dopo pubblica anche la sua autobiografia Bad as i wanna be che finirà in cima alle classifiche di vendita.

Diventa sempre più una star, ma la sua stabilità mentale è legata a un filo. E quando il padre ricompare dopo 30 anni, lui è sconcertato e comincia a staccarsi anche dalla madre. è come si fossero riaperte le ferite di quando fu cacciato di casa. Comincia a circondarsi di persone che si approfittano di lui. Tutto ciò influisce anche sul parquet. La stagione 96/97 è problematica. Nonostante tutto vince la per la sesta volta la classifica dei rimbalzi e il suo quarto anello.

Da quel momento la sua vita cambia, ancora. La gente fa di lui un modello e comincia a fare del suo corpo, della sua immagine il suo strumento di lavoro. Il basket è sempre meno presente nella sua vita. Nel 97/98 sembra aver perso l’entusiasmo ma Michael Jordan cerca di fargli capire quanto sia importante per la squadra. Riga dritto ed è motivato dalla fiducia di Jordan, non vuole deluderlo. Vince per la settima volta la classifica dei rimbalzi. Ma a metà stagione inizia il suo declino. Appena può esce a festeggiare e a bere. Nonostante tutto, alle finals i Bulls completano il three-peat. Sono campioni per la terza volta di fila.

L’ultimo treno

La Storia di Dennis Rodman: il cestista introdotto nella NBA Hall of Fame

Dopo che i Bulls smantellano la squadra, nel 2000 si accasa ai Dallas Mavericks. Ma la storia dura poco e dopo un anno viene mandato via. Non sa più che fare e l’unica cosa che è in grado di sostenerlo è il costante bere. I problemi sono tanti e quando prova a tornare a giocare a basket, ha un incidente in moto che gli impediscse di riprendere. I successivi sette anni li passa a bere e la dipendenza dall’alcool è realtà. Beve per non vedere i problemi della sua vita.

Nel 2011 entra nella Hall of Fame dove ringrazia tutti quelli che lo hanno aiutato in quella vita. Ha un solo rimorso: avrebbe voluto essere un padre e un figlio migliore. Poi quello che accade ha dell’incredibile.

Nel 2013 vola in Corea del Nord e, senza una spiegazione logica, diventa amico del dittatore Kim Jong Un senza sapere che tipo di persona sia. La stampa lo attacca ma a lui non frega assolutamente niente. Nel giugno 2018 è a Singapore per supportare l’incontro tra Kim e Trump.

La sua vita persona è un disastro e ha chiuso tutti i ponti con la madre e i figli. Questa volta non c’è il basket ad aiutarlo. La sua è stata una vita al limite, da senza tetto a leggenda, segnando per sempre il mondo della pallacanestro.

Tanti auguri, Dannis!

 

Francesco Frosini
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