René Lacoste Style, il morso del coccodrillo

René Lacoste Style, il morso del coccodrillo

MONDO – La leggendaria polo creata da René Lacoste e commercializzata a partire dal 1933 compie novantanni. Nata per offrire ai tennisti un capo d’abbigliamento più performante rispetto l’allora tradizionale camicia, nel corso del tempo si è trasformata in un “oggetto per il corpo” capace di dialogare con tutto il guardaroba maschile (un pomeno con quello femminile), persino con i capi più formali da indossare in situazioni dove l’eleganza sembrerebbe fuori discussione.

René Lacoste fu un grande campione di tennis. Nel suo palmares spiccano 2 vittorie a Wimbledon, 3 al Roland Garros e 2 US Open. Soprannominato il Coccodrillo per lo stile dei suoi colpi veloci, determinati e letali per perseveranza, fu uno degli atleti più famosi al mondo del decennio compreso tra la metà degli anni venti e i trenta del novecento. 

Lacoste History 1923

Nel 1927 nel corso di un incontro di Coppa Davis (in quel periodo le competizioni tennistiche tra nazionali avevano una importanza straordinaria se rapportata al ridimensionamento attuale), sfoggiò una rivoluzionaria divisa da atleta che fece subito colpo sul pubblico appassionato di questo sport. René Lacoste apparve nelle fasi di presentazione delle squadre con una giacca bianca con ricamato a sinistra l’immagine di un coccodrillo disegnato dal suo amico artista Robert George. In campo, già da qualche anno indossava con i calzoni di flanella in alternativa alla camicia a maniche lunghe, che normalmente dopo qualche scambio venivano arrotolate fino al gomito, indossava dicevo, una maglietta a maniche corte di cotone leggero chiamato “jersey petite piqué”. Evidentemente la nuova tenuta favoriva la traspirazione e i movimenti del corpo che nel tennis moderno devono essere brucianti, nervosi, aggressivi. Le sue vittorie fecero discutere tantissimo sui presunti vantaggi acquisiti grazie alle sue magliette. Ci fu chi, come sempre succede con le innovazioni, si appellò alla tradizione. Ma a partire dagli anni venti la spinta alla modernizzazione era divenuta impetuosa e la soluzione fu che tutti cercarono di imitare la polo indossata da René Lacoste. Soprattutto tra gli amatori e i tifosi il nuovo indumento indossato da uno dei tennisti più ammirati, prometteva la diffusione virtuosa che il marketing sportivo avrebbe codificato negli anni sessanta, quando i grandi campioni dello sport sarebbero diventati icone paragonabili per efficacia al resto dello star system, capaci di mobilitare desideri che potevano, grazie a loro, essere incapsulati nei prodotti che esibivano o dei quali divenivano i testimonial. Lacoste fu uno dei primi che comprese quanto potesse risultare proficua l’identificazione inconscia con il grande campione. Insomma, indossando la stessa maglietta che porta l’atleta che ammiro, pur non potendo mai emularne le prestazioni sportive, è come se qualcosa delle sue magie mi appartenessero. C’è un’altra considerazione che possiamo aggiungere. Grazie alle foto giornalistiche e ai servizi della stampa la polo non appariva solo negli scatti che riprendevano i momenti salienti di un match. Il nostro campione l’indossava con una  giacca informale prima delle partite, durante la presentazione della squadra al pubblico e dopo nelle interviste post partita. Ho sempre ammirato l’eleganza di quelle foto. Non bisogna appellarsi a dosi di immaginazione fuori dal comune per capire quanto la maglietta retroagisse sul capospalla, rendendo plausibile l’idea che comodità, praticità, informalità potessero valere, per chi amava lo stile sportivo e ne percepiva la bellezza, quanto i look tradizionali dell’uomo elegante. Quindi, anche grazie al lavoro dei fotografi, agli occhi degli appassionati del tennis, la polo come alternativa alla camicia poteva risultare efficace non solo per i momenti decisivi di questo sport, ma anche sancire un nuovo modo di interpretare le significazioni che ci attribuiamo attraverso gli abiti nel dispiegarsi della vita ordinaria. Dallo sport all’evocazione di uno stile delle apparenze improntato alla sportività il passo era breve e si può dire che la maglietta Lacoste fu uno dei protagonisti di questa piccola rivoluzione nel modo di vestirsi dei maschi. La percezione di poter condividere con migliaia di fans la propria polo e la scommessa che poteva adattarsi a situazioni extra tennistiche nelle quali l’idea di sportività a forti tinte agonistiche si trasformava in una nuova forma di eleganza, furono a mio avviso le motivazioni principali che convinsero il nostro campione a tentare la strada della commercializzazione.

A dire il vero, non si può dimenticare che qualche anno prima di Lacoste, i primi rendez-vous tra moda e tennis era avvenuto grazie a Suzanne Lenglen e Jean Patou. Suzanne era una straordinaria giocatrice. Pressoché imbattibile. L’eleganza e l’efficacia dei suoi gesti atletici, da molti paragonati a una danza, stupivano il pubblico. Inoltre aveva il senso del glamour e l’audacia per adattarlo al contesto agonistico. Era amica del couturier Jean Patou, uno dei primi grandi creativi della moda a credere in ciò che un decennio dopo sarebbe divenuto lo Sportwear. Suzanne nel 1922 si presentò a Wimbledon con una gonna a pieghe fino al ginocchio e con una camicia senza maniche. Al posto del cappello a bande larghe si infilò in testa una bandana. Inutile aggiungere che fu un vero scandalo. Di quel genere di negatività però che aumentano l’appeal del personaggio, conferendogli risonanze mitiche, al punto da rendere virali le occorrenze vestimentarie tanto criticate. Suzanne nei trenta divenne tra le donne influente almeno quanto Coco Chanel. Sono convinto che René Lacoste non fosse immune al fascino sportivo della collega. E a suo modo lo declinò secondo stilemi maschili. Suzanne morì di leucemia a soli 34 anni. Non ebbe il tempo per creare una sua linea di abbigliamento sportivo. Forse nemmeno la interessava.

La produzione della maglietta Lacoste invece, comincio’ nel 1933. Il tennista si alleò con André Gillier, un imprenditore specializzato nella maglieria e insieme realizzarono una polo bianca denominata 12-12.  Dal punto di vista formale si presentava come la fusione tra il concetto di una t-shirt (significazione pratica) e quello di una camicia (accentuato senso di eleganza). Un colpo da maestro fu l’inserimento del logo che riproduceva in formato immagine il nome da battaglia del campione. Come ho già scritto fu disegnato da Robert George nel ‘23 e in seguito il coccodrillo sottoposto a necessari restyling si rivelo’ estremamente empatico, trasformandosi dopo la seconda guerra mondiale in una effigie del brand in grado di sostenere un durevole mito vestimentario, capace persino di far dimenticare gli eroismi sportivi dai quali discendeva. Era la prima volta che il logo che iconizzava un prodotto d’abbigliamento veniva esibito in modo esplicito e diretto. Un logo, tra l’altro, immediatamente catturabile al primo sguardo, facile da ricordare, dopo i primi restyling privo o quasi di qualsiasi connotazione drammatica, divertente come un protagonista dei cartoon stile Walt Disney.

Lacoste History 1933

Dopo qualche anno, Il successo commerciale e culturale della polo spinsero René Lacoste a moltiplicare i colori delle delle magliette e in seguito ad estendere l’energia simbolica accumulata dal suo brand ad altri elementi d’abbigliamento, sino a proporre una sorta di total look certificato dal celebre logo ben visibile su maglioni, giacche, calzoni, camicie, giubboni etc.(il coccodrillo era ben visibile, ma mai fuori dimensione come succede spesso oggi per le marche che usano il logo sul prodotto come se fosse una fisarmonica dotata di amplificatore). 

Tuttavia, mi piace aggiungere che nessun capo appartenente alla famiglia di prodotti Lacoste ha mai emulato la diffusione straordinaria della polo. 

Nemmeno la feroce concorrenza della Fred Perry, creata da un’altro grande campione del tennis e presentata ufficialmente nel 1952 a Wimbledon, è stata capace di offuscarne il mito. 

Fred Perry era inglese, un vero campione come René, capace di vincere tutti i più importanti tornei. La sua notorietà sportiva non era certo inferiore a quella che il francese aveva raggiunto una generazione (sportiva) prima. Mi piace pensare che gli anglosassoni non digerissero benissimo il fatto che il “loro” sport fosse colonizzato dalla detestata moda francese. Per contrastare il già popolarissimo coccodrillo si appellarono alla corona d’oro ovvero al simbolo di Wimbledon, da sempre il più importante torneo di tennis del mondo. La polo d’oltremanica ebbe anch’essa un grande successo commerciale ma niente di paragonabile alla diffusione del mito Lacoste. 

Anche Ralph Lauren negli anni settanta del novecento entrò prepotentemente nel mercato delle polo. Ma  le sue creazioni ispirate allo sportwear pur divenendo uno dei prodotti più amati dal pubblico americano e dalle élite, come già era successo con Fred Perry, non intaccarono la crescita della polo francese. C’è da dire che dai sessanta in poi l’espansione del mercato delle polo è stata strabiliante. Da un lato l’eleganza decontratta divenne un tratto di stile dominante tra i maschi. La crescente casualizzazione dell’abbigliamento trasformò la scelta della maglietta al posto della camicia sotto una giacca, in un’opzione via via sempre più premiata dal pubblico. Senza dimenticare che il tennis, il golf e po’ tutti gli sport non solo si “democratizzarono” ma attraverso la televisione divennero uno degli spettacoli popolari più seguiti.  

Lacoste Logo History

Ma a cosa dobbiamo lo straordinario successo delle polo tra tutte le classi di età? Io penso che possa essere messo in relazione con il primato della disinvoltura come valorizzazione delle pratiche del corpo e come categoria estetica. 

Anche se sopravvivono rituali che reclamano una interpretazione dell’abbigliamento in qualche modo codificata nel senso di una sostanziale rigidità del look, per esempio se porto all’altare qualcuno difficilmente mi sentirei a mio agio se indossassi sotto la giacca una maglietta, ebbene dicevo malgrado la permanenza di momenti punteggiati da look formali, gran parte della nostra vita immaginaria scorre e prende valore a partire da spinte dinamiche che la fanno assomigliare ad un’avventura. Mentre un tempo l’ambito delle esperienze veniva scandita da riti che riempivano di senso particolari loro occorrenze, oggi è nella loro continua messa in processo che ritroviamo le emozioni e le opportunità senza le quali precipiteremmo nella noia, nel sonnambulismo sociale e finanche nella depressione. Ecco dunque il tempo libero e persino il lavoro trasformarsi a livello di disposizione o di aspettative, in un’avventura, così come l’amicizia e le relazioni con “l’altro”. E quando ciò diviene impossibile nel reale, è con l’immaginazione che ne creiamo la possibilità. Le narrazioni delle mode alimentano continuamente questa fuga nell’immaginario supportata dai nostri look. A questo punto, possiamo dire che l’identità del “soggetto messo in processo”, a partire della sua pellicola esterna rappresentata dalle sue apparenze, essendo vissuta sotto il registro dell’avventura, non può che reclamare la disinvoltura come scelta di stile dominante. 

La polo, soprattutto quella brandizzata da Lacoste, ha incorporato nel groviglio di significati che ne sostengono l’attuale iconicità, una sorta di regola non scritta, pertinente all’attivazione del principio della disinvoltura nel nostro abbigliamento, tale da renderla efficiente persino se la mettiamo sotto un frac. 

Polo Lacoste

Indossandola, aderiamo ad un paradigma estetico che ci fa apparire sotto il segno di una distinzione un po’ mossa, accessibile, leggera. Il fatto poi che con il suo uso prolungato e diffuso sembra aumentare la sua aderenza a ciò che potremmo definire lo stile di vita dinamico coerente con la vita pratica, rafforza il sentimento di viverla interiormente come un elemento del guardaroba con il quale posso entrare in sintonia profonda. A volte ho la sensazione che questo genere di “oggetti per il corpo” ci restituiscano il sentimento di benessere interiore che i diversi ruoli che dobbiamo interpretare nei giochi di relazione sociale possono rendere instabile e improbabile. Forse è un po’ anche per questa significanza interna, una più sottile regolazione della sensibilità percepita come una silenziosa emozione, che la polo Lacoste tende a non invecchiare e quindi ad essere resiliente nei confronti della sempre più veloce demodazione che segue come un’ombra la diffusione euforica delle mode. Oppure, se volete dirlo con parole diverse, la polo Lacoste tende ad invecchiare insieme a noi, eludendo il momento catastrofico nel quale l’oggetto subisce l’evaporazione del senso del quale la moda è garante.

Lamberto Cantoni

6 Responses to "René Lacoste Style, il morso del coccodrillo"

  1. Antonio Bramclet
    Antonio bramclet   1 Agosto 2023 at 10:24

    Ok per la disinvoltura. Tutto chiaro. Il riferimento all’avventura molto meno.

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    • Lamberto Cantoni
      Lamberto Cantoni   2 Agosto 2023 at 08:48

      Ho usato il termine “avventura” come l’intendeva Roland Barthes e non come ricerca del rischio o significati simili. La disinvoltura l’ho sicuramente estratta dalle mie letture di alcune opere di Balzac.

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      • Luciano   4 Agosto 2023 at 10:28

        Io in Balzac la disinvoltura non l’ho percepita. Tragedia, drammi, commedia sì. Ma la disinvoltura proprio no. Con questo non voglio dire che con la Lacoste non c’entri; al contrario credo sia azzeccata.

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        • Lamberto Cantoni
          Lamberto Cantoni   5 Agosto 2023 at 22:12

          Devi leggere la “Teoria dell’andatura” e il “Trattato della vita legante”.

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  2. Ann   3 Agosto 2023 at 01:50

    Nell’articolo non si parla della diffusione della polo tra le donne. Personalmente ne ho comperato tante. E ci tengo a sottolineare che non ho mai giocato a tennis e che mi piacevano per la loro eleganza.

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    • Lamberto Cantoni
      Lamberto Cantoni   3 Agosto 2023 at 20:07

      È vero ho trascurato la polo al femminile. Non avevo sufficienti informazioni. Posso solo dirti che la moglie di Lacoste amava il golf e credo che il marito abbia progettato per lei (e in seguito per tutte le donne), una polo con le piccole differenze di genere.

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