ROMA – Vi avevamo consigliato in anteprima di andare a vedere Metafisica dell’amore, così, dopo averlo visto anch’io, riprendiamo a parlare (con qualche perplessità…) della storia di sentimento della donna che già si è aggiudicata il Premio Scintille 2011.
Le donne sarebbero essenzialmente gay o bisex, mai etero, secondo uno studio condotto da ricercatori di università inglesi e americane e pubblicato sul Journal of personality and social psychology. La realtà è quasi sempre più articolata di come riassumibile attraverso le semplificazioni e il caso in questione pare non rappresentare un’eccezione. La prima conclusione a cui sarebbero giunti Gerulf Rieger, dell’università di Essex (GB), e i suoi colleghi, risiederebbe in un assunto per il quale molto probabilmente non vi era un eccessivo bisogno di scomodare la scienza, ovvero quello secondo cui la sessualità femminile sarebbe più complessa e “sfumata” di quella maschile.
Nell’affermare però che l’eccitamento sessuale delle donne sarebbe almeno in parte slegato dal loro orientamento sessuale dichiarato e che le donne lesbiche non solo non costituirebbero un’eccezione rispetto a quelle etero, ma non sarebbero neppure connotate da una sessualità più simile a quella degli uomini in virtù di una fisionomia più mascolina, Rieger e i suoi colleghi superano i luoghi comuni e le opinioni tendenzialmente proprie dell’uomo della strada, oltre a sovvertire le ipotesi sostenute da studi precedenti.
Anche la scienza, dunque si pone a supporto di un’idea già propugnata da larga parte della politica attuale, italiana e non, in base alla quale la sessualità umana sarebbe interpretabile come un insieme di comportamenti determinati da fattori sociali e culturali, più che da pulsioni innate.
Non sappiamo se di qui a poco tempo l’enunciazione di un dato “probabilistico” come quello secondo cui la razza umana si perpetua attraverso l’incontro di due sessi differenti verrà silenziata come omofobica e sarà soggetta a sanzioni penali, anche perché non di biologia, di genetica o di giurisprudenza andremo ora a trattare, ma di un sentimento universale e indefinibile come l’amore. Su di esso Emily Dickinson disse: «Che è tutto, è tutto ciò che sappiamo dell’amore».
Proprio in simili casi, in cui le parole mostrano tutti i loro limiti nel comunicare la complessità del reale, interviene con successo la forza espressiva dell’arte e più in particolare del teatro.
In questi termini si è parlato dello spettacolo in cartellone Metafisica dell’amore in un gremitissimo Teatro Brancaccino dal 28 al 30 Dicembre 2016, ragion per cui abbiamo ritenuto opportuno non perderlo:
Uno spettacolo dedicato a chi ha ancora voglia di amare e ridere di questo disgraziato dolore che ti prende allo stomaco senza distinzione di sesso, di razza, di lingua o di religione. Un passo in più verso il rispetto, perché la discriminazione, guardata col cuore, si rivela nella sua stupidità. […] Donne che amano le donne che amano altre donne che amano tutti gli altri.
Il titolo della pièce cui alludiamo e alla quale avevamo già dedicato la nostra anteprima (clicca qui) è Metafisica dell’Amore, lavoro d’esordio della Compagnia Le Brugole e già vincitore del Premio Scintille 2011 al Festival di Asti, tornato nel 2016 alla ribalta mietendo successi in tutta Italia.
Nata nel 2011 dal sodalizio tra le due attrici Annagaia Marchioro e Roberta Lidia De Stefano, affiancate dall’autrice Giovanna Donini, salvo poi avvalersi della collaborazione con altri attori, registi, illustratori e operatori, Le Brugole è una compagnia interamente al femminile nella struttura come nei contenuti prevalentemente trattati nella relativa produzione, proseguita negli anni a seguire con Boston Marriage (2012), diretto da Vittorio Borsari, Diario di una donna diversamente etero (2014), scritto da Giovanna Donini, diretto e adattato da Paola Galassi, Per una biografia della fame (2015), ispirato al libro di Amélie Nothomb, di e con Annagaia Marchioro.
Il nome scelto per rappresentare il gruppo, spiega il vulcanico duo Marchioro-De Stefano nei primi momenti dello spettacolo, si richiama alla classica chiave “a brugola”, usata per allentare o serrare viti a testa cava esagonale e che si trova solitamente nelle scatole di montaggio degli oggetti di arredamento domestico fai da te. Ciò per sottolineare le qualità propositive e progettuali che contraddistinguono le donne nella vita come nel rapporto di coppia.
Ma c’è ancora davvero bisogno di parlare di omosessualità a teatro a questo punto della storia e, soprattutto, in cotanta apologia dell’amore saffico c’è davvero un pieno rispetto dell’amore per tutti?
Il 2016 è stato l’anno della discussa approvazione della legge Cirinnà sulle unioni civili (11 Maggio) ed è di questi giorni la notizia che la Corte di Appello di Milano ha accolto la richiesta di trascrizione dei certificati di nascita di due gemelli figli di una coppia gay italiana, nati in California grazie alla maternità surrogata. I bambini, che hanno 15 mesi, secondo la legge americana sono fratelli e hanno come genitori tutti e due i padri. In Italia possono adesso conservare il doppio cognome, ma ognuno ha un padre diverso e non sono legalmente fratelli. È un fatto che la discriminazione basata sulla sola intolleranza sociale persista in casi isolati e che essa vada contrastata con ogni mezzo, ma crediamo che esistano forme di dissenso democraticamente espresse su determinate conseguenze economiche e morali seguite all’estensione di diritti reclamati da alcuni come sacrosanti, e che esse meritino rispetto tanto quanto il diritto inviolabile di amare chi vogliamo.
Il testo teatrale, a parte il titolo che ricorda quello del saggio di Schopenhauer La metafisica dell’amore sessuale, il quale si trova nei Complementi al primo volume de Il mondo come volontà e rappresentazione, di filosofico ha ben poco. L’autore tedesco muove dalla tesi di fondo secondo la quale la passione amorosa intesa in tutte le sue forme possibili, trascende il controllo razionale ed ha un’origine e un fine comune: il sommo bene della specie. A muovere gli istinti e il sentimento amoroso è un’onnipresente Voluntas che, celata dietro la piacevole ed egoistica illusione che l’innamorato vive, è in realtà volta ad ottimizzare gli sforzi degli individui per creare le migliori condizioni ai fini della procreazione.
Quanto alla specificità dell’amore fra individui dello stesso sesso, secondo Schopenhauer quest’ultimo si manifesta con maggiore frequenza presso giovani e vecchi, in quanto in queste due categorie il seme maschile è meno radicato; ciò in pieno accordo con la Voluntas, poiché se essi procreassero genererebbero soggetti deboli e a loro volta inadatti ad essere fecondi. Perciò avviene una deviazione del loro istinto sessuale, che non costituisce un’azione contro natura, ma una potenzialità offerta dalla natura stessa. Ne è dimostrazione il fatto che l’omosessualità persiste da tempo immemorabile, e non è scomparsa neppure in contesti e in epoche in cui era proibita e punita con la pena capitale. Poco o nessuno spazio è dedicato alle donne, sulle quali il giudizio del filosofo è pressoché totalmente negativo e in parte figlio della temperie maschilista in cui visse, oltre che del cattivo rapporto con la madre. Per questo, se si eccettua l’eguale statuto (benché tragicamente illusorio) che equipara tutte le passioni amorose umane, i punti di contatto tra le discettazioni di Schopenhauer e lo spettacolo del duo comico zeligghiano Marchioro-De Stefano si esauriscono qui.
La drammaturgia di Metafisica dell’amore è imperniata su un impianto cabarettistico in cui un insieme di sketch, concepiti come una sequela di quadri comici collegati fra loro, offrono uno spaccato del mondo omosessuale femminile.
Punto di partenza è o sembra essere l’esperienza diretta delle due protagoniste che, muovendosi in una scenografia fatta solo di due sgabelli e una chitarra, racconta con garbo ed ironia le difficoltà di due adolescenti, via via divenute due donne adulte, nell’essere accettate in famiglia e nella società per la propria identità. Il fatto che le protagoniste utilizzino i loro nomi nella finzione scenica non è di per sé garanzia di realismo biografico. Il sospetto in noi nasce da momenti come quello in cui ad esempio le due giovani raccontano un’esperienza scolastica comune, cosa poco probabile, per quanto non impossibile, nel caso di due bambine nate negli angoli opposti della penisola italiana, o come quello in cui le due raccontano di aver giocato con le cassettine a nastro magnetico negli anni ’80, epoca in cui esse erano probabilmente in età troppo tenera per ricordarsene.
La prova delle attrici inizia convincendo sin dalle prime battute e prosegue in crescendo sino alla fine dello spettacolo, rompendo continuamente la quarta parete e raccontando con brio, sagacia e tempi comici perfetti una kermesse di situazioni immaginate nelle più diverse ambientazioni, come la cucina della casa di Roberta o un locale gay con luci psichedeliche. Le protagoniste, la cui complementarità del carattere è messa in risalto dal un chiasmo nell’abbigliamento (indossano ciascuna una parte del completo dell’altra su una stessa t-shirt bianca) ripercorrono così la propria storia comune, che da un periodo di legame personale si scioglie catapultandole alla ricerca di una nuova serenità interiore. Ciò le obbliga a gettarsi nel colorito vivaio popolato da maschere tipiche che strappando facilmente la risata. Non si resta indifferenti di fronte alla fragilità della “psicopatica”, al fascino zen dell’“artista” o alla caratterizzazione verdoniana della “fricchettona”.
A lasciare perplessi, tuttavia, è la scrittura frutto dell’autrice televisiva Donini e della drammaturga Francesca Tacca. Il punto forte di questo spettacolo avrebbe dovuto essere proprio il suo fondarsi sulla mancanza di limiti e confini dei sentimenti in tutte le manifestazioni della vita dell’uomo. «L’amore è un sentimento universale, tutti provano le stesse emozioni, gli stessi piaceri, gli stessi dolori: lui e lui, lei e lei, lui e lei”», dicono le due protagoniste. Peccato che a questo assunto, anche fatte salve la necessità di suscitare ilarità attraverso la sferzata ironica e la centralità della donna nello spettacolo, non corrisponda un riscontro oggettivo nel testo.
«Ognuno prende i limiti del proprio campo visivo per i confini del mondo», diciamo ancora una volta con Schopenhauer, ed evidentemente neppure il teatro de Le Brugole sfugge a questo dato di fatto. La prospettiva alquanto “fallofobica” dalla quale è osservato l’universo dei sentimenti sembra tutta basata sulla necessità di legittimazione della propria condizione, ossia quella dell’amore lesbico. Da questo punto di partenza si ironizza e si motteggia, ma per lo più sugli “altri”. Il panorama televisivo italiano di oggi, si dice sul palcoscenico, è popolato da un fior fiore di uomini… E giù un nutrito elenco di nomi e cognomi di reali personaggi dello spettacolo dichiaratamente omosessuali. Poco o nessun riguardo nei confronti dei gay maschi, messi alla berlina tanto nel loro gesticolare macchiettistico ed effeminato quanto nella loro pochezza di sentimenti. In fin dei conti sempre di uomini si tratta…
Un affresco che si attirerebbe le critiche e i j’accuse più feroci per omofobia se esso fosse provenuto da ambienti differenti da quello compiaciuto e poco eterogeneo presente al Brancaccino durante la serata. Se due gay maschi si stringono la mano e si presentano per non incontrarsi mai più solo dopo l’atto sessuale occasionale, le donne (quelle gay, non le etero, che “hanno dei problemi”) sognano, progettano, amano…
Le donne sono etero “fino a prova contraria”, dicono Le Brugole, ma bisogna rassegnarsi al fatto che esistono e ce ne sono dovunque, chiosano con malcelata rassegnazione. Se l’invito al pubblico è quello di non avere paraocchi, di andare oltre, di sperimentare nella vita come nella sessualità e nei sentimenti, è sottointeso che chi ci parla si trovi già sull’altra riva del fiume, in una condizione molto più consapevole rispetto agli “altri” retrogradi e bigotti.
Poco gradevole è anche la chiusura con il classico luogo comune del reparto di ospedale in cui una donna disperata bussa con tutte le sue forze contro le porte chiuse dell’indifferenza. Al di là di esse si trova la propria compagna che ella non può assistere per colpa dell’ottusità della legge, rispetto alla quale è soltanto un’estranea. Ad oggi non ci risulta che a qualcuno vengano chiesti la carta d’identità o il grado di parentela rispetto a un malato per far visita o assistere quest’ultimo se ricoverato in nosocomio, malgrado casi mediatici come quelli che hanno recentemente riguardato ad esempio il cantante Scialpi e il suo compagno.
Concludendo, Metafisica dell’amore è uno spettacolo buono per linguaggio drammaturgico e compostezza delle scene, ottimo per una recitazione che è frutto della già consumata esperienza delle attrici, ma limitato nei presupposti ideologici e nella conclusione leggermente stucchevole.
È possibile che i limiti sin qui esposti risiedano in realtà negli occhi di chi guarda, tanto più che chi scrive è un maschio etero (sino a prova contraria, ovviamente) e per di più biondo. Tutti fattori, questi, che lo pongono in una condizione di oggettiva difficoltà nella comprensione della realtà.
Chi apprezzi questo genere di produzioni è invitato a non perdere l’appuntamento con La Divina, nuova commedia di Alessandro Fullin in scena dal 12 al 22 Gennaio al Teatro Sala Umberto. Lo spettacolo, particolare rivisitazione della Commedia di Dante, di cui è evidente anticipazione una locandina su cui campeggia una caricatura a metà tra il Sommo Poeta e The Danish Girl, è promosso in collaborazione con Gay Village.
Noi ci auguriamo invece che Roma torni a occuparsi di vero teatro.
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