Il Brand post Coronavirus: in un panorama in estrema evoluzione, quali prospettive abbiamo dinanzi?

Il Brand post Coronavirus: in un panorama in estrema evoluzione, quali prospettive abbiamo dinanzi?

ITALIA – A tu per tu con l’autore Alberto Improda di La Rotta dei Brand nella Società dei Consumi, per avere una visione sul cambiamento provocato dall’Era del Coronavirus. Periodicamente incontro l’avvocato Improda per conoscere il suo punto di vista attraverso il design, l’arte, la moda e la cultura in generale. E dopo aver assistito alla sfilata di Giorgio Armani (trasmessa per la prima volta in diretta TV su La7), gli ho chiesto di definire l’attuale panorama del Brand post Coronavirus. E come l’ha definito? The Amazing Spider-Brand… vediamo perchè.

Il Coronavirus, in questo drammatico 2020, ha fatto il suo ingresso nelle nostre città, nelle nostre vite, nelle nostre aziende. La crisi che ne è conseguita ha fatto da catalizzatore e da acceleratore del cambiamento, in ogni ambito della società e sotto i suoi più diversi profili. Lo si realizza analizzando i dati di fatto, lo si percepisce a livello istintivo: nulla sarà più uguale a prima. E allora? Cosa succederà nei prossimi mesi? Come si trasformerà il brand post Coronavirus? E quali prospettive abbiamo dinanzi? Il panorama è in estrema evoluzione.

LA LETTERA ALLA MODA DI GIORGIO ARMANI

sfilata Giorgio Armani La7

Se volessimo individuare un elemento simbolo, per avere un emblema del cambiamento in atto, lo potremmo individuare nella nota lettera di Giorgio Armani alla rivista statunitense WWD.
In aprile, quando la pandemia era esplosa in tutta la sua gravità, il grande stilista ha preso con forza una posizione pubblica per il ripensamento del mondo della Moda.

Un ripensamento all’insegna dell’etica: impegno nella progettazione di abiti duraturi, riduzione degli sprechi, sobrietà dei costumi, rifiuto della spettacolarizzazione inutile, ritmi di vita meno disumani.

Questo episodio rappresenta la punta dell’iceberg di un fenomeno di grande ampiezza, la cartina al tornasole di una tendenza larga e trasversale.

Nel medesimo trend possiamo iscrivere le case automobilistiche che nel pubblicizzare i nuovi modelli non ne enfatizzano le prestazioni oppure il costo, bensì le motorizzazioni ecologiche (FCA, Renault, etc.), oppure celebrano il coraggio e la forza di volontà del singolo individuo (BMW); i gruppi dell’energia che si propongono come i primi difensori dell’ambiente (ENEL, ERG, etc.); le imprese dell’agroalimentare che descrivono la cucina di casa come un vero e proprio hub esperienziale (STAR), oppure esaltano la qualità delle proprie lavorazioni e/o della materie prime utilizzate (De Cecco, Zuegg, etc.); le catene della grande distribuzione che narrano le storie personali dei propri dipendenti (Amazon) o parlano della propria vicinanza al consumatore (Conad, Esselunga, etc.); e con gli esempi si potrebbe continuare a lungo.

IL BRAND POST CORONAVIRUS: LA RELAZIONE PROGRAMMATICA DI BUSINESS ROUNDTABLE

Il mondo delle imprese, insomma, è partito alla ricerca dei – oppure sta facendo ritorno ai – valori più forti: Autenticità, Trasparenza, Amore, Onestà, Serietà.
Per dirla con una parola: Sostenibilità, declinata sui versanti dell’Ambiente, dell’Economia e del Sociale.

Il 19 agosto 2019, poco più di un anno fa, la Business Roundtable, un think thank di duecento CEO del Nord America, presieduto da Jamie Dimon, numero uno della JP Morgan Chase, ha pubblicato una innovativa ed eclatante dichiarazione programmatica.

I nuovi propositi fondamentali del capitalismo americano, si legge nel documento, sono cinque: i) “Offrire valore ai nostri clienti”; ii) “Investire nei nostri dipendenti”; iii) “Trattare in modo equo ed etico con i nostri fornitori”; iv) “Supportare le comunità in cui lavoriamo”; v) “Generare valore a lungo termine per gli azionisti”.

Il valore generato dalle aziende, ribadisce il documento nella sua conclusione, deve arrivare a tutti: “ciascuno dei nostri stakeholder è essenziale. Ci impegniamo a fornire valore a tutti loro, per il futuro successo delle nostre aziende, delle nostre comunità e del nostro Paese”.

Questa dichiarazione da alcuni è stata accolta come una mera operazione di marketing, un superficiale tentativo di cosmesi reputazionale da parte delle grandi imprese USA; altri invece le hanno riconosciuto il rango di svolta storica, di pietra miliare per la costruzione di un nuovo modello economico.

IL MARCHIO DIVENTA UN MEDIUM TRA LA REALTA’ D’IMPRESA E LA COLLETTIVITA’ CIRCOSTANTE

Una riunione nello studio romano dell’avv. Alberto Improda

Fatto sta che la Sostenibilità – Ambientale, Economica e Sociale – oggi rappresenta la stella polare che indubbiamente guida e indirizza le dinamiche dell’intero universo imprenditoriale.
Un fenomeno del genere, dalla portata così ampia e significativa, apporta dei rilevanti cambiamenti anche nella vita e nella funzione del Brand.

Il Marchio, come noto, oggi non rappresenta soltanto il principale segno distintivo di un’azienda, ma ne sintetizza e simboleggia l’intero mondo valoriale.

Il Brand, in altre parole, nella società dei nostri giorni certamente vale a contrassegnare i prodotti e servizi che l’impresa propone sul mercato, però anche e soprattutto funge da elemento identificativo dei valori sposati dall’azienda e condivisi dai consumatori.

In questa prospettiva, il Marchio si pone in qualche modo come un medium tra la realtà di un’impresa e la collettività circostante, da ponte che mette questi universi in collegamento, poggiando su una medesima base valoriale.

Ecco dunque che il Brand, in virtù di meccanismi innescatisi ormai da qualche lustro e adesso oggetto di bruciante accelerazione con il Coronavirus, viene ad assumere una inedita carica di natura etica.

“I BRAND DEVONO TORNARE A CASA E PORTARE LI’ LE PERSONE”

Brand post Coronavirus

Il rapporto tra Brand, Azienda e Cittadino si è inoltre andato – e si va ulteriormente facendo – sempre più stretto, osmotico e personale.

L’identificazione tra Impresa e Marchio sembra quasi riportare il Brand indietro nel tempo, quando doveva e non poteva che essere un indicatore di origine, un mero elemento di collegamento tra un prodotto e l’azienda di provenienza.

Ha detto Paolo Iabichino: “I brand devono tornare a casa e portare lì le persone” (Il Sole 24 Ore, 11 gennaio 2019).

Il brillante creativo, invero, si esprimeva in questo modo parlando di altro e in epoca pre-Covid, ma la frase sintetizza comunque bene un concetto generale: tra Impresa e Brand c’è un collegamento quanto mai organico, che non permette intercapedini di ambiguità e spazi di distinzione; la Persona che si riconosce nella prima si identifica anche nel secondo; e viceversa.
Non è un caso che la comunicazione corporate in questa fase stia prevalendo in maniera netta su quella meramente di prodotto.

Adottare un approccio di comunicazione corporate, come spiega efficacemente Stefania Romenti, “significa comunicare l’impresa come un’entità unitaria, valorizzandone la personalità unica e l’identità distintiva, curando la coerenza delle narrative che ruotano attorno all’organizzazione, che passano attraverso diversi canali e che toccano molteplici pubblici”.

Non senza opportunamente sottolineare che “la comunicazione corporate che si afferma in questo periodo storico è fattuale, collegata ai risultati e alle evidenze facilmente verificabili dai cittadini. Le imprese devono condividere messaggi di concretezza e di profonda autentica sintonia con la realtà” (Il Sole 24 Ore, 30 maggio 2020).

IL BRAND E IL CITTADINO

Brand post Coronavirus

Se il rapporto tra Brand e Azienda è così stretto, non meno totalizzante è quello tra Brand e Cittadino.

Vittorio Cino e Andrea Fontana, in una loro recente e brillante pubblicazione, spiegano che “sempre più i brand sono sollecitati ad andare oltre i semplici interessi aziendali per partecipare da protagonisti alla costruzione di una società migliore” (Corporate Diplomacy, 2019, 59/60).

Il Consumatore, nel momento in cui stabilisce un rapporto fiduciario con un Brand, riversa sulla relativa Impresa pretese ed esigenze sempre più profonde e fondamentali.

Ha detto con espressione efficace Francesco Giorgino che “la marca, diventata costrutto socio-culturale a maggior ragione in tempi di coronavirus, ha fatto stretching” (Il Sole 24 Ore, 28 maggio 2020).
Nello snello ed acuto saggio di sopra ricordato, Vittorio Cino e Andrea Fontana fanno riferimento al “2018 Edelman Earned Brand Global Report” per enfatizzare come “i consumatori si stanno rivolgendo sempre più verso i brand come ai loro campioni, fino all’ipotesi surreale legata alla nascita di una vera e propria brand “democracy”.

La maggioranza degli intervistati, addirittura, conviene sulla circostanza che “i brand possano essere più efficaci dei governi per risolvere emergenze sociali e quasi metà di loro ritiene che i brand abbiano idee migliori o più innovative per affrontarle”.

I cittadini, insomma, “usano i brand per affermare i propri valori personali o condividere battaglie sociali e civili in cui credono” (ibidem). E questo riconoscimento alto e coinvolgente nei Brand, per questioni davvero di portata esistenziale, non è in alcun modo percepita come qualcosa di imbarazzante, riduttivo o disdicevole.

I marchi, volendo ragionare in un’ottica grossolanamente maffesoliniana, diventano una sorta di totem intorno ai quali si raccolgono e nei quali si riconoscono le “tribù” che caratterizzano la società contemporanea.

DOPO IL COVID, IL BRAND DIVENTA “NOBILE”

Brand post Coronavirus

Un simile fenomeno non ha nulla di esecrabile, ma è perfettamente connaturato al meccanismo delle “identificazioni successive”: ogni individuo è allo stesso tempo diviso al suo interno ed appartenente ad una certa gamma di “tribù”, ragion per cui gli risulta naturale modificare in continuazione le proprie appartenenze identitarie.

Ognuno di noi, scrive il sociologo francese, è spinto “a identificarsi con i prodotti più diversi: il liberalismo, l’ecologismo, i circoli di qualità, la nouvelle cuisine, l’individualismo, i pannolini Pampers e altri ancora” (Michel Maffesoli, Nel vuoto delle apparenze, 2017, 265).

Il Brand dell’era post Coronavirus si presenta dunque come qualcosa di diverso rispetto al fenomeno con il quale avevamo a che fare ad inizio 2020: una creatura più alta, più articolata, più profonda; vorrei quasi dire più nobile.

Il complesso dei valori espressi dall’Impresa trovano il loro emblema nel Marchio ed al tempo stesso coincide sempre di più con il profilo identitario del Cittadino: il Brand diviene così una sorta di Guardiano dell’Etica aziendale, una Sentinella preposta a vigilare sulla autenticità dei messaggi inviati alle Persone e sulla trasparenza dei comportamenti dell’Impresa.

Il Brand post Coronavirus certamente, in questa sua nuova dimensione, riveste un’importanza e detiene un potere come mai era avvenuto prima d’ora nella storia. Però ogni cosa ha un prezzo.

E’ stato condivisibilmente scritto che “oggi più che mai, i consumatori mostrano certamente una maggiore fiducia nei brand, ma maggiore, e più attento, è anche il giudizio che esprimono sull’atteggiamento delle imprese nei confronti del territorio, della società, della cultura: nella loro scelta di acquisto a favore di un sapone o di un paio di scarpe, soppesano anche i valori del brand e la sua coerenza con i principi per cui essi si battono o mostrano simpatia” (Vittorio Cino – Andrea Fontana, cit., 60/61).

In quanto Guardiano dell’Etica aziendale il Brand è chiamato a coerenza estrema ed onestà assoluta.

THE AMAZING SPIDER-BRAND

Come sarà il brand post Coronavirus? Per Giorgio Armani sarà un Amazing Spider-Brand

Non si scherza: il Cittadino è divenuto un osservatore straordinariamente attento e consapevole; il Consumatore si pone come un fruitore informato ed esigente.

La qualità dei prodotti, nella realtà contemporanea, per i Marchi rappresenta soltanto il minimo sindacale, il requisito di accesso – necessario ma non sufficiente – alla fiducia delle persone.

I Brand sono oggi chiamati anche – e soprattutto – a fare da garanti rispetto agli effettivi comportamenti delle imprese riguardo alla sostenibilità economica, ambientale e sociale. Devono inoltre vigilare circa le ricadute delle azioni aziendali sul territorio e nella comunità, a testimoniare la coerenza dell’operato delle imprese rispetto al mondo valoriale comunicato ed ai contenuti culturali promessi.

Non sono ammesse defezioni, non sono tollerate mancanze: come diceva Ben Parker, lo zio dell’Uomo Ragno: “from great power comes great responsability”.

Il Cittadino, così come ripone nell’Impresa e nel suo Marchio una fiducia dalla portata inedita, è pronto a punire con fermezza qualsiasi debolezza o carenza, a vendicarsi in modo esemplare di ogni tradimento.

Il Brand, fulgido Guardiano dell’Etica, oggi è da molti vissuto come sorta di supereroe; e agli eroi non sono concessi né debolezze né errori.

D’altronde, per chiudere con un sorriso e restando in tema, come dice Goblin nel film Spider Man, “quello che la gente ama più dell’eroe è vederlo cadere”.

Fabiola Cinque

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