Riflessioni sulla moda nel tempo dei virus (soprattutto di quelli che verranno)

Riflessioni sulla moda nel tempo dei virus (soprattutto di quelli che verranno)

MONDO – Il coronavirus sta provvisoriamente annichilendo anche il sistema moda. Dopo la chiusura temporanea dei punti vendita e del rallentamento delle produzioni durante il lockdown, è importante capire come i brand stanno reagendo nella fase di riapertura/rilancio del commercio.

 0. Diciamo subito che non circolano ancora molte informazioni ricche di dati probanti, relative alle questioni che in questa sede mi interessano. In compenso tutte le menti più brillanti si stanno prodigando nel tentativo di prefigurare scenari plausibili dell’impatto che avrà la pandemia Sars-cov 2 sulla nostra vita nell’immediato futuro.

1. La controversa ma necessaria fase post-lockdown di riapertura controllata delle attività legate alla moda è cominciata da poco più di un mese e, malgrado l’evidente voglia di denegare gli effetti della pandemia da parte dei giovani, la sensazione di stare brancolando tutti insieme nel buio, a volte domina sul resto dell’impasto emotivo che chiamiamo soggettività. Ma comunque vada, sappiamo o confidiamo che il desiderio di bellezza non si spegnerà e con esso ritorneranno in posizione dominante i suoi catalizzatori, tra i quali colloco gli oggetti-per-il-corpo concepiti dal vasto insieme di attività che chiamiamo moda. La domanda a questo punto potrebbe essere: che moda ci attende? Inaugurerà o si sincronizzerà con un mondo diverso da quello che abbiamo conosciuto? Per due mesi siamo stati sommersi dalle notizie correlate alla malattia, quanti contagiati, quanti morti, quanti Paesi… L’incertezza e, qualche volta, la confusione generata da scienziati e ricercatori, troppo attratti da frettolose congetture statistiche e poco propensi ad un operoso silenzio, alimentata dall’ansia giornalistica di trasformare di colpo tutto, proprio tutto, anche le sciocchezze, in informazione, ebbene ora lo possiamo affermare, forzare le chiacchiere a trasformarsi in notizie, non ci ha aiutato. Giustamente ci siamo allarmati per i rischi di default della struttura economica globale. I limiti delle leadership che dovrebbero orchestrare il mondo globalizzato ovvero l’élite politica cinese, ma anche Trump, Putin, Johnson per primi…e aggiungerei, visto il problema, anche alcuni tentennamenti  dell’OMS, hanno destabilizzato la sottile patina di fiducia che malgrado errori, crisi, ipocrisie, ci permetteva di credere possibile un mondo più forte e resiliente perché in qualche modo connesso. In questo contesto problematico, la moda, si era praticamente fermata. Per non parlare  del suo immaginario, il quale tra l’incudine di una rabbia sociale diffusa e il martello di incombenti rischi depressivi causati dall’inazione, è presto evaporato.  Quindi, a partire dall’inizio di giugno, una moltitudine di voci ha ritenuto fosse giunto il momento di parlare della ripartenza, del ricominciamento di ogni genere di attività, comprese quelle della moda. Sono apparse un po’ ovunque come fossero ineluttabili domande come: Che fare? Come riorganizzarsi? Ripartiamo da dove eravamo rimasti? Sono convinto che l’opinione generale di molti degli addetti ai lavori, sia stata espressa con la consueta lucida chiarezza di linguaggio da Giorgio Armani sulle pagine di la Repubblica: “L’errore più grande adesso sarebbe tornare a fare tutto come prima. Abbiamo l’opportunità di rallentare e riallineare, per disegnare un orizzonte più vero e riguadagnare una dimensione più umana” (il grassetto, anche nelle citazioni che seguono, è una mia sottolineatura).

la moda al tempo dei virus

Sempre sulle pagine del quotidiano citato, Patrizio Bertelli il 3 maggio mi pare andasse nella direzione delle parole del collega dichiarando: “Si aprirà una fase più prudente nei comportamento del pubblico, gli acquisti saranno più attenti ma senza un atteggiamento di austerità, lo definirei più disinvolto”. Mi pare opportuno segnalare anche le parole di Donatella Versace riportate dal Corriere della Sera del 26 marzo dal momento che presentano una visione più radicale di un possibile futuro rispetto le riflessioni di Giorgio Armani: “Di una cosa sono certa: che niente sarà più come prima”.

Seguendo questa linea di pensiero, condivise in forme discorsive diverse da una moltitudine di testimonianze, la resilienza della moda agli effetti generati dal virus Sars-cov 2, presupporrebbe una inedita regolazione del suo dispositivo che potremmo categorizzare con il concetto di lentezza e/o rallentamento del processo di modazione, in qualche modo paradossalmente confermate da una prevista disinvoltura negli acquisti (nel senso che compreremo di meno ma meglio, senza troppi patemi d’animo). A tal riguardo mi permetto di aggiungere solo un pensiero: tutto ciò che sappiamo dell’uomo in relazione ai suoi desideri fa attrito con l’ammirevole buon senso di Armani e Bertelli; chi se lo potrà permettere sarà feroce nei suoi acquisti per rimuovere in fretta lo shock del lockdown…Probabilmente, solo il segmento del lusso sarà implicato in questa crescita del desiderio operante, che ci lascia intravedere un dispositivo Moda che addirittura accelera il processo di produzione di novità (vedi addenda 1).   Comunque la vediate, sembra intuitivo comprendere che la nuova regolazione del dispositivo moda sia per tutti i player una necessità e implichi un ripensamento di tutte le sue fasi economico-finanziarie, una riorganizzazione degli ambienti produttivi (più home work ing) e distributivi (ripensare la rete di vendita in funzione dell’e-commerce), senza dimenticare il rilancio tra il grande pubblico del sex appeal aggregato agli oggetti-per-il-corpo che verranno prossimamente presentati (conviene ancora fare poche costosissime sfilate in affollate settimane della moda? Se sì, a quali condizioni? Che forma può assumere un evento come la sfilata con pochissimo pubblico? E se occorre il coinvolgimento dei social, in che modo la visualizzazione nel web retroagisce sulla struttura dell’evento?…

Di passaggio mi piace sottolineare quanto l’obiettivo di una moda resiliente metta in gioco una creatività scalare disseminata lungo tutte le fasi del progetto di riorganizzazione dei processi. D’altra parte proprio la creatività (qualsiasi sia l’idea che avete di essa) dovrebbe essere la dimensione della modazione meno compromessa dai limiti imposti dalla prevedibile malattia indotta dal virus etichettata Covid 19 . A tal riguardo posso ricordarvi le parole di Miuccia Prada e Domenico Dolce riportate in un bell’articolo redatto da Paola Pollo sulle pagine del Corriere della sera (articolo dal quale ho tratto anche la precedente citazione dedicata a Donatella Versace). La prima disse alla giornalista: “In un momento di quiete obbligata c’è più tempo per riflettere e pensare per cui questo ritiro forzato aiuta la riflessione, il pensiero e quindi anche la creatività”. Domenico Dolce invece sosteneva di non poter fare a meno del suo ufficio: “Mi piace respirare il profumo della stoffa. Non riesco a ritrovarlo a casa. Così mi alzo e vado in ufficio. Con momenti di smarrimento perché mi manca la progettualità e la fisicità. Dall’altra parte sento che la scoperta di essere così fragili allontanerà la prepotenza della finanza, del denaro, delle speculazioni. E ci ritroveremo più umani…Voglio pensare che ci ritroveremo in un nuovo Rinascimento, dove la creatività sarà al primo posto. E come sarà l’abito? Come entrerà in un negozio?. Anche questo mi chiedo”. Ricordo di passaggio a lettore che le parole di Donatella Versace, Miuccia Prada e Domenico Dolce furono pronunciate verso la fine di marzo, quando il virus stava devastando Milano e gran parte del Nord Italia. Quelle di Giorgio Armani e Patrizio Bertelli si collocano sul confine della ripartenza, dopo l’appello al Governo che il presidente della Camera della Moda italiana, Carlo Capasa, pubblicò sui maggiori quotidiani, nei concitati giorni in cui veniva presentato l’ordine delle ripartenza per tipologia di esercizio, in difesa della filiera del Made in Italy.

2. Se escludiamo l’opinione dei negazionisti tipo gilet arancioni, i quali teorizzano ben poco, limitandosi a comportarsi come se il virus Sars-cov 2 non esistesse, oppure gli scienziati che contro l’evidenza di migliaia di morti hanno dichiarato l’inesistenza del problema (per essi infatti il virus in oggetto sarebbe più o meno equiparabile a una normale influenza), ebbene mettendo da parte queste figure della stupidità umana, il resto degli intellettuali/opinion leader/creativi che si è confrontata pubblicamente col problema del post lockdown mi pare possa essere divisa in due schieramenti: innanzitutto ci sono quelli che hanno profetizzato un cambiamento radicale della nostra forma di vita; per contro, ma sono stati molti di meno, vanno collocati i personaggi che pur riconoscendo la pericolosità del virus hanno dichiarato il loro scetticismo riguardo una modificazione di grande portata del nostro mondo.

I primi, hanno diffuso l’idea che il mondo non sarà come prima. I secondi hanno risposto attenuando di gran lunga il senso di questa formula epocale, dicendo per esempio, e cito lo scrittore Michel Houellebecq: ….non credo neanche per mezzo secondo alle dichiarazioni del genere “niente sarà come prima”. Al contrario, tutto resterà esattamente uguale (1).

Il lettore interessato alle previsioni dei profeti dell’imminente cambiamento, consiglio la lettura del bel libro edito da la Repubblica intitolato “Il mondo che sarà. Il futuro dopo il virus”. Nel testo in oggetto sono ripubblicate interviste a intellettuali, scienziati, filosofi, economisti di grande notorietà. Per esempio J.Rifkin, da decenni impegnato a narrare scenari futuri in tutte le direzioni. Riguardo il post-virus, il celebre futurologo parla di una diminuzione di sprechi e consumi, oltre a inedite misure di distanziamento sociale che cambieranno l’ingaggio prossemico e cinestetico tra la gente. Il premio Nobel per l’economia J.E.Stigliz  invece mette in primo piano la necessità degli investimenti nella ricerca scientifica e rispolvera un argomento sempre presente nei suoi interventi pubblici: più tasse per i ricchi e difesa dell’economia delle persone in difficoltà. Il filosofo S. Zikek vede un nuovo comunismo germogliare dal virus. A questo punto, pensatela pure come una par condicio, vi riporto un passaggio dell’intervista a Papa Francesco: “Ho chiesto al Signore di fermare l’epidemia: Signore, fermala con la tua mano. Ho pregato per questo”.  Per farla breve, quasi tutti gli interventi riportati nel libro mettono sotto accusa la globalizzazione, auspicando una sua radicale revisione e, come scrive A.Baricco, alimentano l’idea che “È probabile che l’emergenza Covid 19 finirà per rivelarsi come un crinale storico di immensa portata”.  A tal riguardo D. Quammen, autore nel 2012 di un bestseller il cui tema era proprio una pandemia (Spillover, Adelphi), dice : “La diffidenza verso la scienza e l’impazienza di negarla per credere in qualunque cosa meglio faccia il gioco di pregiudizi politici di un leader o partito…riducono le nostre chances di combattere il Climate Change così come il Covid 19. L’altra connessione tra coronavirus e cambiamento climatico è che hanno in fondo le stesse cause: le dimensioni della popolazione umana e l’insaziabile fame dei nostri consumi”. Vale la pena di sottolineare anche le parole di J,Diamond, dal momento che evocano una insidiosa previsione: È già ora di cominciare a pensare alla possibilità di un nuovo virus…bisogna che pensiamo ora al virus del futuro perché all’epoca della Sars, nel 2004, non abbiamo pensato alla successiva possibile epidemia. Così, pur potendolo fare, non abbiamo evitato l’odierna epidemia da Covid 19, che con quasi assoluta certezza è emersa seguendo la stessa dinamica della Sars”.

 

Devo dire che raramente mi è capitato di leggere con reverenza una vasta rassegna di opinioni predittive per molti rispetti in linea con le mie riflessioni e, al tempo stesso di percepirvi l’ombra del dissidio. Come ho scritto sopra, la significazione olistica della raccolta di interviste potremmo sintetizzarla con la preposizione dichiarativa “Niente sarà come prima”, ovviamente lasciando ragionevolmente aperta la questione del “meglio” o “peggio”, fatalmente ancorata alle decisioni politico/economiche e ai comportamenti che da esse discenderanno. Ma è proprio la visione del futuro emergente dalle parole degli intervistati a farmi problema. Personalmente propendo per una lettura alla Michel Houellebecq che, lo ripeto, parte da una dichiarazione opposta o contraria. Sostanzialmente lo scrittore francese non nega il cambiamento imposto dal coronavirus, ma la sua visione del futuro propende a considerarlo un acceleratore di processi già in atto da decenni e non il catalizzatore di una necessaria “rivoluzione”. Per esempio, gli effetti nefasti della globalizzazione erano noti da tempo, il riscaldamento globale e rischi connessi non lo dobbiamo al virus, le polemiche sulla erosione delle libertà dovuta alla digitalizzazione è un argomento ben precedente la pandemia, l’ombra gettata sulle democrazie da nuove forme di totalitarismo era ben visibile prima delle misure di contenimento della pandemia.

Quindi, e lo dico ora con le parole del filosofo Michel Onfray, il mondo post-lock-lockdown sarà…lo stesso ma peggiore.Modificherà il lavoro, l’insegnamento, i viaggi, gli spostamenti, le relazioni intersoggettive, gli equilibri tra città e campagna, il telelavoro, la sostituzione della “presenza” con la “distanza” aumenterà il potere della società del controllo che ha raccolto il testimone della vecchia società totalitaria. (La Repubblica 13 giugno 2020 pag.27).

moda nel tempo dei virus

 

3. Chiedo scusa al lettore che si chiederà le ragioni della lunga digressione. Ma vorrei ricordare a chi pensa la moda nei termini di un insieme di fatti, esperienze, emozioni autonome rispetto ad altre considerate primarie, o peggio come un mondo effimero, vorrei ricordare dicevo, quanto essa risulti strettamente connessa con i problemi che investono il corpo, la salute, l’economia generale e la governance politico/economica delle forme di vita all’interno delle quali opera. Non c’è dubbio sul fatto che la pandemia abbia fatto precipitare l’intero settore in uno stato di crisi senza precedenti. E l’attuale fase post lockdown costringerà brand, manager, stilisti a prendere posizione a partire dalle considerazioni generali che discendono dai due ipotetici schieramenti che ho precedentemente delineato: niente sarà come prima presuppone un futuro completamente disancorato dal passato; in questo contesto il cambiamento sembrerebbe implicare una inedita assunzione di rischi e svolte radicali; il suo opposto, saremo uguali, soltanto un po’ peggiori, potrà sembrarvi indigeribile per lo scetticismo che di certo non dissimula, ma al tempo stesso mi appare più realista e pragmatico dal momento che implica una più raffinata regolazione di un processo i cui determinanti rimangono quelli che erano prima dell’infezione.

Facciamo degli esempi. Non è vero che con la pandemia la moda si sia fermata. Durante il lockdown le vendite on line hanno avuto incrementi del 100%. Ma sono decenni che l’e-commerce aumenta progressivamente i suoi ricavi. Quindi non è stato il virus a generarlo. Siamo di fronte ad una accelerazione di un processo già in atto da tempo. È chiaro che relativamente al futuro della moda, possiamo immaginare che manager preparati, nell’immediato futuro investano più risorse nel digitale e cerchino di sfruttare con cognizione di causa influencers e social. Ci sarà certamente uno spostamento delle risorse pubblicitarie dall’off line al web. Possiamo immaginare un futuro con più tecnologie digitali nelle aziende, nuove figure aziendali verranno incorporate tra le risorse umane e così via. Lavoreremo di più dalle nostre case. Ma ancora una volta mi chiedo: dove sta la novità, la “rivoluzione”? Non è quanto ci raccontavano i sapientoni da almeno una decina di anni?

Un’altro degli argomenti preferiti tra chi prevede cambiamenti rivoluzionari è relativo alle regole di contenimento della pandemia, diffuse tra i pubblici con formula “distanziamento sociale”. È fin troppo ovvio che tali precauzioni obblighino a una diversa configurazione degli spazi di vendita e a un ingaggio percettivo dal sapore diverso con l’oggetto moda. Si prevedono meno clienti presenti simultaneamente nelle boutique e una minore libertà di azione: non potremo toccare abiti e tessuti come prima, la presenza attiva degli addetti sarà accentuata.

Indubbiamente queste regole di ingaggio interferiscono con la libertà di movimento alla quale eravamo abituati. Mi rifiuto però di considerare tutto ciò una “rivoluzione”. Salvo considerare il probabile aumento dell’appeal dell’on line come qualcosa di concettualmente nuovo.

moda nel tempo dei virus

C’è da dire però che una riorganizzazione della rete di vendita sarà una decisione operativa che prenderanno tutti i responsabili commerciali delle aziende. Ma considero tutto ciò conforme alla costante manutenzione strategica da sempre attiva tra i manager più efficienti. Insomma, fa parte del gioco adattare la rete di vendita a cambiamenti di ogni genere. Si può immaginare che la rete di negozi del lusso (di solito allocati nei punti migliori delle città) nella fase post-lockdown, raccoglieranno l’interesse di molti clienti desiderosi di lasciarsi alle spalle i mesi senza acquisti. Per preservare l’esperienza elitaria programmata dai brand del lusso, occorrerà gestire gli ingressi e le dinamiche dei clienti con attenzione. Ma personalmente non vedo alcuna rivoluzione in arrivo. Per i negozi di gamma inferiore il discorso cambia radicalmente. I costi della crisi saranno ingenti soprattutto per la classe media e medio bassa. È scontato prevedere in questo segmento una forte riduzione degli acquisti. Probabilmente molte catene di negozi per il pubblico medio o low cost dovranno ridimensionarsi. Tra l’altro è in questo segmento che l’e-commerce erode progressivamente fatturati all’off-line.

Collegato al principio di precauzione nella forma del “distanziamento sociale” troviamo l’uso delle mascherine. Anche in questo caso i fautori del “mondo nuovo” hanno profetizzato cambiamenti radicali nell’esperienza dei modanti. È più ragionevole pensare che anche la mascherina verrà indossata non solo per rispetto e protezione degli altri, ma anche come un capo d’abbigliamento con quel minimo di affettazione che appartiene ai riflessi condizionati della moda (ho già visto in circolazione mascherine intonate con il look, indossate con eccessiva disinvoltura, compresa quella malizia estetica, segno inequivocabile del supplemento di funzione orientato ai giochi di esibizione sociale). In sintesi dunque, distanziamento sociale e volto mascherato in che modo incideranno sui fatti di moda?

Immaginiamo che il sistema mente/cervello si adegui a percepire mediamente “l’altro” distanziato di due metri circa (evento prossemico molto improbabile tra l’altro, visto che i giovani sembrano fregarsene alla grande delle precauzioni anti Covid 19 suggerite dagli esperti). Cosa cambia per la moda? A voler essere pignoli si può certamente sostenere che eventi di massa caratterizzati dal piacere del contatto con “l’altro” da quali discendeva l’estesia fusionale sulla quale Michel Maffesoli ha scritto pagine memorabili (2), verranno ridimensionati. Penso alle discoteche, ai concerti, ai cinema novecenteschi…ma anche alle affollatissime sfilate dei grandi brand… evidentemente fino a quando non avremo il vaccino l’effetto murato per il pubblico dovrà essere seriamente limitato.

Non credo che tutto ciò comprometta scopi e fini della moda. Ammetto di essere di parte, ovvero detesto gli affollamenti, mi irritano i bacetti distribuiti a pioggia come tanti dolcetti, le sfregatine, le toccatine mi fanno imbestialire, quindi un metro in più del solito “dall’altro” non mi disturba affatto. Ma aldilà delle mie preferenze sono convinto che dare seppur forzatamente un nuovo senso alla distanza dal mio simile non indebolisca bensì rafforzi la moda. Voglio dire che maggior spazio tra le persone significa anche una percezione della bellezza meno compromessa dall’appiccicoso e vitalistico piacere di prossimità, tipico degli eventi studiatamente affollati, che fomenta un certo disordine sensoriale a scapito di un più armonioso ordine estetico.

Il distanziamento, ammesso vengano rispettate le indicazioni degli esperti, non significa affatto solitudine e rischi di crisi depressive. Tutti i rituali di esibizione e le qualità percettive come il fascino, l’eleganza, lo stile, possono seppur rimodulati, continuare ad essere motori interiori del desiderio di moda. A tal riguardo aggiungo una notazione. È pur vero che durante fasi più drammatiche della pandemia ci siamo chiesti se la ripartenza, quando sarebbe giunta, non dovesse scontare una drammatica caduta del desiderio (di moda). A tal riguardo, con lo sguardo rivolto al passato mi pare sia possibile immaginare il contrario. La Storia ci insegna che dopo i due tremendi conflitti mondiali del novecento, il primo seguito da una pandemia, la tragica spagnola (30 milioni di morti nel mondo), spinse l’Occidente nei favolosi anni venti. Il secondo conflitto mondiale generò uno sviluppo economico travolgente e una effervescenza di desideri culminata nei rivoluzionari anni sessanta. Ora, le due decadi citatate, venti/sessanta, vengono ricordate dagli studiosi del costume come momenti decisivi per l’integrazione della moda come motore per lo sviluppo della società. Possiamo quindi congetturare che la conseguenza e l’eventuale convivenza con Sars-cov 2 (in attesa del vaccino), non renda probabile una caduta del desiderio, bensì una sua trasformazione.

moda nel tempo dei virus

Il lettore attento, a questo punto, potrebbe obiettarmi: ma allora, sulla scorta delle tue ultime parole, come fai a negare la possibilità  di una nuova rivoluzione (nel campo della moda)? Come la metti con la tua adesione alla formula: saremo uguali, soltanto un po’ peggiori? Io credo che sia un errore rimuovere il fatto che le conseguenze dell’impatto del virus mettano a fuoco il campo di fenomeni sui quali, nel recente passato, abbiamo tergiversato nell’intervenire con decisione o addirittura fatto errori da non ripetere. Saremo uguali, significa dunque riconoscere che il virus non è una anomalia, ma fa parte del sostrato biologico del pianeta del quale conoscevamo bene le criticità. Perché saremo un po’ peggiori? La risposta è semplice: prima eravamo fondamentalmente incazzati, irascibili, sempre meno tolleranti…non vedo come il virus possa averci migliorati. Prevedo una radicalizzazione dell’ambivalenza dei nostri desideri e di conseguenza la propensione sia nel drammatizzare anche le cazzate, sia nell’attribuire fiducia immediata a ogni narrazione che cauterizzi provvisoriamente la ferita interiore dalla quale fuoriescono pulsioni dai bordi instabili.

Bene, per tornare alle basi pulsionali della moda, la domanda ora è: in quale direzione verrà spinto il desiderio? Se partiamo con l’osservare il modante con le lenti del passato, come ho già detto sopra, è lecito attendersi maggiore desiderio di acquisto. Ma a questo punto bisogna introdurre la variabile economica. Per la maggioranza delle persone il ripristino del potenziane d’acquisto pre=pandemia non sarà scontato né a breve scadenza. Avremo il segmento del lusso conclamato che probabilmente incontrerà clienti addirittura più ricchi e determinati nei loro acquisti. Per contro ciò che potremmo chiamare lusso intermedio e accessibile non potrà che attraversare un momento di drammatica flessione. L’attuale crisi costringerà gran parte dei brand a rivedere le proprie modalità organizzative in funzione di una “resilienza” che tutti oggi proclamano, auspicano e cercano, senza avere ben chiara la semantica aperta della parola: resilienti sono i materiali da costruzione, concepiti per resistere  meglio a urti e degrado…Dietro all’uso della metafora si intravede il mito della robustezza. Tanto per essere chiari, relativamente alla moda e al suo contesto economico e sociale, la robustezza e anche la resilienza sono una illusione.  Ritorniamo alla domanda sul desiderio e osserviamola ora dal punto di vista di chi ha tecniche, mezzi e risorse per dare ad esso una direzione. Conviene a tutti cominciare a pensare fenomeni come la recente pandemia, mettendola in correlazione con i modi della globalizzazione e il problema più grave che l’umanità deve affrontare ovvero il riscaldamento climatico. Il virus dalla Cina, in pochissimo tempo è arrivato in tutto il mondo. Mi pare chiaro che senza il mercato globale gli sviluppi dell’epidemia avrebbero avuto una progressione più lenta e gestibile. Dobbiamo forse mettere in discussione l’interconnessione delle economie? Il populismo dilagante dice di sì. Io sostengo invece che abbiamo bisogno di una maggiore globalizzazione, ovvero l’interconnessione non deve essere solo guidata dal mercatismo ma anche da protocolli rigidi che investono questioni fondamentali legate alla vita o alla morte di un gran numero di persone. Le reticenze del governo cinese nel fornire tutte le informazioni possibili nel più breve tempo possibile sono state la concausa dell’enorme estensione della pandemia. L’atteggiamento di totale noncuranza verso la scienza di personaggi di enorme responsabilità come Donald Tramp, Boris Johnson, Jair Bolsonaro non dovrebbe essere tollerata. Ma inutile farsi illusioni: la governance politica segue le sue logiche quasi mai lungimiranti. E poi, in definitiva, la maggioranza delle persone che conosco sono inclini a selezionare narrazioni sulla base della loro conformità ai propri pregiudizi e non a mettere al primo posto le informazioni scientifiche, quindi, e mi scuso per il mio cinismo, non sono meglio dei rappresentanti politici citati.

Tuttavia, mi piace pensare che lo shock dovuto al virus e alla percezione dell’inadeguatezza della nostra sopravvaluta forma di vita, abbia depositato tra numerosi soggetti una sorta di bisogno di congruità, di chiarezza…mi piacerebbe poter dire, di verità, ma forse esagero.

Ecco perché ritengo che il modo in cui nei prossimi mesi i brand della moda si presenteranno ai loro pubblici, probabilmente sarà più decisivo rispetto ai loro colpi creativi.

Proprio perché sappiamo quanto sia infido, stressante e in definitiva deludente il campo delle decisioni politiche, cercheremo nella moda un supporto che crei un bordo per il nostro desiderio, al quale aggrapparsi per sentirsi attraversati da quella corrente di eccitamento che ci dona la feconda illusione di essere di nuovo nel gioco di una socialità come individui.

Incazzati o depressi, suppongo che molti clienti saranno animati da un sentimento di partecipazione ai problemi globali che la pandemia ha incuneato di forza nelle nostre vita. In pratica a cosa voglio alludere? Mettiamola giù così: vinceranno i brand che si assumeranno l’onere di una presenza etica tra i propri pubblici più consistente rispetto al recente passato. So benissimo che si tratta di un percorso che molte aziende hanno già intrapreso da almeno un paio di decenni. Ma non credo di esagerare se affermo che nella maggioranza dei casi i cosiddetti protocolli etici finivano per rivelarsi solo dichiarazioni di buone intenzioni. La mia idea è che nell’immediato futuro sceglieremo gli oggetti che ci rendono più piacevole la vita, preferendo tra essi quelli supportati dalle narrazioni in qualche modo collegate con il campo dei problemi di tutti (vedi addenda 2).

Saremo inclini a credere nel nuovo immaginario configurato dalle politiche dei brand. Avremo bisogno di crederci. Ma quando per qualsivoglia motivo ci sentiremo delusi o gabbati reagiremo con molta più intransigenza rispetto al passato (i social della rete, tra l’altro, sembrano un dispositivo perfetto per le ondate pulsionali di soggetti inclini a debordamenti continui dalla creduloneria all’indignazione).

4. Abbiamo visto sopra come la pandemia abbia forzato anche i protagonisti della moda a porsi la domanda: che mondo ci attende? Sarà migliore o peggiore di quello che abbiamo conosciuto? Cambieremo tutto o al contrario dovremo calibrare una nuova giustezza in tutte le fasi della modazione?

Se il mondo che ci attende sarà quello di prima, solamente più confuso; se noi saremo gli stessi, soltanto un po’ peggiori, quali potrebbero essere le qualità emergenti utili per sincronizzare i processi della modazione a mutamenti di cui non conosciamo la fine?

La risposta a queste domande ha recentemente posto in primo piano la previsione o l’attesa di una qualità emergente etichettata lentezza. L’idea di fondo che a molti la rende auspicabile è più meno questa: abbiamo disordinato troppo la logica dei processi moda…è giunta l’ora di rallentare il suo complesso ordine dei fattori. Cosa significa concretamente? Più ordine che disordine nelle collezioni, meno spettacolo fine a se stesso nelle sfilate, una creatività più armoniosa che dirompente, meno punti vendita (ridimensionamento della rete di negozi) ma configurazione di ambienti con più socialità (pur con tutte le precauzioni rese necessarie dalla pandemia), una globalizzazione meno destabilizzante, e così via….

La lentezza sembra decisamente una qualità conforme al momento congiunturale che stiamo attraversando. I miei dubbi sono relativi al fatto che interpretata in questo modo corre il rischio di essere fondamentalmente una parola-narrazione, che presa isolatamente, alla fine di tutto il bla bla bla risulti poco conforme ai fatti. Si perché pare ovvio che un certo ordine di decisioni debbano essere prese velocemente; altrettanto ovvia mi pare l’erosione che il digitale, il web, ha inflitto al mondo off line, e il digitale non tollera lentezze, bensì reclama la gestione di processi complessi costantemente sottoposti a rischi esponenziali. Penso anche alla pregnanza di qualità come la consistenza (intendendo con essa la durata della vita di un oggetto moda).. e poi perché non la precisione? Un guardaroba efficiente non dipende dalla quantità degli acquisti e in ultima istanza nemmeno dalla qualità de capi, bensì dal suo essere conforme a uno stile di vita. La precisione, tra l’altro, si sposa bene con un’altra qualità che definirei riciclabilità dell’oggetto, intesa non solo come possibilità da parte dell’industria di riutilizzare l’eventuale capo d’abbigliamento o la trasparenza dei processi produttivi, ma anche la possibilità per il cliente di restituirlo e cambiarlo (senza perdere troppi soldi). E infine, che effetto avrà tra la massa dei modanti, avere vissuto l’esperienza dell’effetto tuta-tutto-il-giorno, per giorni, settimane forse mesi? L’ingaggio percettivo dell’anti-look comodoso, semplice e di minimo impatto simbolico, dopo il lockdown, sarà subito rimosso dalle forze passionali con le quali opera la moda (seduzione, glamour, chic, shock etc.) oppure diventerà stile di vita? Lentezza, consistenza, precisione, riciclabilità, comodità a mio avviso hanno tra loro una relazione del tipo somiglianza di famiglia (Wittgenstein) ovvero tendono a correlarsi e a rafforzarsi, generando a livello olistico (forma di comportamento) una propensione o disposizione a narcotizzare o addirittura rifiutare i giochi di moda in qualche modo riconducibili all’esibizione del sè, all’apparire.

Evidentemente, le considerazioni sopra, vanno contestualizzate. In altre parole a me sembrano conformi alla sensibilità di parte del pubblico occidentale. Ma la moda agisce su scala globale e quindi su mercati eterogenei per cultura, disposizioni e desideri. In alcune parti del mondo ciò che Vleben definiva “consumo vistoso” possiede note semantiche ed esperenziali molto diverse dal modo di significare gli atti di consumo del soggetto europeo. È lecito attendersi che per Cina, Oriente, Russia il lusso in sé (autonomo dalla regolazione etica, voglio dire) abbia una resilienza più robusta rispetto all’Occidente. Da ciò discende uno scenario post-lockdown sostanzialmente diverso.

Comunque sarebbe un grave errore da parte dei brand sottovalutare la probabilissima conseguenza de-modalizzante dei lockdown che ho descritto in termini virtuosi. Anche perché, e mi ripeto volentieri, la disposizione di cui ho parlato sopra, sembra possedere una porta ben aperta sul fronte dell’etica ecologica. E solo gli idioti possono pensare e agire come se il riscaldamento globale fosse soltanto una fastidiosa, nevrotica ossessione di scienziati tristi.

Infatti, sappiamo tutti che le ipotetiche virtuosità sulle quali mi sono soffermato, rientrano nel citatissimo paradigma della sostenibilità detto anche green. I brand della moda si sono adattati da tempo a questo nuovo paradigma. Ma il fatto che tutti o quasi i protagonisti della moda parlino da almeno un paio di decenni della sostenibilità, all’interno di un contesto sempre meno sostenibile, dovrebbe allertarci sull’effettiva valenza di questa parola-narrazione e spingerci a chiederci se possiamo ancora darle credito.

A volte cambiare il lessico aiuta a vedere meglio i problemi. A tal riguardo proporrei come cornice di scenari futuri il concetto di “moda anti-fragile”. Ovviamente spero che sappiate tutti che si tratta di una categoria di pensiero resa pertinente, per affrontare i problemi più gravi di una società complessa, grazie alle riflessioni di Nassir Taleb (3).

Più che insistere sulla resilienza io credo che sia l’anti=fragilità la qualità emergente da trasformare in progetto strategico. La globalizzazione ci sta dando più problemi che risposte (pensate all’aumento delle diseguaglianze, alle ondate migratorie, al depauperamento delle risorse primarie); gli spillover tra organismi viventi che per ora ci hanno regalato ospiti inattesi come Ebola, Sars, Sars-Cov 2 (in un paio di decenni), ma certamente non è finita qui, la stessa rivoluzione digitale che pur ha trasformato le nostre vite, ebbene tutte queste esperienze del nostro tempo, oltre a scombussolare l’economia, hanno depositato in noi il sentimento di essere estremamente fragili perché sottoposti a eventi stressanti (non facilmente prevedibili).

Allora, ispirandomi ai citati lavori di Taleb, trovo stimolante pensare che ci occorrano dispositivi/disposizioni che non considerino lo stress un nemico bensì il carburante per fare funzionare meglio i motori della sopravvivenza. È anti-fragile tutto ciò che non teme stress.

Dal momento che è facilmente prevedibile l’aumento di tensività a tutti i livelli, trovo conforto nell’idea di euristiche configurate attraverso una più raffinata regolazione tra il passato (tutti i nostri problemi più gravi hanno una “storia” fatta di errori e tentativi di soluzione) e un approccio al futuro nel quale conviene imparare a dimensionare i rischi (in particolare quelli esponenziali).

Cosa può suggerire l’anti-fragilità a chi opera nella moda? Taleb parla di strategia del bilanciere, ovvero fuor di metafora, di un modus operandi che tiene in somma considerazione le pratiche o le soluzioni che hanno dalla loro parte il tempo (tutto ciò che funziona da tanto tempo ha maggiori probabilità di sopravvivere rispetto a ciò che è nuovo), mixandole con una piccola quota di decisioni ad altissimo rischio. Per esempio, tanto per farmi capire meglio, immaginiamo di dover effettuare un investimento finanziario. La strategia del bilanciere consiste nell’investire gran parte del nostro capitale, diciamo il 90% in qualcosa di molto sicuro e riservare un 10% per investimenti ad alto rischio. Evidentemente trasferire queste indicazioni nel campo della moda non è semplice.

Però se mi metto nei panni di uno stilista, l’idea che una collezione debba essere per gran parte rispettosa della storia del mio brand (e dei miei clienti) e per una quota minore assolutamente nuova e rischiosa, a mio avviso è anti-fragile se paragonata alle strategie che privilegiano l’identità di superficie (concetto novecentesco divenuto quant’altrimai fragile) o alle rivoluzioni creative permanenti spacciate per avanguardia (quasi sempre poco più di buffonate da sfilata).

Se chi opera nella moda invece suturarsi il sistema mente/cervello con le cosiddette tendenze cominciasse a ragionare in termini di probabilità e di calcolo del rischio, oltre ad evitare le legioni di ciarlatani che come parassiti si sono embedded nel sistema, agirebbe nella direzione dell’anti-fragilità. Soprattutto la governance finanziaria delle aziende-moda, dovrebbe muoversi in direzione dell’anti-fragilità che, lo ripeto, non significa cancellare le dimensioni rischiose (illudendosi di essere resilienti), bensì il contrario, ovvero prendersi dei rischi (evitando quelli letali).

Insomma, per farla breve, Taleb ci invita ad evitare le soluzioni mediane, tipo un po’ di questo e un po’ di quello e poi visto che lo fanno gli altri un po’ di quest’altro ancora, credendo così di evitare ogni rischio,  tipiche delle decisioni nelle quali nessuno in realtà ci mette la faccia. Riconoscere le proprie fragilità e trasformarle in qualcosa di anti-fragile a me pare il vaccino migliore per una moda che con la pandemia può diventare più forte, autorevole, rispettata.

 

NOTE

1) Michel Houellebecq, Saremo uguali, soltanto un po’ peggiori, la Repubblica, 5 maggio 2020, pag. 30-31;

2) Michel Maffesoli, Au creux des apparences, Plon, 1990;

3) Nel libro “Il mondo che sarà” (la Repubblica) che ho citato, troverete anche l’intervista a Nassim Nicholas Taleb. Ho tenuto il suo nome a parte, dal momento che, aldilà della sintesi giornalistica, in realtà mi ha ispirato la lettura del suo “Antifragile” (il Saggiatore, 2013).

 

Addenda:

1. Alcuni dati post-lockdown possono esemplificare lo scenario al quale alludo nella prima parte dell’articolo. In Cina a Maggio/Giugno 2020 la vendita di auto di alta gamma è cresciuta del 20% rispetto il 2019. La BMW ha rilasciato dichiarazioni nelle quali si afferma che il business in quell’area ora va meglio rispetto agli anni pre-virus. Per quanto riguarda i grandi marchi della moda i fatturati sono ancora più esplosivi. Cito come esempio il +60% di Prada. Sulla stampa sono apparse altre notizie che confermano la brama di acquisti del consumatore cinese: a Shanghai, Dior, Gucci, Hermes sono stati costretti  limitare gli ingressi nei negozi non per il Covid 19, ma per preservare la qualità dell’esperienza offerta dai brand, di fronte a moltitudini di clienti. Per contro, il resto della popolazione, diciamo 80%, si è trovata con il 30% degli stipendi tagliati. Circa 600 milioni di cinesi hanno oggi un reddito annuo di circa 1500 euro (il prezzo di una borsa brandizzata). Il reddito medio di tutti i cinesi supera di poco i 3000 euro annui. A milioni non hanno più un lavoro e vengono invitati dal Governo a rispolverare mestieri del passato come l’ambulantato. Allargando la visione all’Occidente, ai miei occhi, la situazione che ho descritto, potrebbe significare il serio rischio che il post virus venga dominato dall’economia della diseguaglianza (non mitigata dagli aumenti di produttività globali che a partire dalla seconda parte del novecento hanno permesso di aggregare in occidente il consenso democratico: le diseguaglianze sono crescite ma con esse anche il benessere medio della maggioranza dei cittadini), con gli inevitabili conflitti sociali che da essa discendono.

2. Le perplessità sulla effettiva portata etica delle presunte iniziative o protocolli delle aziende moda vogliono essere uno stimolo a perseguire una strada che molti brand stanno intraprendendo. E certamente non mi rendono cieco di fronte ai lodevoli tentativi che alcuni di essi stanno mettendo in campo. Per esempio il Fashion Pact di Parigi 2019 (in occasione del G7) ovvero l’impegno che alcuni grandi brand si sono imposti per ridurre l’inquinamento nel settore Moda/tessile. Sarebbe però importante in questi casi proporre al pubblico anche i target che si vogliono raggiungere e le metriche relative affinché i giornalisti più attenti e in seconda battuta il pubblico possano controllarne l’effettiva concretezza.

3. Iniziai a scrivere questo articolo durante l’ultimo lockdown, quando non ci potevamo muovere. Lo terminai dopo qualche settimana dalla cosiddetta riapertura. Non trovo strano che rileggendolo oggi scopra tra le pieghe delle mie parole soprattutto una alternanza di pessimismo e di speranza, apparentemente poco conforme ai modi della razionalità. Vivevo un’esperienza mai vissuta prima e non avevo dati o metriche per corroborare le mie idee. Tuttavia posso ora dire che se l’Università di Oxford, da sempre attenta alle parole emergenti tra i parlanti di lingua inglese, ha annunciato che una delle parole chiavi del 1922 è Goblin Mode, allora, una sostanziosa parte delle mie dichiarazioni non erano solo fantasiose congetture. Con questa espressione si vuole alludere alla persistenza anche dopo la fine dell’emergenza Covid , di scelte comportamentali apparentemente anti-fashion maturate in una fase caratterizzata dall’impossibilità di esibirsi in pubblico.
Da dove viene la parola? Pare che sia apparsa la prima volta su Twitter nel 2009, quando i trendsetter generazionali avevano ancora davanti agli occhi le apparenze straccione degli hobbit resi famosi dalla trilogia del Signore degli anelli. La parola in oggetto ha galleggiato nel web per un decennio per infine esplodere nel 1922, quando i clic sono improvvisamente divenuto esponenziali.
Molti commentatori hanno subito correlato la goblin mode con una sorta di ribellione contro la moda. Lo sbattersene delle pseudo regole del decoro e dell’eleganza, nella post modernità inscritte nei codici comportamentali dai dispositivi della moda ufficiale, è certamente un fatto non privo di interesse. Ma attenzione a non sopravvalutare l’impatto di queste parole che di anno in anno cambiano. La moda è un sistema poliforme o polimorfo capace di orchestrare, ibridare, fondere gli stili apparentemente più lontani. Il movimento hippy, il punk, lo Street Style l’inizio erano dichiaratamente anti-fashion. In pochissimo tempo sono divenuti uno dei fattori creativi del business della moda più performanti. Quindi figuriamoci se un grande brand si fa spaventare da gente in tuta o apparentemente indifferente ai suoi proclami. La tuta o il comodoso può tranquillamente diventare un oggetto con le distinzioni tipiche del lusso accessibile. L’apparente indifferenza (per modi codificati) può essere sfruttata per generare sorpresa, attenzione, desiderio. Il goblin mode diventerà subito goblin fashion. Anzi, mi correggo, è già successo (pensate a quante imperfezioni circolano tra i creativi di moda). Prendiamo atto dunque che quasi sempre le parole arrivano sempre dopo.

Lamberto Cantoni
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62 Responses to "Riflessioni sulla moda nel tempo dei virus (soprattutto di quelli che verranno)"

  1. mauri   3 Luglio 2020 at 10:43

    Io sono uno di quelli che sostengono che il corona cambierà tutto. Apprezzo l’argomentazione dell’autore ma non la trovo convincente. Siamo nel bel mezzo di una rivoluzione e prima ce ne rendiamo conto e meglio sarà. Credo anche che la lentezza sarà una necessità e al tempo stesso una imposizione determinata dalla crisi in atto. L’antifragilità è una bella trovata ma la considero troppo speculativa.

    Rispondi
    • ann   3 Luglio 2020 at 17:23

      Anch’io ero pessimista. Ora molto meno. La moda non credo cambierà molto. La gente non va nei negozi soprattutto perché mancano i soldi. Sulla lentezza sono d’accordo con chi ha scritto l’art., presa da sola non significa molto. Sono d’accordo anche sul maggiore coinvolgimento degli stilisti sui problemi di tutti. Non so se sia un problema di etica ma viviamo tutti nello stesso mondo e vanno premiate le aziende che ce lo dimostrano.

      Rispondi
      • Antonio Bramclet
        Antonio   3 Luglio 2020 at 19:32

        Hai ragione Ann, ma come facciamo a sapere che quello che gli stilisti dicono di fare per il pianeta è vero? E poi mi chiedo: quando recitiamo la parte del consumatore siamo proprio così disponibili ad essere etici? O scegliamo ciò che ci piace e conviene? La Covid è una gran disgrazia ma non è detto che duri all’infinito. Arriverà il vaccino. Gli unici cambiamenti che vedo dipendono dall’economista. Meno soldi in giro per via della crisi e meno moda medio bassa verrà consumata. Penso sia fisiologico. Chi continuerà a fare business rilancerà con i suoi acquisti soprattutto il lusso. Non credo proprio che per solidarietà con gli sfigati diverrà una persona morigerata. Cosa c’è di nuovo in tutto questo?

        Rispondi
  2. lucio   4 Luglio 2020 at 11:22

    Il virus non è sparito. Basta leggere i giornali con le notizie dei nuovi focolai. La moda deve guardare più lontano del solito. La ristrutturazione del business non dovrebbe essere pensata come qualcosa di provvisorio. Non so se ho capito cosa significa anti fragile, ma a naso è una strategia giusta.

    Rispondi
    • Lamberto Cantoni
      Lamberto Cantoni   5 Luglio 2020 at 09:47

      Ovviamente sono d’accordo con quello che dici. La moda non ha bisogno di rivoluzioni, parola dal sapore ottocentesco che lascio agli idioti. Ha bisogno invece di scelte coraggiose e di protagonisti che che amino e al tempo stesso rispettino il rischio. Sull’anti fragilità ti consiglio di leggere il libro di Taleb dal quale traggo questa citazione: “Il fatto che coloro dai quali traiamo più benefici non siano soltanto quelli che cercano di aiutarci (per esempio con un CONSIGLIO), ma le persone che hanno provato a danneggiarci, e alla fine non i sono riuscite, è alquanto sconcertante”.

      Rispondi
    • mauri   6 Luglio 2020 at 17:04

      Il mondo dovrebbe rallentare. La qualità da riscoprire è la lentezza. Non solo nella moda !!!

      Rispondi
      • Antonio Bramclet
        Antonio   6 Luglio 2020 at 17:18

        Come facciamo a rallentare la moda o il sistema? Ho il timore che sia solo una bella parola che oggi ci piace perché veniamo da un secolo vissuto nel mito della velocità. Come si fa a fermare miliardi di persone? Non è realistico.

        Rispondi
        • ann   6 Luglio 2020 at 18:48

          carissimi, il virus a quanto pare c’è riuscito.Però tutti si lamentavano della ritrovata lentezza!!!

          Rispondi
      • Lamberto Cantoni
        Lamberto Cantoni   7 Luglio 2020 at 12:03

        Io credo che tutte le fasi temporali che chiamiamo “crisi” ci costringano a cambiare la regolazione di ciò che fa funzionare la nostra forma di vita. È così da sempre. Non nego che ogni crisi abbia la sua specificità. Una pandemia è diversa da una crisi economica. Le regole di interazione tra le persone devono essere riviste. Emergono problemi psicologici di difficile interpretazione. La paura (di essere contagiati) dai nostri simili mette in crisi il contratto fiduciario con l’altro che gioca un ruolo importante per la vita affettiva e di lavoro di tutti.
        Tuttavia vedo con sospetto l’uso smodato della parola “rivoluzione” dal momento che, dal punto di vista storico, essa partiva dal fare tabula rasa di tutto ciò che funzionava da standard, con l’ambizione di costruire una mondo nuovo, un soggetto nuovo. Lo sappiamo tutti cosa hanno realmente prodotto i “rivoluzionari” e personalmente non ci trovo nulla di desiderabile nelle loro arroganti visioni.
        Immaginare per contro, che una crisi, possa essere affrontata agendo empiricamente su pezzi di reale cambiando il loro modo di funzionare non ha nulla di teleologico, ma punta a verifiche di efficacia, diffonde l’idea che il campo delle pratiche è più decisivo di quello delle ideologie.
        Parlare di lentezza in un mondo che ha opposto il web all’immobilismo generato dal virus mi sembra incomprensibile. Noi controlliamo processi da grande distanza e lo facciamo sempre più velocemente. Certo abbiamo il dovere di chiederci dove tutto ciò ci porterà e se ci conviene esasperare la digitalizzazione del mondo e delle relazioni. Ma a tutt’oggi non possiamo dire che è prevedibile un mondo più lento. Anzi tutto ciò che è lento sembra un problema (come il tappo burocratico che ha ingessato il nostro Paese). Possiamo usare con appropriatezza il concetto di lentezza solo se specifichiamo con precisione il contesto di intervento. Per esempio, dare più durata all’oggetto moda (rallentandone il ricambio) può avere senso, a patto di accelerare i tempi necessari affinché la maggioranza della gente possa avere accesso alla qualità migliorata dei prodotti. Ovvero più lavoro e più soldi in tasca alla gente.

        Rispondi
  3. enzo   6 Luglio 2020 at 08:48

    Non capisco le remore dell’autore sulla rivoluzione, è solo una parola. Se non possiamo usarla per le devastazioni del Sars cov quando dovremmo?

    Rispondi
    • Lamberto Cantoni
      Lamberto Cantoni   7 Luglio 2020 at 18:32

      Cosa vuoi farci, nella mia vita l’ho vista usare soprattutto da cretini. Comunque sono d’accordo…in definitiva è solo una parola. Tuttavia non dovremmo mai dimenticare quanto le parole possano sia consentirci di cambiare il mondo e sia di alterarne la cognizione aprendo la strada a falsi miti.

      Rispondi
  4. james   9 Luglio 2020 at 10:28

    Argomento all’ordine del giorno. Solo due cose: la vera crisi deve ancora arrivare e la moda a parte qualche intervista non è che brilli per interventi o altro. Parliamoci chiaro, che cosa possono fare gli stilisti?

    Rispondi
    • Lamberto Cantoni
      Lamberto Cantoni   9 Luglio 2020 at 17:45

      Non possiamo certo chiedergli il vaccino contro il virus. Tuttavia potremmo auspicare una disponibilità dei brand a non comunicare scemenze, banalità e puro godimento nel consumo. Non credo sia idealistico chiedergli di esplorare la creatività favorevole a un immaginario in qualche modo “responsabile”. Io credo sia nel loro interesse.
      Va anche detto che nel nome della sostenibilità sono state fatte tante cose. Bisogna dare continuità a questi progetti e farli divenire qualcosa che i consumatori percepiscono come parte integrante dell’identità del brand.
      Io non sottovaluterei la straordinaria influenza che gli attori principali della moda possono avere per una moltitudine di soggetti. Ti ricordo infine che in Italia il sistema produttivo legato alla moda (la famosa filiera) ha una consistenza industriale notevole. Come tutti i comparti che consumano energia, inquinano e contribuiscono a degradare l’ambiente, anche la moda deve impegnarsi a ridurli, per raggiungere la fatidica soglia che ci sgraverebbe da fortissimi rischi di implosione dell’umanità così come la nostra generazione l’ha conosciuta, rischi letali che oggi gli esperti collocano in un tempo sempre più vicino al nostro presente.

      Rispondi
  5. valeria   10 Luglio 2020 at 17:43

    La pandemia ci ha cambiati. Non saremo né peggiori né migliori, saremo diversi. Non credo che si possa paragonare la pandemia ad una guerra, la pandemia é la disfatta dell’uomo da parte della natura, un metterlo di fronte non solo alla sua precarietà personale ma a quella dell’intera umanità. Sulla pandemia abbiamo ascoltato tutto e il contrario di tutto” brancolando nel buio”per mesi (e forse lo stiamo ancora facendo). Per superare l’isolamento imposto ci siamo re-inventati, siamo diventati più creativi (ricette di cucina, canzoni, ricamo ecc ecc), ma anche più critici, più riflessivi. I nostri acquisti sono più ponderati e quindi più lenti, più pensati. Sono aumentate le vendite sul web e senz’altro sono destinate ad aumentare: chi ha voglia ora di entrare in negozi con mascherina, guanti, disinfettante…?
    Molte persone hanno lavorato da casa, probabilmente molti continueranno a farlo: questo significa una scelta diversa di capi d’abbigliamento, non più la quantità (mi cambio per andare al lavoro) ma la qualità, ovvero voglio capi consoni al mio stile di vita, alla vita che ho scelgo finito il lavoro (per lo sport, per il teatro, per frequentazioni con amici, per serate all’opera…). Ritornerà, secondo me, l’eleganza, la “bella moda” dei capi non d’impatto, non usa e getta, ma durevoli nel tempo, ricercati e curati nei particolari. La bellezza é sempre armonia e l’armonia a sua volta é equilibrio. Equilibrio con noi stessi ma anche equilibrio con la natura e tra esseri umani. Siamo diventati più critici e non sopportiamo le delusioni. Le aziende devono dare ciò che ci promettono, devono ponderare le loro offerte.
    Tutto tornerà com’era?
    Personalmente non credo, per lo meno non in tempi brevi.
    “Perché tutto torni come prima, tutto deve cambiare”, é scritto nel Gattopardo.
    Ma troppe, troppe cose devono cambiare:
    Devono cambiare i rapporti tra paesi ricchi e i paesi poveri, il grado di istruzione, l’ecologia, ….tutte le cose di cui abbiamo preso coscienza in questi mesi.
    La moda stessa deve cambiare non solo nelle proposte finali ma in tutto il suo sistema industriale.
    Grazie per l’articolo ricco e completo di molte sensibili riflessioni.

    Rispondi
    • Lamberto Cantoni
      Lamberto Cantoni   11 Luglio 2020 at 10:37

      Apprezzo la saggezza di Valeria. Ovviamente sottoscrivo tutto quello che ha scritto sull’abbigliamento futuro. Come auspicio, voglio dire. Purtroppo non sono un saggio e mi viene spontaneo immaginare che l’ipotesi peggiore non debba essere sottovalutata. Armonia, bellezza,,equilibrio sono qualità rare e improbabili per noi esseri umani. Preferisco pensare che fondamentalmente siamo degli immerdatori e quindi la questione è: come la limitiamo? Come la raccogliamo? Dove la mettiamo?
      La moda per troppo tempo ha limitato la sua visione sulle dimensioni ideali della sua estetica…eleganza, bellezza, novità…è ora che ragioni sui residui che l’idealizzazione ha sistematicamente rimosso.

      Rispondi
  6. Giulia Cantoni   10 Dicembre 2022 at 16:39

    La pandemia ha rappresentato sicuramente un periodo della nostra vita vissuto in slow motion, rallentando/frenando le nostre attività odierne.
    Per mesi siamo scivolati in un tunnel oscuro dove le nostre libertà erano limitate.
    Sono d’accordo con l’affermazione che “niente sarà più come prima”, sebbene ci vogliamo lasciare alle spalle questo brutto periodo penso che allo stesso modo sia essenziale ricordarlo in quanto siamo in una fase di cambiamento o meglio di adattamento al nostro presente.
    E giusto pensare al nostro futuro ma non possiamo neanche sottovalutare il nostro presente, poichè non si può ancora mettere la parola fine al periodo pandemico.
    “Può darsi che non siate responsabili per la situazione in cui vi trovate, ma lo diventerete se non fate nulla per cambiarla.”
    Contrariamente alla citazione che ho appena citato di Martin Luther King, durante la pandemia ho percepito che la mia vita mi stesse scivolando dalle mani o meglio di vivere passivamente quel periodo e non sono l’unica dei miei coetanei ad aver percepito questo malessere/ crisi d’identità che ha avuto forti conseguenze sulla mia personalità.
    Comunque è impossibile tornare come prima, (a meno che Christopher Lloyd non ci insegni come viaggiare nel passato) anche se nel periodo post lock-down si desiderava ritrovare una certa normalità nella nostra vita, ho percepito che più qualche cambiamento era in atto.
    Ho riscontrato soprattutto nelle piattaforme dei social-network un’esigenza di creare nuovi contenuti, prendendo come ispirazione la loro esperienza del lock-down.
    “Goblin mode” rappresenta perfettamente la password, la chiave di volta per comprendere più a fondo questo capitolo della nostra vita, ma non solo, anche dopo l’emergenza pandemica si ha approfittato questa parola per “normalizzare” alcune sensibilità.
    Piccolo esempio: durante la nostra lunga permanenza a casa molti aspetti riguardante la nostra estetica sono stati trascurati (come prendersi cura del nostro corpo facendo sport o anche banalmente radersi) e nei social ho visto molte persone che hanno iniziato quasi ogni giorno a postare foto (risaltando tutte quelle imperfezioni del nostro corpo che generalmente preferiamo nascondere perchè considerato nella nostra società “anti-estetico”) generando una rivoluzione contro i canoni standard di bellezza.
    Ovviamente queste forme di pensiero sono da sempre esistite, ma mai le ho percepite in prima persona.
    Di conseguenza si è creata una tendenza ed alcuni brand non se l’hanno fatto ripetere due volte per includere questo concetto nelle loro collezioni, accentuando le “imperfezioni” e le forme del nostro corpo in maniera esagerata per farci comprendere quel concetto del “è importante accettare le nostre imperfezioni senza vergognarcene”
    Di fronte a un nuovo cambiamento le aziende di moda devono prestare attenzione alle esigenze del target, come “less is more” : i consumatori preferiscono capi di lunga durata, di maggior qualità e prodotti sempre rispettando l’ambiente.
    Il mondo digitale ha avuto il predominio durante il 2020 e così lo shopping online, le sfilate in live streaming guardate nello schermo del dispositivo o i video a 360 gradi che consentono allo spettatore di guardare in tutte le direzioni.(come se fosse presente anche lui nel video)
    Così la fisicità che tanto ci mancava l’abbiamo ritrovata per mezzo della tecnologia.

    Rispondi
  7. Gloria2405   12 Dicembre 2022 at 00:15

    Leggere ora, nel 2022 (quasi 2023), un articolo scritto nel 2020 è un vero e proprio salto nel tempo.
    Tutte le incognite riguardanti il modo in cui si sarebbe palesato il mondo post-pandemico ora sembrano del tutto retoriche. Tornerà tutto come prima?
    Dopo ben tre anni non si può di certo affermare di aver visto una completa ripresa di tutte le attività e non si può negare (neanche i più indenni) che la pandemia da Covid abbia lasciato il segno, una bruciatura che in superficie sembra molto meno grave di quello che è in realtà.
    Aggiungo, inoltre, che la parte peggiore non è stato il momento in cui la bruciatura è stata inflitta, il vero dolore arriverà con il tempo della guarigione.
    La lenta e graduale ripresa mondiale fa parte del periodo di guarigione ed è il più difficile.
    Abbiamo “brancolato nel buio” per un anno buono, quando nemmeno gli “addetti ai lavori” non sapevano che pesci prendere mandando in fumo anche l’ultima briciola della speranza di essere qualcosa di più di organismi in questo mondo, di avere potere su accaduti di questa portata; invece “Matrigna” Natura ci ha preso tutti per il bavero.
    Indipendentemente se vediate o meno la pandemia da Covid 19 come una punizione o un avvertimento da parte della natura, è impossibile negare che abbia mosso qualcosa.
    Siamo cambiati, questo è certo.
    Molti hanno cambiato lavoro e altrettanti svolgono attività che nell’epoca pre-covid non esistevano nemmeno, altri sono passati allo smart-working, altri ancora hanno abbandonato i negozi fisici per dar sfogo allo shopping online, Amazon ha avuto il suo momento di massimo splendore, alcuni hanno compiuto il fatidico “glow up”, e così via.
    C’è però necessità di osservare in maniera più ampia il quadro generale affinché avvenga il vero e definitivo cambiamento, l’intero sistema.
    L’ingranaggio dell’intera economia globale, il mercato, lo sfruttamento delle risorse e della manodopera, i rapporti fra paesi, la tutela dell’ambiente…
    Pensiamo a quando solamente nei primi mesi di quarantena assoluta, con negozi e fabbriche spente ad Hong Kong si potevano vedere le stelle, ma quindi è proprio l’uomo l’unica sostanza tossica che la natura vuole rimuovere?
    Per questo è assolutamente necessario cogliere l’opportunità di un cambiamento, dataci purtroppo da un avvenimento così sconvolgente come una pandemia.

    Rispondi
    • Lamberto Cantoni
      Lamberto Cantoni   12 Dicembre 2022 at 09:57

      Boh! Non so dove prendi le informazioni, ma considerare retorici ragionamenti sul virus del ‘20 in una situazione caratterizzata dalla comparsa di nuove varianti e da quotidiani segnali di allerta divulgati da operatori sanitari in prima linea nella lotta contro il COVID, sembra una leggerezza discutibile. Ti ricordo che in Cina, la cui economia è cruciale per il nostro export, i lockdown sono talmente rigidi da causare mobilitazioni sociali che in quel grande paese non si vedevano dagli eventi di piazza Tienammein. Il nostro Presidente Mattarella è bloccato dal covid. L’obbligo di usare la mascherina sta per essere ripristinato. Potrei continuare a lungo…Mi sorprende il fatto che il resto del tuo ragionamento mi pare confermi la profondità del trauma subito. Allora, se c’è stato il trauma, possiamo considerare retorici i tentativi di analizzarne gli effetti?

      Rispondi
  8. Ilenia   12 Dicembre 2022 at 08:31

    Secondo la moda che ci attende è una moda comoda ed elegante che ci soddisfi in ogni situazione anche stando comodamente a casa.
    Comunque credo che il covid abbia destabilizzato molto il mondo della moda facendo capire quando sia “stupido” pensare già a due a due con ile stagioni, visto che si sono dovuti fermare hanno capito che è meglio rallentare sono d’accordo con Giorgio Armani e con le sue parole, e sicuramente tutto non sarà come prima. Poi penso che Fendi abbia fatto bene a creare questa mascherina prima che arrivasse con prepotenza a il covid anche se loro l’hanno interpretato come un accessorio moda senza filtri che filtrano l’aria.

    Rispondi
  9. Elisabetta Ferrucci (LABA)   12 Dicembre 2022 at 20:11

    Siamo arrivati alla fine del 2022 e, rileggere un articolo risalente al 2020, porta sicuramente alla memoria tanti ricordi. L’articolo risale a uno dei periodi più significativi della storia degli ultimi decenni, periodo nel quale ci siamo ritrovati intrappolati in casa da un giorno all’altro per via di un nemico sconosciuto e invisibile: il covid 19. Sui giornali, in tv e sui social non si parlava d’altro e tutti attendevamo con ansia dai nostri divani maggiori notizie riguardo a quello che stava succedendo (credendo così a tutte le sciocchezze che ci venivano raccontate). Ad oggi, a pochi giorni dall’inizio del 2023, parlare di covid è diventato quasi fuori moda, nonostante il virus non sia ancora sparito. L’articolo ci parla di due schieramenti di pensiero: c’è chi credeva che il virus avrebbe portato cambiamenti radicali e chi, invece, sosteneva che non ci sarebbero state modificazioni importanti e, personalmente, ad oggi credo che un cambiamento nelle nostre vite c’è stato. siamo sempre stati abituati a vivere vite frenetiche, continuamente in movimento e costantemente ritardo sulla tabella di marcia e, essere obbligati a fermarsi da un momento all’altro, indubbiamente ha cambiato qualcosa in noi. Il covid ci ha potato consapevolezza (della nostra impotenza davanti alla maestosità della natura, dei nostri errori) ma anche dubbi; ci ha portati a confrontarci con noi stessi in modo intimo, ma ha anche portato tanta confusione e domande su quello che sarebbe stato il nostro futuro. In base a ciò, sono d’accordo con la visione di Donatella Versace che sosteneva che nulla sarebbe stato come prima dopo la pandemia; anche se per il mondo dell’alta moda non vi è stata questa grande differenza (se non un incremento delle vendite on-line). Concordo quindi con l’idea che l’alta moda non abbia subito grani cambiamenti ma, purtroppo, non si può dire lo stesso per le piccole realtà che ad oggi stanno affrontando grandi difficoltà a causa della crisi economica scaturita dai mesi di inattività. Per quanto riguarda il concetto della “goblin mode” e lo sbattersene delle pseudo regole del decoro e dell’eleganza, sicuramente tutti quanti durante questi mesi ci siamo abituati al comfort della tuta e del pigiama ma, non per questo abbiamo rinunciato al glamour anzi, non appena ci è stato possibile abbiamo sfoggiato i nostri look migliori (probabilmente indossando i capi acquistati on line per passare il tempo in pandemia). Ovviamente a tutti noi è mancato uscire di casa per indossare i nostri vestiti più belli, i vestiti che ci fanno stare bene, ma credo che ci sia mancato soprattutto per la lontananza dai nostri cari (amici, parenti, fidanzati); d’altronde come sosteneva il grande Yves Saint Laurent “l’abito migliore per una donna sono le braccia dell’uomo amato” (egli aggiungeva inoltre: “per chi non ha avuto questa fortuna, ci sono io”).

    Rispondi
    • Lamberto Cantoni
      Lamberto Cantoni   13 Dicembre 2022 at 10:05

      Suggestiva la cit di YSL. L’ipotesi del goblin Style non vuole tanto negare la possibilità dell’uso dei nostri vestiti più belli, bensì annunciare una nuova assiologia che prevede uno spostamento verso l’alto di modi d’apparire sin qui confinati nel privato. A tal riguardo mi sono chiesto: dov’è la novità? Più di mezzo secolo or sono, Susan Sontag terminava l’intervento sul Camp con queste parole: “È bello perché è orribile”. Allora, è vero che la trascuratezza in sé non è Camp. Tuttavia se stilizzata può rompere l’equilibrio dei valori estetici attuali e marcare una reazione a forme moda divenute incompatibili con la sensibilità post pandemia.
      D’altronde rilevare che un evento traumatico impatti sul processo percettivo grazie al quale incorporiamo oggetti, è quasi una ovvietà.

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  10. Giada   12 Dicembre 2022 at 21:18

    Leggere questo articolo e i commenti risalenti a qualche anno addietro fanno riflettere molto su come ci fosse una sorta di “capodanno” di buoni propositi. Il cambiamento in seguito a una crisi, di qualsiasi matrice, è inevitabile, ma in questo caso è come studiare la storia per non ripetere gli stessi errori, indossando però dei paraocchi. Dal comprare online, il quale era un fenomeno già in voga e in via di sviluppo, alla cosiddetta moda green, la quale sembrerebbe ancora solo una facciata per “soddisfare” il compratore, sembra che ci sia la volontà di far tornare tutto come prima. Vedendo i comportamenti dei compratori ciò che è più durevole è ben visto, ma se il prezzo sul mercato non soddisfa il proprio portafoglio, sarà sempre sottomesso al consumismo e a ciò che fa più comodo. “Less is more” non può funzionare nelle mani dei colossi del fast fashion, nonostante in questo ultimo anno si è visto anche un ritorno del “second hand” e del materiale riciclato all’interno delle industrie, che prima di allinearsi con un’economia green deve andare oltre. Inoltre stiamo assistendo al fenomeno del goblin mode, il quale sicuramente innescherà un profondo cambiamento all’interno dell’alta moda e della domanda sul mercato, perché forse saremo uguali, soltanto un po’ peggiori.

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  11. Serena Gentilini   12 Dicembre 2022 at 22:27

    E’ probabile che l’epoca del Covid sarà descritta nei futuri testi di storia come quell’evento che ha sconvolto e cambiato l’umanità sia dal punto di vista etico-morale che dal punto di vista economico e aziendale. Ma quello che io ho credo personalmente è che questo sia solo una MOMENTANEA tendenza al miglioramento.
    Non credo che l’uomo in questo momento storico abbia l’intenzione e le capacità di evolvere realmente verso un miglioramento per la salvaguardia dell’ambiente e dell’umanità stessa.
    Mi sto quindi riferendo alle attuali proposte eco-friendly del mondo fashion.
    Ritengo sia più probabile che gran parte dei brands proponga questo tipo di prodotti per fare presa sul consumatore, che magari si sente anche più tranquillo nel comprare compulsivamente “perchè tanto compra capi sostenibili”.
    Faccio fatica ad immaginare che in questo secolo queste innovazioni eco sostenibili siano destinate a persistere efficacemente; così come credo che la più elevata consapevolezza che il complesso periodo del covid ha generato in considerevole parte dell’umanità, sia anch’essa stata effimera.
    Penso che per il momento, per gran parte del mondo del fashion, il denaro venga comunque prima dell’ambiente.
    Se ci sarà un REALE e durevole progresso dal punto di vista di sostenibilità sarà comunque determinato dalle tendenze stesse della moda piuttosto che dall’etica umana.
    Ad esempio In questo momento i capi second-hand risultano essere in voga, ma ciò che spinge gran parte dei compratori a questa scelta non è da collegarsi ai loro valori, ma piuttosto al loro desiderio di essere alla moda.
    Questo ovviamente non significa che non ci siano anche svariate persone consapevoli che scelgono di non promuovere l’inarrestabile fast fashion. Ma non credo nemmeno che il Covid abbia sconvolto l’etica del compratore e nemmeno gli aspetti di essa che si incrociano con l’economia e quindi con le aziende.
    E’ da sperarsi perciò che questo nuovo gusto per il vintage e per il second-hand persista nel tempo.

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  12. Emilia Gregori (LABA)   12 Dicembre 2022 at 23:36

    Io credo che il Covid abbia portato dei cambiamenti in un po’ tutti gli ambiti della nostra vita, ciò non vuol dire per forza delle innovazioni, ma semplicemente, come spiega anche l’articolo, potrebbe aver accelerato dei processi che comunque stavano avvenendo.
    Sicuramente il mondo della moda si è dovuto adeguare a tutte le problematiche connesse al virus, ma di certo non è stato, a mio parere, uno dei settori che ne ha sofferto di più; basti vedere le mascherine usate come nuovo accessorio.
    Il covid, come altri eventi avvenuti in passato, potrebbe aver portato ad un grande boom nel mondo della moda e forse anche alla riscoperta di vecchi valori magari in una chiave più moderna.

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  13. Gaia   13 Dicembre 2022 at 00:54

    Questo mostro,chiamato covid di cui ci conviviamo da quasi tre anni come uno scheletro nell’armadio ha fatto fare i conti a tutti noi,ad ogni settore di questa vita noi compresi come nella moda,come letto da questo articolo ci si è dovuti fermare,ridimensionare,fare i conti con quello che accadeva e rimboccarci le maniche e come dice questa frase “L’errore più grande adesso sarebbe tornare a fare tutto come prima. Abbiamo l’opportunità di rallentare e riallineare, per disegnare un orizzonte più vero e riguadagnare una dimensione più umana”
    Fermandosi un mondo intero e diversi settori della nostra economia,ognuno di loro come nello specifico la moda,ha avuto modo e tempo per ridare un nuovo nome ed identità alla moda capendo e concependo gli errori fatti prima e il nuovo bisogno attuale che doveva avere la moda nel mondo e i nuovi consumatori post covid che sarebbero stati diversi da quelli di prima,disinvoltura degli acquisti.
    C’è stato un cambiamento radicale nella moda,uno stop quasi crudo alla produzione,alla creatività e agli acquisti dove ogni designer ha dovuto dar nuova luce a quello che proponevano in un futuro migliore da quello che il presente dava come insegnamento.
    “In un momento di quiete obbligata c’è più tempo per riflettere e pensare per cui questo ritiro forzato aiuta la riflessione, il pensiero e quindi anche la creatività”.
    Tempo per riflettere e più tempo per provvedere ad una nuova scalata post Covid sensibilizzando il nuovo mondo lasciato prima che ora non sarà mai quello di prima ma quello di domani.

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  14. Jacopo Isabettini   13 Dicembre 2022 at 10:22

    Credo che il covid, come tutti pensano, abbia di gran lunga cambiato un po’ i nostri stili di vita e di come approcciamo con il “mondo esterno”. Secondo il mio parere il mondo della moda non ha sofferto questo cambio “di rotta” se così si vuol dire. Come si può vedere la mascherina come nuovo accessorio della vita quotidiana, o anche i nuovi “vestiti/divise contro il contagio” di questo virus.

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  15. Sebastiano Zanon   13 Dicembre 2022 at 11:22

    Ormai ci possiamo considerare fuori dalla profonda crisi di pandemia che ha colpito il mondo in questi ultimi due anni e molte domande che vengono poste nel testo ora trovano una risposta. Il covid ci ha fatto fermare e ripartire, pensare per poter realizzare, ragionare e sviluppare. Concordo molto con le parole di Versace in quanto l’importanza di avere una pausa per capire come ripartire nel migliore dei modi a volte è necessaria.
    Ci tengo molto ad approfondire l’aspetto climatico, come dopo essere usciti di casa ci si è accorti del leggero miglioramento che c’è stato e anche le grandi case di moda hanno iniziato a sviluppare un nuovo modello di business, rivolto ad un pubblico ecosostenibile, utilizzando fibre naturali, riciclando, senza sfruttamento. Questo spesso ci viene esposto innalzando il valore ecologico del brand. Allora ci si chiede: ma gli acquirenti sono ecosostenibili come i venditori? Vista l’esponenziale crescita di grandi marchi come Gucci, Balenciaga, Moncler ecc.(brand che puntano alla sostenibilità) possiamo vedere che anche i compratori continuano o aumentano gli acquisti, rispettando l’ambiente.
    Una visione più ampia e degli approfondimenti sul tema clima sono sicuramente stati fatti, c’è ancora molto da migliorare (tipo eliminare le catene fast fashion), ma credo che l’uomo oltre a distruggere può anche creare. Si sta sviluppando un senso critico tale da poter portare dei miglioramenti, sia all’ambiente che a noi stessi.

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  16. Virginia   13 Dicembre 2022 at 15:20

    Rileggendo questo articolo dopo 2 anni, anche se il COVID non ci ha abbandonato completamente, vedo che molti dei “buoni propositi” di cui tutti parlavano non sono stati rispettati del tutto.
    Si parlava di una rivoluzione totale in vista di un Mondo sicuramente molto più sostenibile e questo in parte è stato fatto: molti brand, anche quelli di fast-fashion, hanno iniziato a fare delle collezioni con materiali riciclati e questo sicuramente è un fattore molto positivo perché qualsiasi consumatore, anche chi non si può permettere di comprare da maison di lusso, può dare il suo contibuto acquistando queste collezioni sicuramente un po’ più sostenibili, anche se ci sarebbe un bel da dire sulla sostenibilità del fast-fashion. Non bastano soltanto alcune collezioni con materiali riciclati ma piuttosto bisognerebbe andare a guardare quanto queste industrie inquinano e qual’è la condizione dei lavoratori.
    A seguito della Pandemia, nel mondo della moda, come in quasi tutti i settori, si è sviluppato moltissimo il mondo online Pitti per esempio ha deciso di dare vita a progetti online, paralleli a quelli fisici che permettono di rivivere l’esperienza della fiera fisica con video e report quotidiani, e contenuti multimediali in pubblicazione durante e dopo la chiusura del salone. Questo ha portato un incremento importante sia di visitatori che di buyers.
    Il mondo moda ai tempi della Pandemia si è fermata e si è dovuta riadattare e, una volta finita questa situazione, mentre noi abbiamo iniziato a prendere più consapevolezza di quali sono i brand etici e quali meno, si è capito che bisogna tornare con meno stravaganza.

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  17. Francesco Casadei   13 Dicembre 2022 at 22:06

    Effettivamente riguardo al Covid,mi viene in mente, quell’ansia giornalistica di dover trasformare di colpo tutto, anche le sciocchezze in informazione di cui parlava all’inizio che in un certo senso, si è riversata in me (“spaventandomi”) nel momento di dover decidere se, ne valesse la pena, seguire la mia più grande passione,quindi addentrarmi negli studi di un settore, che probabilmente con il progredire di quel virus, sarebbe andato in decadenza. Indubbiamente la mia forte convinzione che tutto ciò non accada ha prevalso, infatti mi ritrovo oggi a studiare quello che un domani spero mi servirà per poi lavorare all’interno del settore.

    Condivido fortemente (se non ho capito male) che “solo il segmento del lusso sarà implicato in questa crescita del desiderio operante” (ovvero,che i benestanti in modo feroce facciano acquisti per rimuovere in fretta lo shock del lockdown) dato che, immagino che le classi medie e medio-basse oltre all’adattarsi alle problematiche di vario tipo che sono sorte con il virus, abbiano abbandonato il concetto di vestirsi con un senso, se non di limitarsi a stare in pigiama, lavorando da casa.

    Conviene ancora fare poche costosissime sfilate in affollate settimane della moda? Se sì, a quali condizioni? Che forma può assumere un evento come la sfilata con pochissimo pubblico? Mi permetto di rispondere a queste domande, anche se non ho nessuna competenza, ma durante il periodo di segregazione in casa, stando inevitabilemente il doppio del tempo sui social, ho assistito in diretta a diverse sfilate, cosa che prima i profili social dei grandi brand (PRADA, BALENCIAGA, YSL, GIVENCHY, VETEMENTS ecc) (che seguo su instangram) non avevano mai offerto prima, quindi hanno dato la possibilità a migliaia di utenti di poter vedere in diretta, le loro sfilate e anche qualche “dietro le quinte”. Che dire… magari ci si allontana dall’esclusività di poter partecipare ad un evento così, ma penso che con il passo (digitale) che stiamo prendendo possa fruire e andare in contro anche in questo modo.

    Le parole di Miuccia P. “In un momento di quiete obbligata c’è più tempo per riflettere e pensare per cui questo ritiro forzato aiuta la riflessione, il pensiero e quindi anche la creatività”, sto pensando di tatuarmele.

    Ad ogni modo penso che il Covid ci abbia portati ad una “velocizzazione” della fase risolutiva di un problema quindi inevitabilmente, sono dalla parte di chi sostiene che il mondo sotto svariatissimi aspetti non potrà mai essere come prima.
    La mascherina non metto in dubbio che venga indossata per rispetto e protezione degli altri, ma che arrivi ad essere parte del nostro outifit, quindi considerata un capo d’abbigliamento, non la vedo come un vero e prorpio elemento rivoluzionario risultato dalla pandemia, ma più come una forzatura, probabilemente per ricordare e non dimenticare questo virus?
    La distruzione che del due Guerre passate portarono, nelle due rispettive decadi, venti/sessanta, vengono ricordate dagli studiosi del costume come momenti decisivi per l’integrazione della moda come motore per lo sviluppo della società, però ritengo che ci sia una lontananza tra quella ripresa e quella che vivremo noi, semplicemente per la diversità d’epoche, ci sono troppe differenze, ma non metto in dubbio però che una traformazione in un modo o nell’altro avvenga.
    Se questa pandemia come elemento rivoluzionario, ci porterà alla soluzione definitiva del “green”, andando verso la salvaguardia dell’ambiente, sarebbe un passo notevole… anzi essenziale.
    Riconoscere le proprie fragilità e trasformarle in qualcosa di anti-fragile condivido assolutamente che possa essere il vaccino migliore per una moda che con la pandemia può diventare più forte.

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    • Lamberto Cantoni
      Lamberto Cantoni   14 Dicembre 2022 at 08:21

      Il tuo script è gravido di buon senso. Apprezzo il riferimento al tuo sentire come reazione al lockdown. Le note sulla sfilata virtuale e l’ingaggio dei social sono temi importanti che hai opportunamente segnalato. Sul fatto che il virus e la pandemia portino “alla soluzione finale il green”, mi permetto di avere dei dubbi.
      In vita mia non ho mai visto andare di moda le idee o gli abiti buoni, belli e giusti. Nella moda, da decenni, vince sempre il “cattivo”, il “trasgressivo”, il “provocante” etc.etc.etc. Sono convinto anch’io che prima o poi arriveremo alla dominanza del “sostenibile”;ma solo dopo inenarrabili sofferenze (non solo estetiche).
      Vuoi portarti addosso le parole di Prada? Non sulla pelle, ma nel cervello, eventualmente va fatto il tatuaggio, perdinci e poi perbacco.

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  18. Silvia   14 Dicembre 2022 at 00:21

    Questi anni di Covid hanno colpito tutte le persone e tutti i settori.
    Credo che questa situazione che abbiamo vissuto possa essere un modo per migliorare e sistemare tutte le cose, come citato nell’articolo “l’errore più grande adesso sarebbe tornare a fare tutto come prima.
    Abbiamo l’opportunità di rallentare e riallineare, per disegnare un orizzonte più vero e riguadagnare una dimensione più umana” e che “niente sarà come prima”.
    La mascherina è diventata un nuovo accessorio per tutti i giorni.
    Nonostante abbiamo passato mesi e mesi chiusi in casa mettendoci tute e un abbigliamento comodo , personalmente credo, che sia diventato un abbigliamento da portare ovunque ma d’altro canto credo anche che quando si è potuti tornare a uscire sia tornata la voglia di prenderci cura di noi stessi, metterci vestiti “più scomodi” e accessori.
    Il mondo della moda ha sofferto molto, come tutti noi si è dovuto adattare a un “nuovo” mondo.
    Si son dovute creare collezioni più sostenibili, meno creative e più comode.

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  19. Andrea Marcaccini   15 Dicembre 2022 at 16:53

    Tutti ci siamo chiesti durante la pandemia su come il mondo potesse ripartire e cambiare, tantissime persone, sia adulti che bambini, hanno sofferto sotto diversi punti di vista (psicologici, economici, relazionali). Diversi hanno commentato sul dopo in maniera negativa, altri, come il relatore dell’articolo hanno visto la ripartenza come una opportunità.
    Sono d’accordo con le affermazioni di G. Armani e M. Prada, credo sia stato un momento di riflessione dove abbiamo potuto rallentare il vortice della routine di tutti i giorni che era ormai diventata una rincorsa contro il tempo.
    La prima a ripartire è stata la moda del lusso legata a persone con disponibilità economica elevata, mentre quella legata al medio-basso ceto ha avuto più difficoltà con un significativo recupero del commercio mondiale nell’anno successivo (’21).
    Casting, sfilate ed appuntamenti sono diventati digitali, gli addetti ai lavori sono riusciti a sperimentare non solo una era della fashion industry completamente nuova ma persino di portare in tavola nuovi aspetti su cui ragionare.
    Domenico Dolce ha dichiarato “sento che la scoperta di essere così fragili allontanerà la prepotenza della finanza, del denaro, delle speculazioni. E ci ritroveremo più umani…” condivido questa affermazione anche se ho delle perplessità che l’alta finanza si adeguerà.
    Sicuramente il lock down ha velocizzato il cambiamento di numerose aziende verso la green economy e spinto all’economia circolare, riconoscendo che il cambiamento climatico coinvolge tutto il mondo e tutti i settori. Fortunatamente queste tematiche stanno diventando parte integrante di molti brand sia del lusso che del fast fashion. Vi è una ricerca costante nell’utilizzo di fibre ecosostenibili, filati riciclati e riuso al fine di ridurre l’impatto che l’industria tessile ha sull’ambiente.
    Ora si pone il problema ulteriore del conflitto Russo-Ukraino e i danni economici contribuiranno ad un significativo rallentamento della crescita globale.
    Lo scenario attuale pare densa di incognita per la filiera tessile abbigliamento e quindi sarà interessante capire quali strategie competitive le imprese della filiera operativa tenderanno a privilegiare tra differenziazioni qualitativa e strategia di volumi.

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  20. Enea Tacchi   31 Dicembre 2022 at 10:37

    Chi avrebbe mai detto che avremmo vissuto una pandemia mondiale? Chi avrebbe pensato di stare chiusi in casa senza un limite di tempo? Città deserte, coprifuoco, negozi chiusi. Ciò che più destabilizzava era il non sapere quando sarebbe finita l’emergenza sanitaria e se avrebbe avuto ulteriori recrudescenze. Nell’isolamento tante persone hanno trovato una sorta di sollievo negli acquisti online, spesso preferendo la quantità alla qualità, questo ha influito sul nostro modo di acquistare, anche ora che la pandemia sembra quantomeno contenuta. Ora non sarà più come prima, la nostra mente è cambiata, il nostro stile di vita, il rapporto con le persone, siamo diffidenti, distanti, è cambiata la vita. Eppure non vedo in questo periodo “buio” una sorta di fine, ma guardandolo da un’altra prospettiva, potrebbe essere un inizio. La pandemia potrebbe essere stata, tutto sommato, necessaria per fare, forse, finire un era, probabilmente dovevamo arrivare a questo affinché ci resettassimo e ricominciassimo da capo. Lo potremmo vedere come una rinascita in tutto, anche nel campo della moda, una rinascita di grazia, di sintonia, di armonia, un ricominciare da capo per guardare dentro le cose e scorgervi la bellezza.
    Vorrei vedere ancora la meraviglia e l’eleganza di un tempo, quando i vestiti comprati dovevano durare tutta la vita, e lo facevano; il garbo e la gentilezza, ormai un ricordo. Devono cambiare tante cose prima, forse troppe.

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  21. alessandra puggioni   31 Dicembre 2022 at 10:48

    Leggendo tale articolo risalente al 2020, adesso che ci troviamo quasi nel 2023, ha fatto rifiorire una lunga serie di ricordi legati al periodo stesso.
    Sicuramente nell’ambito dell’economia, a causa della pandemia, c’è stato un rallentamento degli acquisti nei negozi dato da un bassissimo guadagno visto che i prezzi di vendita dei prodotti sono aumentati, e quindi gli acquisti, per l’appunto, sono diventati molto più lenti. Io credo che in ogni caso il covid abbia mutato radicalmente il mondo della moda e sono d’accordo che niente sarà più come prima, poiché è importante accettare questo cambiamento al giorno d’oggi che spesso può portare anche ad un miglioramento per quanto riguarda l’industria dell’abbigliamento.

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  22. Elisa LABA   31 Dicembre 2022 at 16:22

    Durante la pandemia l’unico modo che avevano le aziende per vendere era tramite web. Ciò però presenta pro e contro: il risparmio sulle spese per i negozi e gli impiegati di un certo tipo, la possibilità di arrivare a più persone in maniera rapida sono la componente positiva. Di negativo c’è lo shopping compulsivo che, causato dal fatto che l’acquirente si trova dietro a uno schermo, impedisce di comprendere fino a fondo ciò che si sta acquistando. Inoltre le persone che fanno shopping online fanno ancora più fatica a rendersi conto che ciò che stanno acquistando è stato realizzato da qualcuno di reale, che ha lavorato e faticato per realizzare il prodotto.
    Un fattore positivo causato dalla pandemia è il rallentamento dei processi industriali ed economici che, come dice Armani, fa bene all’industria moda. Un problema sarà il mantenimento di questo andamento lento quando tutto tornerà ai ritmi sostenuti pre covid. Un altro saranno i prezzi insostenibili per le persone con un reddito non medio-alto.
    Cambiando argomento, volevo soffermarmi su ciò espresso da Taleb. Di come bisogna prendersi dei rischi. Con l’arrivo in Blumarine di Brognano circa nel 2020 ci furono dei cambiamenti, come l’ispirazione agli anni 2000. Ciò fu un rischio enorme che però ebbe risvolti positivi, forse anche per una sorta di riconoscimento dei nuovi trend.

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  23. Margaret.N   7 Gennaio 2023 at 08:51

    Le industrie creative che comprendono settori come il cinema, la musica e la moda sono state colpite in modo estremamente duro dalla pandemia COVID-19 . L’industria creativa è l’industria della moda. Con la diffusione del COVID-19, sono state imposte restrizioni che hanno portato alla chiusura dei negozi fisici e alla permanenza delle persone a casa . Ciò ha portato a un momentaneo calo di valore o addirittura alla completa cessazione delle persone che acquistano vestiti. Di conseguenza, sono sorti problemi sia per le società impegnate nella vendita di abbigliamento di moda, sia per le società impegnate nella sua produzione. C’era ed è urgente che le aziende della moda si adattino e cerchino di superare questa crisi improvvisa.

    È chiaro che l’industria della moda ha dovuto adattarsi ai diversi comportamenti dei consumatori durante la pandemia , soprattutto perché solo dopo i primi mesi è aumentata la necessità e il desiderio di consumare articoli di moda.

    A causa delle misure di blocco, i consumatori non sono stati in grado di acquistare abbigliamento di moda nei negozi, che era, prima della pandemia, il mezzo più comune per lo shopping di abbigliamento. Sia i consumatori che i rivenditori hanno dovuto adattarsi: i rivenditori dovevano offrire opzioni di acquisto online per l’abbigliamento alla moda ei consumatori dovevano accettare i mezzi di acquisto alternativi.

    Per alcuni consumatori, questa transizione nel modo in cui acquistavano i vestiti non era una novità, perché avevano già effettuato acquisti online prima della pandemia, ma per la maggior parte questo passaggio ha comportato un cambiamento sostanziale nel loro comportamento di acquisto e di consumo. Sebbene ci sia stato un visibile cambiamento di canale all’interno del settore della moda, i livelli delle vendite online non sono riusciti a compensare la perdita delle vendite in negozio. L’altro cambiamento che ha colpito i consumatori è stato in termini di stile della moda. Durante i blocchi, le persone dovevano restare a casa e lavorare da casa, il che significa che non avevano bisogno di vestirsi con abiti da lavoro o formali; invece, l’abbigliamento casual è diventato la norma. Le ricerche di mercato indicano che le persone sono diventate anche più consapevoli riguardo al loro consumo di abbigliamento di moda. Durante il lockdown, i consumatori hanno avuto il tempo di pensare a cosa amano indossare e riconsiderare il proprio stile di moda. Il desiderio di esprimersi attraverso il proprio stile di moda preferito, dopo un certo periodo di pandemia, è diventato evidente nella mentalità degli amanti della moda. Si può presumere che la ragione di ciò sia la mancanza di intrattenimento e l’estrema impazienza verso la fine della pandemia, insieme al riavvio di occasioni speciali. La pandemia ha spinto l’industria della moda a sviluppare diverse soluzioni di gestione e a pianificare strategicamente le attività di marketing che consentirebbe ai rivenditori di comprendere i consumatori e reagire nel modo giusto al momento giusto. Tutto ciò ha causato un vero e proprio shock della domanda nel sistema moda in generale. Tuttavia, i principali esperti di moda ritengono che una rinascita della moda potrebbe essere proprio dietro l’angolo, e si ritiene che lo scenario sarà probabilmente simile a quello visto nei ruggenti anni Venti, con le persone che presto impazziranno per la moda. Questo è tipico per i marchi della moda di lusso e durante la pandemia è stato notato un improvviso aumento delle vendite nel mercato della moda di lusso, rispetto al 2019. Tenendo conto di quanto sopra, si può concludere che la pandemia di COVID-19 ha portato a cambiamenti sostanziali per le aziende di moda, il che significa che hanno dovuto adattarsi al mutato ambiente e ai consumatori. Di conseguenza, era di grande importanza per i manager delle aziende operanti nel settore della moda capire come era cambiato il comportamento dei consumatori e quali preferenze dei consumatori stavano avendo un impatto, anticipare il comportamento dei consumatori e migliorare il loro processo lavorativo.

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  24. elisa   9 Gennaio 2023 at 19:36

    La pandemia ha rappresentato per tutti un periodo di stallo e difficoltà, ma nello stesso momento rallentando le nostre vite ci ha dato la possibilità di riflettere su noi stessi e conoscerci meglio.
    Sicuramente nulla è stato più lo stesso neanche per la moda, tutto è diventato più digitale e distaccato, incentivando i negozi online a discapito dei negozi fisici, anche se alcuni si sono “evoluti” aprendo la propria piattaforma online che continuano a’utilizzare tutt’ora.
    Non credo però che la moda sia uno dei settori che più ha sofferto il covid, con qualche difficoltà non si è mai fermata davvero, al contrario di altri settori.

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  25. Sophia Marcolongo   9 Gennaio 2023 at 21:26

    Nel presente articolo viene citata l’influenza che i precedenti due anni di pandemia da coronavirus, hanno scatenato sull’economia mondiale, tra cui anche nel settore moda. Emerge la problematica che, mentre le principali case di moda hanno riscontrato un aumento delle vendite e innalzato i prezzi per preservare il nome del loro marchio, gli stipendi di gran parte delle categorie lavorative sono stati tagliati.
    Secondo me questo porterà al serio rischio che il post virus venga dominato dall’economia della diseguaglianza, con gli inevitabili conflitti sociali che da essa discendono. Questo non è causato dell’estetica del prodotto bensì dalle restrizioni economiche che lo renderanno sempre meno accessibile al solito plateau di acquirenti. Però ritengo che il post pandemia e il ritorno alla normalità consentiranno una ventata di innovazione nel mondo del design.

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  26. Giorgia Akemi Silvestre (LABA)   10 Gennaio 2023 at 01:09

    Nel articolo presente si parla delle conseguenze dell’economia mondiale in un mondo post-pandemia, e come il mercato economico si sta recuperando dopo un periodo in cui molti mercati sono stati fermi, principalmente quando si parla del mondo dell’arte, incluso quello della moda. Quando si parla del periodo di lockdown l’industria della moda, principalmente quella dell’alta moda ha trovato come soluzione alla crisi alzare i prezzi dei suoi capi per così poter mantenere il proprio nome sul mercato, come conseguenza pochi si son ritrovati a poter permettere questo tipo di “sfizio” durante una crisi mondiale, come conseguenza l’industria della fast- fashion inizio ad crescere ancor di più in due anni. È importante sottolineare che molte persone si son ritrovate a scegliere l’eccesso della quantità e della comodità di industrie come Zara, Bershka o H&M, sono grazie a questi eccessi che ci ritroviamo in una società che si dimostra ogni giorno più consumista, dove la quantità di prodotti ad essere scartati grazie all’idea che qualcosa può essere utilizzato per un breve periodo di tempo che ci ritroviamo in una crisi ancora più grande, quella dell’inquinamento globale. L’eccessiva consumazione si dimostrata una dei principali veleni dell’uomo moderno quando si parla del suo rapporto con la natura al suo intorno. Se il covid ci ha insegnato qualcosa durante questi anni caotici, e che dobbiamo rivalutare questo stile di vita che ci hanno imposto ormai da decenni, è necessario che il mondo della moda capisca che la risposta non rientra nella tendenza di capi nuovi, ma si come poter collaborare per poter creare un nuovo stile di vita per l’uomo contemporaneo, che deve imparare che la risposta non sta nel consumismo, e così utilizzare tutta la creatività artistica per poter trovare delle soluzioni per una crisi che si dimostra ogni momento più grande.

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  27. laura Nuzzo (Laba)   10 Gennaio 2023 at 08:25

    Con la nascita del Covid-19 l’uomo si è trovato a dover far fronte ad una vera e propria clausura imposta, sia a livello emozionale che fisico , ha dovuto affrontare periodi alquanto duri. Questo grande cambiamento ha invaso tutti i campi tra cui anche quello della moda, Giorgio Armani è stato il primo stilista a prendere una forte decisione quando ancora non esisteva il distanziamento sociale: tenere la sua sfilata a porte chiuse. Scelta poi condivisa anche da Laura Biagiotti e Moncler. Una precauzione saggia quella che ha anticipato le sue riflessioni per il futuro del settore. In una lettera inviata alla rivista americana WWD Armani ha spiegato come la pandemia richieda un doveroso ripensamento delle tempistiche della moda. Abiti autentici e qualità devono essere le prerogative delle collezioni post Covid-19, perché devono durare nel tempo. Un appello condiviso da altre maison tra cui Versace, Prada e Dolce&Gabbana. l’emergenza che stiamo vivendo ha stravolto le sfilate, che – rimanendo pur sempre fondamentali per i brand in quanto prova d’esame delle collezioni – si sono dovute trasformare e sono diventate eventi in streaming a porte chiuse, a cui è possibile assistere da remoto, senza incorrere in alcun rischio. Inoltre, la pandemia ha evidenziato un’ulteriore criticità che già esisteva nel mondo della moda, ovvero la sfrenata produzione di nuove collezioni.

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  28. lucrezia palestini   10 Gennaio 2023 at 12:29

    ora che siamo nel 2023 e leggendo questo articolo che risale al 2020, mi ha fatto ripensare a tutto quello che ognuno di noi ha vissuto e ha visto cambiare nella propria vita. ciò che abbiamo passato è stato come un colpo di scena, perché sono sicura che nessuno di noi se lo sarebbe ami aspettato. questo fenomeno ha colpito e modificato la vita quotidiana e anche tutti i settori, tra cui il mondo della moda che ha visto utilizzare sempre di più tute e outfit molto comodi per stare dentro casa diventando appunto un abbigliamento quotidiano. ma secondo il mio parere, appena abbiamo riavuto la possibilità di poter riuscire ognuno di noi ha colto questa occasione per rivestirsi e “farsi belli”

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  29. Antonella Smilari   13 Gennaio 2023 at 16:29

    Il settore del lusso, e in particolare quello della moda e dell’abbigliamento è stato sicuramente tra i più duramente colpiti dagli effetti del covid-19. Il calo repentino delle vendite, la chiusura improvvisa di fabbriche e negozi, il blocco delle frontiere e la diminuzione del turismo hanno portato ad un cambiamento strutturale nella domanda e nel comportamento dei consumatori di un mercato che, prima della pandemia, non aveva vincoli né confini geografici.
    Il primo e più devastante effetto della pandemia sul mondo della moda è stato il crollo della domanda: dovendo star in quarantena ovviamente non vi è richiesta di capi d’abbigliamento. Un altro cambiamento è per chi produce fast fashion e abbigliamento di grande distribuzione. Lo sguardo alle realtà di lusso e italiane non serve a distoglierci dal prendere coscienza di cosa è successo nei Paesi in cui già prima della pandemia erano perpetrate diverse forme di sfruttamento. 
Già a partire da marzo 2020, molte compagnie di abbigliamento low cost avevano deciso di interrompere i pagamenti per la merce in fase di produzione: merce che non sarebbe mai finita nei negozi a causa del lockdown. Di conseguenza quasi sicuramente la situazione asiatica è più critica che mai. I brand di fast fashion sono tornati a dare lavoro alle factories con budget ancora più bassi e prezzi ancor più concorrenziali del passato, fornendo nuovo impulso al loop di miseria e dipendenza.

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  30. luigi   17 Gennaio 2023 at 13:59

    Sono una persona che ancora prima del corona virus era appassionato di maschere e bandane, mi piace un personaggio di nome kakashi che per tutta la serie indossa una cosa simile ad una mascherina: sono daccordissimo che nulla sarà come prima tutta via la mascherina ha portato un nuovo accessorio nella moda che non mi dispiace affatto: adattabile ad ogni stile e pronto a tenerti caldo di inverno, tuttavia essere obbligati e tenerla nel periodo in piena pandemia mi aveva fatto scendere la voglia di metterla ma ora che l’obbligo non c’è più sono tornato fan della mascherina nella moda.

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  31. Giacomo Lorenzetti (LABA)   20 Gennaio 2023 at 11:26

    Il Covid ha avuto un forte impatto nella moda, dando una scossa al sistema. La moda post-pandemia sarà più attenta e rispettosa dell’ecosistema, così come lo saranno i consumatori stessi, a metà tra il bisogno di un ritorno alla spensieratezza pre-virus e una rinnovata consapevolezza sulle priorità della vita.
La moda non è un look firmato. Essa va ben oltre il semplice vestiario. La moda è una forma di espressione artistica che assorbe i cambiamenti sociali e li rielabora in chiave estetica. Eventi storico-sociali e correnti culturali hanno da sempre influenzato le nostre tendenze fashion. Tra questi è impossibile non menzionare il Covid-19. La pandemia ha portato a profondi e irreversibili cambiamenti nel fashion system. Innanzitutto, l’industria della moda ha dovuto prendere atto dei propri limiti; in secondo luogo, i consumatori hanno cambiato bisogni e priorità. I canali di comunicazione e vendita hanno visto un incremento del settore digitale, migliorando anche l’esperienza di acquisto dei clienti. Ma vediamo gli effetti più importanti della pandemia nel fashion system.
    Il Covid ha anche influenzato il lato estetico della moda. È interessante notare come le collezioni viste sulle passerelle testimonino l’influenza dei vari lockdown, dando origine a due trend opposti: da un lato un abbigliamento sportivo e oversize; dall’altro un’evidente voglia di strafare, con coloratissimi pattern e glitter scintillanti. Basta dare un’occhiata ai trend primavera/estate della moda maschile e femminile per rendersene subito conto.
    Gli effetti della pandemia, insomma, sono ampiamente visibili sotto diversi aspetti. Una svolta positiva e più sostenibile del sistema moda è possibile. Basta essere tutti uniti, come sostiene Re Giorgio. Stilisti, produttori e consumatori devono cogliere questa opportunità avviata paradossalmente dalla crisi causata dal Covid e impegnarsi nel ritorno della moda a una dimensione più consapevole e meno consumistica.

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    • Lamberto Cantoni
      Lamberto Cantoni   21 Gennaio 2023 at 02:35

      Le due tendenze che hai sottolineato anche per me, rappresentano l’impatto più evidente del virus sullo stile vita e di conseguenza sugli stilisti che lo prendono come riferimento. Saremo più sportivi e sostenibili.

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  32. Irene G   24 Gennaio 2023 at 16:15

    A distanza di quasi tre anni dallo scoppio della pandemia, ancora oggi non possiamo dire con certezza se i cambiamenti che seguono il lock down siano permanenti o solo una fase di ripresa.
    Dopo essere stati chiusi in casa per quasi un anno, senza sapere se mai saremmo potuti tornare a quella che era la nostra quotidianità prima del covid, appena abbiamo avuto un minimo di speranza di tornare alla normalità, non abbiamo perso un attimo, rischiando poi (ovviamente) le conseguenti ondate e chiusure.
    “Niente sarà come prima” concordo pienamente con questa affermazione, per quanto noi possiamo sforzarci a eliminare quell’ultimo anno della nostra vita, non possiamo negare però che ha avuto degli effetti sia a livello individuale (ad esempio secondo le statistiche molte più persone ,soprattutto in età adolescenziale, hanno sviluppato disturbi psicologici come ansia, declinata anche sotto forma di ansia sociale, depressione…) e anche a livello collettivo; e non intendo solo nei rapporti sociali (che come viene detto nell’articolo la “vicinanza” viene sostituita dalla “distanza”), ma anche l’ambito economico-lavorativo.
    Molte aziende sono state costrette a “modernizzarsi” a livello tecnologico, curando sempre di più i siti web che magari i negozi fisici, in un periodo in cui i negozi fisici vennero totalmente dimenticati a causa del divieto di uscire di casa. Anche se personalmente credo che il covid, in questo caso. abbia solo affrettato questo processo che sarebbe comunque stato inevitabile.
    Per quanto riguarda l’impatto che ha avuto sulla moda la prima cosa che mi viene da pensare sono le mascherine lanciate da diversi brand che cercarono di far si che la moda potesse diventar conforme alle norme di prevenzione sanitaria, come ad esempio Adidas che mise in commercio un set di 3 mascherine lavabili, così come Levi’s.
    Le mascherine furono protagoniste anche nella fashion week di Madrid dove non solo i partecipanti , ma anche in passerella venivano utilizzate dalle modelle.
    Infatti si iniziò a percepire la mascherina non più solo come un dispositivo sanitario obbligatorio da indossare per proteggere se stessi e gli altri, m come un vero e proprio accessorio di moda, così come una borsa o un paio di orecchini, non si stava più attenti ad abbinare solo le scarpe all’outfit, ma anche le mascherine dovevano riprendere o i colori dominanti o lo stesso design.

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  33. martina de luca(LABA)   26 Gennaio 2023 at 20:15

    E’ inevitabile dire che la pandemia COVID-19 ha apportato delle modifiche al nostro stile di vita ed anche al mondo della moda. Il primo e più devastante effetto della pandemia sul mondo della moda è stato il crollo della domanda, una della cause è sicuramente il blocco dei viaggi turistici. Nella moda maschile e femminile l’abbigliamento formale subito un rapido declino, portando le persone a vestirsi a metà previligendo la parte superiore del corpo, ovvero quella esposta alla videocamera, in favore di quelle più sportive portando così ad una notevole crescita dell’activewear.
    Non possiamo non parlare del notevole aumento dello shopping online e siti come Zalando, Farfetch hanno visto un aumento di vendite incredibile e contemporaneamente grandi retailer internazionali come Zara o H&M hanno annunciato le chiusure di diversi punti vendita. Le tensioni esplose al primo lockdown, a causa del blocco delle forniture, hanno accelerato una profonda revisione delle relazioni nella filiera dei fornitori per cui i marchi hanno dovuto prendere atto che in futuro la filiera dovrà essere più unita, meno pressione sui prezzi, più collaborazione e divisione del valore, con contratti a lungo termine e supporti finanziari.Interessante notare anche come la spinta dei consumatori verso una maggiore giustizia e sostenibilità sociale abbia ricadute anche nel penalizzare quei brand che hanno inflitto danni sociali ai fornitori, come avvenuto in India e Bangladesh.

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  34. Pamela Ferri   27 Gennaio 2023 at 18:46

    Dopo quasi tre anni dallo “scoppio” della pandemia cerchiamo di guardare avanti, come se tutto non fosse successo, ma ci rendiamo ben conto di quanto questo sia sbagliato.
    Perchè il covid non ci ha solo portato via giorni preziosi, ma ha limitato per molto tempo l’avvicinamento con le altre persone, e questo ci ha cambiato e continuerà cosi, infatti (non so se è un caso) sono aumentati molti casi di depressione e ansia, anche nei più giovani.
    Però i risultati non sono tutti negativi, infatti in quel momento di reclusione, abbiamo avuto modo di guardarci dentro, di passare del tempo con la nostra famiglia, di goderci la natura e di mettere uno stop alla vita frenetica di tutti i giorni.
    Questa “pausa” forzata ha cambiato il nostro modo di pensare e di vivere.
    Basti pensare al mondo del lavoro, lo Smart working, che ci ha permesso di lavorare da casa, in maniera comoda e adagiata, con tutto le nostre comodità giornaliere.
    Il risultato di tutto questo mostra un grande avvicinamento alla riscoperta della natura e dell’ ecologia e al campo della moda. Infatti durante questo periodo ci siamo mangiati i siti di negozi, sperando di tornare presto ad indossare un abito bellissimo o semplicemente qualcosa di diverso da una tuta o pigiama.

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  35. Desire Graffiedi Laba   29 Gennaio 2023 at 14:19

    Il settore del lusso, e in particolare quello della moda e dell’abbigliamento è stato tra i più duramente colpiti dagli effetti del Covid-19.
    Con la chiusura improvvisa di fabbriche e negozi il blocco delle frontiere e la diminuzione del turismo hanno portato ad un cambiamento strutturale nella domanda e nel comportamento dei consumatori di un mercato che, prima della pandemia, non aveva vincoli né confini geografici. 
    “In un momento di quiete obbligata c’è più tempo per riflettere e pensare per cui questo ritiro forzato aiuta la riflessione, il pensiero e quindi anche la creatività” questa frase la ritengo molto veritiera.
    Una cosa che ci ha insegnato il periodo del lockdown per quanto riguarda i consumatori e la riflessione sull’ eccesso di capi presenti nel guardaroba con un conseguente rifiuto verso lo spreco dei capi di acquistati passati.
    Ciò fa si che si arrivi alla rinascita di un mercato dell’usato di lusso.
    Ovviamente le piattaforme online di abbigliamento in quel periodo hanno avuto un incremento delle vendite elevato a danno però di tutti quei corrieri sommersi di lavoro.
    La cosa che mi affascina e come la moda trasformi qualsiasi cosa in fashion come una semplice mascherina.

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  36. Francesco Tentoni LABA   29 Gennaio 2023 at 14:56

    Penso che  la pandemia abbia accelerato numerose tendenze, tra cui un calo della domanda, un cambiamento sostanziale verso lo shopping digitale e la necessità di adattarsi alla nuova mentalità dei consumatori “less is more”.
    A cause di forze maggiori in cui siamo stati costretti a rimanere a casa, questo periodo di pandemia potrà essere ricordato come l’anno in cui la vendita al dettaglio di moda si è definitivamente spostata online. Le abitudini di acquisto dei consumatori sono cambiate. L’adozione del digitale è aumentata vertiginosamente, i grandi marchi hanno abbracciato il live streaming, il servizio clienti virtuale e il digital shopping.

    Concordo con le parole di Steve Dennis (consulente aziendale e public speaker che collabora anche con Forbes) che dice:
    “La vendita al dettaglio non è morta, ma la vendita al dettaglio noiosa è morta”

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  37. Carlotta   30 Gennaio 2023 at 18:27

    Il lockdown durante la pandemia ha sviluppato un periodo di profonda crisi in tutti i settori, anche per quanto riguarda la moda. Stando in casa non si sentiva la necessità di comprare capi di lusso perché bastavano abiti comodi come le tute, nonostante ciò le case di moda sono riuscite a trovare una “soluzione” per riprendersi dal periodo che stavano vivendo producendo mascherine utilizzate come accessorio, la pandemia difatti non ha fermato la moda. Si può prendere come esempio la fashion week di Madrid nel 2020 dove la mascherina non è stata indossata solo dagli spettatori ma dalle modelle stesse sulle passerelle e, per la prima volta, un produttore di maschere è diventato lo sponsor di una sfilata di moda. In fine si può dire che il mondo della moda, anche se colpito dal fenomeno del covid, si è dovuto adattare ad esso e sviluppare nuove idee; ciò si è visto anche grazie alla produzione di mascherine da parte di marchi molto importanti come Balenciaga e Prada.

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  38. Alice   30 Gennaio 2023 at 18:58

    Il covid ha cambiato il nostro stile di vita e il nostro approccio con il mondo esterno, ci ha insegnato ad apprezzare molte cose che prima si davano per scontato. Secondo me non ha influito negativamente sulla moda ed é stato un incentivo a creare qualcosa di nuovo, basta pensare alla green economy, prima non ne avevo sentito parlare così spesso eppure adesso è all’ordine del giorno cercare di inquinare il meno possibile, creare collezioni che siano comode ed ecosostenibili

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  39. Margherita Ciarnese LABA   30 Gennaio 2023 at 23:16

    L’emergenza del Coronavirus con il susseguirsi del lockdown ha causato cambiamenti radicali nel nostro modo di essere e percepire le cose. Per quanto riguarda la moda, inevitabilmente è stata colpita anch’essa dalla pandemia come tutti gli altri settori. Infatti, essendo stati chiusi nelle nostre case per così tanto tempo, ci siamo adattati ad uno stile e ad un modo di vestire più comodo e alla mano, si sono inseriti nuovi accessori come la mascherina. Ma il sistema moda è riuscito a prendere questi elementi e a trasformarli in una vera e propria tendenza.

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  40. Eleonora Marchetti (Laba)   31 Gennaio 2023 at 09:39

    Il Covid ha avuto un forte impatto nella moda, dando una scossa al sistema. La moda post-pandemia sarà più attenta e rispettosa dell’ecosistema, così come lo saranno i consumatori stessi, a metà tra il bisogno di un ritorno alla spensieratezza pre-virus e una rinnovata consapevolezza sulle priorità della vita.

La moda non è un look firmato. Essa va ben oltre il semplice vestiario. La moda è una forma di espressione artistica che assorbe i cambiamenti sociali e li rielabora in chiave estetica. Eventi storico-sociali e correnti culturali hanno da sempre influenzato le nostre tendenze fashion. Tra questi è impossibile non menzionare il Covid-19. La pandemia ha portato a profondi e irreversibili cambiamenti nel fashion system. Innanzitutto, l’industria della moda ha dovuto prendere atto dei propri limiti; in secondo luogo, i consumatori hanno cambiato bisogni e priorità. I canali di comunicazione e vendita hanno visto un incremento del settore digitale, migliorando anche l’esperienza di acquisto dei clienti. Ma vediamo gli effetti più importanti della pandemia nel fashion system.

    Giorgio Armani è stato il primo stilista a prendere una forte decisione quando ancora non esisteva il distanziamento sociale: tenere la sua sfilata a porte chiuse. Scelta poi condivisa anche da Laura Biagiotti e Moncler.

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  41. Aicha   31 Gennaio 2023 at 10:42

    In questi anni il Covid ha colpito molti settori, non solo quello del fashion e di conseguenza ha cambiato molto lo stile di vita delle persone, ci ha limitato in tantissime cose, come vederci coi nostri cari, ha tolto gli anni più belli a noi giovani, ha tolto la possibilità di viaggiare…!
    È vero che molte aziende, negozi e brand sono molto calati con la produzione e con la vendita dei prodotti, però c’è da dire che molti brand se la sono cavata con lo shopping online e con un’aggiunta di un accessorio, ovvero la mascherina. È diventata proprio una tendenza.
    A 3 anni dal covid stiamo cercando di guardare avanti cercando di dimenticarci di ciò che è successo, ma, non possiamo negare il fatto che niente sarà più come prima e non solo nella moda.

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  42. Queen Bedini   31 Gennaio 2023 at 11:10

    Il periodo del lockdown sicuramente avrà portato delle complicanze nella sfera della moda in quanto molti punti vendica fisici si sono visti costretti a chiudere temporaneamente.
    Allo stesso tempo in questo periodo è stato possibile elaborare molte strategie di marketing ampliando la sfera multimediale che negli ultimi anni a riscontrato molta notorietà.
    Le persone costrette a stare a casa hanno concentrato molta della loro attenzione ai social.
    Le imprese di moda per fronteggiare i tempi si sono inserite, chi più e chi meno, all’interno della sfera digitale catturando in modo particolare l’attenzione dei giovani.

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  43. Aicha LABA   31 Gennaio 2023 at 11:38

    commento moda

    In questi anni il Covid ha colpito molti settori, non solo quello del fashion e di conseguenza ha cambiato molto lo stile di vita delle persone, ci ha limitato in tantissime cose, come vederci coi nostri cari, ha tolto gli anni più belli a noi giovani, ha tolto la possibilità di viaggiare…!
    È vero che molte aziende, negozi e brand sono molto calati con la produzione e con la vendita dei prodotti, però c’è da dire che molti brand se la sono cavata con lo shopping online e con un’aggiunta di un accessorio, ovvero la mascherina. È diventata proprio una tendenza.
    A 3 anni dal covid stiamo cercando di guardare avanti cercando di dimenticarci di ciò che è successo, ma, non possiamo negare il fatto che niente sarà più come prima e non solo nella moda.

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  44. Cecilia LABA   31 Gennaio 2023 at 23:30

    Il blocco lavorativo dovuto alla pandemia ha messo il difficoltà tutti i settori lavorativi, tra cui il mondo della moda, anche se non lo ritengo uno dei più penalizzati. Il settore del lusso ha subito un repentino calo delle vendite e in casi più estremi la chiusura di negozi e fabbriche. D’altro canto il COVID ha portato a un grande sviluppo dell’e-commerce: tutte le restrizioni imposte hanno accelerato un processo di digitalizzazione già in atto e ciò ha fatto sì che moltissimi consumatori si avvicinassero per la prima volta agli acquisti online. Il mondo della moda si è dovuto quindi adattare a questa nuova realtà, cercando anche di usare al meglio questa nuova digitalizzazione; ad esempio la linea italiana GCDS rivoluzionò il fashion show organizzando una sfilata tutta virtuale, cosa che prima del covid non ci saremmo mai immaginati.

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  45. Stefano Celli (LABA)   4 Febbraio 2023 at 20:18

    Il mondo è in continua evoluzione cosi come la moda. Cercherò di contestualizzare al meglio il mio pensiero tenendo presente che siamo ormai nel 2023, del covid si è persa parzialmente la traccia e la moda si sta piano piano ristabilizzando.
    Con la pandemia è fuori discussione che ci siano stati veri problemi economici per le aziende operanti nel campo moda. Mi trovo ampiamente d’accordo con lei sul fatto che ci sia stato un aumento di passo per quelle dinamiche che da tempo sono conosciute, come ad esempio la vendita online, che inevitabilmente sono aumentate per il bisogno delle persone di sentirsi perfettamente dentro la ‘’confort zone’’ ordinando capi athleisure, incentivati anche da limiti comunicativi che i brand avevano in quel momento.
    La comunicazione era fondamentale per vincere in un periodo di quel tipo: ad esempio Dior in post pandemia ha usato molti elementi streetwear, che appunto vanno a rifarsi al concetto di ‘’confort’’ citato in precedenza, che hanno potuto trarre vantaggi anche nel periodo pandemico.
    Per quanto mi riguarda la parola resilienza va mantenuta e valorizzata. Pensandoci bene, nel 2020 ci fu il vero e proprio ritorno della moda Vintage ovvero di seconda mano per vari fattori. Quelli sono stati veri e propri capi che mi piace definire resilienti, che insieme all’avvento di nuove app per la compravendita, hanno saputo contrastare quello shopping compulsivo tipico del periodo pandemico e saper rivalorizzare i prodotti

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  46. Livia Scandali   21 Febbraio 2023 at 16:02

    La pandemia del Covid 19 che ci ha colpiti nel 2020 ha stravolto il mondo. Ripensando che qualche anno fa, in questo stesso periodo, la mia vita si era bloccata e si riduceva a me, a studiare davanti al computer, chiusa tra le quattro mura della mia cameretta, senza alcun contatto vero e reale con le persone, è qualcosa che solo al pensiero mi spaventa. Credo che sia un periodo che ha lasciato un segno nella vita di tutti, è come se due anni della nostra vita siano stati cancellati e ora ci ritroviamo catapultati in un mondo che non è più lo stesso e noi non siamo più gli stessi. Riprendendo alcune citazioni che offre l’articolo questo è evidente, per tanto sono d’accordo con l’affermazione di Donatella Versace quando dice: “Di una cosa sono certa: che niente sarà più come prima”, perché noi siamo cambiati e il mondo sta cambiando con noi. Ci basta pensare all’impatto che il Covid ha avuto sull’economia o sull’ambiente, due aspetti anche correlati se vogliamo. Il piccolo miglioramento delle condizioni ambientali, visto dopo questo stop della vita frenetica che conducevamo prima della pandemia, ha portato ad una riflessione anche le stesse industrie della moda. Infatti anche per questo le case di moda stanno creando capi interamente con fibre naturali, prendendosi cura del pianeta. Un altro aspetto importante, che solo ora mi fa effettivamente capire quanto la pandemia ha inciso sulle nostre vite, è il tempo che la pandemia ci ha ricavato e la relazioni con il mondo esterno. Riflettendo infatti sulla citazione riportata nell’articolo di Miuccia Prada: “In un momento di quiete obbligata c’è più tempo per riflettere e pensare per cui questo ritiro forzato aiuta la riflessione, il pensiero e quindi anche la creatività” capisco come ogni persona abbia vissuto e sentito questa costrizione di stare in casa in modo diverso. Mi spiego meglio, questi due anni, che sono stati come uno stop della vita frenetica che conducevamo prima della pandemia, ci hanno restituito più tempo per riflettere su noi stessi, sulle nostre passioni. Questo mi ha fatto riflettere sia su quanto le persone e le relazioni con gli altri incidono su di noi e anche sulla nostra creatività, sia, dall’altro lato, quanto anche il tempo da soli per noi stessi abbia la stessa importanza. Perché spesso la nostra creatività è anche connessa al mondo che abbiamo intorno, alle relazioni con gli altri e alle esperienze che viviamo; un esempio può essere quello che invece afferma Domenico Dolce che non riesce a ritrovare a casa la creatività la sensibilità che ritrova invece nel suo laboratorio, circondato dalle stoffe. Queste citazioni che l’articolo ci ha fornito mi ha fatto riflettere sulla sensibilità e la creatività di ogni persona, che è di fatto soggettiva e di quanto il tempo per noi stessi, l’ambiente e aggiungerei anche le persone che ci circondano incidano in qualche modo su di noi e sulla nostra sensibilità.

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  47. Francesca   19 Giugno 2023 at 23:01

    Il virus sembrava dovesse cambiare le nostre vite drasticamente, invece tutto sembra essere tornato come prima; la gente e’ tornata a fare le cose che faceva prima e gestire gli stessi problemi di prima.
    Il virus e’ stato un evento tragico, come lo e’ un terremoto diverso per durata e dimensione perche’ viviamo in un mondo globale.
    Mi chiedo quali sono gli elementi nella moda che indicano l’entusiasmo e la voglia di dimenticare la tragicità del virus?
    Sinceramente non l’ho trovato, penso invece a un altro periodo storico, il secondo dopoguerra quando la potenza creativa ed espressiva di Christian Dior prende forma tra gonne a ruota, giacche sagomate e lunghi metraggi, scarpe e borse in coordinato, tutti elementi che richiamavano i fasti della haute couture

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  48. Mbappe Fossi   21 Giugno 2023 at 10:21

    Io credo che il covid abbia portato dei notevoli cambiamenti a livello sociale politico e anche sotto l’aspetto della moda ma sono dell’idea che questo virus abbia portato un cambiamento non sotto l’aspetto negativo ma abbia in qualche modo aiutato la moda ad avanzare in modo più lento così che gli stilisti potessero sviluppate o meglio ancora aumentare la loro creatività. Detto questo sono dell’idea che la moda sia uno dei settori che non a subito bensì avuto un notevole sviluppo.

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