Può il Covid 19 essere Il Virus dell’innovazione? Ecco l’ultimo saggio di Alberto Improda

Può il Covid 19 essere Il Virus dell’innovazione? Ecco l’ultimo saggio di Alberto Improda

ITALIA – Incontro con Alberto Improda per l’uscita del suo ultimo saggio: Il Virus dell’innovazione. E’ un titolo provocatorio? Nel libro si sostiene che, a fronte della forte spinta verso l’Innovazione data dal Coronavirus in Economia e nell’intera Società, per l’Italia si aprono nuove possibilità di assumere una posizione di leadership sul piano internazionale. Quali le ragioni alla base di questa idea?

Il virus dell’innovazione è l’ultimo saggio di Alberto Improda. Troviamo interessante la relazione virus e innovazione, considerando come la pandemia attuale ha obbligato le imprese italiane ad una accelerazione nella propria capacità di innovazione, non legata a grandi brevetti rivoluzionari ma alla brillante ed efficace “messa a punto”, al consolidamento e sviluppo del proprio know how come segno distintivo, portando quindi ad un nuovo posizionamento del made in italy:

“Il Made in Italy, dunque, è Bellezza, certo; Creatività, indiscutibilmente; Ingegno, pare evidente; Cultura, senza dubbio. Ma il nostro è oggi anche un Paese pieno di Tenacia, ricco di una Innovazione diffusa in modo capillare, all’avanguardia in numerosi campi della Scienza, della Cultura e della Tecnica.”

Nel libro si sostiene che, a fronte della forte spinta verso l’Innovazione data dal Coronavirus in Economia e nell’intera Società, per l’Italia si aprono nuove possibilità di assumere una posizione di leadership sul piano internazionale. Quali le ragioni alla base di questa idea?

La crisi da Covid 19, su questo vi sono pochi margini di dubbio, sta fungendo da elemento catalizzatore ed acceleratore del cambiamento, ci spinge in ogni ambito all’Innovazione, all’evoluzione, al superamento dei modelli esistenti. E l’Innovazione della quale la società ha urgente ed assoluto bisogno presenta caratteristiche peculiari, che in qualche modo la differenziano dai processi evolutivi del passato. L’Innovazione odierna bisogna che sia Aperta e Condivisa, tale da svolgere la sua storica funzione di conferire all’azienda promotrice o al soggetto sviluppatore un vantaggio competitivo, ma al tempo stesso fruibile dalla collettività nel suo complesso, per lo sviluppo ed il progresso dell’intera comunità.

Alberto tu parli di dell’Economia Circolare, in che modo pensi che possa contribuire?

L’Innovazione oggi non può che muoversi nell’orizzonte della Sostenibilità Ambientale, Economica e Sociale, promuovendo e sviluppando il fenomeno dell’Economia Circolare. Un cambiamento così importante e ampio come quello che stiamo prefigurando, naturalmente, prevede per il mondo delle aziende un ruolo da protagonista assoluto. Ma l’Impresa a sua volta è chiamata ad una evoluzione importante, ad assumere nella società funzioni per qualche verso di natura pubblica, che portano a compimento e vanno oltre il tradizionale concetto di Corporate Social Responsability.

Un simile scenario, a mio avviso, vede l’Italia nella condizione di poter assumere nel panorama internazionale una posizione di leadership.

I processi innovativi che occorre innescare, infatti, richiedono un retroterra culturale particolarmente solido e profondo, tale da coltivare visioni di estrema lungimiranza e soluzioni realmente disruptive. Ebbene, è incontrovertibile che il nostro Paese – al netto di tutti i suoi problemi di carattere economico, organizzativo e infrastrutturale – rappresenta nel mondo una eccellenza per il proprio patrimonio artistico e culturale.

A questo proposito possiamo ricordare che l’Italia è anche una realtà molto peculiare ed interessante dal punto di vista della creazione e della gestione dell’Innovazione a livello aziendale.

Certamente. Il nostro Stivale, è risaputo, vede la presenza di pochi grandi gruppi industriali, mentre si caratterizza per una ampia e capillare diffusione di medie aziende di una specifica tipologia, che contraddistingue in maniera qualificante il nostro tessuto produttivo. Si tratta di quelle che usualmente vengono dette Multinazionali Tascabili e che personalmente preferisco definire Imprese Innovazionali, in quanto nell’aggettivo “tascabile” avverto una qualche componente dispregiativa: parliamo di medie imprese, che competono con successo sui mercati internazionali, solitamente contro competitor di gran lunga più grandi, caratterizzate da una forte carica innovativa e da un reale radicamento sul territorio.

Alberto nel tuo punto di vista dov’è maggiormente concentrata l’Innovazione italiana?  

In Italia l’Innovazione non è concentrata all’interno di pochi grandi gruppi, blindata tra le pareti di un ristretto numero di società multinazionali, ma si trova diffusa in maniera capillare sui territori, in coerenza con i requisiti di condivisone e collettività richiesti dalle dinamiche dello sviluppo più avanzato.

Il nostro Paese, peraltro, non da oggi si confronta con il ruolo dell’Impresa nell’ambito del Sociale, come testimonia l’esperienza della scuola italiana di economia aziendale del Novecento, uno dei cui maggiori esponenti ebbe – già nei primi decenni del secolo – a definire l’impresa quale “Coordinazione economica in atto, istituita e retta per il soddisfacimento dei bisogni umani” (Gino Zappa, Tendenze nuove negli studi di ragioneria, 1927).

Un luminoso punto di riferimento è dato poi dalla figura di Adriano Olivetti, che anticipò molte delle dinamiche attuali in modo a tratti davvero sorprendente, dicendo tra l’altro, quando il Novecento era ancora al suo giro di boa: “Il tentativo sociale della fabbrica di Ivrea, tentativo che non esito a dire ancor del tutto incompiuto, risponde a una semplice idea: creare un’impresa di tipo nuovo al di là del socialismo e del capitalismo giacchè i tempi avvertono con urgenza che nelle forme estreme in cui i due termini della questione sociale sono posti, l’uno contro l’altro, non riescono a risolvere i problemi dell’uomo e della società moderna” (Dal discorso pronunciato per l’inaugurazione dello Stabilimento Olivetti di Pozzuoli, 23 aprile 1955).

A questo proposito nel tuo saggio citi anche un’attuale analisi di Francesco Caio. Ce ne parli?

Sì, venendo ai giorni nostri, Francesco Caio afferma con convinzione che “su svolta etica e profitti l’Italia è già un laboratorio”, “noi italiani, per storia e ambiente, abbiamo una marcia in più nel valore sociale di impresa. Possiamo giocarcela alla pari con tutti. Se solo riusciamo a usare il nostro capitale umano e gli asset che hanno fatto grande il nostro Paese” (Il Sole 24 Ore, intervista di Riccardo Barlaam, 22 agosto 2019).

In che modo stimola il cambiamento la pandemia del Coronavirus?

L’Italia è la patria ideale per dare impulso alla fase di cambiamento resa ora, ancor più, improcrastinabile dal Coronavirus. Bisogna porsi in questo delicato frangente in posizione di leadership, sulla scorta del suo unico ed irripetibile patrimonio di Cultura, in virtù dei propri assolutamente peculiari e capillarmente diffusi giacimenti di Innovazione, grazie alle eredità tramandateci in termini di visione del Futuro e del Mondo.

INTERVISTA di FABIOLA CINQUE a ALBERTO IMPRODA Il Virus dell'innovazione
La copertina de Il Virus dell’innovazione, il nuovo libro di Alberto Improda

Il momento, si legge nel saggio, è anche cruciale per definire una nuova visione del Made in Italy, nel segno dell’Innovazione e della Tenacia, perché la sua concezione più canonica risulta per qualche verso superata. Vogliamo chiarire il concetto?

Il Made in Italy, che vive anche della credibilità del nostro Paese sui mercati internazionali, rischia di subire un duro contraccolpo a causa dell’emergenza sanitaria in atto. Dobbiamo fare in modo che la nostra uscita dalla crisi, come suggerisce Enrico Giovannini, sia “esplosiva in senso positivo, cioè non segua una dinamica “lineare” ma fortemente “non lineare” (da “Istruzioni al Governo per rimbalzare in avanti”, L’Espresso, 22 marzo 2020).

Per realizzare un’uscita “esplosiva” dalle attuali difficoltà e per “rimbalzare in avanti”, dobbiamo trovare una chiave per presentare il Paese sotto una luce nuova e diversa, che – senza rinnegarla – si affranchi dalla tradizionale immagine imperniata soltanto su Bellezza, Cultura e Creatività. Non perché tali fondamentali concetti non siano importanti, ma in quanto nessuno li pone in contestazione: il punto è che essi non appaiono più sufficienti a garantire quel vantaggio competitivo che il Made in Italy ha sempre assicurato al Paese. Fermi restando questi tratti fortemente identitari e qualificanti, dobbiamo dunque oggi andare oltre, inserendoli in una cornice più avanzata e meno stantia.

Quindi dove potrà risiedere il concetto di Innovazione? In che modo si può dare nuova linfa al Made in Italy al fine di consentire ad esso di trovare nuove energie e dispiegare in pieno tutte le sue potenzialità?

L’Italia, come dicevo già prima, rappresenta un Paese ricchissimo di Innovazione, che caratterizza e informa in modo capillare e profondo il suo tessuto imprenditoriale, il suo universo culturale, il suo apparato produttivo.

Naturalmente si tratta di un tipo di Innovazione del tutto peculiare, per diversi aspetti estremamente caratteristico, del quale come sistema Paese occorre essere consapevoli e andare orgogliosi.

L’Innovazione rappresenta un concetto complesso, che si può esprimere in modo estremamente articolato, mediante declinazioni molto diverse tra di loro.

Alcuni anni fa, ad esempio, ha avuto una certa eco l’interessante libro “Jugaad Innovation”, di Navi Radjou, Jaideep Prabhu e Simone Ahuja, edito da Rubbettino, con la prefazione di Federico Rampini, a cura di Giovanni Lo Storto e Leonardo Previ (2014). Il volume, in buona sostanza, consiste nella narrazione e nella esaltazione di una particolare forma di Innovazione propria della società indiana. Federico Rampini scrive nella Prefazione: “Jugaad è un vocabolo hindi (o anche urdu, l’idioma-gemello dell’hindi usato in Pakistan), indica un’idea che serve a risolvere rapidamente un problema. Spesso è una scorciatoia, un espediente improvvisato per aggirare un ostacolo. Evoca quella che per noi italiani è l’arte di arrangiarsi: la necessità di usare l’ingegno per sopperire alla mancanza di risorse, all’inefficienza, ai mille ostacoli di una realtà arretrata”.

Una visione ed una applicazione del concetto di Innovazione, evidentemente, molto distante dalla retorica della Silicon Valley statunitense, o dei grandi centri di ricerca delle società multinazionali, o delle enormi campagne di studio finanziate dal governo cinese… Come si pone qui l’Italia?

L’Italia, a sua volta, è la patria di una peculiare forma di Innovazione, tecnicamente definibile come Innovazione Incrementale: nel nostro Paese, usualmente, non nascono trovati inventivi dirompenti, che incidono sull’esistente in modo disruptive, creando prodotti radicalmente nuovi o addirittura determinando nuove fasce di mercato.

Ogni giorno, piuttosto, nei laboratori di decine di centri di ricerca e negli stabilimenti di migliaia di aziende, in tutto il territorio nazionale il crivello del lavoro quotidiano, la spinta a superare la concorrenza di competitor più grandi e strutturati, l’ambizione di affermarsi sui mercati internazionali, la passione nell’affrontare sempre nuovi problemi tecnici e organizzativi, determinano lo sviluppo di conoscenze altamente innovative e avanzate.

Parliamo di una tipologia di Innovazione solitamente poco visibile?

Sì, si tratta di un tipo di Innovazione solitamente poco visibile, che solo raramente si traduce in titoli brevettuali, restando il più delle volte all’interno delle imprese e degli enti quale know-how e patrimonio conoscitivo diffuso. Dalla Liguria alla Sicilia, dalla Lombardia alla Puglia, dal Friuli alla Campania, ovunque nel Paese costantemente si migliorano prodotti, si affinano processi, si perfezionano conoscenze evolute: è un vero miracolo che si ripete quotidianamente, diffuso in maniera capillare presso gli istituti di ricerca, gli uffici tecnici, le aziende agricole, gli stabilimenti industriali disseminati sull’intero territorio nazionale. Un miracolo che non richiama soltanto il proverbiale ingegno e la celebrata creatività degli italiani, ma rappresenta un prodigio fatto anche di impegno, perseveranza, metodo, passione e fatica.

Quindi il cuore del Made in Italy del Terzo Millennio.

Certamente, in uno straordinario ed inconfondibile connubio tra Tradizione Innovazione, che si traduce in un graduale ma formidabile progresso quotidiano, realizzato da un popolo animato da grande Passione e incrollabile Tenacia. Si tratta di una attitudine per la quale potremmo trovare un emblema nella Scuderia Ferrari di Formula Uno. Il Cavallino Rampante ha partecipato, unico team tra quelli oggi esistenti, a tutte le stagioni del Campionato del Mondo, nel quale ha fatto il suo esordio nel lontano 1950.

Malgrado la sua storia leggendaria ed i suoi straordinari recond di vittorie, raramente la Ferrari ha introdotto in Formula Uno novità tecniche realmente dirompenti, come può essere stato – ad esempio – l’Effetto Suolo realizzato dalla Lotus di Colin Chapman, oppure il Motore Turbo sviluppato dalla Renault, che colse il suo primo successo nel mitico Gran Premio di Francia dell’1 luglio 1979. La Ferrari ha fatto della perseveranza il suo segno distintivo, è costantemente rimasta sul pezzo, senza mollare mai, neanche nei periodi più difficili, facendo le cose spesso meglio dei propri avversari, restando comunque sempre in gara, continuando nei decenni a regalare emozioni con i propri bolidi rossi.

E se altri, in Francia oppure in Inghilterra, hanno introdotto il Motore Turbo oppure inventato l’Effetto Suolo, i tecnici di Maranello sono spesso stati insuperabili nel perfezionare queste soluzioni innovative, i meccanici della Squadra Corse hanno stupito il mondo con la propria eccezionale abnegazione, i designer del Cavallino Rampante hanno fatto sognare milioni di persone con la bellezza delle proprie monoposto.

La Scuderia Ferrari, dicevamo, come vessillo di un intero Paese, come portabandiera dell’intera comunità nazionale, come simbolo dell’Italia: per la forza della sua Tradizione, per la sua incessante sfida di Innovazione, per la spinta della sua Passione, per l’esempio della sua Tenacia.

Il Made in Italy, dunque, è Bellezza, certo; Creatività, indiscutibilmente; Ingegno, pare evidente; Cultura, senza dubbio. Ma il nostro è oggi anche un Paese pieno di Tenacia, ricco di una Innovazione diffusa in modo capillare, all’avanguardia in numerosi campi della Scienza, della Cultura e della Tecnica.

Questa dovrebbe essere la chiave per una rivisitazione ed un rilancio dell’immagine del Made in Italy nel mondo: l’incontro tra Tradizione e Innovazione, frutto di Passione e Tenacia.

Negli ultimi due capitoli del libro, scritti in collaborazione rispettivamente con Marco Pietrosante e Marco Alberti, il focus è sul fenomeno del Design, che viene ritenuto uno straordinario strumento di adeguamento alle esigenze di Innovazione imposte dalla crisi in atto. Perché tanta attenzione su questo specifico aspetto?

Innanzitutto devo anche qui fare un ringraziamento di cuore a Marco Alberti e a Marco Pietrosante per i loro contributi, così come a Marco Bentivogli che ha scritto una meravigliosa prefazione: tutti loro hanno davvero impreziosito il volumetto. Personalmente avevo già dedicato al Design il mio saggio più recente, pubblicato nel 2019: Il Design Crisalide, Editions Mincione. La mia tesi di fondo è che il Design sia ormai divenuto qualcosa di notevolmente più importante e più alto rispetto al fenomeno che conoscevamo fino a soltanto pochi anni addietro, uno strumento straordinariamente avanzato e contemporaneo, che svolge inedite funzioni di cruciale importanza, in Economia e nella Società. Volendone individuare le sue note più tipiche, le sue cifre più distintive, i suoi aspetto più caratterizzanti, l’attenzione non può che appuntarsi su due suoi peculiari profili: la natura trasversale ed il carattere progettuale. Quanto alla prima, la multidisciplinarietà costituisce un tratto tipico del Design dei nostri giorni.

Flaviano Celaschi, ha brillantemente definito “il design come mediatore di saperi”, “come disciplina che si insedia a metà strada tra quattro sistemi di conoscenze (in-put) tra di loro difficilmente dialoganti: le “humanities” e la tecnologia/ingegneria su un asse, e l’arte/creatività e l’economia e la gestione su un altro asse perpendicolare al primo” (CELASCHI, Il Design come mediatore tra saperi, in Uomo al centro del progetto – Design per un nuovo umanesimo”, 2008, 20).

Quanto al secondo, se nel passato il Design è stato soprattutto Stile e Forma, esso oggi è in primo luogo Progetto: attività di ideazione, programmazione e realizzazione, sempre nel segno della creatività.

 “L’originalità è la cifra essenziale del design: progettare significa essenzialmente pensare a qualcosa che non c’è; progettare qualcosa che esiste già sembra addirittura ridicolo.

Forse è la caratteristica che più di altre avvicina il design all’arte: come per ogni opera d’arte se non vi è originalità, invenzione personale, non vi è valore alcuno dell’opera.

Il valore del design è nel pensiero creativo che lo genera” (RICCI-TRABUCCO, Design Economia, 2017, 139).

Dunque il moderno concetto di Design si impernia su una dimensione di Progetto, caratterizzato da un significativo gradiente di Individualità, finalizzato ad incidere sulla realtà con un innovativo apporto in termini di Estetica, Tecnica e Semiotica. Il Design rappresenta una espressione di quanto c’è di più alto nell’Uomo, una attività al tempo stesso di estrema modernità e di grande nobiltà: “è la chiave che ci permette di comprendere il mondo fatto dall’uomo” (SUDJIC, Il linguaggio delle cose, 2015, 37).

L’Uomo mediante il Design progetta il Futuro, interviene nel Mondo, incide sulla Realtà, vive nella Storia, perché progettare significa “confrontarsi con la storia” (TRABUCCO, Design, 2015, 77).

Ne Il Virus dell’Innovazione, grazie anche alle competenze e alle visioni di Marco Alberto e di Marco Pietrosante, ho potuto calare il Design nel pieno del contemporaneo, nel magma incandescente della crisi in corso.

Credo che il risultato scaturito da queste collaborazioni possa essere di un qualche interesse: da un lato, c’è stato un ragionare sul Design mediante la contaminazione tra conoscenze e professionalità sensibilmente distanti; dall’altro lato, i risultati di queste riflessioni sono state applicate a vicende di estrema attualità e concretezza.

In buona sostanza, sono molto orgoglioso di questa piccola opera. Si tratta di un saggio davvero snello, ma – a me sembra – eccezionalmente denso di contenuti. Lo considero anche un modesto gesto di ammirazione verso il coraggio silenzioso di tanti italiani: proprio per questo l’ho voluto dedicare alla memoria del giovane Willy Monteiro, davvero un grande figlio del nostro Paese. E’ poi un mio segno di fiducia nelle capacità di resilienza dell’Italia e di questo nostro strano popolo, spesso inaffidabile, ma a tratti irriducibile, soprattutto nei momenti chiave.

Non per niente, tra il serio e il faceto, ho utilizzato quale esergo una frase di Giovannino Guareschi: “Gli italiani, se ci si mettono di picca, non muoiono neanche se li ammazzano”.

Qualsiasi riferimento alla drammatica vicenda del piccolo Willy è assolutamente voluto.

 

Per acquistare il libro ci si può rivolgere a malacodawebzine@gmail.com

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