Covid-19: Che consiglio avrebbe dato alle imprese Adriano Olivetti?

Covid-19: Che consiglio avrebbe dato alle imprese Adriano Olivetti?

ITALIA – Le imprese italiane stanno attraversando un momento davvero drammatico dovuto alle necessarie restrizioni  introdotte per far fronte alla diffusione del Coronavirus. Abbiamo chiesto ad Alberto Improda quale potrebbe essere l’approccio migliore per affrontare questa sfida e… forse una mano potrebbe darcela il grande Adriano Olivetti. 

Questa è la visione dell’avvocato Alberto Improda. Una chiave di lettura originale e inedita. Mi ha colpito infatti che un professionista che vive la contemporaneità, alla domanda su quale potrebbe essere l’approccio migliore per affrontare la crisi al tempo del Coronavirus, mi citasse un grande del passato. Ecco allora che abbiamo approfittato per approfondire il suo pensiero.

Le aziende del nostro Paese in effetti oggi sono chiamate ad un grande sforzo ed a vincere ben due battaglie: innanzitutto, resistere alla crisi scatenata dall’emergenza sanitaria in corso; parallelamente, riprendere quanto prima a competere con successo sui mercati nazionali e internazionali. Il frangente è davvero delicato e il panorama per molti aspetti inedito: può essere di fondamentale aiuto, per mettere a punto le migliori strategie di gestione dell’azienda, trarre ispirazione anche da esempi virtuosi del recente passato. Il 27 febbraio 1960, all’altezza del paesino svizzero di Aigle, su un treno partito da Milano e diretto a Losanna, moriva Adriano Olivetti.

L’industriale di Ivrea, a lungo rimasto una figura atipica e isolata nel panorama imprenditoriale italiano, viene ormai da anni universalmente celebrato come una delle menti più avanzate e lungimiranti del Novecento.

Improda Adriano-Olivetti
Una foto di Adriano Olivetti nel 1957

Proviamo ad immaginare, dunque, quali misure avrebbe messo in atto in azienda per attutire l’urto della crisi e per predisporre un immediato rilancio della propria impresa. Adriano Olivetti, a mio avviso, si sarebbe attenuto quanto meno a tre regole fondamentali.

Prima regola: “Massima attenzione all’innovazione ed al know-how dell’azienda”.

Seconda regola: “Esame scrupoloso dei contratti dell’impresa”.

Terza regola: “Grande impulso sui mercati internazionali”.

Partiamo dalla prima regola: perché tanta attenzione a innovazione e know-how? E cosa intendiamo in concreto con queste espressioni?

Adriano Olivetti, come noto, è stato un vero e proprio pioniere nell’attribuire un ruolo centrale e cruciale all’innovazione.

Una innovazione a tutto tondo, tale da investire i più diversi profili dell’azienda.

Una innovazione organizzativa, innanzitutto: il giovane Adriano, a metà degli Anni Venti, subito dopo la laurea in ingegneria trascorse un lungo periodo di studio negli USA, documentandosi con dedizione certosina sulle più avanzate soluzioni organizzative adottate negli stabilimenti americani.

Una volta entrato in fabbrica, prestò sempre grande attenzione all’organizzazione aziendale, contaminando le impostazioni più tradizionali con le sue iniziative originali e visionarie.

Una innovazione tecnologica, poi: le macchine da scrivere e le macchine da calcolo della Olivetti sono stati per l’epoca dei veri e propri gioielli di tecnologia.

Basti pensare che l’impresa di Ivrea già negli Anni Cinquanta, con approccio davvero avveniristico, sviluppa la grande elettronica con i calcolatori Elea, tra l’Italia (Borgolombardo, Pisa, Rho) e gli USA (New Canaan, nel Cunnecticut).

Una innovazione estetica, infine: non è certo necessario ricordare che alcuni prodotti della Olivetti sono stati delle vere e proprie pietre miliari nella storia del design.

L’attività di progettisti e designer, infatti, ha dato vita a realizzazioni leggendarie, quali le calcolatrici MC4 Summa (1940) e Divisumma 24 (1956), oppure le macchine per scrivere Lexikon 80 (1948) e Lettera 22 (1950), solo per fare alcuni esempi.

Adriano Olivetti, dunque, in un frangente come quello attuale si sarebbe particolarmente concentrato sull’innovazione, sul know-how, sul patrimonio conoscitivo dell’impresa, incitando l’intera azienda al massimo impegno,poiché la concorrenza, le invenzioni, i perfezionamenti non hanno limiti e dovremo, sotto questo riguardo, non dar mai segni di stanchezza, alimentando di nuove forze tecniche i nostri laboratori di ricerche, i nostri centri studi”.

Passiamo alla seconda regola: perché questa crisi da Coronavirus rende tanto importante una analitica disamina dei contratti dell’azienda?

Mi permetta una rapida premessa.

Vede, il recupero e la valorizzazione di Adriano Olivetti, forse nel tentativo di riscattare i lunghi anni nei quali è stato condannato all’oblio, tendono spesso a tratteggiarne la figura in modo inadeguato, consegnandocene un’immagine edulcorata e stucchevole, sempre in bilico tra il sentimentalismo e la retorica.

Non si comprende in pieno la portata del suo pensiero, invece, se non si prende l’industriale di Ivrea per quello che è stato: un vero imprenditore, a tratti – ove necessario – anche duro e pragmatico.

Adriano Olivetti, con tutta la sua lungimiranza e la sua modernità, resta pur sempre un esponente del fordismo classico e si muove all’interno di canoni del tutto novecenteschi.

E’ vero che egli, anticipando di oltre sessanta anni il manifesto della Business Roundtable dell’agosto 2019, fu un assoluto precursore del valore sociale dell’impresa e della non esclusività del fine del profitto: “La fabbrica non può guardare solo all’indice dei profitti. Deve distribuire ricchezza, cultura, servizi, democrazia”.

Ciò non di meno, il profitto resta una componente essenziale nella vita dell’impresa, tanto per i manager dei nostri giorni quanto per Adriano Olivetti, il quale ebbe a dire: “Il segreto del nostro futuro è fondato sul dinamismo dell’organizzazione commerciale e del suo rendimento economico …”.   

Questo per dire che egli oggi, da buon e pragmatico imprenditore, esaminerebbe con ingegneristica precisione i contratti esistenti in azienda, al fine di valutare se le straordinarie vicende di questi giorni non consentano all’impresa di rinegoziare gli accordi divenuti eccessivamente onerosi, ovvero di liberarsi – in forza di sopravvenute ragioni di forza maggiore – delle intese di impossibile realizzazione.

Ed eccoci alla terza regola: come si spiega una importanza tanto cruciale attribuita, soprattutto in un frangente drammatico come quello attuale, al tema dell’internazionalizzazione delle nostre aziende?

Bisogna rendersi conto che la maggior parte delle imprese italiane, date alcune peculiari caratteristiche del nostro tessuto produttivo, possono sviluppare volumi adeguati soltanto operando sui mercati internazionali.

Adriano Olivetti, anche da questo punto di vista, si trovò largamente in anticipo sui tempi.

Significativa fu l’acquisizione, da parte dell’azienda di Ivrea, della società statunitense Underwood: l’operazione si rivelò poi economicamente disastrosa, ma l’idea di una azienda italiana che andava ad acquisire la sua concorrente americana risulta emblematica di un’intera visione.

Covid-19 Adriano Olivetti

E, quando i concetti di globalizzazione e internazionalizzazione erano ancora estranei alla nostra cultura, la Olivetti giunse a rappresentare un gruppo diquattordici società alleate di cui tre nel Commonwealth Britannico, cinque in Europa e quattro nell’America Latina, coi cinque stabilimenti di Barcellona, Glasgow, Buenos Aires, Johannesburg, Rio de Janeiro, ed oltre tremila operai”, potendo così “innalzare le nostre insegne a New York come a Francoforte, a Vienna come a San Francisco, a Rio de Janeiro o a Città del Messico o nella lontana Australia …”.

Le aziende del nostro Paese, auspicabilmente con un valido supporto da parte del sistema istituzionale, devono insomma reagire alla crisi in atto dedicandosi con determinazione, cautela ed impegno a competere nei mercati esteri.

Possiamo lanciare un messaggio finale, una considerazione riepilogativa al mondo delle imprese italiane?

Le tre regole che abbiamo visto possono essere un buon punto di partenza per le nostre imprese, chiamate ad un difficile esercizio di resilienza, passando da una fase di resistenza alle avversità imperversanti ad una di rilancio che coinvolga l’intero sistema produttivo italiano.

Molti sono gli insegnamenti di Adriano Olivetti che negli attuali frangenti possono risultare di grande utilità, ma prezioso dobbiamo considerare soprattutto il suo esempio di vita, la sua incrollabile fiducia in un futuro migliore, la sua visione dell’impresa come progetto morale, la sua tenace fede “nell’uomo, nella sua fiamma divina, nella sua possibilità di elevazione e di riscatto”.

 

Fabiola Cinque

2 Responses to "Covid-19: Che consiglio avrebbe dato alle imprese Adriano Olivetti?"

  1. Giancarlo Pallavicini   16 Settembre 2020 at 22:53

    L’interessante argomento, magistralmente trattato da Fabiola Cinque nell’interessante intervista ad Alberto Improda, richiama un recente evento, promosso in collaborazione con la Fondazione G.P. Onlus, della quale riproduco alcune mie chiose per condivisione di quanto più sopra annotato.
    IITM -ITIM – ISMIT XVII International Conference, 10 – 11 Luglio 2020
    e Sessione Speciale: “Diossina 1976 e Covid-19”

    Giancarlo Pallavicini – Fondazione Giancarlo Pallavicini Onlus Umanitaria Culturale
    “Saluto e brevi chiose”

    Un grazie caro Francesco per l’invito e un sentito plauso per avere immaginato e
    realizzato questo importante evento nella sua duplice articolazione locale e
    internazionale. Quest’ultima più vicina alla tua qualificata esperienza scientifica.
    Non mi occupo di medicina se non per qualche malanno anagrafico di poco conto,
    e di ciò ringrazio nostro Signore. Ma partecipo volentieri a questo tuo evento
    perché la pandemia da Covid19 ha messo in ulteriore evidenza i rapporti tra la cura
    della salute e i’esigenza di evitare un collasso dell’economia.
    Andando allo specifico, mi è caro annotare che la vicenda ICMESA/Diossina di
    Seveso ha evidenziato la fragilità di un processo di produzione, cioè della macchina.
    Per contro, la pandemia, sotto il profilo economico, mostra invece la fragilità del
    lavoro umano, troppo debole nei confronti della macchina indifferente al virus.
    Ne consegue un’impennata del processo sostitutivo del lavoro umano, già
    all’attenzione degli economisti sensibili al bene comune. La dimensione di tale
    fenomeno fa dire a Satya Naella, CEO di Microsoft, di aver assistito a due anni di
    trasformazioni in appena due mesi. Un cambiamento del quale non si possono
    individuare i confini, troppo finalizzato al profitto di chi lo produce e privo della
    necessaria mediazione culturale che salvaguardi l’umanità e i suoi valori.
    In alcuni settori, come quello della cura della salute, è certamente auspicabile un più
    efficiente e diffuso sviluppo della tecnologia avanzata. Ma in altri ambiti tale sviluppo
    richiede la definizione e l’assunzione di regole in grado di contenerne taluni effetti.
    E’ il caso, ad esempio, delle reti social, che possono condizionare i comportamenti
    delle popolazioni nell’economico, come nel politico e nel sociale.
    Nell’assenza di una mediazione della filosofia e delle ragioni dell’essere, se ne
    possono sin d’ora intuire le conseguenze sulla percezione di noi, come soggetti non
    tanto autonomi, quanto interconnessi in un connubio tra l’esistenziale entità
    biologica e l’artificiale strumentazione tecnologica. Non radicati nella nostra realtà e
    nella concezione di sé, ma vaganti nell’universo delle informazioni, gestito da
    algoritmi capaci di memorizzare esperienza e di modificarsi autonomamente.
    Essi sono in grado di interpretare per ciascuno le vicende del suo passato ed a
    condizionarne l’indirizzo del percorso futuro.
    Ne risulterebbe uno scadimento dell’umano e della percezione di sé.
    In conseguenza delle interazioni dell’antropologia con lo sviluppo scientifico e
    tecnologico che lo sottende, l’uomo ha cessato di ritenersi il dominus di una Terra
    posta al centro dell’Universo, a seguito dell’eliocentrismo di Copernico, comprovato
    da Galileo; ha perso l’immaginata centralità nel regno biologico, con l’
    evoluzione darwiniana delle specie, sino a considerarsi parte di un tutto a
    seguito pure delle interazioni mostrate da Freud, con l’influenza dell’inconscio,
    che ha superato la percezione dell’uomo come soggetto isolato e specchiante
    soltanto sé stesso, di cartesiana memoria.
    In sintesi, eccoci immersi in una fase di accelerato cambiamento, indotto da uno
    sviluppo tecnologico ancora troppo orientato al profitto di chi lo promuove e nell’
    assenza di un’ adeguata mediazione culturale e filosofica, anche in ambiti
    sempre più sensibili.
    Quindi, in proiezione futura, troppo disattento all’umanità, per come è e per come
    percepisce se stessa.
    Non posso che concludere auspicando un cambiamento che non sia finalizzato
    soltanto al profitto di chi lo promuove, ma che ponga al centro l’uomo col suo
    ambiente sociale, culturale e naturale, che coinvolga l’umano col trascendente.
    Altrimenti assumerebbe valore profetico la definizione data da Marvin Minsky,
    noto precursore dell’Intelligenza artificiale, che “l’uomo è l’anello di congiunzione
    tra la scimmia e la macchina pensante”.
    E dato che non mi confà il ruolo di Cassandra, attingo alla speranza che, nello
    scenario denso di nubi, ma con sprazzi d’azzurro, possa irrompere la capacità
    dell’uomo di programmare il futuro, per sé e per gli altri accomunati nello stesso
    percorso, e, guardando con occhi nuovi le vicende del passato, sappia individuare
    i valori da traslare nel futuro che avanza ed ampliare gli spazi d’azzurro per tutti.
    Con ottimismo, come suggerisce un antico proverbio cinese: “Quando tramonta il
    sole non piangere, perché le lacrime ti impedirebbero di vedere le stelle”.

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  2. Fabiola Cinque   17 Settembre 2020 at 13:01

    Ringrazio il dottor Giancarlo Pallavicini del suo contributo che pone ancor più valore alla chiave di lettura, originale e inedita, dell’avvocato Alberto Improda.
    Il dibattito meriterebbe ulteriori approfondimenti ma, a mio avviso, la visione di Pallavicini che qui estrapolo e metto in evidenza, fotografa perfettamente l’attuale percezione del momento storico che stiamo vivendo.
    “Nell’assenza di una mediazione della filosofia e delle ragioni dell’essere, se ne
    possono sin d’ora intuire le conseguenze sulla percezione di noi, come soggetti non
    tanto autonomi, quanto interconnessi in un connubio tra l’esistenziale entità
    biologica e l’artificiale strumentazione tecnologica. Non radicati nella nostra realtà e
    nella concezione di sé, ma vaganti nell’universo delle informazioni, gestito da
    algoritmi capaci di memorizzare esperienza e di modificarsi autonomamente”.

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