Lamb: quando il silenzio rende unico un film

Lamb: quando il silenzio rende unico un film

PRATO – Il Museo Pecci è uno spazio polivalente. Io spesso lo frequento come cinema perché seleziona accuratamente la programmazione. Film come Lamb sbarcano difficilmente nelle multisale perché non generano il giusto appetito da popcorn.

Dal 31 marzo al 6 aprile, per i toscani che lo avessero perso, consiglio di recarsi al Museo Pecci di Prato e godersi questa singolare ma affascinante pellicola. Ho già visto e recensito questo film insieme a molti altri durante il Festival del Cinema di Roma. Ritengo però che meriti un approfondimento per il fattore ansiogeno che genera e per l’idea di base. La pellicola ha vinto il Premio per l’originalità al Festival di Cannes 2021 sbaragliando la nutrita concorrenza.

Per il regista islandese Valdimar Jóhannsson Lamb è stato l’esordio ed oltre a Cannes, ha vinto anche il primo premio al Festival del cinema fantastico di Stiges. A mio avviso ha grande talento e lo dimostra questo lungometraggio. È un’esperienza visiva che disorienta e stupisce. Se lo si guarda mollando le nostre sovrastrutture bigotte ed incredule, si può godere di una storia che può avere decine d’interpretazioni diverse.

LAMB: COME INCASELLARLO?

A me non piace proprio l’ordine maniacale, il modo patologico di organizzare il cassetto dei calzini andando per sfumature di colore, lunghezza, materiali utilizzati. Sono più per una bella cesta piena d’indumenti puliti, ma arruffati fra loro. Mi resta complicato quindi, di norma, incasellare qualcosa. In questo caso è ancora più faticoso in quanto, questo film è sorprendente soprattutto per questo. È un’opera che non può essere chiusa in un cassetto di genere: questa è la sua vera forza.

Lamb non è un horror ma contiene le atmosfere cupe tipiche del genere. I colori, le nebbie, il freddo che si sente in sala pur avendo indosso un pullover di lana. Non è nemmeno solo un dramma familiare, un amore che scoppia, le incertezze di un’adozione. Diciamo che l’elemento fantastico sovrasta gli altri sapori, anche se non rischia mai di assorbire del tutto la dinamica narrativa. Può ricordare lo svedese Border per il lavoro materico sui corpi immersi nel paesaggio nordico. Può ricordare The Witch di Robert Eggers per le atmosfere oscure e l’uso ossessivo degli animali da fattoria. Di certo Lamb è stato ampiamente influenzato dalle antiche leggende della mitologia norrena, dove la natura ricopriva spesso un ruolo ostile e minaccioso. A me ha sconvolto a tratti e mi ha fatto pensare. Questo è il modo migliore che posso trovare se fossi davvero costretto ad incasellarlo.

Museo Pecci film Lamb
Museo Pecci a Prato

LAMB: LA TRAMA

Maria e Ingvar sono una coppia di agricoltori e allevatori che vive in una fattoria isolata. Tanta inquietudine, tanta natura incontaminata, nessun altro insediamento è visibile dalla loro casa, nessuna creatura umana all’orizzonte. Solo animali e tanto verde. La loro vita è scandita dalle necessità del lavoro nei campi e della cura di un nutrito gregge di pecore. Tutto sembra procedere tranquillamente, ma fra Maria e Ingvar c’è troppo silenzio e intorno alla fattoria incombe una presenza oscura che visita il gregge incustodito.

Questo aspetto mette timore ma è comunque poco invadente rispetto alla loro monotona quotidianità. Un giorno i due coniugi aiutano una pecora a partorire un esserino del quale si innamorano a prima vista. Si guardano e senza dire molto decidono d’iniziare di accudirlo in casa propria. Lo sottraggono alla madre naturale, al gregge e lo crescono all’interno del loro focolaio. È l’inizio di una deriva che ha le sue radici in un vuoto che attraversa il passato della coppia, e che aprirà la porta alla tenerezza e al mistero.

LA NATURA E LA COPPIA

Isolamento forzato tra le montagne islandesi. Allevamenti e allevatori. Pecore, campi, bestiame, agnellini. Prendersi cura della casa, del recinto, del gregge, del mondo che avvolge un’abitazione nel mezzo al niente. Maria (Noomi Rapace) e Ingvar (Björn Hlynur Haraldsson) vivono in coppia, ma non si sfiorano. Quasi non si rivolgono la parola, procedono per inerzia, sopravvivono. Se escludiamo l’ambiente selvaggio, il film propone una routine che può capitare anche in città. Coppie stritolate dal lavoro o dalla noia che vanno avanti soltanto per non sentirsi ancora più soli.

I figli come una scappatoia, come l’ennesimo tentativo di tirare avanti. Una nuova nascita che fa da collante, che fa riacquisire un nuovo calore a due esseri ormai estranei. Qui però si va contro la natura, i due forzano tutto il mondo che li circonda. Il loro è un grave atto di egoismo. Lamb è un film silenzioso dove le immagini e i suoni raccontano molto più delle parole. Ho visto il film con i sottotitoli, ma tutte le dinamiche sarebbero state chiare anche senza. Il freddo paesaggio nordico circonda i pochi personaggi del film che tentano di dominare questa natura così selvaggia ed incontaminata. L’essere umano fa parte della natura e l’animalità diventa parte basica in una strana quanto inquietante fusione corporea. Gli animali non parlano ma trasmettono tantissimo grazie alla costruzione registica. Lo spettatore è portato a proiettare ansie e paure sugli sguardi ignari di gatti, agnelli e pecore. I campi lunghi si alternano ai dettagli.

Spesso i protagonisti sono inquadrati di spalle, accentuando in questo modo l’oscura sensazione di mistero che pervade l’opera. Il film può essere interpretato con riferimenti religiosi (l’agnello di Dio e la madre Maria), oppure come metafora delle irrimediabili conseguenze di un atto contro natura. In ogni caso era un bel pezzo che non vedevo un film così d’impatto.

LA PROTAGONISTA FEMMINILE: NOOMI RAPACE

Concludo brevemente parlando di Noomi Rapace, attrice svedese di grande talento. In questo film l’ho trovata davvero bravissima, una interpretazione silenziosa ma graffiante. Senz’altro la sua bellezza fuori dai canoni classici l’ha aiutata ad apparire credibilissima nel ruolo della donna stanca. Confinata in un angolo di mondo dal quale non riesce ad evadere. Diventa teneramente mamma ricoprendo movenze lente e premurose: ideali per chi tiene molto alla sua creatura.

Per chi non la conoscesse bene, il suo cammino artistico è molto importante. Nel 2011 vince il premio Marc’Aurelio d’Argento come miglior attrice al Festival del cinema di Roma per la sua interpretazione nel film Babycall diretto dal genio di Pal Sletatune. Nel corso della sua carriera è stata diretta anche da Spielberg, Rydley Scott, Brian De Palma. Per chi ha voglia di vederla in un action-movie, consiglio di guardare Dead Man Down, dove recita al fianco di Collin Farrell. Un film basato sulla vendetta che tiene con il fiato in sospeso. La Rapace è bravissima anche in quella occasione. La sua bellezza emerge nonostante rappresenti una donna rimasta sfigurata a causa di un’incidente stradale.

Francesco Danti

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