Riscoprire l’attualità di un testo di Ibsen del 1882 e trasporlo ai nostri anni ’70 ci mette dinanzi alla consapevolezza che a volte i secoli non sono sufficienti a modificare i nostri intenti. La scelta di fermarsi agli anni 70 e non arrivare sino ad oggi è dettata dall’avvento della tecnologia nell’ultimo trentennio che renderebbe meno credibile le tematiche del testo.
Un dottore scopre che le terme pubbliche sono appestate da inquinanti scarichi montani di conciatura delle pelli. Vorrebbe fare un pubblico appello per denunciare la cosa e far porre rimedio al problema, ma da una parte suo fratello, rappresentante dei potenti azionisti di maggioranza delle terme, dall’altra i redattori di un giornale popolare che si schiera contro i potenti della città, si oppongono alla pubblicazione della relazione del dottore. Il tutto è facile intuirlo: evitare che emerga la totalità della parte lesa nella questione. Gli appelli al potere sono inutili, quelli alla coscienza popolare anche: sia vinti che vincitori sono una schiera di opportunisti, interessati solo alla reputazione e al denaro.
La prova di GianMarco Tognazzi come attore non aveva bisogno di conferme. E il personaggio è nelle sue corde. L’interpretazione è credibile almeno quanto il fatto di cronaca narrato, che ci mette dinanzi alla scelta di un’etica o di una mediazione per l’ambizione di potere celata in ognuno di noi.
Lo svolgersi dell’opera ci porta ad un bivio: il dottore dovrà scegliere quale strategia perseguire, quale vita affrontare. La scelta più immediata ed istintiva lo porterebbe ad abbandonare la città. Scelta troppo facile per quietare il suo animo e convivere con l’indifferenza. Oppure rendersi parte attiva in un processo di conoscenza che risvegli i giovani per conquistare un senso civico più civile.
“Un nemico del popolo” al Teatro Sala Umberto di Roma fino al 20 aprile.
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