VENEZIA – Vi racconto la terza edizione della Biennale Danza firmata da Wayne McGregor appena conclusa.
Si è conclusa a fine luglio la terza edizione della Biennale Danza firmata da Wayne McGregor. Le presenze realizzate quest’anno sono state 11.800 (con un incremento del 26% in più rispetto allo scorso anno). Venezia ha ospitato nell’arco delle due settimane di programmazione oltre 150 artisti da tutto il mondo, con 24 titoli di cui 19 novità, 7 mondiali, 3 europee e 9 italiane.
Il Leone d’oro alla carriera è stato destinato a Simone Forti, che con la sua attività ha regalato sensazioni più intense e ricche alla danza contemporanea.
Altri nomi di grande prestigio sono stati Carlos Acosta, Pontus Lidberg, Rachid Ouramdane, Oona Doherty e Lucy Guerin. Il tutto affiancato dai giovani danzatori e coreografi di Biennale College, “linfa vitale” del festival nelle parole del direttore Wayne McGregor. Oltre ai principali media italiani quest’anno il festival è stato indagato e rendicontato da molta stampa straniera, soprattutto americana, francese e tedesca.
La Biennale Danza continua il programma pluriennale con risorse destinate alla creazione coreografica delle nuove generazioni. I progetti destinati ad artisti con età inferiore ai 35 anni dovranno pervenire entro il 12 settembre, rispondendo alle richieste dei bandi. La Biennale Danza è stata realizzata anche con il contributo del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, della regione veneta e ha avuto come sponsor principale la Bottega Veneta.
Per quanto riguarda gli spettacoli che ho visto, ritengo che negli ultimi anni l’impostazione della Biennale si sia orientata soprattutto verso “performance” di danza. La tendenza alla performance è ormai generalizzata su tutto il pianeta, quindi bisogna essere disponibili a valutare questa forma artistica che è sempre stata legata più all’arte contemporanea che non alla danza, come un’evoluzione della danza medesima.
Si può essere d’accordo o in disaccordo ma bisogna oggettivamente prendere atto di questa realtà. Personalmente resto più affascinato dai lavori e dagli studi anche di ricerca sulla danza contemporanea, ma la performance ha un indubbio fascino di attrazione emotiva sul pubblico, che reagisce sempre positivamente.
Il Leone d’argento al Tao Dance Theater è in questa direzione.
La tendenza dei festival, tutti, sia di danza, sia di teatro, sia di cinema negli ultimi anni è quella di privilegiare, secondo me in modo un po’ provinciale, la lingua inglese rispetto all’italiano. Ogni paese decide per conto suo chiaramente ma penso che nei confronti anche di un pubblico italiano, che ha gli stessi diritti degli stranieri che partecipano al festival, sarebbe opportuno che a fronte di una performance di danza tutta parlata in lingua inglese, ci fosse almeno uno straccio di sottotitolo di traduzione italiana come accade per tutte le opere liriche.
Questo è un piccolo consiglio operativo e di sensibilità verso il pubblico italiano che mi permetto di dare per le prossime edizioni. La macchina operativa ha funzionato benissimo, sottolineo con grande entusiasmo l’uso dei macchinini che trasportavano il pubblico dall’entrata dell’arsenale fino all’ultimo teatro, distante più di un chilometro.
Arrivederci alla prossima Biennale.
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