Biennale Venezia 2024: appunti sulla mostra Stranieri Ovunque

Biennale Venezia 2024: appunti sulla mostra Stranieri Ovunque

VENEZIA – Alla sessantesima edizione della Biennale d’arte veneziana si è visto di tutto, da lì è passato il mondo e la storia: tra cui due guerre mondiali combattute anche proprio in Italia, la dittatura in molti paesi, la ricostruzione, la contestazione e il terrorismo, la democrazia e il globalismo, la pandemia. 

Biennale Venezia 2024: il progetto nacque nel 1895 come la vetrina più bella dove si potevano ammirare le vette artistiche di ogni Nazione partecipante. Lì si presentava lo stile artistico, il gusto estetico della modernità, che indicava l’oggi e insieme tendeva al futuro. Internazionalità era fin dall’ora la parola d’ordine per poter vedere in un luogo solo il meglio della produzione artistica delle Nazioni invitate. Incredibilmente, ma fortunatamente, le Nazioni “storiche” si tengono ancora ben stretti i propri padiglioni anche in tempi in cui alcuni vorrebbero cancellare queste identità.

Mentre, a dire il vero, ad ogni nuova edizione della Biennale cresce il numero di Nazioni “nuove” che desiderano partecipare, e per loro si devono trovare, inventare spazi espositivi (che a Venezia non mancano certo).  

Rifugiato Astronauta di Yinka Shonibare, l’immigrazione non conosce frontiere. Lo spazio sarà prossima meta. Ci saranno rifugiati anche su Marte? Se ci fossero sarebbero così equipaggiati.

Biennale Venezia 2024: Appassionati da tutto il mondo

Curioso: il vecchissimo concetto ottocentesco delle grandi Expo mondiali organizzate nelle più moderne capitali europee riesce ad attirare ancora e sempre più se si leggono i numeri dei visitatori in continua crescita. Infatti gli Art Lovers, gli appassionati d’arte rigorosamente contemporanea, i seguaci entusiasti di fiere internazionali e di mostre clamorose, trovano alla Biennale Venezia 2024 un intreccio senza eguali di arte contemporanea e arte antica con tutta la sua carica di bellezza affascinante. 

Devo dire che l’interesse, la curiosità e perché no? il divertimento sta proprio, per me, nella ricchezza delle proposte di ogni Padiglione Nazionale, nella loro sacrosanta autonomia multiforme e varia, sostenuta dai contributi economici che riescono a raccogliere presso musei, gallerie, sponsor oggi chiamati donors. 

Due non identificati amanti in uno specchio di Omar Mismar. Una scena d’amore tra due giovani amanti. La perfezione dei corpi realizzati a mosaico con lo stile degli antichi romani si scompone confondendo le tessere quando ritrae i due volti che si stanno per baciare rendendoli non riconoscibili. Ancora un tabù in Libano.

Quest’anno sono quasi 100 i padiglioni nazionali, e quasi 100 mostre a latere. Tutta la città è mobilitata e dà ricetto a eventi in palazzi, case, depositi, magazzini, chiese, sagrestie, musei, gallerie, e persino il carcere femminile. 

Risale al 1972 la novità di dare un tema alla mostra del Padiglione Italia della Biennale Venezia 2024 ideata dal direttore artistico di turno: allora fu “Opera e Comportamento” curata tra gli altri da Francesco Arcangeli e Renato Barilli. Da allora il titolo dà il la alla Biennale nella sua interezza, anche se in vero molti Padiglioni Nazionali si defilano scegliendo proposte individuali. 

Anno 1942 di Anna Maria Maiolino, premiata con il Leone d’oro alla carriera. Italiana emigrata in Brasile, nata nel 1942. La silhouette dell’Italia appare bruciata, vuole essere un riferimento preciso ai disastrosi e cruenti bombardamenti degli Alleati sull’intera penisola proprio nell’anno della nascita dell’artista.

Stranieri Ovunque

Titolo ideologicamente impegnativo di questa sessantesima Biennale d’arte è Stranieri Ovunque. Per associazione d’idee, cioè per assonanza e assieme contrasto, mi balza alla memoria Fratelli tutti, titolo bellissimo della terza enciclica di Papa Francesco. Argomento profondo e molto complesso quello della “diversità”, da affrontare secondo molte luci, filosofiche, politiche, sociologiche, psicologiche. Difficile invece come tema in una mostra d’arte, soprattutto contemporanea. L’arte contemporanea tende al inedito, al futuro: l’inconsueto e il nuovo è il suo territorio, ma qui a Venezia i riflettori sono sulle identità degli artisti invitati (molti sconosciuti ai più) non sulle opere esposte. 

All’Arsenale e al Padiglione Centrale dei Giardini il curatore Adriano Pedrosa presenta un larghissimo ventaglio di artisti (331) provenienti in gran parte da Africa, Asia, Centro e Sud America, Oceania donando loro la possibilità di mostrarsi per la prima volta sullo straordinario palcoscenico mondiale della Biennale Venezia 2024. Sono stranieri non solo come passaporto, ma soprattutto perché estranei al mondo dell’arte contemporanea, al suo mercato, al suo consolidato circo internazionale, alle scuole formali delle Belle Arti (molti gli autodidatti), e non sono rappresentati dalle grandi gallerie mondiali (fin ora).

Pret-à-Patria di Barbara Sanchez-Kane. Il violento nazionalismo messicano smascherato proprio nel suo machismo. Sotto l’uniforme i soldati indossano una microscopica lingerie di pizzo rosso che lascia le natiche al vento.

 

Pret-à-Patria di Barbara Sanchez-Kane. Il violento nazionalismo messicano smascherato proprio nel suo machismo. Sotto l’uniforme i soldati indossano una microscopica lingerie di pizzo rosso che lascia le natiche al vento.

Non una semplice mostra

Sono i marginali del mondo dell’arte occidentale di cui hanno metabolizzato soprattutto il modernismo novecentesco astratto e figurativo, e tanta colorata transavanguardia con i propri autoctoni enzimi. Pedrosa ha cercato nel mondo sottorappresentato, il cosiddetto sud del mondo, autori sconosciuti o dimenticati, gli outsider.

Altra particolarità è che il 55% degli artisti invitati sono morti. Non era mai successo alla Biennale. Per il curatore brasiliano gli stranieri non sono solo immigrati, espatriati, esiliati, rifugiati, diasporici che sono estranei alla cultura dei paesi che li ospitano e dove portano la loro tradizione etnico simbolica sempre fortemente variopinta fatta di tessuti, ricami e tanta pittura, ma gli estranei, gli strani sono anche identificati da diverse sessualità e generi (ricordiamo che il primo significato etimologico della parola queer è proprio “strano”).

Mi pare, come già accennato, che la scelta del direttore Pedrosa sia stata dettata più dalla biografia, dalle caratteristiche identitarie del singolo artista che dalla propria opera: e allora benvenuti a bordo apolidi, marginalizzati, fluidi, queer, disforici, non binari…

mostratevi più per il vostro essere che per il vostro fare…

El matrimonio de la chola di Violeta Quispe, peruviana, esprime la cultura andina aggiornata alla vita contemporanea.

Senza dubbio questa mostra ha il merito di aprire una grande finestra sul mondo e dà un bel pugno nello stomaco di ogni razzismo elitario. Noi oggi, che ci pensiamo gente civile, sappiamo che l’emarginato va accolto, ce lo dice la morale e la religione tra l’altro. Nella storia reale la grande paura del diverso ne ha fatte e continua a fare di sciagure: innumerevoli sono le vittime dell’egoismo, dell’ingiustizia e della violenza. Quanto sarebbe bello che soffocato per sempre ogni istinto razzista si potesse realizzare l’utopia Stranieri ovunque, Fratelli tutti.

Takapau di Collettivo Mataaho, neozelandese, un’istallazione che genera un intricato gioco di luci e di ombre, sotto questa grande tenda lo spazio muta come gli intrichi della vita

Papa Francesco e l’arte

Nel recentissimo discorso di Papa Francesco agli artisti si sottolinea quanto

“sarebbe importante se le pratiche artistiche potessero costituirsi ovunque come una sorta di rete, collaborando per liberare il mondo da antinomie insensate che cercano di prendere il sopravvento nel razzismo, nella xenofobia, nella disuguaglianza, nello squilibrio ecologico”.

Immaginate città che ancora non esistono sulla carta geografica: città in cui nessun essere umano è considerato un estraneo. È per questo che quando diciamo “stranieri ovunque”, stiamo proponendo “fratelli ovunque””. 

Facciata del Padiglione Centrale ai Giardini di Mahku un movimento di artisti brasiliani indigeni, un murale variopinto che racconta tante storie intrecciate dell’antica tradizione indigena.

Si potrebbe continuare a lungo cavalcando i temi profondi che questa Biennale offre. Per ora fermiamoci qui e passiamo ad un altro aspetto non meno importante per una esposizione d’arte. 

Allestimento non proprio soddisfacente

Purtroppo l’allestimento ci è sembrato scarno, infelice senza quei colpi di scena che sempre facevano sensazione nei vastissimi spazi delle Corderie dell’Arsenale, poche le istallazioni mostre. Al Padiglione dei Giardini si è adottato un montaggio old style, vecchia quadreria fatta da una affollata sfilata piuttosto noiosa di quadri di dimensioni casalinghe medio piccole che galleggiano in un ambiente fortemente sovradimensionato.

Un performer brasiliano si aggira per i Giardini. Anche lui ha un messaggio da trasmettere.

Abbiamo visto tante le opere pittoriche zeppe di segni e di colori con disegni etnici e tanti simboli tribali, sovrabbondanti di stoffe e i ricami. Anche quadri che hanno intercettato i movimenti moderni del Novecento dell’arte contemporanea occidentale, ma che sembrano uscire polverosi dalla cantina. In fondo il filo che sottende alla maggioranza delle opere esposte può essere la descrizione della lotta che gli immigrati combattono per integrarsi in una nuova società, e gli sforzi che sostengono per introdurvi i loro modi.  

Scultura di una donna trans di Jade Guanaro Kuriki-Olivo, in arte Puppies Puppies. L’autoritratto a grandezza naturale in bronzo del corpo dell’artista. Ci ricorda gli antichi Kouroi, figure umane statiche e frontali, però qui molto naturali ed evidenti. È il tema della sessualità che si vuole celebrare.

 

In homepage Stranieri Ovunque di Claire Fontaine, un duo italo inglese con base a Palermo. Decine di scritte al neon colorate recitano il tema della Biennale in decine di lingue e dialetti. La biblica Torre di Babele sta alla radice della incomprensione e quindi causa dell’estraneità tra gli uomini. Foto MyWhere©

Silvia Camerini Maj

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