Il grande Christian Dior nella sua autobiografia recentemente tradotta in italiano (Christian Dior & Moi, Donzelli Editore, 2014), sosteneva che esistessero due tipi di mannequin: “la mannequin di successo e la mannequin musa. La mannequin di successo è rivolta verso l’esterno, si impossessa dell’abito e lo esalta; la mannequin musa è rivolta verso l’interno: interiorizza l’abito e lo esprime per me “ (pag.79).
Bettina nella sua breve carriera interpretò in modo magistrale entrambi questi ruoli. Per Fath fu una leggendaria ispiratrice di nuove creazioni. Durante i primi anni del New Look (1947- inizio anni cinquanta del novecento), a Parigi girava questa voce: Christian Dior ha i suoi geniali abiti New Look; Fath ha Bettina. Naturalmente come tutte le “voci” che attraversano i luoghi della moda, non sono da prendere alla lettera. Tuttavia alludono in modo sufficientemente chiaro, quanto potesse essere importante per un creativo l’identificazione con un ideale femminile evocato dal corpo e dallo stile di una indossatrice diversa da tutte le altre.
Ma Bettina era anche una mannequin di straordinario impatto emotivo sull’esigente, sofisticato, énervé, pubblico della couture. Le sue promenade trasudavano del piacere di esibirsi e magnificavano gli abiti che il suo corpo in motion assorbiva, come se le stoffe fossero magiche pellicole di significazioni molecolari inseparabili dalla sua pelle.
La moda, una avventura
Bettina nacque nel 1925, in un piccolo paese della Bretagna col nome di Simone Michelin Bodin. Quasi subito dopo la nascita si trasferisce in Normandia. Il padre nel frattempo abbandona la famiglia, la madre lavora duramente come istitutrice. Si prende cura di lei la sorella. La signorina Bodin da adolescente sognava di diventare una danzatrice e potete scommettere che, come succede a tutti i giovanissimi travolti da una passione, per qualche anno tutto nella sua vita si mosse secondo il misterioso registro musicale che debordava in ogni suo movimento. Probabilmente l’amore per la danza e la musica, rafforzò il suo senso istintivo per la posa e l’armoniosa disinvoltura dei gesti e movimenti che dopo pochi anni la trasformeranno in una leggenda. A diciotto anni decise che la sua vita avrebbe avuto la svolta che desiderava solo si fosse trasferita a Parigi. Nel frattempo i suoi sogni erano cambiati. Ora desiderava divenire una disegnatrice di moda. Ma Jacques Costet, un giovane couturier alla ricerca del suo posto nel difficile esclusivo mondo della moda, al quale si era rivolta per trovare un lavoro, la utilizzò come mannequin de cabine. Più o meno l’evento decisivo dal quale più tardi sarebbe nata Bettina, potremmo raccontarcelo così: la signorina Bodin si presenta con i suoi bozzetti all’incontro con il giovane couturier; li dispone sul tavolo, forse cerca di descriverli; Costet li guarda, guarda lei, la riguarda, si dimentica dei disegni, le chiede di indossare un suo abito, la fa sfilare e subito capisce che c’è “qualcosa” che prima l’abito non aveva. Affascinato da questo qualcosa le propone di fare la mannequin nella sua piccola maison. La vita di queste ragazze non aveva nulla di paragonabile all’esperienza delle modelle attuali. Vivevano in stretta simbiosi con la maison nella quale lavoravano praticamente in esclusiva; il loro momento di splendore era ovviamente il periodo delle sfilate, il resto del tempo lo trascorrevano in attesa della voce imperiosa delle première che le catapultava su di un abito piuttosto che l’altro, prontamente indossato per poi valorizzarlo con improvvisate performance ad hoc davanti agli occhi delle clienti di turno. Non era certo un lavoro che permetteva alle ragazze una vita agiata, lussuosa, appagante. La signorina Bodin quasi subito si innamorò di un giovane che lavorava come fotografo a Paris Match, Benno Graziani. Pagò il suo debito con le sceneggiature sociali dedicate alle donne in quel periodo, ovvero lo sposò immediatamente, lasciò il lavoro per seguirlo come era previsto dovessero fare le mogli per essere buone, brave e felici. Dopo meno di un anno si riprese dall’intontimento amoroso, in qualche modo si sbarazzò del ruolo di moglie sonnambula e cercò di nuovo un lavoro nella moda. Nel frattempo Jacques Costel, non avendo avuto successo, aveva chiuso la maison. La signora Simone Bodin Graziani cercò nuove chance da Lelong. Qui incrociò Christian Dior, ex gallerista d’arte, talentuoso sconosciuto per la moda, che da tempo aveva cominciato a lavorare come disegnatore presso la maison. Dior si accorse immediatamente delle qualità di Simone. Le disse che stava per aprire la propria maison e avrebbe avuto il piacere di accoglierla nella sua squadra di mannequins. Ma non ne ebbe il tempo. Simone si stancò presto del lavoro presso Lelong e contattò Jacques Fath. Con l’uscita di scena di Chanel e con Dior non ancora attivo, Fath era uno dei couturier più in vista di Parigi. Le sue creazioni erano gioiose, piene di energia, festose. è chiaro che andavano interpretate diversamente rispetto lo stile serioso, altero, distaccato, ancora dominante nella couture tra il 1946/47. Fath vide in Simone l’imago femminile giusta per le proprie fantasie creative. E ovviamente l’incarnazione ideale del tipo di Donna che intendeva promuovere. Per farla breve, il couturier aveva scelto di esplorare una moda più spensierata, giovanile, provocante rispetto le apparenze aristocratiche, barocche, impreziosite da strati su strati di tessuti preziosi, che imporrà Dior. Lo stile dalle significazioni impertinenti, intelligenti, ironiche e quindi provocanti per un demi-monde troppo innamorato di se stesso, che Simone riusciva a trasmettere, era perfetto per delineare i contorni di una donna giovane, dall’eleganza geometrica, forse meno appariscente rispetto alla silhouette sette/ottocentesca del primo New Look, ma senz’altro più moderna.
L’identificazione tra couturier e mannequin-musa, fu immediata e coinvolgente. Al punto che Fath decise di cambiare il nome a Simone: da quel momento sarebbe esistita solo Bettina, e solo per Bettina sarebbero nati gli abiti più rappresentativi delle sue collezioni.
Il successo mediatico fu travolgente. Bettina divenne la mannequin più fotografata di Francia. Dopo Fath, fu De Givenchy nel 1952 a chiederle di recitare la parte di musa per la maison che il giovane couturier aveva lanciato. Probabilmente non esagera chi sottolinea il ruolo fondamentale giocato dalla modella nello start up della nuova marca della moda. La notorietà di Bettina nel jet set internazionale non aveva precedenti nel mondo delle mannequin. La sua presenza, il suo stile avevano un largo seguito tra il ristretto pubblico femminile dell’Alta Moda. De Givenchy, che in seguito legherà la sua maison alla favolosa immagine di Audrey Hepburn, fu premiato dalla sua scelta con un immediato successo secondo solo a quello dell’irraggiungibile Dior.
Ma l’amore ancora una volta intervenne imperioso ed intransigente nella vita professionale di Bettina. Nel 1954, dopo alcune relazioni con personaggi interlocutori seppur ragguardevoli, incontrò l’Agha Khan Ali, ricchissimo principe di una antica setta musulmana, e nacque d’incanto una relazione che rese folli i magazine di costume e moda. La relazione tra una delle donne più ammirate al mondo e un uomo dalle favolose ricchezze la cui vita simbolica sprofondava nella leggenda, non poteva che eccitare la fantasia di ogni genere di pubblico. Bettina abbandonò il suo lavoro di musa ispiratrice della moda e, tra alti e bassi, cercò di attraversare la soglia stretta rappresentata dalla vita-a-due ( una porta talmente stretta che, a volte, oltrepassandola, ci si accorge di essere soli, come scrisse Gide, e come Bettina sapeva bene dal primo matrimonio). D’altronde aveva quasi trent’anni, e anche se per i miti il tempo non scorre come per noi umani, posso immaginare quanto fosse importante per lei sposarsi con l’uomo che amava. Purtroppo, come la leggendaria Chanel, il destino decise altrimenti: nel 1960, quando forse il matrimonio era alle porte, l’Agha Khan morì in un incidente automobilistico dal quale Bettina incinta, miracolosamente si salvò.
La vita di Bettina venne di nuovo sconvolta. La sua reticenza verso interviste o ad apparizioni effimere divenne una scelta di vita. Continuò a partecipare, in diversi ruoli nella moda, ma sempre in modo discreto ed efficace per chi ebbe la fortuna di averla come amica. Le cronache ricordano un eccezionale servizio fotografico per Elle, nel 1967 sfilò una volta per Chanel, ma furono solo momenti. In realtà la sua presenza nel mondo della moda non era percepibile dal grande pubblico. La musa si era trasformata in ambasciatrice, consigliera, mecenate di ciò che per lei meritava di essere difeso dalle turbolenze di un sistema moda via via sempre più complesso e contraddittorio. Emanuel Ungaro, Azzedine Alaia, sono forse i creativi che maggiormente hanno beneficiato dell’amore che Bettina continuava ad avere per una moda intelligente, innovativa, culturalmente pregnante.
Probabilmente una delle eredità scomode del suo tragico e grande amore fu la parziale rinuncia alla rivisitazione simbolica della sua favolosa carriera di musa della moda e di donna di stile, libera, coraggiosa ma non estrema, leggera ma con consapevolezza e ironia.
In pratica rinunciò al piacere e al probabile successo editoriale di lunga durata della narrazione auto biografica della sua eccezionale esperienza di icona della moda (dopo la morte di Ali Khan Bettina scrisse il romanzo della sua vita, Bettina par Bettina, Flammarion 1964, ben presto esaurito; ma impedì le successive ristampe della sua autobiografia che scomparve per sempre; non concedendo interviste impedì al giornalistese di trasformare il suo passato nel focolaio di gossip che tutti conosciamo; facendo felice la famiglia dell’Agha Khan, suppongo).
Non credo del resto che ne soffrisse troppo. Bettina amava vivere in stretta connessione con il qui e ora. Il suo carattere incline a non prendere troppo sul serio tradizioni, museificazioni, nostalgie l’aveva preparata a rimuovere in fretta il passato e a preferirgli decisamente il futuro, nel quale riversava tutta la sua energia vitale.
Alcune parole tratte dal saggio di Guy Schoeller, ristampato nel catalogo della mostra di 10 Corso Como, sono a mio avviso perfette per contornare il suo modo di vivere la moda e, aggiungerei, la vita: “Bettina loves fashion; she played with it, used it, followed it and led it, and always delighted in immersing herself in the field. Instinctively knowing how to wear fashion with flair, she also had the instinct to recognize the talent of a couturier before the rest of the world… The passage of time has done nothing to quench Bettina’s keen eye for the world of fashion, which she continues to survey with interest, good humour and curiosity” (Fashion Memoir, Thames & Hudson).
La modella che sapeva ridere della moda
Bettina fu certamente una super modella. Qualcuno sostiene che fu la prima ad avere un impatto paragonabile alle attuali top model. Ma molti dimenticano che nei dieci anni in cui fu una indiscussa protagonista c’erano tante altre straordinarie donne che contribuirono alla diffusione della moda. Come dimenticare Solange, l’austera, fedelissima, raggelante musa di Balenciaga? Praline ispirò a Pierre Balmain abiti bellissimi. Alla e Victoire ebbero un ruolo e una notorietà considerevole presso Dior. E poi c’erano le americane: Dovima e soprattutto Lisa Fonssagrives, adorata soprattutto dai fotografi di moda. Avedon e Penn per anni fecero di Lisa il catalizzatore della loro creatività. Penn si spinse oltre e se la sposò.
Persino da Fath, Bettina aveva una rivale. Simone Steur, aveva una bellezza molto frieldly ed era ciò che definiremmo uno spirito libero tenuto a freno da una eccezionale “presenza” che fu riconvertita da Pigmalione/Fath in uno stile che fece innamorare le parigine. Ovviamente le cambiò il nome e come Sophie divenne famosa quanto lo era Bettina. Le giornaliste tentarono in ogni modo di mettere in competizione le due ragazze. Ma si scontrarono con l’intelligenza e la vivace umanità di entrambe. Divennero amiche inseparabili e tra le due non ci fu mai il minimo segno di invidia o risentimento.
Eppure Bettina era diversa da tutte. Difficile dirlo con le parole. A mio avviso ci è riuscita Françoise Sagan, l’autrice di uno dei romanzi più significativi di quel periodo, Bonjour Tristesse (1954) e grande amica della celebre mannequin, in una breve scrittura dalla quale ho tratto la citazione che sto per presentarvi:
“Car, si elle n’est pas soucieuse des convenances, Bettina est soucieuse du convenable. Je veux dire par là que les hommes qu’elle aime et qu’elle accepte dans sa vie, deviennent tout aussitôt inattaquables. Il ne pas question pour elle de bavarder avec ses meilleures amies de la virilité ou du comportement de son amant; il ne pas question non plus de le remettre en question une seconde, ni même parfois de le laisser à la maison, pour participer seule à une dîner dit réservé. Un homme n’est pour elle ni un jouet, ni une justification, ni un fournisseur: il est un compagnon, et ce compagnon, elle aura l’aura choisi indépendamment de sa fortune, de sa condition sociale, ou de l’approbation de son cercle. Ce n’est ni le passé ni l’avenir qu’elle voit chez lui, mais le présent, et un présent confiant, tendre et gai, qui exclut définitivement toute confidence à l’extérieur – ces que soit à ces curieuses amies ou ces nouveaux psychiatres que sont devenu les coiffeurs. De même, une fois cet amour fini, Bettina n’y ajoute nul commentaire. Elle oubli. Elle oubli ou alors elle devient une amie fidèle” (La petite robe noir, Édition de l’Herne).
(eccovi una traduzione senza pretese: Poiché, pur non preoccupata dalle convenienze, Bettina si preoccupa dei con-venienti. Con questo voglio dire che gli uomini che ama e che accetta nella sua vita diventano subito inattaccabili. Non si tratta per lei di spettegolare con le amiche sulla virilità o sul comportamento del suo amante; e nemmeno per un secondo di rimetterlo in questione, nè di lasciarlo a casa per partecipare da sola ad una di quelle cene cosiddette riservate. Per lei un uomo non è nè un giocattolo e nè una giustificazione e nè un fornitore: è piuttosto un compagno, e questo compagno lei lo sceglierà indipendentemente dalla sua ricchezza, dalla sua condizione sociale o dall’approvazione della sua cerchia. In lui non vede nè il passato nè il futuro, bensì il presente, un presente fiducioso, tenero e allegro, che esclude definitivamente ogni confidenza all’esterno – che sia quella delle amiche curiose o quella fatta a quei nuovi psichiatri che sono divenuti i parrucchieri. Nello stesso modo, quando questo amore finisce, Bettina non aggiunge alcun commento. Lei dimentica. Lei dimentica oppure diviene una amica fedele”).
Guardando le immagini di Bettina scattate dai grandi fotografi presenti nella mostra di 10 Corso Como, mi è sembrato di percepire la trasduzione nel linguaggio più amato dalla moda ( lo sappiamo tutti: la moda ama molto più le immagini delle parole) delle significazioni proposte dal testo di François Sagan. La particolarità di Bettina, dovuta in parte alla sua non comune fotogenia, era il portarsi addosso lo scarto tra convenienze e con-venienti, ovvero rispettare la morale/decoro lasciandovi però un margine nel quale coltivare il desiderio. Ho inserito un trattino nella parola, per marcare con decisione l’iscrizione di soggettività implicata in questo luogo che eccede la norma senza distruggerla.
Nutro un profondo rispetto per intellettuali come Simone de Beauvoir che, nello stesso periodo in cui Bettina faceva sognare milioni di donne (e uomini), scriveva libri importantissimi come “Il secondo sesso” (1949) o “Una donna spezzata” (1967), facendo emergere lo scandalo di una condizione femminile inaccettabile in una società che si dichiarava aperta e democratica. Credo veramente che questo lavoro teorico e simbolico abbia influito sulla maturazione di tante donne.
Ma non sottovaluterei gli smottamenti molecolari prodotti dalle incursioni minime sul desiderio prodotte da personaggi come Bettina. Forse, è solo una ipotesi ovviamente, il cambiamento di mentalità non comincia dall’ideologia ma da questi strappi a livello di desiderio, che possono avere come punto di irradiazione insostenibili momenti di leggerezza, vissuti senza troppo logos da personaggi spensierati come Bettina.
Il ruolo dei grandi fotografi
La mostra 10 Corso Como presenta Bettina fotografata da image makers straordinari. Erwin Blumenfeld, Norman Parkinson, Louise Dahl-Wolf, Horst P. Horst, Irving Penn, per citarne alcuni, hanno catturato in modo magistrale il piacere di esibirsi della modella. Persino grandi fotografi che odiavano la moda come Robert Doisneau e Henri Cartier-Bresson riuscirono con lei a fare scatti esemplari.
Mi prenderò il piacere di soffermarmi sulla foto di Henry Clark non solo perché la considero tra le più belle. Considero infatti questo fotografo, ingiustamente dimenticato dalla attuale cultura della moda. A mia memoria sono decenni che non viene presentata una retrospettiva sul suo eccezionale lavoro. I sui reportage esotici per Vogue valgono i ben più celebrati viaggi fotografici di Avedon, Parkinson… Il suo controllo del mezzo fotografico è magistrale. La sua sensibilità verso il “qualcosa” della moda non si può discutere.
L’ incontro con Bettina non poteva che produrre un piccolo capolavoro. Nella foto la modella è ripresa con il volto girato di 3/4 verso il fotografo. è una immagine che rimanda alla precisione e alla sottile regolazione delle forme tipici dei quadri di grandi ritrattisti come Frans Hals o addirittura Vermeer. Bettina ha fatto leggermente scendere la pelliccia che indossa scoprendo di un niente la schiena, sulla quale brillano le perle opportunamente sistemate ad hoc per creare una sorta di bilanciamento con gli occhi e uno sguardo che non si dimentica facilmente. Ah! Bettina, come avrei voluto incontrarti, invitarti a cena… Tracciate una immaginaria linea obliqua che parte dallo sguardo e arriva alle perle sulla schiena. Lungo quel filo nasce il margine o il tratto che spezza la linearità del con-veniente già citato sopra. Li’ c’è “Bettina” ovvero l’impronta del desiderio che trasforma il suo corpo il suo nome in un significante di passione.
Anche la foto di Henri Cartier-Bresson merita di essere ricordata. E’ chiaro che il fotografo/arciere zen, non poteva che cercare (o far finta) di sorprenderla. Troviamo la modella rallentata dall’incontro tra il suo elegante cagnolino con un’altro cane desideroso di dargli un’annusata. L’imprevedibilità della circostanza non fa entrare in crisi la posa elegante, lo stile, anzi… L’intrusione del caso enfatizza la presenza di Bettina rendendo più penetrante la sua eleganza. Assolutamente geniale aver inserito nel campo fotografico il lavoratore visto dal culo che appare sulla sinistra in alto. In questa foto l’effetto punctum, per dirla con R. Barthes, è proprio in quel culo rivolto verso la bellezza, la moda, verso Bettina.
Qualora ce ne fosse bisogno, la mostra mi ha ricordato quanto importante sia stato il lavoro dei fotografi per la creazione nel simbolico della moda di ciò che oggi definiamo una icona.
Senza l’intelligenza visiva dei fotografi, Bettina avrebbe potuto divenire un mito? Facile rispondere: certamente non così in fretta e non in modo assolutamente travolgente.
Ma osservando il suo mito da questo punto di vista potremmo correre il rischio di pensare che siano le “ripetizioni” o le quantità di immagini rovesciate sul mercato dell’immaginario della moda, a dominare il processo di iconizzazione di un personaggio.
Non è vero. Ci sono proprietà individuali o differenze tra le persone che non possiamo dimenticare. Il problema nasce dal fatto che sfuggono alla presa del linguaggio.
Per farla breve, il linguaggio strutturato sembrerebbe avere un ruolo assai limitato nel meccanismo del pensiero. Certo alla fine del processo, osservando la sublime fotogenia di Bettina possiamo definirla una metafora incarnata dei valori della moda intesa come magnificazione dell’eleganza. Ma con queste parole cosa abbiamo colto del processo?
Praticamente nulla. Occorre quindi cominciare a pensare la moda fuori dal linguaggio lineare o prima che diventi una parola o una definizione.
Secondo scienziati e filosofi come Einstein e Penrose le entità psichiche che sembrerebbero servire al pensiero per funzionare sarebbero essenzialmente di tipo visivo e muscolare. è una ipotesi audace, che pero’ ha il merito di volgere la nostra attenzione a stati del corpo e al ruolo delle immagini nella configurazione di significazioni passionali che si attivano prima o fuori dal linguaggio.
Ecco allora che possono apparire pose, sguardi, espressioni, movimenti, gesti, interpretabili come aggregazioni di senso che possono essere articolate après coup dal pensiero lineare. Esisterebbero quindi tracce, macchie, ombre, segni eterogenei al linguaggio naturale capaci di organizzare forme del contenuto (significazioni) che il linguaggio non può avvicinare con eguale efficacia.
A mio avviso è in questo fuori linguaggio che si rivela il genio di una modella, oppure se volete l’efficacia simbolica della “differenza” di Bettina. Ed è in questa differenza che io trovo l’evocazione degli spiriti animali della moda che la rendono viva, imprevedibile, passionale, dei quali la mannequin è stata magistrale ricettacolo.
Informazioni:
La mostra rimane aperta fino al 2 novembre con i seguenti orari: tutti i giorni dalle 10.30 alle 19.30 e il mercoledì e giovedì fino alle 21.
Per info: Galleria Carla Sozzani.
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BETTINA,
La mannequin musa
Cos’è che spinge la mente e l’occhio dell’osservatore a voltarsi e ad essere attratto da qualcosa che si muove, leggero, elegante, sensuale, qualcosa che cammina disinvolto avanti e indietro, volteggiando avvolto da una qualsivoglia forma di tessuto, e cos’è che riesce ad attrarre l’attenzione dei nostri pensieri in una vecchia fotografia che ritrae una donna come tante altre?
Forse è solo quel qualcosa che inconsciamente ci attrae, quel qualcosa in più che attrasse anche il giovane couturier Jacques Costet quando vide la signorina Bodin per la prima volta.
O forse come sosteneva Einstain sono più importanti i pensieri del linguaggio, sono semplicemente i nostri pensieri, quei segni, quelle immagini, quelle, da lui così chiamate, entità psichiche, che combinandole distrattamente creano un immagine di ciò che ci compare davanti agli occhi.
E forse l’immagine che compariva davanti agli occhi di chi incredulamente guardava Bettina era semplicemente frutto della sua bellezza allo stesso tempo intrinseca alla naturalezza con la quale essa esprimeva tutto ciò che “il pubblico” si aspettava da lei, tutto ciò che desideravano perfino i famosi couturier che avevano l’onore di farle indossare le loro creazioni, e i famosi fotografi che non aspettavano se non quel momento per catturare quella sua espressione.
La signorina Simone Micheline Bodin nata nel 1925 in un paese della Bretagna e cresciuta in Normandia, sognava di diventare prima, ballerina poi, disegnatrice di moda.
Ed è forse per questo che spesso parliamo di destino? La vita di Bettina aveva in serbo per lei un’altra strada, che la portò dritta nello studio del giovane couturier Jacques Costet, fu per lui inevitabile parlare di lei come sua musa ispiratrice, e a lei veniva naturale indossare abiti e donargli vita, tanto da dire: “guanti, cappelli, veli – era quell’epoca: mi piaceva posare, era un istinto e un piacere” (Fashion memoir, Thames and Hudson,1998).
Dopo Costet, Bettina lavora per un breve periodo con Lucien Lelong, dove incontra anche Christian Dior anch’esso accortosi subito delle strepitose qualità di Bettina.
Poco dopo, nel 1947, si lega a Jacques Fath, nella quale vide l’immagine femminile perfetta per rappresentare le sue creative collezioni.
Non passò molto che diventò la sua musa, ammirato da Bettina, Fath disegna una collezione di abiti che “solo lei può indossare con naturalezza ed eleganza”, creando un nuovo stile. Nasce così il fenomeno “Bettina “ e il suo nome diventa sinonimo di modernità e stile.
Bettina raggiunge l’apice della sua carriera nel 1955, anno in cui decide, per amore, di allontanarsi dalla scena.
Successivamente riprese a partecipare ad alcuni eventi della moda, servizi fotografici, qualche sfilata di grandi stilisti, ma niente di duraturo.
La favolosa musa della moda era scomparsa, ma non era scomparso il suo amore per la moda, una moda innovativa e intelligente per la quale si era sempre battuta.
E come allora, ancora oggi parliamo di lei come la mannequin musa alla quale tutti i più grandi couturier di quell’epoca si erano ispirati.
Bettina negli anni ’50 era la mannequin più fotografata al mondo, era la musa ispiratrice dei grandi couturier, tra cui Jacques Fath, Chanel, Lelong, De Givenchy, Dior.
Non era l’unica super modella di quel periodo, ma nessuna era come lei, lei riusciva a far combaciare due lati del suo essere, donna bellissima, sensuale, capace di trasmettere con uno sguardo tutta l’immoralità conosciuta all’essere umano, ma dall’altra parte piena di valori e morale.
Allo stesso tempo, la signorina Bodin, creava quella linea che faceva da spartiacque tra quegli anni in cui la condizione subordinata femminile raggiungeva livelli riprovevoli; e quel suo mondo, in cui la donna era una dea che tutti guardavano con devozione.
Questo crea un paradosso, soprattutto agli occhi delle donne di oggi che fanno un passo indietro e si rendono conto di come queste riuscissero e forse riescono ancora ad essere ritenute donne oggetto e allo stesso tempo come diventino oggetti di desiderio.
Bigi Carlotta
Ho trovato molto interessante il suo articolo che mi ha permesso di conoscere meglio una delle grandi icone del mondo della moda, che è riuscita ad interpretare in maniera sorprendente lo stile tra gli anni ’40 e gli inizi degli anni ’50.
Concordo con lei nel ritenere il ruolo della fotografia così importante per l’ascesa di questa icona. Infatti, a differenza di qualsiasi quadro, riesce ad immortalare in maniera incredibilmente veritiera l’istante dello scatto. Le pose del corpo e del viso passano attraverso l’obiettivo del fotografo e non possono essere cambiate dalla mano di un pittore come accade nella pittura. Inoltre il bianco e nero ci porta spesso ad analizzare in maniera più approfondita l’immagine stessa per comprenderne il suo vero significato e coglierne la sua completa profondità. L’estro geniale di fotografi come Blumenfeld che la immortalarono non sarebbero stati sufficienti senza la fotogenia di Bettina, considerata “la francese più fotografata di Francia” (Paris Match). Una donna che del tutto inaspettatamente si trova catapultata nella figura poco considerata di mannequin e, facendola propria come nessuno prima di lei, la rinnova e le fa assumere un ruolo completamente diverso.
La sua figura mi affascina anche per la somiglianza con Edith Piaf, non solo per la sua vita amorosa sfortunata ma per la capacità di sposare appieno quel “je ne regrette rien” (canzone composta da Charles Dumont nel 1956). Questo suo vivere il presente senza pensare al passato insegna ad andare avanti nella vita nonostante le scelte sbagliate o le tragedie che a volte accadono, in modo da godersela fino in fondo.
Questa mostra ha catturato la mia attenzione, riportandomi alla mente che la moda, nonostante oggigiorno sia governata da eccessi e provocazioni, nasce dallo stile e dalla eleganza priva di scandali e gossip.
Non si può che iniziare con un GRAZIE.
In soli 10 minuti di intensa lettura lei mi ha trascinata in un viaggio nel tempo.
Questo excursus nell’affascinante vita di Bettina è davvero coinvolgente e saturo di emozioni e sentimenti.
Intrigante al tal punto da trasmettermi un’incredibile voglia di andare alla mostra.
Come lei, anche io, nel mio piccolo, avrei molto piacere di incontrare questa donna, magari proprio alla mostra .. sarebbe davvero bello poterla avere come “guida” e avere la possibilità di complimentarsi per il carisma e la voglia che ha avuto di vivere, capire da lei tutti i segreti per poter ottimizzare al massimo le proprie doti.. senza mai perdere energia e creatività.
Premetto che non conoscevo questa signora e devo dire che sono rimasta molto affascinata dalle parole con cui l’ha descritta. Vorrei per prima cosa soffermarmi su una frase riportata nell’articolo che mi ha colpito e che, a mio modesto parere, racchiude al suo interno ciò che era Bettina:
“Instinctively knowing how to wear fashion with flair, she also had the instinct to recognize the talent of a couturier before the rest of the world”.
Pur non conoscendo niente di lei, ma soffermandomi per un’attimo sulle immagini dove viene ritratta, queste sono le prime impressioni che mi sono fatta di lei.Lei non era un mannequin inespressiva ,immobile, ma bensì una musa ispiratrice che trasmetteva a coloro che la guardavano quella grazia, eleganza e femminilità. In poche riuscivano a farlo. In più riusciva, spesso ancor prima dello stilista stesso, a interpretare quelle che erano le emozioni che l’abito doveva trasmettere
Oggi, se ci guardiamo intorno, esiste una Bettina? Le copertine delle riviste sono piene di top model statuarie ,con fisici mozzafiato, espressioni impeccabili ,foto scattate in ambienti e situazioni del tutto innovative e fuori dalla nostra portata ma a mio avviso nessuna di loro riesce a trasmettere ciò che trasmetteva lei in una foto con uno sfondo bianco. Il vero protagonista è la sua grazia ed eleganza. Soffermandomi un attimo sulla foto scattata da Henry Clarke nel 1953,per un attimo mi è venuto a mente il ritratto della “ragazza con l’orecchino di perla “ di Vermeer. Entrambe sono raffigurate volte di tre quarti. Immediatamente ci colpisce l’espressione estatica, profonda ,intensa, ammaliante, seducente. I loro occhi rivolti all’osservatore come se nascondessero qualcosa ma allo stesso tempo sicuri,sensuali. Entrambe trasmettono a noi l’elemento focale per le quale sono state ritratte.
Per concludere direi Bettina era un intreccio armonico tra arte e moda.
Non sarei così radicale nei confronti delle modelle che hanno collaborato con il sistema moda dopo Bettina.
Per esempio, Ines de la Fressage all’inizio degli anno ’80 del novecento, soprattutto quando fu chiamata da Karl Lagerfeld come testimone della maison Chanel, e’ stata straordinariamente efficace. La sua insolenza e impertinenza fecero epoca, permettendo alla marca una grande trasformazione estetica. Nella sua autobiografia, Profession mannequin (Hachette,2002), Ines in parte imputa a Karl Lagerfeld la studiata sfrontatezza che recitava in passerella e davanti ai fotografi. Ma la realtà e’ che aveva un gran carisma e riusciva a far accettare al pubblico ristretto del fashion system “differenze” che avrebbero affossato la carriera di una modella normale.
Per non parlare di Kate Moss. La vera Bettina di oggi e’ probabilmente lei. Se guardi qualche video di una sua sfilata ti renderai conto subito della sua diversità. Anche come fotomodella e’ una catalizzatrice di attività neuronali scomposte.
L’elenco potrebbe continuare. Il problema vero e’ questo? La moda usa ( e qualche volta abusa) queste ragazze eccezionali, le strapaga, le trasforma in miti e poi le rimuove. A mio avviso sarebbe necessaria una nuova disciplina che chiamerei Bodyology per non disperdere l’esperienza e il senso delle avventure del corpo che queste ragazze spesso trovano o si inventano mentre lavorano; gesti, movimenti, espressioni, recite, a volte imperscrutabili dalle lenti razionali, che pero’ finiscono spesso con l’influenzare il mondo. La moda ha da sempre un rapporto privilegiato con il corpo e il desiderio. Spesso lo dimentichiamo.
Non riesco a decidermi se Bodyology di cui parla è una stronzata o una genialata…
Le escluderei entrambe. Ti faccio una domanda: si e’ mai vista una moda che in qualche modo non coinvolgesse il corpo? Io non l’ho mai vista. Il problema e’: a quali condizioni le mode si impossessano del corpo? Che tipo di corpo? E a quali costi? Infatti agire a livello di corpo significa attraversare un territorio decisamente turbolento. Avanzo una massima generica ma pregnante, credo: ogni volta che agiamo a livello di mutamenti che implicano una diversa significazione del corpo ci troviamo in una situazione di probabile conflitto (con i poteri che ne cercano la normalizzazione). Ora, la moda ha da sempre un orientamento ambiguo. Da un lato normalizza il mutamento; dall’altro lato sottoponendo il corpo a costanti tensioni non può non trovarsi, in qualche momento, in una posizione eccentrica rispetto le regole (se vuoi, e’ a questo livello che la moda può essere rivoluzionaria).
Allora, Bodyology e’ una etichetta che mi sono inventato per far capire che se vogliamo cogliere aspetti decisivi della modazione (il processo della moda), dobbiamo immaginare un centro esterno alla moda (normalmente intesa) rappresentato dall’interazione tra abiti e corpi in quanto produttori di una significanza che eccede sempre ogni tentativo di rigida razionalizzazione marketing. Perché? E’ semplice: la soggettivizzazione della moda dovendo passate per la porta stretta di un corpo senziente, implica l’entrata in scena del desiderio. E il desiderio destabilizza, eccede, nel senso che finisce col svuotare di ogni istanza positiva sia l’oggetto che il soggetto della moda.
Ecco spiegato perché la moda insiste nel generare senza soluzioni di continuità il suoi messaggi sul corpo. Ecco perché personaggi come Bettina, nella loro sublime “differenza” rivestono un ruolo fondamentale. Senza differenza ci sarebbe solo specularita’ e quindi un desiderio trasformato in alienazione. La differenza crea impossibilita’ e quindi sublimazione del desiderio. Come la mettiamo con il bisogno utilitaristico di vendere abiti il più possibile? E’ piu’ efficace il godimento immediato o la sublimazione? Beh! A questo punto viene il bello! Gli stolti che vedono la moda solo nella prospettiva edonistica del godimento immediato in realtà la stanno uccidendo. L’altra strada, quella suggerita dalla Bodyology, lo studium del corpo della moda e della discesa in esso del soggetto desiderante, invece ne preserva la costante apertura verso il desiderio.
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Trovo il suo articolo davvero molto bello, è riuscito a far emergere dalle righe che ha scritto l’ammirazione che ha per questa donna. Mi sarebbe piaciuto un ulteriore approfondimento su la sua infanzia per capire cosa si cela dietro a questa figura così intensa e carismatica, perché molti aspetti del suo carattere, che ha descritto nel suo articolo, sono una conseguenza di quello che ha vissuto, come ha detto lei era una ragazza normale, con tanti sogni, che alla fine è diventata una delle donne più contese dal mondo della moda degli anni’50. Per mio gusto personale vorrei soffermarmi sulle immagini che ha proposto, penso che racchiudano l’essenza della signorina Bettina, dietro quegli occhi si nasconde un velo di mistero, ma allo stesso tempo di determinazione. Il lavoro di una modella si basa su quello che riesce a far provare a chiunque guardi la sua foto, e lei andava oltre a tutto questo, era un’icona di stile e di eleganza. Più guardo quelle foto, più mi dico: “Come capisco tutti gli uomini che si sono innamorati di lei”, come non farlo? Me ne sono innamorata un po’ anch’io.
Giulia Cavaciocchi.
Bettina, UNA fra tante
Quando ho letto il titolo dell’articolo non sapevo assolutamente chi fosse Bettina, probabilmente perchè la mia conoscenza della moda non è ancora profonda, o forse perchè a volte mi concentro più sull’attualità caotica dei giornali e delle riviste, che sull’essenza straordinaria del passato.
Ad ogni modo, la prima cosa che mi sono domandata quando ho iniziato a leggere l’articolo, è chi fosse questa persona così importante alla quale 10 corso Como potesse dedicare un’intera mostra.
Simone Michelin Bodin, in arte Bettina, è una famosissima modella degli anni 40 -50 che in brevissimo tempo è riuscita a diventare la/una delle modelle più richiesta dalle maisons e dai fotografi parigini.
Credo che questo sia strabiliante.
Ma credo che lo sia ancora di più se il talento di questa donna lo si riesce a comprendere dagli scatti qui sopra riportati.
Dagli occhi a mandorla, dalla bocca così grande, dalle pose così spontanee, dal portamento raffinato..
Bettina non può essere definita semplicemente una modella.
Bettina è una donna, una moglie, un’aspirante designer, una ballerina.. è un insieme di emozioni così forti e naturali, che solo chi è nato con questo talento può riuscire a trasmettere, sopratutto in uno scatto.
E credo sia questo il vero punto forte di Bettina, ciò che le ha permesso di distinguersi inevitabilmente dalle altre e di farsi spazio in così poco tempo tra le affollatissime passerelle: la sua naturalezza.
“Le sue promenade trasudavano del piacere di esibirsi e magnificavano gli abiti che il suo corpo in motion assorbiva, come se le stoffe fossero magiche pellicole di significazioni molecolari inseparabili dalla sua pelle.”
Quindi adesso credo di sapere perchè abbia ricevuto un onore così grande.
Alessia Ponzecchi
Kate Moss come Bettina
Leggendo il suo articolo è stato inevitabile che la mia mente abbia affiancato le phénomène Bettina all’intramontabile icona bipolare, Kate Moss (che oscilla ininterrottamente tra il polo dell’eleganza e della trasgressività).
Bettina fu la più grande mannequin française tra le più eccezionali del mondo che creò uno stile, un’immagine lasciando per sempre il suo segno nella storia della moda.
Nonostante il suo metro e sessantasei, che non la faceva per niente assomigliare alle altre modelle della sua epoca, Bettina riuscì ad emergere grazie al suo diverso stile. La sua naturalezza, allegria, freschezza, ma soprattutto eleganza, contrastavano nettamente con la raffinatezza che irrigidiva e rendeva glaciali le altre mannequins a lei contemporanee.
Il nome Bettina divenne così sinonimo di eleganza e modernità.
Come Bettina resterà per sempre Bettina, così Kate Moss resterà per sempre Kate Moss.
Entrambe non fotogeniche, con i loro piccoli difetti (altezza ridotta, eccessiva magrezza della Moss che nel suo periodo doveva confrontarsi con modelle statuarie come Claudia Schiffer, ed un leggero strabismo di Venere) riescono a far cogliere subito la loro diversità che le rende esemplari unici e divini, che rendono impossibile distogliere il nostro sguardo da un loro scatto.
La loro estraneità nei confronti delle silhouette conosciute a memoria, viste e riviste in passerella e sui giornali delle loro epoche le ha rese icone intramontabili, che regnano su questo astruso ed impervio universo dell’immagine.
Ho letto il suo articolo su Simone Michelin Bodin, in arte Bettina, e come da lei richiesto mi sono soffermata su questo interessantissimo personaggio, paragonandolo all’eterno mito della bellezza:Marilyn. Beh, che dire. Sinceramente, all’inizio ho sottovalutato il compito che mi ha assegnato.. Pensavo di concludere con il solito commento noioso trito e ritrito del genere: entrambe, sia Marilyn che la mannequin-musa Bettina, furono due donne bellissime,oggetto del desiderio di milioni di uomini e riuscirono a farsi avanti nel mondo bigotto e ottuso degli anni 50 diventando, oggi si direbbe, “imprenditrici di se stesse” ( la parola imprenditore ormai pochi sanno il vero significato ma fa importante, molto importante ) . E invece professore devo ammettere che non è stato così facile come credevo. Indubbiamente erano due donne bellissime ,ovvio che si. La nostra Bettina era una donna forte e sicura di sé, che non si è mai “buttata via” e che, anche se ha vissuto una vita sempre in ascesa, ha trovato ostacoli nel suo percorso riuscendo ogni volta a risollevarsi da sola o con l’aiuto di un Lui che le stava accanto. Bettina era una donna che apparteneva prima di tutto a sé stessa, si conosceva e si amava. Questa è stata la sua grande forza. Si è saputa o si è dovuta fare da parte, questo non lo sappiamo con esattezza,ma qualunque sia stata realmente la ragione, la sua mossa è stata molto intelligente. Era una donna estremamente audace e moderna nel senso più “moderno” del termine. La musa si trasformò in ambasciatrice, consigliera, mecenate di ciò che per lei meritava di essere difeso dalle turbolenze di un sistema moda nel quale non si sarebbe mai più sentita a suo agio.
Marilyn la considero impossibile da paragonare a chiunque altra, o a qualsiasi Bettina della circostanza. Forse solo per fama mediatica e simpatica personale, ma credo che sia stata, che sia, e sarà sempre un mito, indipendentemente di cosa stiamo parlando o con chi stiamo parlando. Eppure Marilyn è più fragile di Bettina, Marylin è più ingenua di Bettina, è più limitata o,come talvolta appare nella maggior parte dei suoi film, Marilyn é lo zimbello degli altri,consciamente o a sua insaputa. Bettina era una mannequin, e come tutte le mannequin apparteneva sempre a un qualcuno che la trattasse da regina, da dea, o addirittura, nel suo caso, addirittura da musa. Marylin aveva spesso l’aria di una sonnambula, di una donna svampita con la testa sempre fra le nuvole. Era questa l’essenza della sua fragilità. Più era circondata da gente che l’adorava e più si sentiva sola, capace di catturare l’attenzione del pubblico ma pur sempre sola. Probabilmente la sua breve vita è stata talmente tormentata che il vuoto che aveva dentro non le ha mai consentito di realizzare razionalmente nemmeno quanto il suo corpo incarnasse perfettamente i canoni della bellezza femminile e di quanto sprigionasse sensualità da tutti i pori.
In uno dei suoi discorsi, la Monroe disse” sapevo di appartenere al pubblico e al mondo, non perché fossi dotata o bella,ma perché non ero mai appartenuta a nessun’altro né a nessun’altra cosa”.
Ho sfogliato dei libri fotografici su Marylin e sono arrivata alla conclusione che,con molta probabilità, l’unica cosa che possa accomunarla a Bettina era la potenza che riuscivano entrambe a trasmettere attraverso la loro immagine. Marilyn era un’attrice perciò lavorava con la cinepresa ma io preferisco osservarla nelle foto , cosi come posso fare con Bettina. Perché dalle foto si percepisce una forza interiore, una gamma di espressioni molto vasta ma anche una malinconia che aumenta lentamente con il tempo, come se la diva percepisse che la vita non consiste nel passaggio da una posa di un cinquantesimo di secondo all’altra. Scorrendo le sue foto, fino alle ultime che le sono state scattate prima della sua tragica e prematura scomparsa, vedo una Marilyn più assennata che mi sembra anche più serena. Credo invece che gli ultimi mesi della sua vita siano stati tutt’altro ma dalle foto non sembra, altrimenti non sarebbe stata Marylin, una stella del cinema la cui vera essenza è stata immortalata prima di tutto nelle fotografie, vere testimonianze della sua anima e delle sue confessioni.
In relazione alla moda, che è la materia di cui ci occupiamo, devo ringraziare lei professore che mi ha dato l’opportunità di parlare di donne molto particolari, Bettina e Merylin a cui la moda, in maniera diversa, deve davvero tanto. Da Bettina ho capito che ha influito davvero tantissimo sul concetto di “fashion” di oggi, le sue foto le trovo di una modernità senza limiti. L’immagine di lei con indosso la pelliccia di astrakan potrebbe essere scorsa tra le pagine di Vogue attuale. Il suo sguardo, elegante portavoce di un eleganza esclusiva del tempo ha gli occhi proiettati verso il futuro come se sapesse già quali sarebbero state le tendenze successive. Per questo sì, se parliamo di moda Bettina è molto più moderna e attuale, in confronto ad una Marilyn quasi sempre addobbata come un albero di Natale, in seducenti ma troppo strizzati tubini, da non farla respirare del tutto o parlare… Ma, si sa che Marylin non doveva parlare.
Cara Maripaola, non trovo convincente il confronto tra Bettina e Marilyn. La regina dell’eleganza cosa ha da spartire con la bomba del sesso? La prima veniva pubblicata da Vogue; la seconda spopolava tra i poster per camionisti.
Bettina era la migliore a sfilare e davanti alla macchina da presa dei fotografi. Marilyn non era la migliore attrice. Recitava un solo ruolo. Cosa poteva unirle?
Gentile Adri, mi permetto di segnalarti questo passaggio del testo di Maripaola: “…sono arrivata alla conclusione che, con molta probabilità, l’unica cosa che potesse accumunarla a Bettina era la potenza che riuscivano entrambe a trasmettere attraverso la loro immagine”. Quindi a me pare chiaro che Maripaola fosse cosciente di aver proposto un confronto tra icone non omologabili, caratterizzate da una sostanziale differenza. Ma che al tempo stesso, secondo l’autrice, fosse possibile congetturare un livello di analisi dei due personaggi a partire dal quale si poteva immaginare una convergenza di effetti che il qualche modo coinvolgevano entrambe.
A questo punto Maripaola avanza l’ipotesi che entrambe risultassero particolarmente efficaci nelle loro performance davanti alla macchina fotografica. Direi che su ciò non dovremmo avere alcun dubbio.
Io corroborerei l’intuizione di Maipaola con un ulteriore argomento: entrambe hanno saputo adeguarsi alle richieste dell’altro (essere di una eleganza perfetta, Bettina; essere la più sexy del reame, Marilyn), recitando pero’ questa sceneggiata con uno stile che ne ha rovesciato la semantica. Bettina e Marilyn sembrano stare al gioco della moda e di un certo cinema del periodo, ma per farlo implodere e per meta-comunicare dell’altro.
E’ una implosione che nasce dal troppo: troppo stile per essere solo una mannequin, troppo sexy per essere solo un banale oggetto del desiderio.
Ho riletto il lungo commento di Maripaola e riconosco che e’ effettivamente la connessione tra le due icone c’è.
Forse mi aveva condizionato ciò che credevo di sapere su Marilyn. Non mi sembrava che il breve testo di Maripaola rispettasse gli stereotipi che tutti conosciamo. Adesso credo di aver capito. Effettivamente il confronto tra le due icone visto nella prospettiva presentatami mi ha quasi convinto. Mi chiedo: oltre a ciò che e’ stato scritto, non possiamo forse aggiungere che sono due icone che, relativamente al trascorrere decenni, hanno presentato esiti molto diversi? Cioè, Marilyn, secondo me e’ ancora una icona piena di energia. Bettina e’ stata certo una icona, forse per il suo tempo importante quanto Marilyn, ma, a parte la bella mostra di Corso Como, possiamo considerarla ancora carica delle energie che una volta possedeva?
E’ la prima volta che sento parlare di Bettina, infatti prima di leggere l’articolo ero ignara del fatto che la moda degli anni 40-50 avesse avuto una protagonista di tale carisma ed eleganza, una donna capace di “interiorizzare un abito” per renderlo unico e desiderabile da tutte le altre.
Leggendo l’articolo ho cominciato a pensare all’atteggiamento che oggi molte donne hanno nei confronti delle super modelle e a quanto risulta difficile credere che all’epoca, la ” mannequin più fotografata al mondo”, potesse essere fonte di ispirazione per le altre senza suscitarne l’invidia.
Forse il segreto sta nel fatto che questa ammirazione non derivava soltanto dalla sua bellezza ed eleganza, ma anche dalla sua forza e dalla sua indipendenza: quante donne negli anni 40-50 sarebbero state in grado di separarsi dal proprio marito? Quante dopo averlo fatto avrebbero mantenuto la dignità per continuare a lavorare e mostrarsi in società? Ma soprattutto quante avrebbero riposto così tante aspettative nel futuro?
Credo che molte sarebbero state sopraffatte dalla vergogna, ma non lei.
Bettina era diversa, era in grado di apparire aggraziata e perfetta anche quando portava a spasso il cane, ha reso memorabili gli scatti dei più grandi fotografi dell’epoca, ha ispirato i più grandi creativi di quel periodo ed ha mostrato un alternativa a gran parte delle donne di quegli anni.
Se prima di leggere l’articolo non sapevo nemmeno chi fosse questa donna, ora grazie a questo ho un idea chiara non solo di chi è stata Bettina ma anche di cosa ha rappresentato per la moda e per l’immaginario di quegli anni.
Giorgia Farinon.
Bettina e le modelle di oggi
Quest’articolo esprime al meglio l’essenza di Bettina, la mannequin della moda degli anni 50 ricercata da moltissimi stilisti tra cui il grande Dior ma soprattutto Fath, per il quale era una vera e propria musa.
Leggendo ho potuto capire quali erano i suoi caratteri distintivi che le fecero assicurare il suo successo.
La sua incredibile sinuosità dava armonia all’abito, lo faceva prendere vita .
La sua eleganza e la sua leggerezza faceva sì che le donne guardandola desideravano sentirsi come lei.
Durante un’intervista da me ricercata lei disse:
“Le modelle sono diverse ormai sono così giovani,e hanno tutte lo stesso aspetto. Certo, ero giovane anch’io quando ho iniziato, ma c’era meno concorrenza, meno grandi nomi.
Poi, l’intera azienda era diversa. Le presentazioni erano molto più piccole; le collezioni erano mostrate per essere selezionate dai clienti nei saloni. Si poteva raggiungere e toccare i vestiti. Era accessibile. Allora, non c’era, solo moda prêt-à-porter. Naturalmente, perché gli eventi di pista sono così costosi oggi, l’industria sta tornando alle presentazioni più piccole. Di sicuro il ruolo della modella è notevolmente cambiato.”
E’ proprio quest’ultima frase che mi ha colpito particolarmente e mi ha portato a farmi delle domande.
Oggi che ruolo hanno le modelle? Che cosa è cambiato ?
Mi voglio soffermare su due esempi che si trovano a poli opposti e che per me esprimono due visioni diverse delle modelle.
Cara De Lavigne la top model ventiduenne che è stata nominata quinta modella più richiesta e pagata nel 2014.
“È Charlie Chaplin del mondo della moda”. Così si esprime Karl Lagerfeld nei confronti della sua modella favorita. Uno strano complimento ma lo stilista esprime meglio il concetto parlando di lei come di un personaggio particolare che sarebbe a suo agio più in film muto che in uno parlato per la capacità di dare espressione a ogni movimento.
La giovane modella è appunto la musa ispiratrice di Lagerfeld il quale la ritiene la testimonial perfetta per ogni suo progetto.
Il suo nome è legato a moltissimi altri marchi: da H&M e Zara all’alta moda di Chanel, passando sulle passerelle di Moschino, Blu marine, D-Squared, Oscar de la Renta, Stella McCartney.
Cara posa per le più celebri riviste: W, Harper Bazar, i-D, Vogue nella versione russa, cinese, italiana, coreana, australiana, portoghese e, naturalmente, inglese.
I FANS l’apprezzano per le espressioni buffe e l’atteggiamento da maschiaccio, per la lontananza dallo stereotipo di top model snob e perfetta.
E’ dunque il suo modo di distinguersi a renderla così famosa e apprezzata.
Qui ho trovato appunto una correlazione con il ruolo che aveva Bettina negli anni ‘50.
Era proprio la sua forza e il suo essere sempre se stessa a renderla così ammirata.
Questo però è il lato positivo della bilancia.
Dietro le belle facce delle passerelle vi sono anche realtà diverse.
Un esempio clamoroso l’ho riscontrato negli Angeli di Victoria Secret, invidiate da tutte le adolescenti per il loro fisico tonico e “perfetto”. Dietro quel paradiso però c’è un vero e proprio “inferno”.
In un’intervista Adriana Lima ha dichiarato cosa devono fare le modelle prima di ogni sfilata.
Il nutrizionista misura la massa grassa a e stabilisce quanto ne devono perdere. Prescrive così un certo numero di grassi, carboidrati e proteine da mangiare ogni giorno e un allenamento fisico davvero massacrante che diventa sempre più intenso all’avvicinarsi della sfilata. Quando mancano nove giorni all’evento le modelle smettono di mangiare e bevono soltanto frullati di proteine affrontando due allenamenti al giorno (si parla di 4, 5 ore di allenamento). Un paio di giorni prima, smettono completamente di assumere calorie, bevendo solo acqua e dodici ore prima dell’evento, smettono anche di bere perdendo così altri quattro chili.
A questo punto io mi chiedo:
Quale dei due aghi della bilancia è maggiormente pesante? L’elogio verso una modella che valorizza un capo o quello di trattarle come oggetti per raggiungere un determinato standard imposto dalla società attuale?
Si parla dunque di oggetti o persone?
E’ a questo che Bettina si riferiva ?
Denunciare la poca forza di volontà delle donne? La rinuncia più totale alla loro dignità solo per arrivare in alto?
La mia non è una critica nei confronti del mondo di oggi poiché tutti noi siamo ammaliati e accecati dalla bellezza e da cosa possa esprimere il corpo.
L’estetica è una delle basi che regola la nostra società ma dobbiamo comunque aprire gli occhi e fare i conti con ciò che non è palesemente espresso e tante volte occultato per lasciare una scia di mistero. Per farci evadere dalla realtà e costruire una storia in conformità a ciò che vediamo sulle passerelle.
Ambra Pacetti
Grande intervento Ambra. Non conoscevo il training pre sfilata che hai descritto.
Mi piacerebbe saperne di piu su Cara. Cosa comunica meglio di altre modelle? In questo caso il concetto di comunicazione e’ appropriato? Non dovremmo chiederci piuttosto quali significazioni induce la sua performance?
Ritengo che in questo articolo più che la storia di Bettina, sia racchiusa tutta la sua essenza. Si parla di una donna, mannequin, musa, top model…una donna che ha fatto parlare di se per la sua silhouette geometrica, la sua eleganza e la sua modernità.
Una donna che non amava far parlare di se attraverso gossip ma soltanto attraverso la propria bellezza e il proprio carisma.
Ringrazio il professore per avermi dato la possibilità di leggere con profondità la storia e la carriera di questa meravigliosa donna.
L’esposizione fotografica si trasformerà sicuramente nel “Tempio di Bettina”, regalandoci una straordinaria esperienza e rivivendo la moda del novecento.
Considerando che non avevo mai sentito parlare di questa Mannequin, ciò che posso dire A mio pare su Bettina è che secondo me ai giorni nostri non avrebbe la stessa efficacia attrattiva che l’ha contraddistinta nell’ambito della moda durante gli anni ’50.
Ho potuto osservare che ai giorni d’oggi si cercano caratteristiche specifiche per le modelle e che abbiano una particolare tendenza a un canone stilistico, e lei che tanto ispirava fotografi e disegnatori di moda (i quali secondo me hanno collaborato in gran parte al suo successo) ora non riuscirebbe a pieno a dare un significato proprio agli abiti.
Il suo successo è basato sul saper indossare meglio di chiunque altra i capi di moda, saperli interpretare, per la sua sensualità e fotogenicità; ha rivoluzionato il pensiero dell’epoca ma se per un solo istante pensiamo a come sarebbe oggi, se oggi avessimo una Bettina per le case stilistiche del nostro presente, a mio parere non riuscirebbe a portare l’innovazione tanto agognata che l’ha contraddistinta durante gli anni del suo successo, essendo molto d’impatto, a volte, i temi che vogliono affrontare gli stilisti.
Comunque sia penso che Bettina sia stata una persona molto importante per l’epoca grazie alla sua dedizione verso la moda; e non trasformandosi in una “donna-oggetto” come magari oggi vengono viste numerose modelle.
Inanzitutto ci tengo a ringraziarla per l’opportunità che mi ha dato, e che per ‘fortuna’ ho avuto l’intelligenza di cogliere, di poter scoprire un personaggio (o forse in questo caso sarebbe più adagiato il termine personalità) di tale calibro del quale sottovalutavo l’importanza fino a pochi istanti fa. Un insegnamento di vita trasmesso in poche righe. Da ragazza che spesso viene etichettata come sognatrice, la quale preferisce vivere sulla propria nuvola rosa piuttosto che con i piedi ben piantati a terra, ha attirato la mi attenzione la parte iniziare dell’articolo, che in modo trsversale influenzerà l’intero percorso di vita della protagonista. Ho potuto notare, con grande speranza e rammarico, come Bettina sia riuscita a plasmare il suo intero vissuto intorno ai suoi sogni. Ci ha creduto e ha lottato per difendere quest’ultimi fin dai primi anni dell’adolescenza. Quando si è resa conto che i traguardi da lei fissati non potessero più essere raggiungibili non ha mollato, mai. Anzi! È riuscita nello scopo di dirottarli verso altri orizzonti, portandoli sempre nel cuore. In questo modo da deviato i suoi sogni, ma non li ha mai abbandonati. Grande ruolo è stato giocato anche dalla fortuna, indubbiamente, ma è stata la capacità di Bettina a cogliere le occasioni che essa le stava offrendo.
Mi addormento con la speranza nel cuore di riuscire anche io a fare lo stesso in un futuro prossimo, ma poi non così lontano.
Ah, e magari di vedere con i miei occhi questa mostra che per come si annuncia non deluderà le aspettative.
In quanto il correttore del mio iPhone ha deciso di ribellarsi alla mia libera espressione inserisco nella risposta il testo come voleva essere realmente:
Inanzitutto ci tengo a ringraziarla per l’opportunità che mi ha offerto, che per ‘fortuna’ ho avuto l’intelligenza di cogliere, di poter scoprire un personaggio (o forse in questo caso sarebbe più adeguato utilizzare il termine personalità) di tale calibro, del quale sottovalutavo l’importanza fino a pochi istanti fa. Un insegnamento di vita trasmesso in poche righe.
Da ragazza che spesso viene etichettata come sognatrice, la quale preferisce vivere sulla propria nuvola rosa piuttosto che con i piedi ben piantati a terra, devo ammettere che ha attirato particolarmente la mi attenzione la parte iniziale dell’articolo, che in modo trasversale influenzerà l’intero percorso, lavorativo e non, della protagonista.
Ho potuto notare, con grande speranza e rammarico, come Bettina sia riuscita a plasmare il suo intero vissuto intorno ai suoi sogni.
Ci ha creduto e ha lottato per difendere quest’ultimi fin dai primi anni dell’adolescenza.
Quando successivamente si è resa conto che i traguardi da lei prefissati non sarebbero stati raggiungibili non ha mollato, mai. Anzi!
È riuscita nello scopo di dirottarli verso altri orizzonti, portandoli sempre nel cuore e avendoli ben presenti davanti agli occhi. In questo modo da deviato i suoi sogni, ma non li ha mai abbandonati. Grande ruolo è stato giocato anche dalla fortuna, indubbiamente, ma è stata la capacità di Bettina di cogliere le occasioni che essa le stava offrendo a fare la differenza.
Mi addormento con la speranza nel cuore di riuscire a fare lo stesso in un futuro prossimo, che infondo non è poi così lontano.
Ah, e magari di vedere realmente con i miei occhi questa mostra, che per come si preannuncia non deluderà le aspettative.
D’accordo Michela, va bene sognare, sperare nella fortuna,ma non ti viene il sospetto che Bettina fosse anche una gran lavoratrice nel suo campo. Io credo che abbia fatto anche la creativa. Nell’articolo iniziale non ho trovato riferimenti e nemmeno negli interessanti commenti. Ma credo che abbia fatto anche la stilista per un suo marchio. E poi io non credo che fosse ambita dal mondo fashion solo perché era stata una icona. Per me ne sapeva tanto e tanto di moda. Le icone non dovrebbero solo farci sognare che e’ un po’ dormire. Ogni tanto dovremmo usarle per risvegliarci, aprire gli occhi…
Ho asserito che indubbiamente ha giocato un grande ruolo la fortuna, ma il mio riferimento era più al significato latino del termine ossia il ‘fato’.
Sicuramente nei momenti giusti della vita di Bettina essa ha avuto l’opportunità di cogliere occasioni proficue, che non a tutti vengo offerte su un piatto d’argento come è capitato nel suo caso specifico, ma essa è stata in grado di sfruttarle al massimo per inseguire il proprio sogno.
Inizialmente aveva la danza nel cuore, resasi conto che non poteva più essere perseguibile come scopo della sua esistenza, ha avuto la capacità di tramutarlo in quello che in seguito divenne in suo lavoro.
Non si tratta di sognare ma di inseguire un sogno, che è piuttosto differente.
Dormire o mettere in gioco le proprie capacità inerenti a tutti i campi (anche di relazione come abbiamo potuto notare) sono due cose ce hanno ben poco in comune.
Riflettendoci bene, in un mondo come quello attuale che priva i giovani di ogni speranza per il futuro, a mio parere rifugiarsi ogni tanto sulla nuvoletta rosa del proprio angolo da sognatori non sarebbe poi così errato.
La distinzione tra dormire e inseguire un sogno che proponi mi convince. Avevo letto le tue parole con superficialità e ti immaginavo come la fashion dreamer sonnambula persa nei labirinti onirici creati ad arte dai pubblicitari. Sono felice che non sia così.
sono contenta anche io di essere riuscita a trasmetterle in mio pensiero. buona giornata!
Prima di leggere quest’articolo non avevo mai sentito parlare di Bettina e di come sia stata in grado di lasciare un’impronta indelebile nel mondo della moda. Confesso che il ruolo della musa non è mai stato ben chiaro nella mia mente, la percepivo come una qualità astratta che raramente è presente tra “i comuni mortali” ma che era facilmente abbinabile allo stereotipo di donna che ci viene continuamente propinato sulle riviste e nelle sfilate. Donne difficilmente credibili per le loro forme perfette, che calcano le passerelle con sguardi spenti o con sorrisi falsi.
Bettina invece era una ragazza comune, come tante altre e forse proprio questa sua spontaneità e semplicià ha fatto di lei una musa.
Difficilmente si trovano al giorno d’oggi modelle paragonabili alla sua figura, che non hanno bisogno di gossip o di scandali per far parlare di sè e che non sono spinte ad andare avanti semplicemente dalla paura di cadere nell’anonimato e il terrore di essere semplicemente un fuoco di paglia
Simone MIchelin Bodin attraversa gli anni folgoranti della moda parigina. Lei ama la moda e la moda stessa si innamorerà perdutamente di lei. Soffermandomi, superficialmente, sulle vicende della vita di questa ragazza bretone, affermo senza alcun dubbio di ammirarla. Ammiro il suo coraggio, la sua passione, le sue scelte, ammiro semplicemente una ragazza che inseguendo i suoi sogni è riuscita a trovare la sua strada. E probabilmente ciò che ammiro di lei, è anche ciò che l’ha portata a diventare Bettina. Il destino? Il caso? Questo non lo so, posso solo dire che, a volte, il futuro ci riserva esperienze inaspettate, ma al tempo stesso straordinarie. Bettina è stata la mannequin della moda francese. Personalmente, credo che la mannequin è parte essenziale nella diffusione della moda; se pensiamo alla moda come un grande orologio, paragonerei la mannequin ad uno degli ingranaggi che lo rendono funzionante e funzionale. Il ruolo della modella si pone al centro tra la parte creativa dell’azienda e la parte commerciale. Questa figura incarna l’ideale di bellezza della casa di moda dalla quale è stata scelta, e il suo compito, se così si può definire, è quello di mostrare al pubblico l’abito con l’aggiunta di quel “qualcosa” che prima l’abito in sé non aveva, come percepisce Costet quando vede Bettina indossare uno dei suoi abiti. A fine Ottocento, la mannequin o indossatrice, non doveva fare altro che essere un manichino vivente (come dice la parola stessa) per mostrare alle clienti le creazioni dei couturier; in pratica potremmo definirle “bambole senz’anima”. Successivamente, negli anni Venti le indossatrici iniziano ad essere bellissime ragazze da ammirare e invidiare. Negli anni Cinquanta, poi, le mannequin diventano vere e proprie icone, protagoniste assolute della moda. Ma essere una modella significa solo essere bella, piacevole alla vista e dotata di un bel corpo o un bel viso? Beh, forse per essere modella sì, ma non per essere icona. Se parliamo di icona, parliamo di una figura che lascia una sua impronta nella storia e rimane tale anche dopo anni o decenni, parliamo di una figura che impone il proprio carattere e il proprio modo di essere, parliamo di una figura che diventa fonte di ispirazione. Basta pensare che Givenchy chiamerà una sua creazione proprio Bettina, riferendosi a lei, e come non pensare anche a Jane Birkin, fonte di ispirazione per la tanto ambita Birkin di Hermes o Grace Kelly che da il suo nome all’elegantissima borsa Kelly. Bettina è proprio questo, un’icona, una musa, se non altro da molti viene definita “l’emblema della moda francese anni Quaranta/Cinquanta”. Ma perché proprio Bettina? Perché proprio lei e non le altre che cita nel suo articolo (Simone Steur, Solange, Praline, Dovima, Lisa Fonssagrives, Alla e Victoire)? A mio parere perché Bettina rappresenta il cambiamento. L’innovazione sta proprio nel fatto che con lei si passa da una staticità di pose fisse e artificiali all’esplosione di spensieratezza, modernità, movimento, provocazione e impatto emotivo. Lei stessa dice: “Mi piaceva posare, era un istinto e un piacere” (Fashion memori, Thomas and Hudson, 1998). Ha avuto la capacità di unire personalità e abito, ed è questo che l’ha resa -Bettina-. Ma senza l’intelligenza visiva dei fotografi, Bettina avrebbe potuto diventare un mito? Mi ricollego a questa sua domanda per dire che, a mio parere, a rendere gli scatti fotografici così speciali sicuramente è il mix di talenti che sta dietro ad ogni lavoro, che sicuramente gran parte del fascino che ci viene comunicato attraverso le immagini è dato proprio dalla raffinatezza di questi scatti che colgono l’anima e l’essenza; ma senza la spontaneità dei suoi gesti, l’eleganza della sua postura, la leggerezza dei suoi movimenti, la bellezza della sua imperfezione, nel filtro dell’ottica si sarebbe specchiata l’immagine di una delle tante e non della “francese più fotografata di Francia”.
Premetto che non conoscevo questa bellissima Signora e ne sono rimasta molto affascinata,specialmente perché nonostante la sua notorietà di quegli anni è rimasta una donna semplice e con grandi valori; Difatti, mi ha colpita innanzitutto una frase in cui dice “Un homme n’est pour elle ni un jouet, ni une justification, ni un fournisseur: il est un compagnon, et ce compagnon, elle aura l’aura choisi indépendamment de sa fortune, de sa condition sociale, ou de l’approbation de son cercle. “ La sua dolcezza non è scontata, la sua passione per tutto ciò che la circonda, dalla vita privata a quella lavorativa, è vera, e questa è una grande dote, che le fa onore.
Ad ogni modo leggendo l’articolo ho voluto soffermarmi su un’altra grande modella: Lisa Fonssagrives, una top model svedese, nata nel 1911.
La sua bellezza accentuata da lineamenti marcati, il suo fascino, la sua eleganza la porta ad essere la modella prediletta di tutti i più grandi fotografi tra gli anni ‘30/’40.
Lisa cresciuta a Uddevalla, amante della scultura, dell’arte, ma soprattutto la danza, studia nella scuola di Mary Wigman a Berlino. Dopo il ritorno in Svezia, apre una scuola di danza. Si trasferisce in seguito a Parigi per allenarsi per il balletto (dopo aver partecipato con il coreografo Astrid Malmborg in una competizione internazionale) lavorando con un insegnante di danza privato: Fernand Fonssagrives, che la aiuta e la sprona nella sua carriera da modella. La Fonssagrives realizza di avere questa grande potenzialità solo quando, nel 1936, il fotografo Willy Maywald la nota in un ascensore a Parigi e le chiede di posare per lui. Da lì inizia la sua vera carriera nel campo della moda, considerato che tutte le riviste dell’epoca iniziano ad ammirare la sua bellezza ed eleganza.
Lisa è stata una delle modelle di alta moda più pagate in quegli anni. Ha lavorato con fotografi di moda tra cui George Hoyningen-Huene, Man Ray, Horst, Erwin Blumenfeld, George Platt Lynes, Richard Avedon, e Edgar de Evia.
Tra i tanti fotografi che immortalarono questa bellissima donna vorrei da ultimo fare un accenno ad un grande fotografo: Erwin Blumenfeld, in effetti una delle foto più famose scattate alla modella è proprio la sua, dove Lisa è in bilico sulla Tour Eiffel (Rivista Vogue, 1993).
Blumenfeld fu uno dei primi a sperimentare nuove, non convenzionali forme di rappresentazione in fotografia.
Fu un uomo ossessionato dalla bellezza femminile e dalle infinite possibilità della fotografia come mezzo di espressione artistica.
Sempre affascinato e ispirato dal mondo dell’arte, per i suoi progetti personali prediligeva la fotografia in bianco e nero, mentre in ambito commerciale, lavorando per Vogue e Harper Bazaar fotografava a colori.
Il suo stile divenne un punto di riferimento per le immagini di moda negli anni ’40/’50.
Fu anche il primo a pensare di usare il video come forma di pubblicità per il mondo della moda, un’idea all’epoca rivoluzionaria!
E’ ancora oggi una figura di riferimento per la fotografia contemporanea, uno dei grandi fotografi del ‘900 e i suoi scatti anche a distanza di anni, restano attualissimi e affascinanti.
Hai ragione. Lisa era una modella straordinaria. Da qualche parte ho scritto che Avedon riuscì a diffondere nei primi 50 l’immagine della Donna/modella intelligente grazie soprattutto a lei. Cosa aveva in più Bettina? Aveva una caratteristica della quale, da un certo punto in poi, la moda non ha più potuto fare a meno. Era straordinaria nel suggerire l’In più del desiderio e quindi rispondeva benissimo all’appello dell’erotica della moda che di li a poco avrebbe velocemente trascinato il fashion system verso esiti assai lontani dallo stile delle due protagoniste.
La mannequin della tristezza.
Bettina, musa ispiratrice della moda,
capace di trasmettere emozioni a un pubblico della couture, mentre nascondeva una solitudine che a nessuno interessava in assoluto.
Simone Michelin Bodin una donna,
piena di sogni che non si sono mai realizzati:
la voglia di ballare, limitata a movimenti discreti e così lontani da quelli che lei voleva e desiderava così tanto da piccola,
la voglia di creare, ridotta a indossare e mostrare abiti non suoi.
La sua bellezza era notevole e lo era anche la sua eleganza, ma continuo a guardarla come un manichino, che sfila e mostra i sogni degli altri, dimenticandosi dei propri.
Un manichino così bello da guardare, così desiderato, così invidiato,e così ammirato;
capace di dare vita ad ogni abito,
ma nello stesso tempo così triste, vuoto e pieno di sogni spezzati della realtà.
Quanti di noi sono mai stati al posto di Bodin?
E meglio ancora, Quanti di noi, come Bettina, sono stati costretti ad interpretare ruoli che la società ci ha imposto ?
Il fatto è ,che nella moda fare questo gioco di ruoli è ‘semplice’; è un mondo così ampio e così bello che ci permette di nascondere attraverso un bellissimo abito che attira l’attenzione di tutti quello che non vogliamo far vedere, acquisendo diverse identità che non ci appartengono.
Tutto questo, che è accaduto, ma che accade ancora oggi, è a mio avviso sbagliato;la moda e uno strumento così forte, che deve essere sfruttato a nostro vantaggio.
Uno strumento che ci permette di tirar fuori chi in realtà siamo,di rinforzare la nostra identità per differenziarci della massa.
Uno strumento per raggiungere i nostri sogni, senza vivere i sogni degli altri.
La ringrazio infinitamente per il suo articolo che mi ha permesso di conoscere ed entrare in contatto per la prima volta con Bettina.
Come lei ha esaurientemente enunciato e spiegato, Bettina non era una semplice modella, come molte di quelle che al giorno d’oggi calcano quotidianamente le passerelle e sono immortalate da famosi fotografi per le riviste patinate di tutto il mondo. Era semplicemente e forse involontariamente molto di più. E’ stata la musa per artisti come Fath e Givenchy, che tramite la collaborazione con la mannequin sono riusciti a lanciare maison di grande rilievo e che nel giro di pochi anni hanno monopolizzato il mondo della moda. La modella è stata capace di farsi apprezzare per quello che era, senza fronzoli o inutili moine. Bettina conduceva una vita semplice, a passeggio tra le varie maison che facevano a gara per accaparrarsela. nessuna vita di eccessi o di rinuncie, condotta sempre in modo molto discreto.
Il suo articolo però ha fatto nascere in me un confronto tra quell’epoca e la nostra: dall’idea di musa e icona come Bettina come si è arrivati alle modelle moderne? Come si è potuti passare dall’eleganza e la raffinatezza innate di una donna simbolo come bettina alle modelle odierne, scelte semplicemente in base a delle misure?
La moda di oggi impone alle donne dei canoni precisi: un corpo longilineo e proporzionato, con gambe magre e lunghissime, un peso forma sull’orlo del ridicolo, un seno non troppo prosperoso e addirittura un preciso numero di scarpa. Le figure del mondo della moda che più mi preoccupano non sono le modelle scelte oggi dagli stilisti ma le donne di tutto il mondo alla ricerca sempre di più di assomigliare a questi stereotipi, in molti casi giungendo all’anoressia e a gravi mancanze di fiducia e autostima nei propri confronti.
Mi domando perché al giorno d’oggi le case di moda non si possano affidare a figure più particolari, interessanti e attraenti come Bettina. Perché non possono scegliere come testimonial una ragazza dalle caratteristiche più comuni, accettandone anche i suoi difetti e le sue imperfezioni, che la rendono comunque unica rispetto alle altre?
La moda purtroppo si sta sempre di più dirigendo verso una grande standardizzazione tra modelle, sempre di più una identica all’altra e perdendo così quel senso di unicità che le grandi icone della moda hanno avuto e creando sempre più stereotipi a cui la maggior parte di noi donne non può avvicinarsi.
A onor del vero però, da pochissimi anni a questa parte stanno ricomparendo in scena i piccoli difetti delle modelle e delle testimonial che senza vergogna e paura li metto in mostra come segno personale di identificazione e unicità: cito ad esempio la modella Vanessa Paradis che, nonostante un diastema ai denti, è diventata la famosa testimonial del rossetto chanel, dimostrando a tutte che, nonostante un difetto visibile, è riuscita a comparire delle pubblicità di tutto il mondo.
Rimane però purtroppo il fatto che sarei ipocrita a negare di voler anche io assomigliare ad una delle tante top model di successo al giorno d’oggi. Il fatto preoccupante rimane però che vogliamo seguire il loro stile di vita volto sempre al mantenimento della taglia 38, piuttosto che farci ispirare dei loro abiti e dal loro stile, che in realtà sarebbe il lavoro per cui sono retribuite.
Sono d’accordo con te, Berenice. Anch’io non capisco il perché di tante modelle anoressiche. Sembra quasi che il fashion system abbia una insana predilezione per i “mostri”: ragazze troppo giovani dal corpo immaturo, gambe da fenicottero, magrissime, senza seni, personalità zero. Che distanza tra loro e la bellezza di Bettina?
Non mi e’ piaciuto l’intervento di Bramclet, anche se sono d’accodo con Roberta l’amministratrice sulla opportunità di dare la parola anche a chi la pensa diversamente.
La Bodyology potrebbe spiegare il significato delle modelle anoressiche? Cosa vogliono comunicare i marchi che le usano? Quali clienti si identificano con messaggi del corpo così estremi? Giuro che non capisco.
Anch’io sono d’accordo con Berenice e Frida. Mi colpito quello che ha scritto Ambra sulla demenziale dieta imposta alle modelle prima della sfilata. A volta sembra che alcuni brand preferiscono cadaveri a corpi che trasmettano vita, energia, gioia. Per me il marketing non c’entra nulla nel senso che i manager non hanno la cultura per intervenire sulle sfilate e quindi accettano a busta chiusa le manie dei creativi. Essendo la mancanza di rispetto per il corpo naturale della donna una moda, molti creativi la esasperano. Forse dovrebbero essere piu coscienti dei significati che trasmettono alla gente. Questo genere di decisioni dovrebbero essere prese non solo dai fanatici delle sfilate ma anche dai responsabili degli effetti della comunicazione sul pubblico. Io credo anche che la moda abbia poca memoria. Bettina non sapevo nemmeno che fosse esistita.
Grazie per avermi citato nel commento.
Io credo che purtroppo ci stiamo avviando verso un mondo dove ormai la magrezza è all’ordine del giorno. Lo stereotipo della modella alta e magra è ormai da svariati anni nell’immaginario della nostra società.
A malincuore dico che , si forse è colpa degli stilisti che a mio avviso oltre a ritenerle belle così ci vanno anche a risparmio per quanto riguarda i tessuti e i soldi; però anche noi non ci imponiamo a far cambiare questa cosa , continuiamo semplicemente a lamentarci ma quando poi ci troviamo di fronte alle sfilate la cosa che ammiriamo sono gli abiti non le persone che le indossano .
Tante volte mi sono chiesta se è proprio per questo che utilizzano le ragazze sfinite dalla magrezza forse proprio per metterle in secondo piano e far emergere il vestito.
Grazie Ambra perché le ultime righe mi hanno dato conforto e vedere questo fenomeno come un voler mettere in risalto il vestito rispetto alla modella potrebbe essere realmente una giustificazione plausibile.
Rimane però il fatto che sempre più modelle emergono dalle sfilate e diventano il punto di riferimento per milioni di donne al mondo, che sfogliando le riviste di moda più vendute al mondo non fanno altro che imbattercisi.
Mi rattrista anche molto il fatto che sempre di più il mondo della moda negli ultimi anni si stia allontanando dal prototipo di donna mediterranea, bella, sensuale, formosa e dalle labbra carnose, che ci hanno reso famosi in tutto il mondo e ammirati. Quanti uomini hanno desiderato donne come Sofia Loren o Monica Bellucci e quante donne hanno provato ad assomigliarci! Ormai uno dei tratti distinti dell’Italia nel mondo, ahimè, sta miseramente scomparendo.
Questa interessante retrospettiva su Bettina mi ha aperto gli occhi sul ruolo della modella oggi: prima una mannequin non era semplicemente un’indossatrice, era una donna con carattere e personalità il cui compito era quello di trasmettere una determinata serie di valori all’abito, ora questo ruolo sembra essere più che evoluto, banalizzato. Una modella al giorno d’oggi sembra dover fungere da tela per l’abito che indossa, l’attenzione dello spettatore ad una sfilata non deve essere catturata dalla modella ma dall’abito per questo, forse, le modelle d’oggi non sono poi particolarmente affascinanti. Sarà forse l’inizio del ready-to-wear negli anni ’70 che ha progressivamente fatto prevalere il motivo economico su quello evocativo che una modella del calibro di Bettina o Dovima erano capaci di suscitare? Effettivamente, sento la mancanza nel mondo della moda attuale di figure come Bettina. Manca ora una donna con carattere ed eleganza, una donna vera e forte, che sappia imporsi e sappia affascinare e non provocare gli uomini. Perché in fondo si riduce tutto a questo: la sessualità che, per carità, sarà anche un buono strumento per vendere e accalappiare ma ci si ferma li, nessuna di queste ragazze che popolano la moda ora sarà ricordata per il proprio fascino e per il proprio carattere.
Vanno bene Bettina, Lisa, Dovima, Marylin ma il vero corpo che ha cambiato le cose e ha fatto sognare le giovani generazioni e’ bibi
Bramclet, da dove sbuchi? Chi e’ bibi? E’ il pennuto corridore che maltratta lo sfigatissimo coyote dei cartoon di Walt Disney? Forse ti riferisci a Barbara Goalen? Beh, in questo caso esageri un po’ ma hai citato una modella inglese molto quotata tra la fine degli anni ’40 e i ’50. Il bravo John French, eccellente fotografo di moda, con lei fece scatti memorabili. Ma era troppo sofisticata, troppo convenzionale. Bettina era di un’altro pianeta.
Macche’, mai sentita questa Barbara. Parlavo di Brigitte Bardot. E’ lei la numero uno. The body. Ma vuole mettere Bettina, che a me sembra una zia un po’ suonata alla ricerca del fidanzato ricco sfondato, con bibi!!! Non c’è partita! Brigitte non aveva bisogno di De Divenci o di quell’altro, cazzo si chiamava, Fat. Una vestaglietta, o jeans e t shirt, infradito e vai! Perché questa non e’ moda?. E’ solo moda vestirsi come babba natale in lutto. Le consiglio di andare a vedersi “All’ultimo respiro” di Troufaut, Brigitte e’ fantastica, attualissima.
Bramclet mi hai lasciato senza parole. Non e’ vero, in realtà me ne hai lasciate tre: SEI UN CRETINO! Ma tuttavia hai toccato argomenti che mi costringono a fare un paio di respiri profondi per poi provare a comunicare con i quattro neuroni che ti sono rimasti (per via dell’eccessiva esposizione al ridicolo strumento, il bongo, che esibisci nelle tue presentazioni, suppongo):
1. Il nome dei due straordinari couturier che hai storpiato sono: de Givency e Fath; se non capisci il valore delle loro creazioni, perdi il senso dell’interpretazione di Bettina;
2. Penso che il regista che pur volendolo omaggiare hai maltrattato sia François Truffaut. Ora, il problema e’ che il film che citi “Ou bout de souffle” non lo ha diretto lui, ma J. Luc Godard. E’ un errore grave dal momento che questo non e’ un film come tanti altri; e’ il manifesto della Nouvelle Vague ovvero e’ un film che ha inaugurato un modo di fare cinema innovativo e rivoluzionario nei sessanta e settanta del novecento ( il film credo che sia del ’58; Truffaut partecipo’ collaborando alla sceneggiatura). E purtroppo devo aggiungere che la tua Brigitte ( chiamata effettivamente bibi, che si scrive pero: B.B.) non appare da nessuna parte. La bravissima affascinante giovane interprete era Jean Seberg affiancata ad un indimenticabile J.P. Belmondo.
Probabilmente hai confuso questo film con un altro storico film, uscito più o meno negli stessi anni, intitolato ” Et Dieu…créé la femme”, nel quale il regista R. Vadim approfitto’ a piene mani del sex appeal travolgente di Brigitte Bardot.
3. Nessuno nega l’importanza di Brigitte Bardot per le mode anni sessanta. Lo scollo chiamato per l’appunto alla Bardot e’ rimasto nelle piccole storie che la moda ogni tanto ama raccontarsi. Oppure la sua pettinatura a “nido d’api”, i suoi golfini stretti stretti. Poca roba. Invece, l’importanza di Brigitte e’ di assoluto rilievo a livello di Bodyology: tra la generazione di Bettina e quella di Brigitte c’è un salto che implica l’emersione di nuove forme e tecniche del corpo. Con Bettina la moda cercava di magnificare lo charme, l’eleganza di una donna; un fascino che poteva prendere inflessioni chic; il sex appeal arrivava qualche nano secondo dopo la percezione di una bellezza che probabilmente doveva moltissimo all’abito. Con Brigitte Bardot e le altre protagoniste femminili dei sessanta, e’ il lato sexy che comincia a dominare tutto il look. Gli abiti cominciano una dialettica con il corpo all’insegna del progressivo denudamento. In quel decennio “sexy” e’ la parola chiave per capire la moda. Tutti, anche gli uomini volevano essere sexy.
4. Quindi, e’ un errore mettere a confronto due grandi icone come Bettina e Brigitte Bardot senza contestualizzarne funzioni, ruoli e cambiamenti di mentalità nel sociale.
5. Io credo che la Storia sia importante soprattutto se interroghiamo il passato alla luce dei nostri problemi di oggi. Quindi ti chiedo: cosa abbiamo guadagnato nell’orgia sexy e fetish che e’ decollata a partire dai sessanta? Cosa abbiamo perso? A me e’ sembrato che un personaggio come Bettina potesse servire a farci ricordare dimensioni della bellezza delle quali oggi sentiamo la mancanza. Dimensioni esplorate a modo loro da Kawakubo, Yamamoto, Margiela, Alaia… Grandi creativi certo, la cui voce spesso e’ rimasta soffocata da una chiassosita’ banalmente sexy a volte insopportabile.
Non capisco perché se la prende tanto con il mio bongo. Un po’ di ritmi tribali le farebbero bene. Invece che pensare alla Bodyology io le suggerirei di darsi alla Stronzology. Come le scrive, con che cultura e con che classe le propone!
Lei vada pure a cena con Bettina, io preferisco andare a ballare sulla spiaggia di S.Tropez con bibi. Chi si divertirà di più?
ROBERTA, SEI L’AMMINISTRATRICE DEL SITO! DEVI DISINTEGRARE I BIT DI BRAMCLET. VOGLIO SENTIRE L’ODORE DEGLI ABOMINEVOLI ESSERI INFORMATICI PRODOTTI DAL QUEL SUONATORE DI BONGO CHE FRIGGONO. NON LO VOGLIO PIU’ TRA LE PALLE…
Eheheh… Io invece ho trovato molto divertente l’irriverenza di Bramclet. Non credo che Bettina se la prenda. E’ chiaro da tutti gli interventi che l’amiamo e ogni tanto una voce fuori dal coro è salutare. E, poi, non sottovaluterei il contenuto oggettivo che è venuto fuori dal vostro dissidio.
Infine, caro prof, è stato lei a chiamarlo “cretino” e “quattro neuroni”…
Premetto che non conoscevo Bettina prima di visionare questo articolo, tuttavia mi ero già imbattuta nella sua splendida figura su qualcuno dei libri di moda che ho avuto tra le mani.
Sguardo magnetico, espressione tagliente, linee sinuose tutto ciò concentrato in un’unica donna tanto ambita quanto fotografata.
Ho apprezzato particolarmente del suo articolo l’inserimento di citazioni in lingua originale e sopratutto delle splendide immagini. Questo insieme di scrittura e icone mi ha permesso di capire ancor meglio la forza ammaliante di questa donna e del suo grande fascino.
Una cosa però me la sono chiesta: quale piccolo mondo ci sarà stato rinchiuso in quella donna che posava dietro un obiettivo? Può, l’amore di un uomo, aver inciso così tanto nella sua vita professionale quanto personale?
Ho provato ad immaginarmi all’interno della Galleria Carla Sozzani in Corso Como e girare, metaforicamente, una delle tante foto per capire cosa si celasse dietro la sola immagina della famosissima mannequín. Mi sono chiesta se quel trucco impeccabile, quelle linee geometriche e quei sorrisi da posa corrispondessero alla Bettina non solo musa, non solo modella, ma anche a quella ragazza in cerca d’amore che poi si rivelerà.
Difatti, non esita un attimo ad abbandonare il suo podio per dedicarsi all’uomo che ama. Questo mi fa pensare alla possibilità che quell’uomo, oltre che l’amore della sua vita, potesse anche rappresentare una possibile via di fuga da qual mondo di stoffe e notorietà che l’aveva sempre circondata.
La fortuna, però, non gioco a suo favore, riportandola lì, dove lei era sempre appartenuta.
Questi miei pensieri, che ho scritto qua senza alcuna pretesa, sono la riflessione curiosa avvenuta inseguito alla lettura di una vita interessante come quella di Bettina, che oggi definiremmo uno Status Symbol o una Star delle passerelle.
Detto sinceramente non conoscevo questo personaggio ma immergendomi nella lettura del suo articolo ho scoperto qualcosa e qualcuno di nuovo e di molto interessante. Per questo la ringrazio.
Come può Bettina che alla nascita è una ragazza qualunque diventare prima musa e poi ambasciatrice del mondo della moda? Come può qualcuno diventare un’icona? E ancora, come può una fotografia far sognare milioni di donne?
Queste sono alcune delle domande che mi sovvengono leggendo il suo articolo. Logicamente a domanda corrisponde risposta quindi ho provato a darmi da sola qualcuna di queste risposte, il che, infatti, non significa che queste siano giuste anzi ampiamente discutibili.
Oltre ad uno strano e fortunato allineamento astrale, sicuramente sono svariati i fattori che influiscono nella realizzazione di un notevole cammino quale è quello di Bettina: la capacità e la voglia di sognare, la caparbietà nel seguire i propri obiettivi, saper cogliere e sfruttare le occasioni giuste (a volte anche con una certa spensieratezza che non è proprio da tutti), possedere un QI che permetta di andare ben oltre il 2+2=4…. Come dice il nostro caro Armani “I cretini non sono mai eleganti. Gli intelligenti invece, anche con due stracci addosso sono vestiti logicamente, quindi sono sempre eleganti.”
Tutto ciò però non è comunque sufficiente…
A tal proposito la mia mente ha ben pensato di andare a ripescare una frase lasciata ormai da tempo in un angolino buio della mia testa e rubata un giorno per caso durante una di quelle che, allora, da liceale “sfavata” quale ero, consideravo solo noiose letture estive: ”Il vero mistero del mondo è il visibile non l’invisibile.” (da “Il ritratto di Dorian Gray” Oscar Wilde)
Talvolta la capacità di comunicare attraverso il proprio corpo e la propria espressività (che non sempre necessariamente coincidono con una bellezza oggettiva) dei valori, delle sensazioni e delle emozioni che penetrano nell’ animo di chi osserva, colpendolo e lasciandolo estasiato,spaesato e senza parole, rimane quasi un mistero. C’è qualcosa di diverso in queste persone, qualcosa che è al tempo stesso tangibile, perchè le puoi vedere e toccare in quanto persone fisiche, ed intangibile, ossia un valore aggiunto che si scompone in un gran numero di dettagli, quasi fossero molecole, capaci di ricollegarsi attraverso una rete invisibile che ci cattura e ci costringe a soffermarci, permettendoci di vedere cose che magari abbiamo visto o vedremmo un sacco di volte senza mai vederle davvero: così UN abito indosso a Bettina, per un processo direi quasi “osmotico”, prende vita ed acquisisce una sua identità che sono poi le stesse della bellissima mannequin, diventando L’ abito. Ma non solo…diventa anche oggetto del desiderio esattamente come la donna che lo indossa, secondo un processo di reciproco scambio dove l’ uno dona “qualcosa” all’ altra e viceversa.
Eleganza, armonia, fascino, bellezza passano da essere concetti astratti ad essere qualcosa di visibile a tutti e che tutti desidererebbero possedere , grazie alle straordinarie capacità e sensibilità di fotografi in grado di immortalare su una pellicola l’ alchimia generata dall’ incontro tra una forte personalità, Bettina, donna bellissima ammirata per la sua energia ed intelligenza da miriadi di donne (ed uomini) e deliziosi abiti partoriti dall’estro di talentassi couturier.
Ho letto il suo stimolante articolo, che mi ha permesso di conoscere un’ icona che si è fatta largo tra questo mondo elitario qual’è la moda.
L’ argomento che ho seguito con maggiore entusiasmo è stato quello della vita privata di Simone Bodin, poiché, oltre a riportare i fatti interessanti e complicati della sua ascesa negli anni ’40 e ’50, sfidando le convenzioni dell’ epoca sulla condizione femminile, lei la descrive con una devozione e ammirazione molto toccanti.
Mi ha colpito il sarcasmo con il quale ha presentato la decisione di Bettina di lasciare tutto quello che avrebbe potuto realizzare, per seguire il suo primo amore ed essere una moglie “buona, brava e felice”.
Se ti fermassi a leggere questa prima parte, penseresti a lei come una ragazza debole e remissiva, ma invece decide di riprendere in mano la sua vita e diventare quel qualcuno che avrebbe collaborato alla mutazione dei canoni degli stilisti di quel periodo.
Insomma come si fa a non essere trasportati dal carisma di una donna così!
E poi..diciamoci la verità..chi non vorrebbe diventare l’ icona della bellezza pura e l’eroina senza tempo del periodo storico più importante della moda?!
Quando Bettina incontrò il principe Agha Khan Ali portò un gran scalpore tra le donne dell’ epoca, infatti ricordo che mia nonna, donna molto romantica, la definiva “la favola d’ amore” per eccellenza.
Alla morte del suo grande amore Bettina riesce comunque a rimanere in piedi e a reagire, tenendo oltretutto lontani i gossip e rinunciando persino a diffondere la sua autobiografia, pur di mantenere la riservatezza per il bene di tutta la famiglia.
Ciò che ammiro è quindi anche questa sua grande forza nell’ affrontare gli ostacoli inevitabili che ci accadono nella vita: una cosa mi sento di dire di avere in comune lei è la sua grande discrezione.
Posso aggiungere che la figura di Bettina mi ha ricordato quella di Grace Kelly, altra donna che ha saputo sovvertire le convenzioni della società maschile dell’ epoca? Direi di sì
Devo dire che il parallelismo tra Bettina e Grace Kelly regge bene. Entrambe per motivi diversi dovevano giocare ad essere altro da se stesse. Entrambe lo hanno fatto talmente bene finendo col metterci molto di se stesse. Bettina era pero’ più ironica, scanzonata…
Essendo la prima volta che leggo di Bettina, il mio commento farà affidamento solo ed esclusivamente all’articolo, senza approfondire (volutamente) l’argomento. Parlano, dunque, le mie prime impressioni e sensazioni.
La mia attenzione è caduta sulla foto di Henri Cartier-Bresson, e con più precisione sull’uomo che, come lei scrive, ha le spalle rivolte verso “la bellezza, la moda, verso Bettina” ed io aggiungerei ‘l’uomo che volta le spalle al cambiamento’.
Forse, quell’uomo non vedeva altro che un manichino; un manichino ‘scelto’ da un Lui, ‘portato’ da un Lui sulle scene, un manichino in cui tutti vedevano quello che quel ‘Lui’ voleva far vedere.
E non è forse ciò che tendiamo a fare anche noi oggi?
Non siamo noi, oggi, i primi a non accettare e non capire come ragazze giovani, e senza la minima esperienza nel campo della moda possano avere così tanti ‘like’ da permettersi un’imposizione autonoma sulla scena?
Sì, mi riferisco alle Fashion Blogger.
Non siamo forse noi,quelli che in questo caso, pur di non vedere, girano le spalle come l’uomo della foto?
Siamo noi quell’uomo che, non vede il cambiamento, non vede che, la scelta del ‘Lui’ passa in secondo piano se sono ‘Io’ che Decido ; ma guarda solo un manichino che indossa abiti e si fa fotografare.
Se, ad oggi, dopo circa sessant’anni da quando in scena c’era Bettina, quell’uomo ha voltato le sue spalle ed è riuscito a vedere e percepire emozioni e talento da alcuni scatti fotografici, perché non ci voltiamo anche noi per vedere cosa c’è oltre quegli scatti e quei ‘like’ ?
Per prima cosa volevo ringraziarla per la stesura di questo articolo, perché forse, se non grazie a lei, non sarei mai entrata in contatto con questa incredibile donna.
Da quello che ho letto ho potuto capire quanto lei sia rimasto affascinato dalla figura di Bettina e sicuramente non posso che essere della stessa opinione.
Simone Michelin Bodin, divenuta Bettina grazie al noto couturier Costet, è stata una delle icone più significative del mondo della moda e forse la modella più richiesta dai fotografi e stilisti degli anni Quaranta-Cinquanta del Novecento.
Di questa donna traspare sicuramente la sua semplicità e la sua volontà di sentirsi una ragazza innamorata e spensierata, e questo lo fa capire il fatto che abbia deciso di abbandonare il lavoro mentre si trovava nell’apice della sua carriera.
E’ una figura di ispirazione per tutte noi donne, poiché è riuscita a rappresentare la determinazione e la tenacia nel lavoro e la quasi ingenuità e l’abbandono nella vita sentimentale.
Se dovessi avere l’opportunità di andare a Milano entro il 2 Novembre, mi piacerebbe visitare la mostra nella Galleria Carla Sozzani di Corso Como 10, ma soprattutto ammirare la collezione di foto in suo onore.
Innanzitutto mi pare opportuno ringraziarla per questo articolo e per aver posto l’accento su un personaggio così interessante ma per qualche ragione a me sconosciuto.
Fin dall’inizio dell’articolo, così solenne nel tono, una parola mi è sempre suonata come una nota stonata all’interno di una canzone, e cioè “mannequin”.
Sebbene sia una parola dell’età più o meno di Bettina, essa mi sembra più vera ed appropriata ora di quanto non lo fosse allora.
Se dovessi definire le personalità che hanno caratterizzato il panorama-moda degli anni di Bettina userei la ben più contemporanea e d’altronde meno affascinante parola “testimonial”.
Nonostante i paradossi lessicali di natura temporale, è proprio questa la parola che, a mio avviso, meglio caratterizza queste affascinanti personalità.
Come dice lei stesso nell’articolo, l’immagine di grandi Maison del calibro di Balenciaga, Givenchy e Dior è stata in parte influenzata dalla presenza di donne con una personalità caratterizzante, la stessa tipologia di donne sulle quali probabilmente gli stessi stilisti avrebbero voluto vedere indossati i propri abiti, donne che invece non esistono più tra le mannequin di oggi, le quali diventano icone non per la propria personalità caratterizzante ma perchè non hanno alcun problema a far diventare la propria vita la prima pagina di un giornaletto scandalistico, spesso tra l’altro fingendo.
Ma tornando a Bettina, la cui foto di Henry Clarke mi ha procurato un mezzo infarto per via di quello sguardo mozzafiato, la sua peculiarità mi rendo conto essere di assai difficile imitazione, in quanto a mio avviso trasmette contemporaneamente doti quali l’eleganza e la raffinatezza di modi da una parte, doti importanti ma non poi così caratterizzanti per quel periodo, la consapevolezza della propria intelligenza, la furbizia e una sottile sensualità dall’altra, doti invece rivoluzionarie in una donna degli anni ’50.
Per questo quello sguardo non sarà mai più replicabile da nessuno, perchè era uno sguardo che raccontava tutte queste cose e mille altre che potevano e potranno appartenere unicamente a lei ed al suo personalissimo modo di esibirsi e di raccontare se stessa al pubblico.
È stato bello scoprire e approfondire, in pochi minuti, un mondo assai lontano da quello che io, oggi, associo alla parola “moda”, e per questo la ringrazio. Sarà per il mio essere una romanticona, ma vedo nelle immagini dei grandi fotografi che hanno immortalato Bettina, e in lei stessa, un fascino, una genuinità e un’eleganza che oggi non trovo (quasi?) da nessuna parte.
Sono d’accordo con Margherita nel definire Bettina “testimonial” piuttosto che “mannequin”. Leggendo le sue righe mi appare come una donna che incarna l’essenza degli abiti che indossa e la trasmette in modo impeccabile e del tutto personale, non che ha lo stesso ruolo di una “gruccia” o di un espositore.
Nasce così un pensiero che mi tormenta spesso: perché oggi non c’è più niente di neanche lontanamente simile ad una concezione della moda (intesa come cultura, arte e savoir faire) degli anni passati? Perché sfogliando una rivista vedo la stessa modella in cinque/sei campagne pubblicitarie diverse? E perché questa stessa modella riesce ad essere icona di cinque/sei brand contemporaneamente?
Trovo che non si possa paragonare la cultura di quegli anni con l’assenza della stessa nelle passerelle di oggi. Sono rimasti in pochi a saper innovare, trasmettere qualcosa di nuovo ed emozionare davvero secondo me. Non si può sentir dire “Che bella la collezione di Dolce & Gabbana con il pizzo, è così particolare!”; eh no, il povero Yves Saint Laurent inizia a fare la trottola nella tomba, e altri insieme a lui.
Confido nei “pionieri” dei valori di una cultura ben diversa, di un mondo lontano ma che, mi auguro, possa non essere mai dimenticato. La magia della fotografia interviene qui, rendendo immortale ciò che un giorno potrebbe scomparire del tutto.
Seppure non ho avuto né avrò la possibilità di visitare la mostra, credo che la stessa andrebbe allestita in ogni angolo, su ogni muro delle nostre città. Per mostrare a tutti cosa significa “moda”; per mostrare che in anni relativamente democratici per le donne, come quelli di Bettina, ce n’erano alcune che riuscivano a splendere e ad essere padrone delle proprie scelte; per mostrare che se oggi esistessero ancora gli stessi valori, forse penseremmo tutte un po’ di più, prima di esprimere giudizi.
Si Chiara, la couture e’ cambiata tantissimo dall’epoca di Bettina e dei suoi mentori. Da quando Balenciaga chiuse la sua maison nel 1968, deluso dai suoi migliori allievi e incredulo di fronte al clamore suscitato da minigonne, sperimentazioni metalliche (Paco Rabanne), divagazioni spaziali (Cardin, Courreges), citazioni retro’ fuse con esotismi orientaleggianti (Ossie Clark, Biba), da quei giorni dicevo, la couture per sopravvivere si e’ reinventata, posizionandosi la’ dove il pret a porter aveva difficoltà nel seguirla. Con Yves Saint Laurent verso la meta’ dei settanta ha cercato di interpretarsi come laboratorio di tendenze; con Vivienne Westwood, dieci anni dopo, ha cercato nel carnevalesco (nel senso che Bachtin da’ alla parola) le energie sovversive capaci di liberarla dal tradizionale perbenismo che l’aveva a lungo caratterizzata. Con Galliano, nei novanta, la couture divenne narrazione ed evento. McQueen ne esploro’ gli spiriti animali. Margiela l’avvicino’ ai paradigmi dell’arte contemporanea. Kawakubo e Yamamoto misero in discussione la sensualità (occidentale) anteponendo ad essa la materia con cui erano fatti gli abiti, elevando gli atti-moda fondamentali, tagliare/cucire, a scrittura creativa che oltrepassava (annullava) il limite del corpo desiderante. Lagerfeld/Chanel fece il contrario: rinnovo’ uno stile classico attraverso la perversione, il fetish … Insomma, potrei continuare a lungo. Ma dove voglio andare a parare? La necessita’ di cambiare di una couture fatalmente decentrata dall’invafenza mediatica del pret a porter, ha modificato il rapporto quasi mistico tra abito e modella. Forse oggi le sacerdotesse della moda dobbiamo andare a cercarle tra le grandi giornaliste. Si certo, la stampa di settore celebra sempre le modelle più acclamate. Ma sappiamo tutti che recitano un ruolo. La moda e’ diventata fiction, gioco di parata, esibizione estemporanea, scena barocca. Per contro, quando vedo immagini come quelle della mostra su Bettina, mi rendo conto che c’è stato un tempo in cui la couture ha sconfinato nel sacro. Intendo dire che l’intensità richiesta per l’interpretazione dell’abito si avvicinava a ciò che i mistici definiscono “esperienza interiore”. Ovviamente, e questo e’ tipico della moda, si trattava di una interiorità tutta di superficie (ecco perché ai poveri di spirito appariva deplorevolmente frivola). Oggi siamo nel mondo della professionalità, delle competenze, delle performance. Al posto dell’esperienza interiore preferiamo l’efficacia; al silenzio (di una foto in B/N o di un défilé) preferiamo il clamore ( del colore, del fashion show). Sono stato un lettore devoto di Proust, ma non ho mai accettato la sua devozione al sentimento del tempo perduto. Eppure di fronte a Bettina (come ad altre protagoniste di quella stagione della moda) sento che qualcosa si e’ smarrito, qualcosa di cui non riesco a non provare nostalgia.
Prof. Si può dire che Bettina incarnava il “corpo elegante”, la Bardot il “corpo sexy”, Kate Moss il “corpo minimal” e così via? Allora, la Bodyology sarebbe la materia che dovrebbe studiare l’evoluzione dei corpi utilizzati dalla moda per raggiungere i propri obiettivi? Ma quali sarebbero i presupposti della Bodyology, ammesso che possa esistere? Secondo lei il marketing senza averne la parola fa della Bodyology?
Eva, secondo te Fath quando prese Bettina non faceva marketing d’immagine? Forse lo chiamava diversamente, ma la sostanza non cambia.
Scusa, ma così praticamente tutto finisce con l’essere marketing! Anche il mio fidanzato quando si presenta carino fa marketing? Non stiamo forzando troppo la parola?
Mi collego ai discorsi di Eva e Adri. Secondo me Fath ha scelto Bettina perché comunicava benissimo il suo ideale di donna alla moda. Non si può dire che facesse marketing d’immagine perché a quel tempo non era chiaro il collegamento tra mercato e buona immagine. Cioè si sapeva che funzionava il collegamento ma tutto si basava su delle intuizioni. Secondo me si può parlare di marketing quando possiamo misurare qualcosa.
Voglio ricollegarmi ai commenti di Eva,Frida e Adri dando una definizione, per me molto esplicativa, di marketing:
“Il marketing è l’arte e la scienza di acquisire, mantenere e sviluppare una clientela che assicuri un prodotto.” Beh non a caso ho sottolineato le prime parole per dire che il marketing è un qualcosa di razionale,preciso,dobbiamo conoscere delle nozioni di base per poterlo applicare; ma allo stesso tempo è un’arte perché ogni mercato è un mondo a sé, un mondo che non ha bisogno soltanto di regole applicate ma di una certa creatività nell’essere applicate. Quindi il marketing non è un qualcosa di improvvisato ma bensì qualcosa che cambia a seconda delle varie situazioni. Allacciandomi alla moda, e in questo caso a Bettina, ogni modella viene scelta per determinati servizi fotografici perché devono comunicare qualcosa,devono lanciare un messaggio,perché un brand fa una “promise”al cliente che deve essere mantenuta nel tempo e comunicarla nel migliore dei modi. Il marketing che è stato applicato ai tempi di Bettina riguardava un contesto e un pubblico di nicchia: l’alta moda. Nelle immagini dove veniva fotografata indossava abiti di Dior, De Givenchy,Chanel ,couturier che ancora non sapevano cos’era la cosiddetta “moda pronta”. Loro realizzavano capi unici,curati nei minimi dettagli, e talvolta fatti su misura per la propria cliente, e di conseguenza la strategia di marketing comunicativa era quella di trasmettere una certa raffinatezza e lusso. Fotografare un abito che era raggiungibile da pochi, che solo pochi “privilegiati” potevano indossarlo. Chi meglio di Bettina poteva lanciare questo messaggio?
Cosa ben diversa accade oggi con il prèt-à porter: una moda standardizzata, raggiungibile da chiunque abbia le possibilità di comprarla. Una moda che non fa più sentire uniche le persone anzi aumenta la voglia da parte del consumatore di sentirsi accettato dagli altri, conformarsi con gli altri attraverso abiti di tendenza. Quanti di noi, girando per strada, trovano persone con almeno un capo di abbigliamento uguale al nostro? Penso che questo tipo di situazione non si verificasse negli anni ’50. UN ABITO DIOR RENDEVA COLEI CHE LO INDOSSAVA UNICA FRA TANTE NON UNA DELLE TANTE! Questo implica una strategia di marketing completamente diversa: modelle con fisici mozzafiato che appaiono in più campagne pubblicitarie. Ora trovare modelle con determinati standard è molto facile: oggi è su ogni testata delle riviste più importanti ,domani verrà sostituita un’altra. Sicuramente molto belle ma non uniche. Una tra le tante.
Tutto questo discorso era necessario per spiegare il concetto di marketing in particolare per rispondere ad una domanda che mi sono posta leggendo i vostri commenti: “Esiste un marketing spontaneo?cioè un marketing che non parte da manuali ma bensì da situazioni transitorie?” La mia risposta è che il marketing deve partire da dei manuali altrimenti non potrebbe essere applicato, ma allo stesso tempo ha bisogno di spontaneità altrimenti non potrebbe seguire i cambiamenti della moda. Un cambiamento così rapido che talvolta diventa difficile percepirlo!
Cara Alice, mi e’ piaciuta molto la tua sintesi, ma se a volte il cambiamento e’ così rapido e difficile da percepire, cosa ce ne facciamo dei manuali?
Leggendo i vostri commenti mi è venuto spontaneo pensare al marketing come una scienza si, come definisce anche Alice, ma come una scienza che si applica in maniera diversa in funzione dei tempi che cambiano.
Io credo che sia sempre stato fatto del marketing, quando Fath vide Bettina per la prima volta sarà stato ammaliato dalla sua bellezza e unicità sicuramente, ma quando le fu scattata la prima foto, e quando videro che quelle foto piacevano e che tutti i giornali ne parlavano; allora fu un susseguirsi di azioni, che portavano Bettina verso la scalata delle celebrità e che forse facevano desiderare sempre di più quegli abiti che lei indossava su quel corpo perfetto.
È qui che si crea il marketing, quando il mercato desidera qualcosa e gli viene offerto, in che modo, è la chiave del successo.
Penso anche che in quegli anni il marketing non fosse sviluppato come adesso, adesso si ricerca il valore che viene reso al mercato, vengono fatte specifiche ricerche di merketing prima di sviluppare l’idea di un prodotto, al quale poi, affiancare un volto, un’immagine, un testimonial che ne faccia da accompagnamento, prima si aveva un orientamento alla produzione, in cui non c’era l’interesse per il consumatore, ma solo al produrre con il minor costo possibile per vendere.
Forse la parola “accompagnamento” non è la parola più adatta, ne per oggi ne per il passato, le top model più richieste, fanno show, fanno audience, fanno parlare la gente, fanno parlare il cosiddetto mercato, e se ai tempi di Bettina, questo, diveniva una conseguenza della scelta di un volto così particolare, adesso si sceglie quel determinato corpo per far arrivare al mercato un certo messaggio, che quel determinato target coglierà.
Allo stesso tempo credo che non dobbiamo “marketinzzare” tutto ciò che riguarda la moda, la moda nasce dall’amore dello stilista nel disegnare arte, io stessa mi sono innamorata della moda quando da sola, a luci spente, vedevo le sfilate di Mc Queen, Armani o Chanel, e rimango affascinata tutt’ora nel vedere quei meravigliosi abiti, fluttuare nell’aria al passo con le famose top model. Certo, direte, tutto questo, tutto questo amore che hai per quegli abiti, fa parte del marketing, probabile, perché è anche tutta immagine, allora rispondo che sono innamorata delle emozioni che provo nel vedere le espressioni di queste modelle, nell’immaginarmi tutto il lavoro che c’è dietro ad un abito dell’ Haute Couture di Dior, nel pensare alla storia di un Brand, di un vero Brand, sono innamorata di tutto questo mondo, consapevole del fatto che dietro c’è una strategia di marketing, che tiene, almeno adesso, tutto questo mondo ancora in vita.
Io sono d’accordo con Carlotta, non tutto e’ marketizzabile. Anche se la comunicazione della moda e’ diventata così potente da creare persone definite fashion victims, sarebbe giusto darsi dei limiti. Altrimenti la vera creatività scomparirebbe e rimarrebbero solo modelli da applicare.
Ho letto questo articolo immergendomi nella storia di questa ammirevole donna, ammirevole per la sua vita privata e per il suo lavoro. Ho poi seguito i commenti, giorno per giorno, mentre venivano aggiunti, e quello che ho sentito di più in quelle righe è stata la nostalgia. E’ vero, con la scomparsa delle donne come Bettina e con il mondo della moda sempre più diretto verso muse e modelle commerciali per così dire (che potessero essere apprezzate dalla massa, che diciamocelo, non è più un gran che raffinata), qualcosa si è perduto per sempre, ma io credo che ancora in giro, un barlume di quell’essenza speciale che apparteneva a queste creature si possa trovare. Magari non sono le muse degli stilisti odierni, di certo non le vedremo in televisione la sera, ma per le strade del centro, in un parco nascoste da sguardi indiscreti, loro sono li. Non saranno Bettina, perché anche l’epoca rende una donna quello che è, e in quest’epoca essere una Simone Michelin Bodin è molto difficile, ma qualcosa di etereo ce l’avranno, forse solo negli occhi, o nella movenza delle mani, ma ce l’avranno. Siamo noi a non cercare più in giro queste creature, a non vederle, perché in fondo, ci siamo quasi abituati alla mannequin vuota che ci propongono adesso.
Dal mio canto, ho sempre ammirato queste donne, che appartenessero a un’epoca lontana o alla mia, perché hanno in sé qualcosa di indescrivibile, qualcosa che nessuno riuscirebbe ad imitare nemmeno con tutto l’impegno del mondo. Probabilmente è proprio quel qualcosa che Costet vide quando Bettina si presentò con i suoi bozzetti. E forse si sentì fortunato ad averlo colto proprio come mi sento io quando scopro negli occhi di qualcuna questo qualcosa, sentendomi, per qualche secondo, l’unica posseditrice di un segreto nascosto al mondo, anche se probabilmente non incontrerò mai gli occhi di un’altra Bettina.
Quindi grazie Costet per aver fatto conoscere al mondo questa donna, e grazie Prof per averla invece fatta conoscere a noi con quest’articolo.
Eva, da Eva a Eva, a proposito delle modelle commerciali che citi nel tuo intervento, volevo chiederti: hai letto cosa sta succedendo a Victoria’s Secret per colpa della sua ultima campagna “The Perfect Body”? Allora, sta succedendo questo: tre studentesse inglesi si sono sentite discriminate e hanno lanciato una petizione per far ritirare la campagna. Sostengono che la foto di un gruppo di modelle altissime e magre e’ una provocazione dal momento che risulta impossibile per una persona normale essere come loro. Sostengono anche che questo modo di comunicare il corpo favorisca la diffusione dell’anoressia. Ma se come dici tu non possiamo piu essere come Bettina e se la moda ci propone l’anoressia c’è qualcosa che non torna. Come fa a funzionare una modella vuota?
Si, ho sentito quello che sta succedendo per la campagna “The Perfect Body” e sono d’accordo con le studentesse. La campagna riporta delle modelle estremamente magre, se consideriamo anche che l’obiettivo fotografico “ingrassa”, ma a parer mio basta guardare qualsiasi giornale per sentir gridare un inno all’anoressia, non solo questa campagna.
Personalmente parlavo della vuotezza interiore delle modelle, del fatto che non colgo in nessuno dei loro sguardi quel qualcosa di speciale che vedo negli occhi di Bettina. E si, c’è sicuramente qualcosa che non torna. Sia nella vuotezza interiore delle modelle, sia nel modello esteriore distorto che ci viene proposto. Come fa a funzionare mi chiedi? Qua mi verrebbe da rispondere che una modella, e con le lei le sue caratteristiche, viene scelta per parlare a un pubblico che le sia simile o che desideri emularla. Se chi la osserva la rifiutasse (e non solo le ragazze che firmano la petizione, perchè se pur sono tante, penso che siano ancora di più quelle che invece vedono quelle modelle anoressiche come ideale di bellezza) forse cambierebbe qualcosa, e forse un giorno potrebbe nascere un’altra Bettina, in un mondo dove sarebbe apprezzata, che non è di certo questo.
Oooh! Come siete politicamente corrette! Ma se foste le manager di Victoria’s Secret con la responsabilità di lanciare una nuova linea di reggiseni esclusivi, che cosa fareste? Vi affidereste a modelle dall’aspetto normale? Selezionereste un gruppo di bruttone?
Devo ammettere che voi, Eva , Adri e Frida con i vostri commenti sotto l’articolo riguardante Bettina, scritto dal Canton, mi avete molto incuriosito e fatto pensare ad una tematica che, pur apparendo da subito quasi palese e ovvia, non lo è affatto; e ho deciso che anche io per quel poco che mi compete devo dire la mia. Prima di tutto, se ho capito bene ,stiamo parlando del binomio marketing e moda, quanto questi due mondi si influenzino a vicenda e se esiste, soprattutto adesso nel 2014, un marketing come definisce Alice spontaneo che non derivi solamente da studi lunghi e approfonditi fatti sui manuali. Voglio partire dal presupposto che tutti, volutamente o no, viviamo di moda e di mode; ciò è tanto vero che saremmo ritenuti fuori dal mondo se solamente ci azzardassimo a rifiutarle. Le mode ci sono, si fanno sentire, si fanno vedere, in alcuni casi ci eccitano, in altri ci cambiano,ci condizionano, spesso s’identificano con noi stessi e ci marchiano. Questo stato, se così si può chiamare, ci rivela che fra chi offre moda e chi la domanda ed accetta ( il consumatore ) si instaura una relazione che va studiata e messa quindi sotto controllo. Ecco allora la necessità del fashion marketing nel tenere viva e produttiva la relazione fra domanda e offerta di moda, nel supportarla con politiche e strategie mirate, anzi direi miratissime. Ritengo che il marketing sia ora più che mai un imperativo categorico a cui l’azienda, tramite cartelloni pubblicitari e tutti gli altri vari “strattagemmi”, non si può sottrarsi in quanto è l’elemento determinate per assicurare successo e visibilità oltre che la forza necessaria per la produzione, per la commercializzazione dei prodotti. Posso sbagliarmi ma credo che l’azienda, se dispone di un incredibile vantaggio competitivo, può avere un orientamento convinto e concreto di marketing, e tutto questo dolente o volente è necessario per il futuro, per la vendita e per, detto in parole povere, esaudire i desideri dei compratori. Ma la nostra Bettina questo lo sapeva ? E soprattutto Fath, quando la prese a lavorare con sé, era a conoscenza della potenza del marketing, o per lo meno sapeva cose fosse esattamente ? Il marketing cambia, muta e si evolve velocemente da un anno ad un altro, quindi è comprensibile che da oggi al “ marketing “ degli anni 60 ci sia un abisso temporale e proprio mentale di come le persone percepiscono le cose. Credo che Fath nella sua scelta non fosse guidato da dettagliate ricerche sui manuali, né da particolari tecniche mirate al successo assicurato , tuttavia ritengo che la scelta di Bettina non fu propriamente casuale. Come ogni grande processo nasce e continua ad evolversi, anche con Bettina assistiamo agli esordi del processo di marketing. E come qualsiasi cosa, in qualsiasi campo si tratti, l’ inizio è sempre un po’ confuso,sfuocato e ovviamente poggiato su basi meno solide; per questo sono dell’avviso che la scelta di Fath possa definirsi un primordio di attività di marketing. A lui piaceva Bettina. Lei incarnava il suo modello di moda. Se ci pensate bene anche oggi, se una casa di moda o se un fotografo non crede veramente in ciò che sta per fare , in chi sta per scegliere per lavorarci insieme, se quella modella non rispecchia nell’aspetto fisico, nel modo di atteggiarsi il mood dello stilista, sarà difficile avere buoni risultati e per la gran maggioranza dei casi risulterà agli occhi del consumatore poco credibile .Di conseguenza non porterà né vendite né potere. Per fare un esempio odierno: ritengo improbabile che uno stilista come Rei Kawakubo lavori insieme a modelle come Adriana Lima o Gisele Bundchen che sono bellissime ma che non rispecchiano assolutamente la sua visione di grandi costruzioni architettoniche, dove le modelle rovesciano completamente i ruoli delle classiche zone erogene occidentali ( c’è bisogno di modelle con un fisico definiamolo “minimal” e magari anche, come il designer stesso, con tratti orientali). Tutto questo per dire che anche nel lontano periodo di Bettina niente era lasciato al caso. Si pensa che la moda di oggi si stia riducendo ad un insieme di numeri, di tabelle e di grafici ad uso e consumo del miglior fatturato nel minor tempo possibile ma lavorare con una modella come Cara Delevingne, adesso che è all’apice del successo, può senz’altro giovare positivamente ad un’ azienda anche solo in termini di immagine per far conoscere il brand. Tutto ha un suo perché e dietro ci sono sempre attente analisi. E’ necessario perciò capire ed accettare che senza l’attività di marketing niente sarebbe come appare in definitiva ai nostri occhi. Niente sarebbe cosi “ magico da farci credere che “LORO” sapessero già di cosa abbiamo bisogno prima ancora di saperlo noi stessi”. Può essere un po’ inquietante per certi aspetti ma a noi piace, o mi sbaglio ? Probabilmente perché non sappiamo cosa c’è dietro veramente, fosse anche la cosa più banale come la scelta di un font da mettere su una campagna pubblicitaria, ma comunque ci piace il risultato sia esso un evento per pubblicizzare il nuovo profumo di Gucci o la nuova campagna pubblicitaria con quell’abito da sogno. Bisogna apprezzare tutto il lavoro di marketing che si cela dietro la moda perché non è roba da poco e fa da cornice al tutto, al tutto da noi desiderato. Questo sogno, nato da una creazione di uno stilista, proseguito con un bozzetto e terminato dopo tanto lavoro da sarte abili ed esperte, è reso possibile anche grazie ai manager, ai fotografi e a tanti altri. Quindi ben venga il marketing, se dietro c’è un’idea che vale veramente. E Fath ebbe un’ottima idea perché quella ragazza che scelse ricoprì non solo il ruolo fondamentale nello start up della nuova marca della moda, ma divenne un’icona di stile ed eleganza anche per le generazioni successive. Quindi ben venga il miglior know how che esiste, la mente umana, sia che si stia parlando di marketing o dell’inizio della catena con l’idea dello stilista.
Mariapaola sei molto convincente. Oggi e’ difficile pensare di fare a meno del marketing. Mi sembra di aver capito pero’ che stiamo parlando di almeno due idee di marketing: quello dei manuali e quello di persone creative (come Fath) che forse lo praticavano senza nemmeno conoscere la parola.
Bettina figlia del suo tempo.
Sicuramente Bettina ha avuto successo per la sua strepitosa spontaneità, per la determinazione dimostrata nella ricerca del suo ruolo nella vita e nella moda, per la fortuna di essere stata ritratta da fotografi in grado di utilizzare la macchina fotografica come pittori e, per ultimo ma non per importanza, per l’epoca in cui è vissuta.
È innegabile che il periodo storico e i luoghi in cui ha vissuto abbiano favorito la sua affermazione: Parigi è sempre stata la capitale della Moda (con la M maiuscola intesa come commistione tra arte e design) e sicuramente negli anni ’40-’50 l’ambito delle indossatrici non era così affollato come oggi (tralascio il termine “mannequin” perché lo trovo intrinseco di mercificazione del corpo, aspetto che trovo riduttivo per descrivere questo lavoro, nonostante oggi le donne che lavorano in questo ambito siano state ridotte a manichini che camminano su una passerella e che recitano passivamente una parte definita a tavolino da veri e propri registi).
Al giorno d’oggi è diffuso fra le più giovani, che in età precoce mostrino caratteristiche fisiche simili a quelle richieste dal mercato (perché poi di questo si parla), il sogno di fare l’indossatrice.
Tuttavia, dal mio modestissimo punto di vista, non penso basti la bellezza esteriore.
Bettina è innegabilmente bella ma è anche un “animale da palco scenico”. Non indossa solo gli abiti ma rende sue le stoffe che la avvolgono, è a suo completo agio difronte all’occhio indiscreto che la osserva e ha uno smisurato carisma.
Oggi il ruolo di musa ispiratrice (che Bettina incarnava perfettamente) è stato sminuito in quello di semplice indossatrice. Dall’essere parte attiva del processo creativo si è passati ad esserne totalmente passivi.
Suddette modelle, che dovrebbero incarnare un esempio di bellezza a cui tutte le donne possano aspirare, nonostante le caratteristiche fisiche proposte come standard costringano a regimi alimentari ferrei che se presi troppo sul serio possono anche sfociare in disordini alimentari (di cui spesso le stesse modelle sono vittime), sono state create da vere e proprie agenzie senza le quali sarebbero forse rimaste nell’ombra.
Fondamentalmente si parla di identità costruite e studiate per creare potenziale attorno all’aspetto fisico, nulla a che fare con la libertà trasmessa dai sorrisi spontanei e innocenti della cara Bettina.
Inoltre va considerato che un altro cambiamento sta per avvenire (a meno che non sia già successo): l’evoluzione nei rapporti relazionali nella società dei social media sta portando gli individui a percepirsi in un’ottica sempre più individualista, spingendoli a proporre i propri “vantaggi competitivi” e ad innalzarsi ad un livello superiore rispetto agli altri piuttosto che vedere nell’incontro-scontro con il mondo esterno una prospettiva di apprendimento.
Così l’individuo ormai non cerca più ispirazione negli altri ma si autopropone come ispiratore per le masse sperando di raggiungere la notorietà tanto agognata.
Nonostante questa nuova prospettiva proponga la visione di un tipo di società più “democratica” poiché non impone più modelli ma da a tutti le stesse possibilità di visibilità, personalmente spero che l’individuo ponga da parte un po’ dell’egocentrismo che lo caratterizza per rendersi conto che la fonte massima di ispirazione è proprio l’altro, il diverso.
In conclusione, quindi, credo (a malincuore) che ormai l’era delle muse come Bettina sia destinata a finire (o finita del tutto) per lasciare spazio a qualcosa di nuovo che tuttavia spero possa comunque sorprenderci.
Il tuo riferimento ai social mi ha dato da pensare. E’ un argomento direi fondamentale. Pur apprezzando quanto hai scritto, non posso esimermi dal sottolineare che non e’ vero che la modella musa sia scomparsa. Il gioco a due tra creativi della moda (stilisti e fotografi soprattutto) con la rappresentante significativa del corpo/donna ideale, e’ ben lontano dall’essere superato. Il problema e’ il clamore dei media, il caos che la loro moltiplicazione produce, il loro modo di impossessarsi dei soggetti che garantiscono visibilità e vendite. Ma dietro le quinte il paesaggio e’ molto diverso. Non credo di sminuire Bettina se sottolineo che qualcosa di lei e’ rimasto nella moda. Non e’ il messaggio dominante, questo te lo concedo, ma se leggi le pagine autobiografiche dei protagonisti della moda, ti accorgerai che l’effetto Bettina, emerge quasi sempre. Vedi Camilla, oggi i processi della moda si sono velocizzati, i suoi pubblici sono immensamente più complessi rispetto le élite della couture anni cinquanta. Il corpo ideale di riferimento e’ divenuti un organismo mutante. Io definirei “musa ad opzioni” l’attuale funzionamento del rapporto creativo-modella.
Sei intelligente e quindi potresti obiettare che proprio per questo non c’è più una musa. Hai ragione, ma se ti concentri non sulla persona/ggio ma sulla “funzione” e sulla struttura della correlazione, creativi-modelle, allora credo che tu possa accettare la plausibilità (non la certezza) del mio punto di vista. Tra l’altro “musa ad opzioni” forse aiuta a comprendere un po’ il fenomeno social.
La questione che poni sulla scabrosità lessicale legata all’uso della parola mannequin e’ un ulteriore intelligente contributo che hai proposto. Meriterebbe un approfondimento.
Sicuramente non posso darle torno sul fatto che la “funzione” della musa come fonte di ispirazione nel rapporto creativo-indossatrice c’è e ci sarà altrimenti a cosa ci si potrebbe ispirare?
Tuttavia ritengo che l’attuale connettività abbia di gran lunga moltiplicato gli stimoli per cui la fonte non è più univoca ma cambia continuamente scontrandosi con culture e popoli differenti.
All’epoca di Bettina si pensava forse in un’ottica ridotta ma oggi la situazione è stata completamente ribaltata.
Nel mondo globale un creativo si trova a scontrarsi anche con culture e credenze lontane e magari opposte rispetto alla propria e d’altronde non può che rimanerne influenzato.
Leggendo quest’articolo , credo che tutti abbiamo risentito e capito il potere che aveva Bettina nella Parigi degli anni 50 . E vero , il suo mestiere consisteva a indosare al meglio gli abiti ,dar loro vita pemettendo alle donne di proiettarsi con essi e forse aspirare alla sua eleganza.
Insomma,come lo è tutto ora Bettina indossava gli abiti ,si faceva fotografare e salutava l’equipe del set con qualche migliaia di franchi in più in tasca. La differenza fondamentale tra lei e qualsiasi altra modella odierna (che siano Kate Moss o Cara Delavigne) è che lei era una vera e proprio icona o musa che non rappresentava soltanto la moda ma era un’esempio di donna versatile e sicuramente colta ai molteplici interessi.
Secondo me per le donne dell’epoca , lei non incarnava soltanto La Bellezza , ma uno stile di vita e una personalità a cui ispirarsi , era l’insieme delle sue caratteristiche che la rendeva unica e non solo le sue magnifiche fotografie. Lei era una vera e propria icona . Icona , e non solo icona della moda come sono considerata le modelle oggi . Oggi quelle che definisco icone , non potranno mai essere soltanto modelle(per quanto belle e strapagate possano essere) perchè hanno un’influenza che si racchiude strettamente al campo del fashion. Riescono a diventare icone , a mio parere, quelle donne versatili che brillano in diversi campi come oggi Charlotte Gainsbourg che per me è un icona completa. Oltre alla famiglia iconica da qui proviene ( è la figlia di Serge Gainsbourg e Jane Birkin) , è riuscita a fare carriera nella musica,nel cinema e anche nel fashion diventano testimonial di Balenciaga.
Non voglio affermare che oggi , per diventare un personaggio iconico si debba eccellere in diversi campi, ma che oggi nessuna modella legata solamente al fashion riuscirà a creare attorno a lei un atmosferache la renda unica come invece ha fatto Bettina. Forse la spiegazione a tutto cio’ sta proprio nel fatto che oggi una modella non ha più l’unicità che aveva prima,ritroviamo la stessa in tante pagine di giornali e non facciamo neanche più caso a chi è e per chi ha già lavorato .
Penso che oggi sia difficile, se non impossibile, veder nascere una musa.
Non perché non vi siano figure attraenti, fascinose e brillanti.
Ma per il semplice fatto che, nel secolo della donna moderna ed emancipata, ciò che ha distinto Bettina (e tante altre) è ora alla portata, più o meno, di tutte.
Mi spiego….
Cresciuta e stroncata da una società perbenista e bigotta, la donna nel passato godeva di minor libertà fisica e morale.
Le scarse possibilità di espressione e le tante costrizioni rendevano ancora più visibili e celebri le figure femminili forti e indipendenti.
Se poi erano belle, particolari, vicine ai grandi artisti e personaggi del mondo patinato il gioco era quasi fatto.
Non parliamo di capriccio, è ovvio che Bettina, la Marchesa e tutte le altre muse ed icone lo possedessero.
Concentriamoci su altro….
Perché queste donne, oltre a caratteristiche fisiche e inclinazioni mentali, sono diventate a loro tempo (e rimango tali nel nostro) muse?
Perché nella società dell’epoca suscitavano fascino e chiacchiere.
Sicuramente.
Ma perché sono passate alla storia, agli annali?
Perché erano LIBERE.
Svincolate dalle imposizioni opprimenti della società.
Disponevano pienamente della loro vita.
Dovevano essere riconosciute al pari degli uomini.
Potevano amare e odiare, vivere d’eccessi e scomparire senza che si smettesse di parlare di loro.
Al giorno d’oggi la donna può scegliere di non essere moglie e madre, può guadagnare più di un uomo e riscaldare surgelati per il pranzo della domenica.
É libera e può disporre come meglio crede e preferisce di sé e della sua vita.
Le donne che oggi chiamano, o chiamiamo, muse sono attrici e modelle.
Cosa ci interessa principalmente di loro?
L’estetica, il fisico, ciò che indossano, quello che possono comprare e le feste dove possono andare.
Tutto ciò non è così inaccessibile alla fine.
C’è la chirurgia o semplicemente la palestra, i tutorial che t’insegnano come rendere scarno il viso, i low-cost e fast food della moda, ci si può indebitare o vendersi per una discoteca chic e della vodka costosa.
Con una massiccia dose d’impegno possiamo quindi diventare come le nostre muse, se di esse consideriamo solo l’aspetto esteriore.
Avvicinarci ad esserlo o crederci almeno.
Ma la musa è una.
È tale per la sua singolarità e per la sua unicità.
È inimitabile.
È altro, ben altro rispetto quello che oggi definiamo “idolo”.
A nessuno interessa più se la musa in questione, è forte?
E’ preferibile essere visibile e bella.
Cosa ci interessa dell’intraprendenza, dell’espressione, della creatività e dell’estro?
Ma soprattutto della libertà mentale e fisica di cui godevano le muse del secolo scorso?
Tanto è un diritto che possediamo tutte.
Gli invidiamo solo le scarpe.
Mille volte meglio la donna libera del 2000.
Abbiamo combattuto per essere libere e continuiamo a farlo.
Sono le condizioni sociali e mentali odierne ad aver ucciso la musa “tradizionale”.
Meglio così?
Ne riparleremo tra anni.
E il corso della storia, comporta sempre dei caduti.
Intanto abbiamo nuovi idoli da venerare.
Nuove creature mitologiche e spettacolari che incarnano i nostri sogni irrealizzabili.
Ma non Bettina, non la Marchesa….
AMEN
Evvvaiiii! Brava Elisa. Finalmente un po’ di rock! Finalmente un intervento coraggioso che non nasconde la distanza tra zia Bettina e i superbody delle modelle attuali, che solo un rinco come il prof. cercava di negare. Andiamo su! Oggi con il suo 1,66 Bettina farebbe al massimo la giornalista di moda che se la tira.
Ciò che intendevo nel mio commento è che ora ci si concentra esclusivamente (o quasi) sull’aspetto fisico.
Che Bettina fosse alta 1,66 m o 2 m, vanterà sempre un vantaggio chiamato capriccio.
Questo al giorno d’oggi scarseggia.
A prescindere dall’altezza.
PS: ho parlato di libertà e sono convinta che il diritto di pensiero sia fondamentale tanto quanto quello di parola.
Per goderlo e mantenerlo, rispettiamo quello di tutti.
Elisa, per favore, definisci “capriccio”… Sembra che per te valga come concetto operativo per per dire dell’altro rispetto come l’intende il senso comune.
Non capisco l’enfasi sulla libertà: qualcuno ti ha forse impedito di scrivere ciò che pensavi ?
Professor Cantoni, come ha suggerito lei esprimerò il mio punto di vista su Bettina, nonostante sia magari controcorrente.
Poco prima di aver letto questo articolo, mi sono trovata al concept store 10 Corso Como. Incuriosita dal fantomatico nome di Bettina, che riecheggiava tra le aule del Polimoda, ho deciso di andare alla mostra per vedere le pose e la grandiosità di questa musa degli anni ’50.
Simone Michelin Bodin, mannequin, modella e musa di grandi couturier come Fath e Givenchy, donna amata ed ammirata.
Ammetto di essermi soffermata ad apprezzare alcuni scatti davvero stupendi, ma ad essere sincera non sono riuscita a captare il suo “rendere vivi gli abiti”, il suo indiscutibile fascino, la sua bellezza senza tempo. Non rispecchia il mio ideale di bellezza ne quello di icona della moda, come verrebbe chiamata oggi.
Insomma, Bettina per quanto mi riguarda è stata una donna molto fortunata, è riuscita ad avere la sua fama e magari anche ad essere capita da grandi couturier e ritratta da fotografi-artisti che, lavorando con lei, sono riusciti a far suscitare nello spettatore stima ed ammirazione; sicuramente oggi, però,non avrebbe riscontrato tutto il successo che ha avuto negli anni 50.
Grazie.
Volevo dire a Marina che anch’io ho visto la mostra e ho provato la sua sensazione di indifferenza verso immagini che non c’entravano niente con il mio ideale. Ma poi ho letto articolo e commenti e mi sono resa conto che guardavo quelle immagini con ancora negli occhi il Vogue che avevo sfogliato il giorno prima. Riflettendo e andando con la mente agli anni cinquanta, ho capito il valore visivo e l’impatto che Bettina ha saputo dare agli abiti che indossava.
Mi sono convinta che quando sfoglierò di nuovo una rivista di moda, guarderò le immagini con un occhio più attento.
Ad essere sincera, non sono sicura di questo. Ma mi piacerebbe molto che fosse così.
Ehi prof! Si e’ scordato di rispondere sulla Bodyology! Siamo tutte curiose di sapere se era una parola buttata li o se c’è qualcosa di serio. Nella Bodyology che posto occupa Bettina?
Eva, scusa il ritardo ma avevo impegni gravosi e non ho potuto rispondervi. Certo potevo sbarazzarmi di voi dicendovi che la Bodyology e’ solo una congettura che mi serviva a sottolineare l’importanza del corpo (delle modelle) per la trasformazione dell’abito o della collezione in testo, racconto, informazioni per l’uso etc. Ma c’è dell’altro. Provo a spiegarvi il mio punto di vista.
Partire dal corpo significa porre in primo piano il sentire e la visione.
La visione e’ il sistema sensoriale dell’uomo creato dall’evoluzione per percepire il mondo. Fin qui siamo tutti d’accordo. Gran parte degli studi sulla visione fino a poco tempo fa erano centrati sulle performance descrittive delle attività degli occhi.
Studi più recenti invece, sono interessati a mettere in risalto non tanto la percezione dell’oggetto della visione (incorporamento di informazioni visive) bensì la sua funzione in vista dell’agire appropriato sull’ambiente.
Tra gli stimoli visivi un ruolo molto importante e’ rappresentato dalle azioni di altri esseri umani.
Per es. una modella che sfila o che esprime dimensioni del corpo davanti all’obiettivo del fotografo, al senso comune sembra semplicemente collegabile al piacere della bellezza. In realtà e’ interessante ipotizzare che il piacere possa essere solo un epifenomeno che nasce per scopi diversi. Quali? Immaginiamo che lo scopo primario della visione sia legato all’azione che sta recitando l’altro (e che la forma dunque sia secondaria); possiamo sostenere che queste azioni possano essere catturate in una immagine (im-azioni) ed essere presentate come stimolo visivo.
Ora li im-azioni fanno pensare ad un livello diverso del circuito neuronale (perc-azione ) cioè non sono propriamente una azione ma il nostro cervello le legge ugualmente come “attive”.
Possiamo chiamare le immagini a questo livello (perc-azione), vitality forms (forme di vitalità). Il termine e’ stato proposto dallo psicoanalista Daniel Stern e secondo la sua opinione sarebbero il modo in cui noi interagiamo con gli altri.
Quindi, certamente il modo in cui eseguiamo le azioni dipende dal nostro stato interno. Ma grazie alla visione, non possiamo fare a meno di comunicarlo. Ovvero in ogni azione c’è un aspetto auto-referenziale e uno pubblico legato al riconoscimento dell’altro.
Quando osserviamo vitality form noi siamo spinti a cogliere l’umore, le emozioni di chi sta agendo. Per esempio se e’ gentile, arrogante, rilassato, in tensione etc. Questi aspetti legati al “come” sono importantissimi per comprendere i comportamenti sociali.
Secondo Rizzolatti (premio Nobel per i suoi studi sui neuroni specchio) le vitality form potrebbero avere un substrato neuronale diverso da altri tipi di immagini.
Torniamo alla moda.
Abbiamo immagini del corpo che ci dicono che stiamo vedendo una cosa (azione fredda)
Abbiamo immagini del corpo che soprattutto scatenano piacere e la voglia di possedere un oggetto (emozione calda).
Abbiamo immagini del corpo che ci parlano della sceneggiata sociale in cui l’abito-cosa/pacere diventa protagonista di nuovi comportamenti o schemi di relazione.
Io definirei vitality fashion image le vitality forms usate dalla moda per attivare istruzioni per l’uso del corpo che trasformano gli abiti cose o forme, in orientamento dello stile di vita.
Direi che se mi avete seguito, potete comprendere da dove parto per pensare la moda dal punto di vista di una
Bodyology.
Mi rendo conto della provvisorietà di ciò che ho scritto. Ma non e’ più possibile indagare la moda solo a partire dalle forme che ci propone. La moda diventa decisiva quando incontra il corpo. Se vogliamo comprendere il perché alcuni corpi vengono scelti o le conseguenze dell’uso di un corpo piuttosto che un’altro, dobbiamo per forza fornirci di una teoria dei corpi della moda. Ciò che ho scritto sopra vorrebbe ancorare le nostre congetture sul corpo ad alcuni rilievi scientifici, per dare ad esse una direzione precisa e confutabile.
Vediamo se ho capito prof. Osservare Bettina come una vitality fashion forms significherebbe capire il perché ha avuto tanto successo? E’ così? Non mi risponda tra una settimana…
Sei troppo frettolosa nelle tue conclusioni. Il successo di Bettina dipende da tanti fattori. Per come la vedo io, avere una teoria delle vitality fashion form nel contesto Bodyology, significa semplicemente osservare con piu profondità ciò che di Bettina e’ arrivato fino a noi. Significa analizzare le sue immagini (peccato non avere i video delle sue performance nei défilé!) come se fossero un testo che ci interroga e ci sfida a trovare la semantica appropriata a qualcosa che sappiamo aver prodotto, in quei giorni, una sorprendente efficacia.
A cosa serve una indagine sull’efficacia (simbolica) di corpi eccellenti o stranianti o mostruosi….? Serve alla consapevolezza di chi decide di usarne la forza d’urto; serve per dare un significato operativo alla parola responsabilità.
Son rimasta molto colpita da quest’articolo, sia per la mia ignoranza nei confronti della modella Bettina, sia perché mi ha riconfermato la convinzione che dovrebbero esistere più personaggi “famosi” ai quali ispirarsi, dai quali prender esempio, sintomi di naturale eleganza come la bellissima mannequin.
Le fotografie sono comprenentranti per quanto mi riguarda, le ho apprezzate moltissimo. La fotogenia è indiscutibile. Se per alcuni non hanno suscitato emozioni positive come nel mio caso, penso che comunque abbiano fatto scaturire un qualcosa guardandole e che quindi abbiamo comunque raggiunto il loro scopo.
Credo, forse ingenuamente, che se fosse stata nostra contemporanea avrebbe comunque portato una ventata di freschezza, solarità, una coscienza della moda differente a questo mondo.
Anche da lontano continua ad affascinare e ad essere fonte ispirazionale per alcuni di noi come è giusto che venga ricordata.
Con capriccio intendo quella serie di caratteristiche, doti e atteggiamenti mentali quanto fisici che rendono una persona, non solo eccentrica, ma unica nel suo genere.
Per sintetizzare é quel “je ne sais quoi” che eleva la persona rispetto a tutti gli altri.
PS:Mi dispiace rispondere solo ora ma sono state settimane impegnative anche per me.
Quindi secondo Elisa, Bettina sarebbe stata capricciosa? A parte che non capisco in che modo ci aiuti a capirne l’importanza, non capisco nemmeno a cosa riferire questa parola: al modo in cui indossava i vestiti? Al suo stile di vita? A come sceglieva i fidanzati? Una persona eccentrica e’ eccentrica e non capricciosa. Per me c’è una bella differenza! Le persone eccentriche ci scuotono un po’ me in definitiva allietano la nostra vita. Le persone capricciose la complicano e spesso ci fanno incazzare. Non mi sembra proprio il caso di Bettina!
Ehi! Prof! Scusi se la interpello così. Ma ho visto che ad Eva in questo modo ha risposto. Mi piacerebbe cosa potrei leggere per saperne di più su la Bodyology. Secondo lei serve anche a chi lavora sul prodotto o e’ usabile solo per chi si interessa di comunicazione?
Non potete saperlo, ma uno dei miei libri preferiti si intitola proprio “Ehi!Prof!”, scritto da Franck McCourt (Adelphi). Quindi nessun problema.
Nessun lavoro nella moda può trascurare una Bodyology. Anche se non la si definisce in questo modo, le euristiche che rimandano ad essa non si contano. Il problema e’ l’empirismo rozzo che domina in questo settore. Finanza a parte, tutti gli altri aspetti della moda sono di solito affrontati quando va bene con un pragmatismo ingenuo e buon senso che sconfina troppo nell’imitazione di cio’ che fanno quelli che generano più clamore. Diciamo pure che un approccio culturalmente profondo, para scientifico, non e’ la norma nel campo della moda.
Certo che chi lavora sul prodotto prima o poi incontra problemi di Bodyology: prima di realizzarlo si dovrà come minimo riflettere sulle derive del corpo lavorato dalla società. La nostra percezione del corpo (ideale) cambia continuamente. Forse non sono mutamenti strutturali, ma comunque vi sono parti del corpo che si scoprono o vengono nascoste allo sguardo; movimenti, gesti che lo rendono vivo e pertinente ai giochi di scambio del sociale. Ancora, pensate alla moda della chirurgia estetica, al problema delle taglie, all’anoressia, tatuaggi, alle pratiche che lo bucano…
Una volta c’erano i libri di Desmond Morris a ricordarci quanti significati lanciamo agli altri attraverso il corpo.
Probabilmente oggi potremmo attenderci qualcosa di interessante dalle neuro scienze.
Io sto tenendo d’occhio la Neuroestetica ovvero la branca delle Neuro scienze che cerca di capire come e perché il nostro complicato sistema ottico attivi il cervello partendo dagli stimoli prodotti da immagini.
Devo dire che per ora i contenuti oggettivi della Neuroestetica sono deludenti. L’affermazione che ogni area del cervello ha la sua funzione specifica pare non essere così certa… E poi non ci porta lontano.
Tuttavia i saggi di Semir Zeki, uno dei fondatori della Neuroestetca, sono senz’altro interessanti.
Comunque la Bodyology presuppone la multidisciplinarità. Ci occorrono modelli semantici che descrivano la produzione del senso non-lineare; l’antropologia, le sociologie possono essere utili. Per la moda le acquisizioni sulla reazione alla bellezza e ai fenomeni estetici, sono fondamentali.
In breve, la Bodyology non e’ semplice da mettere a fuoco, soprattutto in un campo del sapere sinora dominato da parole magiche come “creatività” e dall’utilitarismo delle discipline economico-finanziarie.
Tuttavia, ve lo ripeto, per molte di voi l’incontro con le riflessioni sul corpo e’ solo questione di tempo. La moda non può esistere senza un corpo che ne anima la superficie sensibile che lo rende significante.