Art City Bologna 2024: seconda parte

Art City Bologna 2024: seconda parte

BOLOGNA -Vi raccontiamo qui di ArtCity, la manifestazione artistica che da anni colora il grigio inverno bolognese. Innumerevoli opere d’arte hanno presenziato in diversi luoghi della città. Vi illustriamo il percorso a tappe, in questo articolo la seconda parte.

Art City Bologna 2024, seconda parte. Mai come quest’anno la manifestazione d’arte contemporanea che da 12 anni riscalda il cuore dell’inverno bolognese è stata così densa di appuntamenti. In città musei, pinacoteche, biblioteche, palazzi, ovviamente gallerie d’arte, ma anche teatri, foyer, cinema e cineteca, laboratori artigianali e persino il cimitero ospitano mostre di artisti, spesso giovani. Una vera sbornia d’arte. Dopo la prima (che trovate qui), ecco a voi la seconda parte.

Art City Bologna 2024

1) Orama, Lucia Bubilda Nanni, Raccolta Lercaro

Una mostra o meglio una grande istallazione è ospitata nelle sale della Raccolta Lercaro, autrice Lucia Bubilda Nanni, titolo Orama dal verbo greco orao, vedere osservare. La bellezza di 250 grandi ritratti ottenuti cucendo a macchina su tela bianca, su velo leggero, su garza trasparente stanno appesi al soffitto e creano un percorso claustrofobico che s’infittisce man mano che ci si addentra e poi ci accorgiamo che siamo noi ad essere osservati da tutte quelle persone svolazzanti che incombono su noi. Una netta sensazione di disagio, di soggezione anche perché le opere ci sfiorano con i loro lunghissimi fili neri pendenti che servono come la matita a disegnare i volti sulla tela.

Dal 2012 l’artista ha iniziato un censimento delle fotografie dei volti di una sezione inagibile del Cimitero Monumentale di Ravenna che vuol ritrarre a mano libera con la sua macchina da cucire per salvarli dall’oblio. Infatti c’è qualcosa di passato in quei volti, a volte solo accennati, proveniente dallo stile demodé delle fotografie sbiadite dal sole e slavate dalla pioggia. Immagini silenti che si affollano, ritratti di anime impalpabili e leggere, ma molto espressive, a cui accorre tempo e silenzio per stabilire un dialogo con lo spettatore. Impossibile non rimanere scossi: si può anche fuggire, oppure rimanere a lungo in quella foresta di sguardi e cullarsi in quel mare ondeggiante di suggestioni e ricordi.

Assolutamente da non perdere.

MyWhere Orama-Lucia-Bubilda-Nanni-Raccolta-Lercaro
Orama-Lucia-Bubilda-Nanni-Raccolta-Lercaro-

2) Learning from the past, Yumi Karasumaru, Galleria L Ariete

Non c’è popolo al mondo che sia attaccato al proprio passato come il Giappone moderno, ne abbiamo avuto una ulteriore riprova recentemente dallo splendido film Perfect days. Tra l’altro un omaggio profondo di Wim Wenders al grandissimo cineasta giapponese Yasujiro Ozu.

Learning from the past n. 1

L’artista giapponese Yumi Karasumaru, trasferitasi da giovane a Bologna per studiare arte all’Accademia con Concetto Pozzati, espone alla galleria L’Ariete. Learning from the past è l’idea base attorno alla quale si sviluppa la ricerca di Yumi: imparare dal passato, estremo orientale –il periodo Edo giapponese – e dall’arte medievale europea. Una contaminazione figurativa che genera un nuovo immaginario basato su disegni antichi ma espressi con un linguaggio di colori e di composizione contemporanei dando vita ad una visione modernissima.

Yumi Karasumaru ‘Breve storia del Giappone in tre quadri e 93 parole’ performance

Un gioco cromatico raffinato su una trama di segni fotografici sottili, che sembra derivare dal mondo grafico di Andy Warhol. Sono paesaggi, brani di natura, particolari vegetali tratti forse da immagini antiche, da erbari medievali, ma tradotti in una lingua dell’oggi. Il cromatismo armonico e prezioso, accattivante nella sua delicatezza, ammanta una realtà spesso violentissima, come le immagini delle esplosioni atomiche.

Learning from the past -n.11

Yumi Karasumaro è anche una performer, e all’Ariete ha presentato Breve storia del Giappone in tre quadri e 93 parole: veramente breve, dieci minuti in cui l’artista riesce con notevole maestria a creare una suggestione del suo Giappone con suoni e colori proiettati su corpo di Yumi. Per finire con una poesia dalla “semplicità folgorante tesa a cogliere il momento irripetibile, legata alla natura, nobile e ricca di significato per la sua magica capacità di evocare senza mai descrivere”.

3) A single moment, Anna Caterina Masotti, Cripta di San Zama 

Un luogo segreto e antichissimo di Bologna, raramente visitabile, la cripta dell’Abbadia di Naborre e Felice dedicata al primo vescovo di Bologna San Zama. Risalente al 1000 d.C. si presenta come una foresta di colonne di media altezza che sorreggono le tre navate absidate. Probabilmente sono state reimpiegate e provengono da altri edifici più antichi. Uno spazio di grande suggestione e dal fortissimo carattere architettonico che per Art City ospita la mostra fotografica di Anna Caterina Masotti, curata da Alessia Locatelli.

DANZA DEL SOLE, OTTOBRE 2023 MARE, ANNA CATERINA MASOTTI

Il singolo momento, l’istante, oggetto da sempre dello scatto fotografico che deve saper cogliere al volo quel baleno che il nostro occhio non riesce a fermare trascinato com’è dallo scorrere inesorabile e inarrestabile del tempo. Ma la riflessione si approfondisce coinvolgendo la cattura dell’effimero per renderlo eterno. Soggetto fotografato da Masotti è la natura in tutte le sue forme soprattutto quelle più umili. La luce è il pennello che disegna su stoffe di chiffon, velicrespi, carta naturale impreziosita da piccoli ricami luccicanti.

foto di Laura Frasca

Le sue fotografie generano una osmosi tra esseri e natura in un dialogo cui il sentimento si riflette nell’ambiente e, viceversa, l’energia del paesaggio pervade tutto lo scatto. Lo stesso connubio tra estetica e poetica delle fotografie si rigenera nell’allestimento che ricrea ambienti intimi, uterini. Dentro cui danzano la vita della quotidianità i suoi affetti, i suoi spazi ed i paesaggi a lei cari. Stampe di grande formato si alternano ad altre in dimensione minore, intime nell’approccio visivo oltre che nel soggetto rappresentato”. Alessia Locatelli

Foto di Laura Frasca

4) L’ordine del segno 1964-1978, Maurizio Osti, Assemblea legislativa della Regione Emilia-Romagna

Non è nuova l’Assemblea legislativa della Regione Emilia-Romagna ad ospitare nei suoi corridoi spaziosi gli artisti “locali” protagonisti della scenadella cultura da svariati decenni. Dopo le personali di Mario Nanni, Maurizio Bottarelli, Pompilio Mandelli, Lorenzo Puglisi e Bruno Benuzzi, tutte curate dall’infaticabile Sandro Malossini, è la volta di Maurizio Osti. Artista intenso e fuori dal coro espone opere su carta che risalgono al 1964 fino al 1978: i suoi inizi nel clima delle neo avanguardie, più precisamente nell’area della Nuova Scrittura, dell’Arte Concettuale, del Libro d’artista.

L’ordine del segno 1964-1978, Maurizio Osti, foto di Lucio Russo

Già, la sua formazione è proprio la Grafica, il segno e la scrittura ottenuta con un’infinità di mezzi. E la ricerca di Osti si fa fin d’allora profonda e complessa perché così sono i codici comunicativi che conducono a spalancare le porte del mondo simbolico dell’esistenza. E Osti indaga, scava, approfondisce e arricchisce. “Nelle opere qui prese in considerazione Osti tematizza la conflittualità del rapporto tra l’uomo e il cosmo attraverso i limiti della codificazione linguistica, l’arbitrarietà dei legami tra significante e significato e l’impossibilità di ridurre a pochi elementi razionali la totalità informe e opaca dell’esperienza mondana” Pasquale Fameli, curatore della mostra.

L’ordine del segno 1964-1978, Maurizio Osti

Art City Bologna 2024, non è finita qui…

Le prime opere del 1964 su carta semitrasparente non possono non ricordarci Klee con le sue mappe di mondi sottili e complicati, per passare poi alle marcate linee di forza con tanto di freccia appuntita che nella loro progressiva moltiplicazioni prefigurano un folle campo di guerra. Leggeri e rarefatti come acquarelli giapponesi sono i Waterwritings ottenuti da scritture trovate a caso e poi diluite, disintegrate quindi illeggibili, rese petali impalpabili, trasferite da un supporto all’altro, compresa la carta igienica dalla interessantissima texture.

L’ordine del segno 1964-1978, Maurizio Osti, foto MyWhere

Anche la scrittura tipografica con i suoi innumerevoli stili di caratteri viene usata da Osti nella serie Al di là del significato: qui è la singola lettera che diminuisce il suo significato tanto quanto aumenta il suo significante, lo stile della forma, il font. C’è anche parecchio surrealismo nella poetica di Osti. Il catalogo ricco di foto e di interventi critici del passato e di un illuminante saggio del curatore Fameli è utilissimo per addentrarsi nel mondo creativo di Maurizio Osti.

La mostra, facente parte di Art City Bologna 2024, rimane visitabile fino al 29 febbraio.

5) Suite chimica, Roberto Rizzoli, Spazio Lavì!

Lo Spazio Lavì! è una stanza rettangolare abbastanza piccola con un discreto pilastro non posto al centro. Si entra da una vetrina tutta spostata da un lato, perciò quando si varca la porta tutto lo spazio ti si para davanti in uno sguardo. Roberto Rizzoli sembra abbia voluto foderare tutte le pareti con le sue opere appositamente create. Ci viene in mente uno studiolo rinascimentale, una cripta di un monastero ortodosso, una modernissima cappella alla Rothko, comunque un luogo avvolgente e quasi consolante.

Suite chimica, Roberto Rizzoli, Spazio Lavì!, foto MyWhere

Le tele sono inchiodate direttamente sul muro, senza cornice, e fanno parte dell’opera anche i bordi che solitamentevengono rivoltati sul telaio. L’effetto che ne consegue è un’immagine ben definita centrale contornata da un “passepartoutche dialoga anzi si scontra con l’immagine primaria: due nature contrapposte, una completa e organizzata l’altra accennata libera e accidentale. Sembra che la saldezza del quadro si disperda altre i suoi confini. Un forte effetto inaspettato.

Suite chimica, Roberto Rizzoli, Spazio Lavì!, foto MyWhere

Rizzoli, un artista unico

“Una grande opera corale-scrive la curatrice Valeria Tassinari- strutturata dall’autore declinando il tema della suite musicale in una sequenza di variazioni cromatiche”. Rizzoli è riuscito in questo caso a creare un’opera tridimensionale, la stanza intera, ma soprattutto la terza dimensione è il tempo di creazione, il tempo psichico. La curatrice fa notare come il lavoro di Rizzoli fin dal suo inizio ha mantenuto negli anni il suo fulcro identitario. “La struttura delle immagini e il bilanciamento del rapporto luce/ombra erano temi nitidamente definiti negli scatti fotografici degli anni Settanta. Stessa volontà di stare dentro l’immagine senza deragliamenti all’esterno”. E Rizzoli ci rivela: “Il risultato è un lavoro autobiografico che nel tempo mantiene alcune costanti tra cui l’artigianalità. Ma anche un rispettoso e appassionato collegamento con tutta l’arte che mi ha preceduto e per tutto ciò che sembra ma non è”.

Suite chimica, Roberto Rizzoli, Spazio Lavì!, foto MyWhere

Art City Bologna 2024, fate ancora in tempo, non perdetevela!

 

In homepage foto 温故知新 n18-s-size Learning from the Past 2023

Silvia Camerini Maj

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