Brueghel Family

Una mostra a Bologna a novembre 2015, presso Palazzo Albergati, esibisce l’epopea artistica della famiglia Brueghel dal suo primo e famoso pittore, Pieter il Vecchio, fino ad arrivare a Abraham Brueghel ultimo esponente della più che centenaria epopea di un piccolo clan di artisti protagonisti nella pittura di genere.

BRUEGHEL I SETTE PECCATI CAPITALIPur presentando solo un paio di quadri attribuiti a Pieter Brueghel il Vecchio (più qualche incisione), uno di Hieronymus Bosh e, bisogna pur dirlo, di fattura tale da non essere paragonabili ai veri capolavori dei due maestri fiamminghi, la mostra di Bologna deve essere annoverata tra gli appuntamenti autunno/inverno da non sottovalutare. Infatti il tema specifico dell’evento espositivo non è la presentazione delle opere del più quotato rappresentante della famiglia Brueghel e nemmeno, malgrado il titolo affibbiatogli, l’esibizione di una sorta di canone dell’eccellenza della fase espansiva della pittura fiamminga dopo la straordinaria start up di Jan Van Eyck (1390-1441) e Rogier van der Weyden (?-1464). Il tema vero della mostra è la ricostruzione dei vari passaggi di testimone tra artisti di diverso livello qualitativo, appartenenti allo stesso ceppo familiare, caratterizzati dallo stesso concetto di arte, sviluppato con mestiere e perizia nel corso del secolo nel quale i pittori del Nord Europa contribuiranno ad avvicinare le pratiche artistiche ad una committenza molto diversa dalla “domanda” religiosa e dai desideri auto celebrativi della nobiltà.

 

In mostra dunque troviamo opere di Pieter Coecke van Aelst, alla cui bottega, congetturano gli storici dell’arte, si formò Pieter Brueghel il Vecchio, il capostipite della famiglia, divenuto più tardi il genero del supposto maestro avendone sposato la figlia. Troviamo inoltre opere del fratello ovvero di Jan il Vecchio, e del secondo figlio di Pieter, Jan il Giovane, soprannominato Jan dei Velluti, per via dell’illusione quasi tattile che provocava la percezione visiva del suo magistrale tocco di luce, dal quale come per magia discendeva l’evocazione di forme finemente vellutate. Non poteva mancare il primo figlio di Pieter ovvero Pieter il Giovane, al quale dobbiamo molte pregevoli riproduzioni delle opere paterne. E poi troviamo Jan Brueghel il Giovane, figlio di Jan Brueghel il Vecchio; quindi Ambrosius Brueghel fratello di Jan Brueghel il Giovane e suo figlio Jan Pieter, entrambi bravi a dipingere nature morte e allegorie in uno stile, per così dire, di famiglia. Grazie a matrimoni, finirono con l’essere associati alla famiglia Brueghel pittori come David Teniers il Giovane, sposo di Anna, sorella di Jan il Giovane, che divenne uno dei più stimati pittori/narratori del mondo contadino. Posso aggiungere Joseph van Bredael, Philips Brueghel e infine Abraham Brueghel, ultimo esponente della dinastia, il cui stile, tra l’altro, mi appare totalmente diverso rispetto a quello della tradizione familiare e lontano dalla qualità dei giorni migliori della bottega dei Brueghel.

Non nego l’alta professionalità dei rappresentanti della famiglia Brueghel. In alcuni casi la specializzazione raggiunge veramente culmini di maestria innegabili. Ma Coecke van Aelts, penso desse il meglio di sè nel disegnare tappezzerie e nella tecnica delle incisioni, molto importante per mantenere una famiglia: le stampe si vendevano meglio delle pitture e circolavano più facilmente. Non so se sia stato veramente il maestro di Pieter Brueghel il Vecchio, ma può senz’altro averlo avviato a diventare un vero professionista dell’incisione, compresa la cura per i disegni preparatori. Il Brueghel del Velluti si specializzò nelle nature morte, floreali soprattutto, e nei paesaggi. Collaborò con molti artisti che gli appaltavano parti del soggetto di un quadro (esempio: i tessuti vellutati) e fu persino pittore di Corte sotto Alberto d’Austria. Ma produsse dei capolavori? Forse l’estrema maestria qualche volta si fa percepire come tale, ma ad essere rigorosi un capolavoro non è solo il risultato di un’abilità tecnica. Un capolavoro  qualche modo deve evocarci qualcosa  di profondo. E comunque non sono capolavori i quadri di Brueghel dei Velluti esposti a Bologna. Stesso discorso per Pieter Brueghel il Giovane (figlio di Pieter il Vecchio) famoso soprattutto per aver dipinto numerose copie dei lavori del padre. Gli si riconosce un po’ più di inventiva perché adorava dipingere inferni ed incendi con insolito ardore. Insomma un gran professionista della pittura di genere. Ma non credo che le sue opere esposte a Bologna siano capolavori. Anche i David Teniers (vecchio e giovane), in qualche modo legati ai Brueghel, infatti come ho già detto, il giovane sposò la figlia di Jan dei Velluti, pur riconoscendo l’ineffabile piacere visivo che attraversa le loro pitture di genere, di rado vanno oltre l’esibizione di una tecnica fattasi raffinata e disinvolta. E poi cosa c’entrano con lo stile tradizionale dei Brueghel? I Teniers sembrano guardare più a pittori come Adam Elsheimer (1578-1610), a Rubens, quindi ad una pittura fiamminga molto italianizzata. “Le tentazioni di San Antonio” del Giovane che ho visto al Prado presenta una serie di mostriciattolo che rimandano all’asse pittorico Bosch-Brueghel il Vecchio, ma la qualità della pittura è chiaramente diversa. Per farla breve, se riteniamo utile ragionare su di un possibile canone d’eccellenza pittorica, l’unico della famiglia che senza dubbio inserirei è il primo dei Brueghel ad imporsi come autore di riferimento di un genere relativamente nuovo.

Del fondatore della dinastia Pieter detto il Vecchio, però conosciamo ben poco. Non abbiamo la data certa della sua nascita. Tuttavia sono stati trovati documenti che indicano la sua inclusione nella corporazione di artigiani pittori San Luca di Anversa con il titolo di maestro, avvenuta nel 1551. Dal momento che ci si poteva iscrivere solo dopo lunghi anni di pratica nella bottega di un artigiano appartenente a una delle Gilde della città, gli storici presumono di poter collocare la sua nascita tra il 1525-1530. Diciamo subito che il contesto storico nel quale si formò e in seguito operò Brueghel era tra i più drammatici per un pittore. La guerra dei trent’anni (1518-1548) fu spaventosa. Mai fino ad allora, in Europa un conflitto religioso era degenerato in stragi  di simile portata. Anche se bisogna aggiungere che da un certo punto in poi l’odio tra protestanti e cattolici probabilmente era sono la facciata di una guerra tra la Francia e gli Asburgo, in lotta tra loro per l’egemonia. Comunque per restare più aderenti al tema, aggiungo che le predicazioni di Lutero e Calvino nel nome del loro Dio arroccato dietro regole e atmosfere medioevali, avevano distrutto la domanda religiosa di affreschi e pitture, forse con più efficacia dei vari sanguinari Duca d’Alba che scorrazzavano per l’Europa. L’intero Nord fu attraversato da una febbre religiosa gravida di un intransigente fondamentalismo che investiva pesantemente la legittimità delle “immagini sacre”. Le Chiese furono svuotate di opere pittoriche. Chi si poteva permettere un quadro non avrebbe più commissionato pale d’altare o figurazioni tratte dalla Bibbia o dai Vangeli. I pittori del  Nord allora, si concentrarono sui temi che già la generazione di Van Eyck e Van Weyden  aveva esplorato ovvero paesaggi, scene di vita quotidiana, nature morte e ovviamente ritratti. A tal riguardo Brueghel il Vecchio fu uno dei più grandi e intransigenti cultori di uno stile completamente nordico, descrittivo, quasi cartografico per precisione, dalle vivaci colorazioni, ossessionato dai dettagli. Possiamo dunque annoverarlo tra i fondatori della “pittura di genere”; per qualche studioso addirittura fu lui a inventarla. Molti suoi quadri possono rivaleggiare per maestria, controllo della composizione con l’altro grande pittore del Nord di quella generazione ovvero con Hans Holbein, famoso soprattutto per gli splendidi ritratti fatti in Inghilterra come artista di corte durante il regno di Enrico VIII. Entrambi, ovviamente mi verrebbe da dire, durante le prime fasi della loro carriera scesero in Italia per studiare i segreti di uno stile a quei tempi considerato imprescindibile per chiunque amasse l’arte. Ma mentre in Holbein le tracce di tutto ciò appaiono evidenti altrettanto quanto le sue conoscenze sul naturalismo descrittivo di tradizione nordica, Brueghel rimase più fedele allo stile pittorico delle sue terre; quasi ostile direi o se volete, reattivo nei confronti del modo italiano di operare secondo le regole della bella pittura, nel senso di composizioni orchestrate da un’armoniosa geometrica grazia intrisa di classicismo. I soggetti preferiti da Brueghel erano gente del popolo, catturata mentre festeggia, balla, si ubriaca; contadini che lavorano, moltitudini che transitano in paesaggi urbani che brulicano di vita o in una natura dai leggeri tratti ostili. Più che dei grandi pittori rinascimentali italiani nelle sue visioni risuonano le immagini di Hieronymus Bosh e le sue opere sembrano attraversate da una persistente riflessione sul senso dell’umanità depurata da ogni idealismo soprattutto quando appaiono con essa tracce di follia e morte. Mi attira in Brueghel una insolita intentio  di complementarietà tra bellezza e bruttezza; come se volesse dirci sia che il mondo fisico incarna  bellezza e sia che il mondo fisico ospita, imperfezioni, disordini, squallori, sofferenza, conflitti. La maggiore propensione psicologica per la prima non dovrebbe mai farci dimenticare l’altro aspetto della natura delle cose, anche se nella complementarità il tratto folle della vita umana appare più una ineluttabile disgrazia piuttosto che una dialettica integrazione.

Dal mio punto di vista solo le opere mature di Brughel il Vecchio potrebbero riflettere ciò che teoricamente vorremmo si intendesse con l’uso della parola “capolavoro”. Intendo riferirmi alle sue opere pittoriche dipinte tra il 1560-1570 che personalmente annovero tra i quadri meritevoli per qualità di essere collocati in una posizione di assoluto rilievo.  Per essere chiaro cito le opere che ho personalmente ammirato e che a mio avviso sono capolavori: “Il trionfo della morte” (Prado, Madrid); “Danza di contadini”, “Banchetto nuziale”, “Cacciatori nella neve”, “La grande torre di Babele” (Kunsthistorisches Museum, Vienna). Anche se sappiamo più o meno tutti che i contorni delle categorie lessicali che usiamo per far ordine a classi omogenee di oggetti diventano con l’uso sempre più sfuocati, ebbene il nostro incancellabile desiderio di ordine non perde per nulla l’urgenza che costantemente ci porta a ricostruire le cornici di parole e discorsi che lo rendono possibile. La categoria di “capolavoro pittorico” non fa eccezione. Risente del mutamento del gusto, dipende da congiunture storiche e probabilmente ciò che ho chiamati contorni e cornici dell’unità lessicale in oggetto, sono un mito. Ma senza capolavori niente canone d’eccellenza; senza canone, ordine, scopo, storia divengono concetti fluttuanti, senza un centro, senza un punto di equilibrio. La fruizione culturale rischia così di svuotarsi di senso e di etica. Ecco perché trovo interesse, malgrado tutto, in classificazioni, nel nostro caso di opere d’arte, che suggeriscano una metrica qualitativa grazie alla quale risulta possibile distinguere il capolavoro, dall’esecuzione professionale, da quella mediocre, dalla pataccata. 

Tuttavia non vorrei che il lettore troppo condiscendente con chi scrive, sottovalutasse i limiti attuali dei concetti di “canone d’eccellenza” e di “capolavoro” che ho chiamato in scena per restituire a chi mi legge, la punta di delusione che ho provato per non aver visto nella mostra bolognese nemmeno una delle opere straordinarie di Brughel il Vecchio che oggi tutti conoscono almeno in fotografia.

Per il gusto contemporaneo, poco incline a commuoversi per documentati capolavori sprovvisti di aura mediatica e, per contro, sempre aperto e ricettivo ai tumulti emozionali prodotti da presentazioni spettacolari o semplicemente sbandierate come novità…Per il gusto contemporaneo dicevo, molti dei quadri esposti nella mostra di Palazzo Albergati rimangono pur sempre dei catalizzatori di piacere visivo che sarebbe ingiusto sottovalutare.

Ne posso citare almeno due che indubbiamente inducono ad ammirare la maestria dell’autore. Il primo è “Danza nuziale all’aperto” di Pieter Brueghel il Giovane, un tema molto amato dai contemporanei del pittore e in un modo o nell’altro interpretato da tutti i membri della famiglia Brueghel, compreso il capostipite. È certamente un quadro pregevole. Tuttavia, se paragoniamo la versione del mood nunziale del Giovane ad un vero capolavoro come “Nozze contadine” del Vecchio (non in mostra; conservato al Kunsthistorisches Museum di Vienna), possiamo osservare che le figure da commedia umana del secondo vengono sottoposte ad un “regolazione” pittorica più precisa, più armoniosa nella struttura, più espressiva nei particolari (le uniche dimensioni pittoriche italiane che il Vecchio in modo competitivo ha sviluppato). Per contro, il Giovane sembra meglio attrezzato per farci percepire la felicità un po’ grossière della festa, dando ad essa evidenti sfumature Rablesiane, nei movimenti, nelle pose, nelle fattezze dei personaggi centrali, nella maggiore vivacità dei colori.

Possiamo considerare questa differenza di qualità pittoriche un proseguimento della esplorazione del “genere” che il Vecchio aveva per così dire inaugurato oppure c’è qualcosa che, pur evocando novità, tendeva a spegnersi? Il quadro del Giovane ha più energia e trasmette più “rumore”, ma perde in qualità pittorica. Si rivolge più alle passioni dello sguardo del fruitore che alle risorse analitiche e critiche della sua mente. Si ha la sensazione che il Giovane abbia molto mestiere e guardi con interesse il “mercato” rappresentato da una committenza diffusa (quindi privilegi l’induzione di effetti sullo spettatore) e di conseguenza abbia un po’ trascurato lo sforzo necessario per andare veramente aldilà dell’emulazione del padre (che implica un confronto serio e struggente con il passato, supportato da un desiderio di primeggiare). Se come dicono molti storici Brueghel il Vecchio rappresenta la fase  tarda di un ipotetico Rinascimento del Nord, il figlio possiamo collocarlo nella conseguente maniera, sviluppata per accentuazione di tratti, ma mai negativa.

Il secondo quadro che mi piace citare si intitola “La trappola per gli uccelli” (1601) ed è anch’esso di Pieter Brueghel il Giovane. Si tratta di una specie di manifesto per un sotto genere inventato dal clan di pittori Brueghel, relativo al “paesaggio invernale”, del quale esistono svariate decine di versioni. È probabile che anche in questo caso il prototipo del paesaggio innevato con in primo piano la ” trappola per uccelli” fosse stato dipinto dal Vecchio. Ma oggi quel dipinto è andato perduto e dunque rimane la pregevole interpretazione del Giovane, splendida per carità, ma ammantata di una ben dissimulata noncuranza verso la ricerca di una accurata precisione dei dettagli, marchio di fabbrica del capostipite.

Quindi, per sintetizzare il mio pensiero, dubito che le due opere citate possano reggere il confronto con i tentativi meglio riusciti di Pieter Brueghel il Vecchio e con altri conclamati capolavori fiamminghi.

Ma devo altresì aggiungere che possiamo trovare in esse, e in molte altre opere presenti nell’esposizione bolognese, tutti i valori differenziali che hanno trasformato la pittura fiamminga nel laboratorio raffigurativo ed espressivo dal quale emergerà la grande pittura olandese della generazione di Vermeer e Hals e poco dopo la fattura artistica tipica della pittura del settecento inglese che vide come protagonista Hogart; e ancora, di una parte dell’arte dell’Ottocento, prima che l’impressionismo disintegri l’interesse nei mondi visivi del minuzioso realismo di matrice olandese/fiamminga, imponendo una nuova visione della pittura. Bisogna altresì ricordare che appena una generazione dopo la morte del Vecchio, in modo a mio avviso superficiale si cominciò a ricordarlo come un pittore buffo, naïf, grezzo come un contadino visto da un nobile damerino. Lo sappiamo tutti, le mode anche quelle culturali possono essere molto stupide. Comunque anche se il mercato lo aveva dimenticato, grandi  pittori continuavano a trovare ispirazione nel suo stile. Presso il largo pubblico e gli acquirenti invece bisognerà attendere i primi decenni del novecento per vedere Brueghel il Vecchio di nuovo considerato tra i grandi maestri della pittura di tutti i tempi. E con esso l’interesse per la professionalità di una famiglia allargata durata 150 anni.

Detta in questo modo penso di aver trasmesso al lettore l’appello a non perdersi un evento espositivo degno di attenzione, senza recedere dall’esprimere la mia irritazione a fronte della leggerezza semantica con la quale i curatori della mostra hanno usato la parola “capolavori” (la mostra infatti si intitola “Brueghel, capolavori dell’arte fiamminga” e rimarrà aperta finora al 28 febbraio 2016: come ho tentato di argomentare sopra, nessun capolavoro; però tanto tanto tanto mestiere).

Brueghel

LA RESURREZIONE

LA RESURREZIONE

I SETTE PECCATI CAPITALI

I SETTE PECCATI CAPITALI

DANZA NUZIALE ALL'APERTO

DANZA NUZIALE ALL’APERTO

NATURA MORTA CON FIORI

NATURA MORTA CON FIORI

TRAPPOLA PER UCCELLI

TRAPPOLA PER UCCELLI

CONTADINI DI RITORNO DAL MERCATO

CONTADINI DI RITORNO DAL MERCATO

Lamberto Cantoni

57 Responses to "Brueghel Family"

  1. dominations hack   15 Dicembre 2015 at 01:49

    AMAZING Post.thanks for share.more wait

    Rispondi
  2. ann   26 Dicembre 2023 at 10:48

    Ho letto con interesse il tuo vecchio articolo su Brueghel. Io adoro però il nostro rinascimento e vedo quelli che tu chiami i pittori del nord come dei primitivi. Anch’io credo che ci siano i migliori artisti e che sia un dovere più che una necessità stabilire delle gerarchie.

    Rispondi
    • james   26 Dicembre 2023 at 16:31

      Parlare di canone artistico dopo quello che è capitato nell’arte il secolo scorso mi pare fiato sprecato. Non c’è nessun canone e il giudizio sulle opere che sono definite capolavori è troppo mutevole e soggettivo. Se qualcuno che sostiene di amare l’arte paga uno squalo in formaldeide milioni di sterline, che cosa serve parlare di canone o di capolavori? Accettiamo l’idea che sia la valutazione in dollari a stabilire una gerarchia e facciamola finita con le chiacchiere su qualità, composizione, colore… Se fossero esistiti i fumetti al tempo di Brueghel sarebbe stato un grande graphic novelist. Come pittore lo trovo divertente. A me i naif piacciono.

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      • mauri   27 Dicembre 2023 at 11:47

        Capisco che nella società di oggi tutto dipenda dal denaro. Ma almeno per l’arte cerchiamo di essere un pochino meno venali. Salviamo l’idea del capolavoro dal mercatismo. Sui Brueghel io la penso come Ann: il nostro rinascimento si eleva da tutto il resto.

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  3. Enrico Rossi LABA   27 Dicembre 2023 at 09:19

    Mi ha colpito il suo approfondito confronto tra le opere di Pieter Brueghel il Vecchio e le interpretazioni successive dei suoi discendenti, in particolare il dettaglio che emerge dalla descrizione delle opere di Pieter Brueghel il Giovane. La sua osservazione sulle differenze tra la precisione del Vecchio e l’energia più spettacolare, ma meno precisa del Giovane, mi ha fatto riflettere sulla continuità e sulla trasformazione stilistica all’interno della stessa famiglia artistica.
    Trovo intrigante la sua critica sulla mancanza di “capolavori” nella mostra. Però non ho trovato una sua opinione a riguardo, cioè “il concetto di capolavoro non è solo un risultato di un’abilità tecnica” mi sembra un po’ vago. Forse questa mancanza di spiegazione potrebbe essere intenzionale, ma mi piacerebbe sentire la sua opinione su questo aspetto. Forse, l’inclusione di una tale riflessione avrebbe arricchito ulteriormente la sua critica. Però ammetto che potrei essermi perso io questa parte e quindi quello che ho scritto non avrebbe senso.
    Infine, la sua sfida al concetto di “capolavoro” e l’importanza di definire un “canone d’eccellenza” nell’ambito artistico mi hanno spinto a ragionare su come tali concetti possano applicarsi anche nel mondo del graphic design dei giorni nostri. È un campo in cui le definizioni di “capolavoro” e “canone d’eccellenza” sono in continuo cambiamento e molto soggettive.

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    • Lamberto Cantoni
      Lamberto Cantoni   28 Dicembre 2023 at 06:06

      Forse Enrico ha ragione nel segnalare la poca chiarezza nei dintorni di concetti come “capolavori” e “canone d’eccellenza”, fra l’altro centrali nella mia narrazione. In realtà pensavo che l’uso di metafore come “profondità”, “complementarità”, “qualità” indicassero a sufficienza dove volevo andare a parare. Posso ripeterlo: un capolavoro non si riduce al solo “effetto superficie” (in questo caso troverei più pertinente il concetto di “maestria”), bensì attiva la percezione di qualcosa di più profondo. Nel caso di P.Brueghel il Vecchio, trovo particolarmente appropriato il suo modo di trametterci una riflessione in stile Erasmo da Rotterdam ovvero che ciò che contraddistingue l’uomo e la civilizzazione è la follia. In tal modo l’artista attualizza valori emersi nel primo Rinascimento definito anche “umanesimo” rovesciandone la valenza: al posto dell’idealizzazione dell’uomo dominante nei discorsi e nelle visioni dei protagonisti delle nostre corti italiane, troviamo una intransigente ricerca delle imperfezioni dell’umanità che grazie a note ironiche, spesso deviate su un registro che oscilla tra il grottesco e il riso, rendono sensibile un senso di “verità” che personalmente esperisco come qualcosa di più profondo di tutte le Madonne, gli Angeli e i Profeti che animano gran parte della pittura rinascimentale italiana, compresa la rete di simboli esoterici embricati nelle opere di chiara ispirazione neoplatonica. Detta con parole più dirette: Brueghel fa a pezzi il paradigma classicista della arte rinascimentale proponendoci una visione della vita umana cinica, scettica finché volete, ma che alla fine risulta più pensosa e più aderente alla sensibilità della gente. Il capolavoro non è solo forma e tecnica; il capolavoro (nell’arte) ha a che fare con la sensibilità e i processi percettivi interni che chiamiamo valori ovunque questi ci portino. Non è tanto il loro contenuto ad essere determinante bensì il potenziale di trasformazione che inducono: non si dice forse che un capolavoro ci tocca, ci cambia, forse solo per un momento, come se tra esterno e interno ogni distanza scomparisse? Il capolavoro ci introduce nei territori del godimento artistico in modo mediato, non tossico o compulsivo…..
      Possiamo parlare di capolavori nel design? Perché no! I parametri culturali possono cambiare ma qualcosa che funzioni da capolavoro o canone deve pur emergere dal nostro bisogno di mantenere in stato di complementarità la coppia ordine/disordine.

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  4. Facchini Valeria LABA   27 Dicembre 2023 at 14:58

    Pieter Brueghel il Vecchio, considerato uno dei grandi maestri della pittura fiamminga, ha lasciato un’impronta significativa e innovativa nel panorama artistico del suo tempo. La sue opere, spesso descrittive e dettagliate, si distinguono per la rappresentazione della vita quotidiana, paesaggi rurali e scene popolari. Divenne famoso per essere stato uno dei primi pittori che si dedicò alla pittura di paesaggio, elevandolo a l livello dei tradizionali soggetti storici e religiosi. La sua maestria nel catturare l’essenza della vita comune attraverso dettagli accurati e colori vivaci ha contribuito a definire la “pittura di genere”.
    Brueghel il Vecchio è particolarmente noto per opere come “Il trionfo della morte” e “Cacciatori nella neve”, dove trasmette un forte realismo e una profonda riflessione sulla condizione umana. La sua predilezione per soggetti come festività contadine, paesaggi innevati e scene di vita quotidiana ha influenzato generazioni successive di pittori.
    La sua abilità nel bilanciare bellezza e bruttezza, evidenziando la complessità della vita umana, è un tratto distintivo.

    Trovo che la scelta del pittore di rappresentare anche il brutto, il disordine, l’imperfezione sia corretto e soprattutto coraggioso in quanto l’arte è sempre stata condizionata dalla ricerca del bello in tutte le sue forme, rischiando però di snaturalizzare il concetto per via dell’eliminazione ed estirpazione del brutto.

    Pieter Brueghel il Vecchio e Pieter Brueghel il Giovane, come descritti nell’articolo, presentano similitudini e differenze significative nelle loro opere e approcci artistici.
    Entrambi i pittori hanno continuato la tradizione di rappresentare la vita quotidiana, festività contadine e paesaggi, mantenendo una connessione con la “pittura di genere” avviata dal Vecchio.
    Il Giovane, essendo figlio del Vecchio, ha chiaramente ricevuto influenze stilistiche e tematiche dal padre. Il legame familiare ha portato a una continuità nella rappresentazione di certi soggetti.
    Entrambi dimostrano un’attenzione al dettaglio, sebbene il modo in cui affrontano la precisione possa differire.

    Il Vecchio è noto per il suo stile dettagliato, quasi cartografico, con una predilezione per scene complesse e vivaci. Il Giovane, pur mantenendo un interesse per i dettagli, sembra orientato a un approccio più vivace e meno rigoroso nella composizione.
    Rappresentazione della festa: Il Vecchio, in opere come “Il trionfo della morte,” esplora la complessità della vita umana, incluso l’aspetto brutto e folle. Il Giovane sembra più concentrato sulla rappresentazione della gioia e del movimento nelle feste popolari.
    Il Giovane, secondo, sembra essere maggiormente influenzato dal “mercato” e dalla committenza diffusa, il che potrebbe riflettersi nel suo stile più orientato a suscitare piacere visivo immediato.

    In conclusione, mentre entrambi i Brueghel condividono una base tematica e un legame familiare, il Vecchio è spesso considerato il fondatore della “pittura di genere” fiamminga, con uno stile più dettagliato e una visione più profondamente riflessiva, mentre il Giovane, pur mantenendo alcuni tratti del padre, sembra orientato verso una pittura più vivace e legata alle esigenze della committenza del suo tempo, certamente meno innovativa rispetto al padre.

    Rispondi
    • Filippo Bruno LABA   4 Gennaio 2024 at 19:50

      Trovo molto interessante la riflessione che fa Valeria in merito alla scelta di Bruegel il Vecchio di rappresentare anche gli aspetti brutti, il disordine e l’imperfezione della vita quotidiana. La sua audacia nel rappresentare il brutto non solo sfida le convenzioni artistiche, ma arricchisce anche la sua pittura con una sincerità rara.
      Questo approccio non solo sottolinea la ricchezza e la diversità della vita, ma offre anche uno sguardo onesto e non idealizzato sulla condizione umana. In un contesto in cui l’arte potrebbe cadere nella trappola dell’estetica superficiale, l’opera di Bruegel emerge come una testimonianza coraggiosa e autentica della complessità dell’esistenza.

      Rispondi
  5. Manuela Guida LABA   28 Dicembre 2023 at 12:00

    Dopo aver esplorato attentamente l’articolo sulla mostra dei pittori fiamminghi Brueghel, ho trovato la critica del testo particolarmente intrigante. La preferenza evidente per Pieter Brueghel il Vecchio è palpabile e, devo ammettere, condivido l’ammirazione per la sua maestria artistica nel ritrarre dettagli così realistici.
    Ho notato la critica più severa riservata agli altri membri della famiglia Brueghel, soprattutto a Pieter Brueghel il Giovane, accusato di mancanza di precisione e di un orientamento più commerciale che artistico. La delusione espressa per l’assenza di opere significative di Pieter Brueghel il Vecchio nella mostra è comprensibile, e immagino che la presenza di tali capolavori avrebbe arricchito notevolmente l’esperienza.
    L’interessante riflessione finale sulla mutevolezza dei concetti di “capolavoro” e “canone d’eccellenza” nell’arte aggiungeva un tocco personale al testo. Mi ha fatto riflettere sulla fluidità dei gusti artistici nel corso del tempo e su come ciò influenzi la percezione di ciò che consideriamo un capolavoro.
    In conclusione, l’articolo non solo fornisce una critica approfondita sulla mostra, ma ha anche suscitato in me una maggiore consapevolezza della diversità di opinioni sull’arte. Sebbene la delusione per l’assenza di alcune opere clou sia palpabile, apprezzo l’approccio personale e la connessione emotiva che il critico ha stabilito con l’arte di Pieter Brueghel il Vecchio.

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  6. Giulia Minghini LABA   29 Dicembre 2023 at 14:41

    Non avevo mai sentito parlare della famiglia Brueghel.
    Il tema vero della mostra è la ricostruzione dei vari passaggi di testimone tra artisti di diverso livello qualitativo, appartenenti allo stesso ceppo familiare, caratterizzati dallo stesso concetto di arte, sviluppato con mestiere e perizia nel corso del secolo. Questa celebre famiglia di pittori fiamminghi sono la dimostrazione di quanto cambia l’artista con il passare del tempo, anche se della stessa famiglia, sia dal punto di vista qualitativo, ma anche da quello creativo. La famiglia Brueghel è stata molto influente nella storia dell’arte e il loro stile ha avuto un impatto duraturo sulla pittura fiamminga ed europea.
    L’uso del termine “capolavori” nel titolo della mostra può essere considerato leggero e generare irritazione a causa della differenza di qualità tra le opere esposte e i veri capolavori di Brueghel il Vecchio.
    Con concetto di “capolavoro” intendiamo un’opera di enorme eccellenza. Ritengo che per quanto possano essere eccellenti le opere di questa famiglia non possano essere paragonate a veri e propri capolavori come quelli del “genio universale Leonardo” o ad altre opere uniche per la loro superiorità e perfezione. Credo che un’opera per essere considerata un “capolavoro” deve rispettare determinati canoni e non essere semplicemente gradevole o “bella”, ma deve essere qualcosa che ti sorprenda a tal punto da rimanere senza parole. Con questo non voglio dire che queste opere di non siano degne di essere chiamate capolavori, ma ritengo che manchi quella aggiunta di eccellenza, che può essere un punto d’equilibrio, come detto nell’articolo, o altre perfezioni che renderebbero queste opere, già belle e ricche di dettagli, delle vere e proprie eccezionalità. Ritengo comunque che le opere siano di enorme piacere visivo, ricche di dettagli, uniche e spettacolari.

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    • NiccoZ LABA   7 Gennaio 2024 at 22:18

      Volevo dare supporto e collegarmi al tuo commento, proprio per supportare la tesi riguardo la mancanza di unicità e stupore che deve lasciare un’opera per essere definita un capolavoro.
      Come infatti cita l’articolo, una diretta critica al “egocentrismo” del definire le opere dei capolavori, opere che si, come detto nel commento, del tutto rispettabili, belle e gradevoli, ma non è ciò che basta per definire un capolavoro tale.
      Mi trovo quindi d’accordo e sulla stessa corrente di pensiero su ciò che hai espresso

      Rispondi
    • Lisa LABA   9 Gennaio 2024 at 16:42

      Anche io di fronte ai lavori di Brueghel il Vecchio non ho percepito senso di stupore e meraviglia, a differenza di altre opere, tuttavia mi ha colpita la tua definizione di capolavoro come eccellenza.
      Che cos’è esattamente l’eccellenza? La peculiarità della pittura fiamminga è appunto l’impressionante ricchezza di dettagli realistici, una qualità non presente per esempio nella grande pittura italiana che hai citato. Ritengo che lo stupore derivante dal quadro sia un aspetto fortemente soggettivo, in quanto determinato dal contesto storico e culturale, quindi mi chiedo se non sia stato il livello tecnico a definire il titolo capolavoro? Oppure il soggetto innovativo rappresentato con tanta armonia? O forse lo stupore persiste nel momento in cui si ammira l’opera dal vivo?

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  7. Nicole Pieri   29 Dicembre 2023 at 15:21

    Parlare di arte in termini di ‘critica’ è sempre molto complesso; spesso ci si rifà ai “capolavori” come se fossero la chiave di volta della critica, distinguendo in modo quasi dualistico cosa sia arte ‘alta’ e cosa no. I “capolavori” hanno la loro importanza, ma l’arte è così varia e ricca che restringerla a un piccolo gruppo di opere universalmente acclamate sembra un po’ limitante.

    Il filosofo dell’arte Arthur Danto è persino giunto a dire che non c’è una distinzione oggettiva tra opere d’arte e oggetti non artistici. Questa prospettiva suggerisce che il criterio di bellezza non può essere il solo parametro corretto per la critica. Molti oggetti della nostra vita quotidiana sono stati creati con determinate caratteristiche che li rendono esteticamente piacevoli. Danto a tale proposito confronta le merci di un supermercato e le Brillo Box di Warhol. Allo stesso tempo, opere come ‘Fountain’ sono considerate arte nonostante non rispondano ai classici parametri di bellezza. Tutto ciò ci fa riflettere sulla necessità di non incasellare l’arte in definizioni rigide; ogni forma d’arte ha il suo valore, ma bisogna considerare il contesto culturale in cui si manifesta.

    La storia dell’arte si può paragonare a quella della letteratura; prendiamo ad esempio il caso di Manzoni. Per anni è stato trascurato, ma ora viene studiato ampiamente in tutte le classi e considerato fondamentale nella storia della letteratura italiana. Anche la valutazione di cosa costituisca un capolavoro cambia nel tempo, a seconda dei gusti, delle mode e delle critiche. La famiglia Brueghel è un esempio eloquente di quanto artisti di talento possano essere influenzati dalle fluttuazioni nella percezione storica e critica.

    Pieter Brueghel il Vecchio, uno dei grandi maestri della pittura fiamminga oggi, è stato inizialmente sottovalutato e addirittura etichettato come un pittore “buffo” dopo la sua morte. Questo dimostra quanto le etichette culturali siano effimere e influenzate dalle mode del momento. Fortunatamente, le generazioni successive hanno rivalutato il suo contributo e riconosciuto quanto abbia influenzato la pittura successiva.

    Quando valutiamo l’arte, è importante ampliare la prospettiva e non concentrarsi solo sui capolavori. Questo è particolarmente valido per l’arte contemporanea, così diversificata. Dobbiamo riconoscere la molteplicità delle pratiche artistiche e rispettare l’autenticità di ogni espressione, anche se non è considerata un “capolavoro”. La ricerca di significato e impatto può essere altrettanto gratificante nella scoperta di opere meno celebrate, ma altrettanto ricche di contenuto e significato.

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    • Manuela Guida LABA   7 Gennaio 2024 at 13:19

      Il tuo commento offre una riflessione approfondita e critica sulla natura della critica d’arte, esplorando concetti come la relatività delle definizioni di bellezza e la mutevolezza delle valutazioni artistiche nel corso del tempo. Sono d’accordo con molte delle tue argomentazioni, che sfidano il concetto tradizionale di arte ‘alta’ e ‘bassa’ e sottolineano la necessità di considerare il contesto culturale in cui si manifesta l’arte. La citazione di Arthur Danto aggiunge un tocco filosofico interessante al discorso, mettendo in discussione la distinzione oggettiva tra opere d’arte e oggetti non artistici. Questo concetto invita a considerare criteri più ampi nella critica d’arte, oltre alla mera bellezza formale, aprendo la strada a una comprensione più inclusiva dell’arte stessa. L’esempio di Manzoni nella storia dell’arte e la sua rivalutazione nel tempo sono illustrativi della mutevolezza delle valutazioni artistiche e delle influenze culturali sulle etichette attribuite agli artisti. L’analisi della famiglia Brueghel aggiunge ulteriore peso alla tua tesi, dimostrando come artisti di talento possano essere inizialmente sottovalutati solo per essere apprezzati in seguito dalle generazioni successive. Concordo con l’importanza di ampliare la prospettiva nella valutazione dell’arte, specialmente nell’ambito dell’arte contemporanea. La tua enfasi sulla diversità delle pratiche artistiche e sull’autenticità di ogni espressione, indipendentemente dal suo status di “capolavoro”, riflette un approccio aperto e inclusivo nei confronti dell’arte.In conclusione, il tuo testo offre una visione ben argomentata e persuasiva sulla critica d’arte, incoraggiando una comprensione più ampia e rispettosa della varietà artistica.

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  8. NiccoZ LABA   31 Dicembre 2023 at 18:47

    Partirei col dire che grazie a questo articolo ho sentito parlare per la prima volta della famiglia Brueghel, avendo così la possibilità di scoprire l’evoluzione artistica della famiglia generata dal passaggio di testimone tra i vari parenti.
    Critica costruttiva riguardo l’esposizione effettuatasi a Bologna sull’arte fiamminga e sulla famiglia Brueghel, noto oggettività e sicurezza sul commento fatto riguardo al titolo della mostra; “Brueghel, capolavori dell’arte fiamminga” , esprimendo disaccordo, dovuto al fatto che considera le opere esposte all’altezza di essere proclamate “capolavori”.
    Intensa critica ove vengono citate le opere di Pieter Brueghel il giovane insieme ad altri membri della famiglia, esprimemendo i propri dubbi sulla qualità e perfino originalità delle opere stesse.
    Apprezzo però come non si sia generalizzato su tutta la mostra, andando infatti ad elogiare le opere esposte più di alta qualità, separandole da quelle meno raffinate; anche se, andando a citare due opere di Pieter Brueghel il giovane, nonchè le sue due più elaborate, non reggano il confronto con la maturità delle opere di Pieter Brueghel il Vecchio, andando quindi a schierarsi dalla sua parte.
    In sunto, l’esposizione non ha rispettato le aspettative che il nome datogli portava, anche se con umiltà si ha elogiato il valore della carriera di Pieter Brueghel il Vecchio e del suo stampo artistico a differenza del resto della famiglia.

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    • Alice Turchini LABA   6 Gennaio 2024 at 12:14

      Non sono pienamente d’accordo con il fatto che la critica al titolo della mostra “Brueghel, capolavori dell’arte fiamminga” sia oggettiva e sicura. L’arte difficilmente è considerabile oggettiva, sicuramente spesso quasi tutto il mondo concorda su alcuni artisti e opere che sono dei veri e propri capolavori e l’opinione personale risulta quasi un po’ ridicola se si ritenesse ad esempio che La notte stellata di Van Gogh non trasmette una grande emotività o che Guernica di Picasso non ti dà un pugno allo stomaco riescendo a rappresentare perfettamente la violenza della guerra civile spagnola, però nei casi di artisti meno noti non si può dire con certezza che un’opera sia o non sia un capolavoro in modo assoluto. In generale il concetto di “capolavoro” è spesso influenzato dalle opinioni personali e dalla soggettività. La valutazione di un’opera d’arte come capolavoro richiede una comprensione approfondita dell’opera stessa e non può essere oggettiva.

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  9. Gaia Laba   1 Gennaio 2024 at 16:23

    In merito all’articolo riguardante la mostra su Pieter Brueghel e la sua famiglia a Bologna, desidero condividere alcune considerazioni. Trovo positiva la scelta curatoriale di esporre opere di vari membri della famiglia, permettendo così di evidenziare le connessioni e le evoluzioni stilistiche nel corso del tempo.

    La valutazione critica dell’arte di Pieter Brueghel il Vecchio e della sua famiglia, in particolare l’analisi sulla professionalità artistica, trova il mio accordo. Riconosco l’alta maestria nelle opere, specialmente quelle del fondatore, e apprezzo la descrizione della sua pittura di genere, focalizzata su scene quotidiane, paesaggi e nature morte, in sintonia con il contesto storico e religioso dell’epoca.

    Concordo anche con la distinzione tra i vari membri della famiglia Brueghel, riconoscendo le specializzazioni e le peculiarità di ciascuno. L’analisi critica delle opere di Pieter il Giovane mette in luce la sua abilità nel rappresentare scene vivaci, sebbene sorgano dubbi sulla profondità emotiva e la qualità pittorica rispetto al padre.

    La riflessione sul concetto di “capolavoro” e la sua applicazione alle opere di Brueghel il Vecchio è intrigante. Condivido l’idea che alcuni dei suoi dipinti maturi, come “Il trionfo della morte” e “La grande torre di Babele”, possano essere considerati autentici capolavori. La sua critica sottolinea l’importanza di valutare l’arte non solo in termini di abilità tecnica, ma anche in quanto veicolo di significati più profondi.

    Comprendo la delusione per l’assenza di alcune opere straordinarie di Brueghel il Vecchio nella mostra e concordo con l’osservazione sul gusto contemporaneo, spesso influenzato dalla popolarità mediatica piuttosto che dalla reale qualità artistica. In conclusione, la mostra rappresenta un’opportunità unica per esplorare la ricchezza della famiglia Brueghel, sebbene non tutte le opere possano essere considerate “capolavori”. L’analisi critica contribuisce in modo significativo alla comprensione di questa importante dinastia artistica.

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    • tb   6 Gennaio 2024 at 12:03

      Il tuo commento è ben formulato e riflette una comprensione approfondita delle opere esposte. La riflessione sul concetto di “capolavoro” è interessante; potresti approfondire ulteriormente la tua opinione personale su cosa rende un’opera d’arte un “capolavoro” e se questo standard può variare a seconda del contesto storico o delle preferenze individuali.
      inoltre l’osservazione sul gusto contemporaneo è valida e si potrebbe discutere come l’influenza mediatica può influenzare la percezione dell’arte oggi.

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  10. Celeste LABA   2 Gennaio 2024 at 11:19

    L’analisi della mostra su Pieter Brueghel a Palazzo Albergati a Bologna nel novembre 2015 offre uno sguardo approfondito sulla complessità artistica della famiglia Brueghel. Si espone con precisione la varietà di stili e specializzazioni presenti tra i diversi membri, ponendo particolare attenzione alla transizione di competenze artistiche attraverso le generazioni. La narrazione storica sottolinea il contesto tumultuoso della guerra dei trent’anni e la trasformazione del panorama artistico dovuta alla Riforma, fornendo una chiave interpretativa per comprendere le scelte tematiche della famiglia Brueghel.

    Il concetto di “capolavoro” è analizzato in profondità, in modo che solo le opere mature di Pieter Brueghel il Vecchio possono davvero riflettere appieno il significato di tale termine. La delusione per l’assenza di queste opere nella mostra è palpabile e si fonda su una critica alla leggerezza con cui i curatori hanno utilizzato il termine “capolavori” nel titolo dell’esibizione. L’analisi si conclude con un invito a non trascurare il valore delle opere esposte, riconoscendo il contributo della famiglia Brueghel alla pittura fiamminga nel corso dei secoli.

    In questo contesto, si riconosce la complessità delle definizioni di “capolavoro” e “canone d’eccellenza”, tenendo conto delle influenze culturali e storiche che plasmano tali concetti. La riflessione sull’evoluzione del gusto artistico nel tempo aggiunge un livello di profondità all’analisi, mettendo in luce la fluidità delle categorie lessicali e dei concetti culturali nel corso della storia dell’arte.

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  11. Martina Toscano Laba   2 Gennaio 2024 at 12:56

    Brueghel

    Il tema che risalta la famiglia Brueghel è la natura. Questa famiglia è composta da vari artisti fiamminghi, tra cui Pieter Brueghel accusato di un orientamento più commerciale che artistico, che diventa, tral’altro, genero del maestro Pieter Coecke van Aelst. Pieter Coecke van Aelst diede il meglio di se, attraverso il suo stile e tecnica di incisione e disegnatore di tappezzerie che fu importante per mantenere la famiglia. Per Pieter Brueghel il Giovane, figlio di Pieter Brueghel il Vecchio, ho notato, guardando i suoi quadri, una maggiore invenzione concentrandosi a dipingere inferni ed incendi. Brueghel il Vecchio si dedicò alla pittura con opere in cui cercò di trasmettere con forte realismo una riflessione sulla condizione umana. In questo articolo, quindi, si possono notare gli stili diversi dei vari artisti e componenti della famiglia Brueghel. Nell’articolo vengono riconosciute anche le complessità dette “capolavori” e le “canone d’eccellenza”, tenendo conto per esempio del periodo storico, cioè dal 1500 in avanti, in cui avvenne anche la guerra dei trent’an

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    • Chiara Gasperi Laba   7 Gennaio 2024 at 13:17

      Pieter Brueghel il Vecchio rappresenta la natura non come ruolo dominante; infatti la natura gioca un ruolo di sfondo nei dipinti di Brueghel proprio perché il suo principale intento è quello di rappresentare scene di vita quotidiana in cui i veri protagonisti sono proprio le persone che vi rappresenta. Le sue opere diventano delle vere e proprie narrazioni, non viene data importanza ad una singola persona o al paesaggio ma l’intera composizione ha un ruolo dominante.
      Non sono certa di confermare che gli stili dei vari componenti della famiglia Brueghel siano così differenti, ricordiamo che il figlio di Brueghel il Vecchio, rappresentò anch’egli scene di vita quotidiana in cui i soggetti rappresentati sono molteplici, inoltre ad egli si deve la riproduzione delle opere più popolari del padre.

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    • Chiara Gasperi Laba   7 Gennaio 2024 at 13:17

      Pieter Brueghel il Vecchio rappresenta la natura non come ruolo dominante; infatti la natura gioca un ruolo di sfondo nei dipinti di Brueghel proprio perché il suo principale intento è quello di rappresentare scene di vita quotidiana in cui i veri protagonisti sono proprio le persone che vi rappresenta. Le sue opere diventano delle vere e proprie narrazioni, non viene data importanza ad una singola persona o al paesaggio ma l’intera composizione ha un ruolo dominante.
      Non sono certa di confermare che gli stili dei vari componenti della famiglia Brueghel siano così differenti, ricordiamo che il figlio di Brueghel il Vecchio, rappresentò anch’egli scene di vita quotidiana in cui i soggetti rappresentati sono molteplici, inoltre ad egli si deve la riproduzione delle opere più popolari del padre.

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  12. Sara Cadegiani LABA   2 Gennaio 2024 at 14:55

    L’epopea artistica della famiglia Brueghel, che si estende dal celebre pittore Pieter Brueghel il Vecchio fino a Abraham Brueghel, rappresenta un capitolo straordinario nella storia dell’arte fiamminga. Questo “clan” di artisti ha lasciato un’impronta duratura nella pittura di genere, influenzando il panorama artistico per molte generazioni.
    Pieter Brueghel il Vecchio, conosciuto anche come “Brueghel il Contadino”, è spesso considerato il capostipite della dinastia. La sua abilità nell’osservare la vita quotidiana, combinata con un tocco distintivo e l’uso vivace del colore, ha stabilito uno standard di eccellenza nel genere pittorico. Le sue opere sono vere e proprie finestre su un’epoca passata, catturando la vitalità e la complessità della vita del XVI secolo.
    Il figlio di Pieter, Pieter Brueghel il Giovane, ha continuato la tradizione familiare, replicando molte delle opere del padre. Anche se spesso criticato per non raggiungere l’eccellenza del genitore, ha comunque contribuito a mantenere viva l’eredità artistica della famiglia.
    L’epopea prosegue con altri membri della famiglia Brueghel, tra cui Jan Brueghel il Vecchio e Jan Brueghel il Giovane, entrambi apprezzati per la loro maestria nel ritrarre paesaggi e nature morte.
    Abraham Brueghel, l’ultimo esponente noto della dinastia, ha continuato a portare avanti il nome di famiglia nel XVII secolo. Pur essendo forse meno noto rispetto ai suoi predecessori, ha comunque contribuito alla tradizione artistica della famiglia, chiudendo così un capitolo significativo nella storia dell’arte fiamminga.
    L’eredità dei Brueghel risiede non solo nella loro maestria tecnica, ma anche nella capacità di rappresentare la vita reale in modo coinvolgente. La loro epopea artistica ha influenzato generazioni di pittori successivi, affermandosi come una delle famiglie più importanti e durature nella pittura di genere.

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  13. Lisa LABA   2 Gennaio 2024 at 15:46

    Ho sempre trovato grande difficoltà ad identificare quei parametri per cui un’opera diventa “capolavoro”. A prima vista, considerando la mia ancora acerba conoscenza della storia dell’arte, è la maestria a regnare, quella manualità tecnica fondata su strumenti basilari e spirito d’osservazione che ancora oggi riesce a lasciarci esterrefatti. Tuttavia molti sono i modelli giudicati tali, oggi, in virtù di un gusto storico ben diverso che riconosce la creatività e il coraggio di imporre la propria firma stilistica davanti alle “rigide” richieste delle commissioni, infatti basta scoprire qualche dato biografico per sapere come gli artisti venivano dimenticati in povertà se non rientravano dentro il canone. Certo non è il caso della famiglia Brueghel, ma non dimostra ciò quanto sia soggettiva la definizione “capolavoro”?

    Nel XVI secolo non esisteva la fotografia, perciò la bravura pittorica, come quella del Brueghel il Vecchio, era determinante nel valutare un quadro, a discapito magari di un maggiore coinvolgimento della scena, preferito da Brueghel il Giovane. Oggi, questa combinazione sembra invertirsi, proprio a causa di quel realismo imbattibile. Il mio sguardo, abituato fin dall’infanzia alle fotografie, è stato subito catturato da una “Danza nuziale all’aperto” piuttosto che “Nozze Contadine”. Si tratta certamente di una riflessione superficiale sia per i pochi contenuti di cui dispongo sia perché non ho mai avuto la possibilità di studiare dei quadri così dettagliati dal vivo, però esistono fortunatamente le immagini online per avere un’idea della composizione e dei colori anche se la scarsa qualità non permette una visione autentica dal punto di vista tecnico.

    Sfogliando le opere del Vecchio è subito visibile la scuola d’incisione, visti i bordi netti, e la ricercatezza compositiva di così tante figure distinguibili una dall’altra è incredibile, forte armonia e chiarezza della scena non contribuiscono però a rendere l’emozioni del momento. Da appassionata d’Impressionismo, il rumore, il disordine, il tratto confuso, i personaggi sovrapposti rievocano nei mie ricordi quei momenti e grazie all’immaginazione ho una sensazione più concreta di essere dentro la scena.

    Confrontandomi col pensiero dell’articolo è probabile che la mia costante esposizione a ogni tipo di immagine abbia “corrotto” la mia empatia visiva verso i dipinti precisi come quelli del Vecchio, ed abbia necessita di esplorare altri sensi per immergermi nel momento raffigurato, a differenza della generazione degli stessi Brueghel.

    Per quanto riguarda la mostra a Bologna, oggi è senza dubbio troppo tardi ma sarei sicuramente andata a vederla poiché trovo affascinante la divergenza artistica creatasi all’interno della famiglia Brueghel, pur consapevole della grande mole di studio degli artisti che mi avrebbe aspettato in preparazione della visita. Per scelta personale tra le prime esperienze andrei a vedere mostre esclusivamente dedicate ad un personaggio solo, in quanto è difficile analizzare le varie interpretazioni di un movimento se non è presente una conoscenza solida dell’argomento, ma ammesso di avere tutte queste basi l’avrei trovata molto stimolante.

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  14. Lorenzo Pollini LABA   2 Gennaio 2024 at 17:51

    “Un capolavoro in qualche modo deve evocarci qualcosa di profondo”. Questa è l’affermazione che mi ha più colpito nell’articolo e che trovo più giusta in assoluto. Seppur vero è che la proposizione necessità di un qualcosa, la soggettività. Infatti credo sia molto soggettivo l’evocare di un qualcosa in noi.
    Interessante il ragionamento su come le tesi di Lutero ed il movimento che me scateno svuotò le chiese di opere d’arte, trovo tuttavia che ciò sia in corso anche oggi, il progressivo allontanamento dei giovani dal credo porta ad una minor influenza della chiesa ed a una minor potenzialità economica di essa, in quanto le donazioni e le opere di bene andranno sempre più a diminuire. Sarebbe interessante un’ approfondimento su questo tema.
    È sicuramente interessante come dopo Brueghel il vecchio, i suoi successori, abbiano virato su un fronte maggiormente monetizzabile, seguendo anche la tendenza dovuta a ciò.
    Alla loro non capacità di andare oltre all’operato del capostipite (in termini artistici), potrebbe essersi aggiunto il fatto che, una volta che si ha un maestro di tale portata, è forse più conveniente e meno faticoso emularlo che superarlo. Ma questa rimane solamente una mia ipotesi.
    Trovo nei soggetti rappresentati per la maggiore da Brueghel grande lungimiranza, poiché l’evasione da una realtà ostile con feste e leggerezza apparente, trattiene spesso grande sofferenza, questo secoli fa, così come oggi.
    Voglio porre l’attenzione infine ,sul titolo della mostra “Brueghel, capolavori dell’arte fiamminga” per quanto raccontato nell’articolo penso sia un qualcosa di leggermente esoso per quanto poi effettivamente all’interno di essa. Capisco che con grande probabilità abbia finalità di aumentare i visitatori, ma rimane, per quanto descritto, leggermente eccessivo.

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    • Valeria Facchini LABA   5 Gennaio 2024 at 15:38

      Leggendo il tuo commento mi sono soffermata sulla frase ” il progressivo allontanamento dei giovani dal credo porta ad una minor influenza della chiesa ed a una minor potenzialità economica di essa, in quanto le donazioni e le opere di bene andranno sempre più a diminuire. ” che trovo molto interessante e sono d’accordo sul fatto che questo argomento debba essere più approfondito. Al tempo stesso mi trovo in disaccordo sulla diminuzione delle opere di bene come conseguenza al minor rapporto di donazioni. Sostengo a pieno l’indipendenza che l’arte ha voluto prendere per distaccarsi dalla chiesa.
      È innegabile che l’arte continui a beneficiare del sostegno economico dei giovani, anche se ora le opere sono prevalentemente esposte nei musei piuttosto che nelle chiese. Questa transizione potrebbe essere interpretata come una rivoluzione culturale, evidenziando un’evoluzione nelle forme di espressione artistica e nella percezione dell’arte all’interno della società contemporanea.

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  15. Letizia Casotti   2 Gennaio 2024 at 18:36

    Mi permetto di azzardare un’ipotesi che potrebbe sfociare in un che di fantasioso.
    La mancanza delle opere di Brueghel il vecchio ci toglie la possibilità di analizzare e guardare con i nostri occhi la storia evolutiva della tecnica artistica della famiglia.
    É un peccato non siano affiancate le opere che lei descrive, permettendo al visitatore di osservare il processo di crescita e cambiamento.
    Credo peró che la presenza di Brueghel il vecchio con la sua eccellenza tecnica e stilistica avrebbe oscurato in parte la presenza in mostra di Brueghel il giovane.
    La sua assenza permette al figlio la visibilità del suo messaggio, senza l’ombra del padre.
    Facendo un’ipotesi potrei dire che il motivo per cui Brueghel il giovane ha una tecnica così differente da quella di Brueghel il vecchio é un tentativo di imporre una sua individualità artistica, senza dover competere con l’enorme fardello di doverlo superare.
    Prendere una strada differente che privilegia l’impatto e il messaggio al dettaglio e al canone é l’unico modo per discostarsi completamente dal cono d’ombra del proprio maestro.
    Forse proprio questo suo “poco impegno nel proseguire l’eccellenza del padre” ci ha permesso di tenerlo in considerazione come artista e non come semplice apprendista del padre o peggio come un manierista o imitatore di Brueghel il vecchio

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    • Roberta De Vito LABA   3 Gennaio 2024 at 12:48

      La tua riflessione sull’esposizione delle opere di Brueghel nella mostra di Bologna, che pone l’accento sulla mancata presenza di opere di Pieter Brueghel il Vecchio e sul conseguente spazio dato a Brueghel il Giovane, è un punto di vista interessante.
      In primo luogo, l’assenza delle opere di Brueghel il Vecchio viene vista come un’opportunità persa per esplorare e confrontare direttamente l’evoluzione tecnica e stilistica all’interno della famiglia Brueghel. Questa osservazione è valida in quanto la comprensione del contesto storico-artistico di un’intera dinastia può essere notevolmente arricchita dalla possibilità di confrontare le opere di differenti generazioni affiancate. La mancanza di tali confronti diretti può effettivamente limitare la percezione del pubblico riguardo alla progressione e alla trasformazione delle tecniche e degli stili artistici.
      D’altra parte, il commento suggerisce che l’assenza di opere del Vecchio permetta a Brueghel il Giovane di emergere dall’ombra del padre e di esprimere pienamente il proprio messaggio artistico. Questo punto di vista, sebbene interessante, rischia di essere troppo speculativo. Non vi sono prove concrete che suggeriscano una decisione intenzionale di Brueghel il Giovane di distanziarsi stilisticamente dal padre per affermare la propria individualità. Inoltre, la mancanza di confronto diretto con le opere del padre non necessariamente esalta la qualità o l’unicità delle opere del figlio; anzi, potrebbe privare il pubblico di una comprensione più profonda delle influenze e delle interazioni artistiche all’interno della famiglia.
      Il confronto tra le opere di padre e figlio non deve necessariamente tradursi in una competizione o in un’oscurazione, ma può piuttosto offrire una ricca dimostrazione di continuità e divergenza nell’arte. Infine, senza un’analisi storica più approfondita e prove documentarie, affermazioni del genere rimangono congetture personali e non possono essere considerate conclusioni storico-artistiche definitive.

      Rispondi
    • Giorgia Adani LABA   4 Gennaio 2024 at 17:55

      Concordo sul fatto che è un peccato non siano esposte le opere di Brueghel il vecchio alla mostra, ma permettimi di essere in disaccordo sul fatto che le sue opere avrebbero oscurato in qualche modo la presenza di Brueghel il giovane. Il figlio ha preso sì spunto dal padre, ma non ha raffigurato le stesse ambientazioni e gli stessi soggetti, e soprattutto non nello stesso modo. Secondo me se i suoi quadri fossero stati presenti alla mostra, non avrebbero comunque fatto sfigurare il figlio, poiché anche il figlio è molto in gamba, e personalmente trovo che i suoi quadri siano affascinanti. Brueghel il giovane sarebbe comunque riuscito a “farsi strada” da solo nella mostra e a farsi riconoscere, nonostante la bravura del padre.

      Rispondi
      • Alessio Ponzetto   7 Gennaio 2024 at 21:03

        Ritengo che sia stato un peccato non esporre le opere di Brueghel il Vecchio nella mostra di Bologna, ma sono in disaccordo con il tuo pensiero riguardante il fatto che il figlio sarebbe riuscito ad emergere comunque nonostante l’esposizione delle opere del padre.
        Poiché il figlio di un grande artista parte a mio avvisto svantaggiato, per quanto in gamba sia stato, nella mostra le opere del padre avrebbero comunque catturato maggiormente l’occhio degli spettatori in quanto di fatto di maggiore spessore, pregio, qualità e precisione del figlio.

        Rispondi
    • Lorenzo Pollini LABA   5 Gennaio 2024 at 17:41

      Letizia, comprendo la tua ipotesi, e non la reputo fantasiosa, anzi, la trovo molto stimolante. Soprattutto per quanto riguarda il ragionamento fatto sulle motivazioni sulle quali Brueghel il giovane abbia fatto una determinata decisione.
      Credo però, che dal momento si decida di allestire un’esposizione dedicata alla famiglia Brueghel e all’arte fiamminga, non arricchendola con le opere di Brueghel il vecchio, si tolga luce all’intera mostra. In diverse circostanze e contesti vi è un qualcosa accentratore di attenzioni (vedi il Louvre con la Gioconda). Da sempre meta di pellegrinaggio per migliaia di visitatori ogni giorno, che spesso e volentieri entrano all’interno del museo per fare uno scatto ad essa ed andare via. Non per questo però la si toglie.
      Penso dunque che chi voglia veramente apprezzare l’intera mostra si soffermi su ogni singolo quadro, ancor più felice di vedere opere del calibro di Brueghel “il contadino”, ma non per questo invogliato a non considerare le altre.

      Rispondi
  16. Roberta De Vito LABA   3 Gennaio 2024 at 12:38

    La mostra di Bologna, dedicata all’arte fiamminga e in particolare alla famiglia Brueghel, offre un’occasione unica per riflettere sull’evoluzione della pittura in Europa settentrionale e sulle dinamiche di trasmissione dell’arte e del mestiere all’interno di una famiglia di artisti. Nonostante la mancanza di opere universalmente riconosciute come capolavori di Pieter Brueghel il Vecchio o Hieronymus Bosch, l’esposizione merita attenzione per la sua capacità di illuminare il contesto storico-artistico in cui questi artisti hanno operato.
    La mostra rivela l’importanza di figure come Pieter Coecke van Aelst, probabile maestro di Brueghel il Vecchio, e altri membri della famiglia Brueghel, come Jan il Vecchio, Jan il Giovane e Pieter il Giovane. L’attenzione si concentra sui vari passaggi di testimone e sulle diverse interpretazioni artistiche che si sono sviluppate all’interno della famiglia. Questo aspetto offre una visione più articolata dell’arte fiamminga, che va oltre la semplice ammirazione dei singoli capolavori.

    L’articolo sottolinea che, sebbene la professionalità e la maestria tecnica siano indiscutibili, non tutte le opere in mostra raggiungono lo status di capolavoro. Un capolavoro, infatti, non è solo il frutto di una superba abilità tecnica, ma deve anche evocare qualcosa di profondo e universale. In questo senso, il contributo di artisti come Jan dei Velluti, specializzato in nature morte e paesaggi, e David Teniers il Giovane, celebre per le sue rappresentazioni del mondo contadino, è significativo, ma non necessariamente al livello dei grandi capolavori di Brueghel il Vecchio.
    L’articolo evidenzia anche il contesto storico in cui Brueghel il Vecchio ha operato, un periodo segnato da conflitti religiosi e da un cambiamento radicale nelle commissioni artistiche. Questo contesto ha influenzato profondamente la sua opera, caratterizzata da un forte realismo e una vivida rappresentazione della vita quotidiana. Brueghel emerge come un maestro della pittura di genere, un artista che ha saputo catturare l’essenza della vita umana nella sua completezza, con tutte le sue bellezze e brutture.
    Infine, l’articolo invita a riconsiderare il significato e l’importanza di termini come “capolavoro” e “canone d’eccellenza”, mettendo in discussione la leggerezza con cui a volte questi termini vengono utilizzati. La mostra di Bologna, pur non presentando i capolavori più celebri di Brueghel il Vecchio, offre comunque un’importante occasione per riflettere sulla storia dell’arte e sull’evoluzione della pittura fiamminga, dalla quale sono emersi artisti del calibro di Vermeer, Hals e successivamente Hogarth, influenzando profondamente l’arte occidentale.

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  17. Nicolò LABA   3 Gennaio 2024 at 16:20

    Il suo articolo dedicato alla mostra sulla famiglia Brueghel a Palazzo Albergati offre un’analisi esaustiva delle opere esposte, delinea con chiarezza le aspettative e riflette sul risultato effettivo dell’evento artistico. La sua delusione per l’assenza di opere universalmente riconosciute come “capolavori” di Brueghel il Vecchio, specialmente alla luce del titolo ambizioso attribuito alla mostra, sottolinea una discrepanza tra le aspettative del pubblico e la realtà espositiva. La sua critica accurata alle definizioni di concetti come “canone d’eccellenza” e “capolavoro” apre uno spazio di riflessione sulla natura fluida e soggettiva di tali termini nell’ambito artistico, evidenziandone le sfaccettature mutevoli nel corso del tempo e in diverse prospettive.

    L’analisi approfondita tra le opere di Brueghel il Vecchio e il Giovane arricchisce il contesto, presentando una trasformazione stilistica significativa all’interno della famiglia Brueghel. La distinzione tra l’energia espressiva delle opere del Giovane e la precisione maestosa del Vecchio offre una comprensione più ricca delle dinamiche artistiche che hanno caratterizzato la dinastia.

    La sua riflessione sulla leggerezza semantica nel titolo della mostra, con il suo utilizzo del termine “capolavori”, è ben giustificata e contribuisce a delineare una visione critica del contesto promozionale dell’evento. Tuttavia, riconosce l’importanza di non trascurare l’occasione espositiva, che presenta comunque opere di notevole valore artistico. La sua considerazione della storia della famiglia Brueghel e del loro impatto duraturo amplia ulteriormente la prospettiva, sottolineando l’importanza di valutare il contesto artistico nel suo complesso e di apprezzare le opere per le loro qualità intrinseche e il loro impatto storico.

    In conclusione, la sua analisi articolata e le riflessioni stimolanti invitano il lettore a esaminare in modo critico il concetto di “capolavoro” nell’ambito delle arti visive, aggiungendo profondità alla discussione sulla mostra, nonostante la mancanza di opere ritenute emblematiche.
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  18. Camilla Fabbri LABA   3 Gennaio 2024 at 18:48

    Iniziando, vorrei sottolineare che grazie a questo articolo ho avuto modo di conoscere per la prima volta la famiglia Brueghel, esplorando così l’evoluzione artistica generata dal passaggio di testimone tra i vari membri della famiglia.

    L’articolo riguarda soprattutto l’esposizione a Palazzo Albergati nel novembre del 2015, la quale si è concentrata su tale famiglia e approfondisce l’evoluzione dell’arte attraverso le generazioni.
    E’ possibile notare un’apprezzabile oggettività e sicurezza nel commentare il titolo della mostra, “Brueghel, capolavori dell’arte fiamminga”, esprimendo disaccordo poiché ritiene che le opere esposte non siano all’altezza di essere definite “capolavori”.

    La critica si fa intensa quando vengono menzionate le opere di Pieter Brueghel il Giovane e altri membri della famiglia, con dubbi sulla qualità e sull’originalità delle opere stesse.
Tuttavia, viene apprezzato il fatto che la critica non si generalizzi all’intera mostra, elogiando invece le opere di alta qualità e distinguendole da quelle ritenute meno raffinate.

    Questa critica semantica si basa su una riflessione approfondita sulla definizione di “capolavoro” e sui criteri che guidano tale classificazione.
    Vengono maggiormente sollevate questioni più ampie sulla definizione di “capolavoro” nel contesto dell’arte contemporanea, suggerendo che i gusti attuali potrebbero essere influenzati da considerazioni sui media piuttosto che da standard artistici oggettivi.
In questa maniera voglio descrivere come viene valutata criticamente la mostra, evidenziando punti di forza e potenziali lacune nella presentazione del lavoro della famiglia Bruegel.

    La narrazione si rivolge poi al periodo storico in cui operò Pieter il Vecchio, sottolineando la complessità del clima politico e religioso dell’epoca e come questo influenzò la direzione artistica della famiglia Bruegel.
Questo contesto storico, caratterizzato dalla Guerra dei Trent’anni e dalle mutate esigenze artistiche, guidò l’arte fiamminga verso nuove tematiche più rilevanti per la vita quotidiana.
    Purtroppo i commentatori hanno espresso disappunto, per il fatto che le opere più famose di Pieter il Vecchio non si trovassero nella mostra, sottolineando la mancanza di capolavori universalmente riconosciuti.
Tuttavia, si riconobbe il merito di questa mostra nel mettere in luce i valori che plasmarono la pittura fiamminga e nel contribuire a tracciare un percorso che avrebbe influenzato le future tendenze artistiche.
    Nonostante ciò, l’autore riconosce che alcune opere di Pieter Brueghel il Giovane, pur essendo le sue più elaborate, non reggono il confronto con la maturità delle opere di Pieter Brueghel il Vecchio, posizionandosi a favore di quest’ultimo.

    In sintesi, l’esposizione non ha soddisfatto le aspettative legate al suo nome, sebbene l’autore, con modestia, abbia elogiato il valore della carriera di Pieter Brueghel il Vecchio e il suo stile artistico, distinguendolo dagli altri membri della famiglia.

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  19. Chiara Gasperi Laba   4 Gennaio 2024 at 13:11

    Brueghel è un pittore olandese la cui principale caratteristica della sua arte è quella di mettere su tela la vita del popolo tramite caricature e umorismo.
    Ciò che mi ha colpito è la grande abilità del pittore nella rappresentazione di proverbi popolari mediante l’utilizzo di immagini da lui dipinte, come suggerisce l’opera “proverbi fiamminghi”.
    Pieter Brueghel il Vecchio è stato capace di inglobare in un unico dipinto e in un’unica ambientazione i diversi modi di dire popolari che qui hanno dato vita a una specie di paese dei proverbi dove ogni attività svolta dai personaggi rispecchia un determinato proverbio. L’intento di Brueghel non era solo critico, ma voleva anche rendere omaggio all’ironia e alla ricchezza della saggezza popolare.¬
    Ciò su cui si incentrò maggiormente fu la resa del movimento, che studiò e ricercò rappresentando per esempio le danze contadine.
    Brueghel si concentrerà soprattutto sulla vita quotidiana della gente comune i temi su cui si focalizzerà infatti sono la vita nei campi, la religione, la superstizione e i complotti politici e sociali. Attraverso le sue pennellate, Pieter Brueghel il Vecchio riuscì a tradurre su tela tutti i modi di dire popolari e le espressioni dei vari soggetti, all’interno di vedute della sua terra.
    Oltre ai paesaggi di campagna, si interessò anche alla figura umana, infatti egli rappresentò i suoi soggetti nei minimi particolari per dare un’impronta realistica alla sua composizione in modo che riflettesse la sua visione del mondo popolare.
    Egli creava opere allegoriche, la narrazione nei suoi dipinti partiva sempre dal paesaggio a cui dava una certa importanza, rappresentato nei minimi particolari e sempre popolato da figure umane; i personaggi diventavano punti focali delle sue tele ed era solito disporli in modo sparso nella composizione, spesso raffigurati dall’alto. Questo modo di comporre è ciò che lo distingue dai suoi contemporanei, le sue opere diventano delle vere e proprie narrazioni, non viene data importanza ad una singola persona, ma l’intera composizione ha un ruolo dominante.
    Al figlio Brueghel il Giovane invece si deve la rappresentazione di dipinti di paesaggi, soggetti religiosi, scene di villaggio e fiori, nonché la riproduzione delle opere più popolari del padre.
    Un pittore associato a Brueghel il Vecchio è David Teniers marito della figlia del pittore, anch’egli interessato alla rappresentazione del mondo contadino, si dedicò infatti alla pittura di genere, raffigurando scene di vita borghese e popolare.

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  20. Alice Turchini LABA   4 Gennaio 2024 at 16:58

    La famiglia Brueghel è stata sicuramente una delle dinastie artistiche più influenti del Rinascimento fiammingo, e hanno dato il loro contributo alla pittura paesaggistica. Però la questione della distinzione di “capolavoro” all’interno della loro produzione di opere può lasciare qualche dubbio. La famiglia Brueghel, nonostante la loro tecnica e la capacità di catturare dettagli vividi della vita quotidiana, potrebbe mancare di opere uniche e rivoluzionarie.
    Il concetto di “capolavoro” nell’arte è sicuramente pieno di soggettività. La definizione di un capolavoro può cambiare molto anche a seconda del contesto storico, culturale e personale. Ciò che è stato considerato un capolavoro in un’epoca potrebbe non esserlo stato altrettanto in un’altra. In generale, un capolavoro è spesso associato a un’opera d’arte eccezionale, che si distingue per la sua maestria tecnica, la profondità concettuale, l’originalità e l’abilità nell’espressione artistica, ma soprattutto che riesce a comunicare qualcosa a chi la guarda.
    Durante il Rinascimento, ad esempio, il concetto di capolavoro era l’idea di perfezione tecnica e l’abilità nel rappresentare la bellezza ideale. Opere come la “Cappella Sistina” di Michelangelo o la “Primavera” di Botticelli erano considerate esempi di eccellenza artistica.
    Con il passere del tempo, la definizione di capolavoro è diventata molto più ampia e inclusiva. Movimenti come l’Impressionismo hanno introdotto nuovi criteri, valorizzando l’originalità nella percezione visiva e il modo in cui un artista interpreta la realtà.
    L’arte contemporanea ha ancora di più ampliato la definizione di capolavoro, spingendosi oltre i canoni tradizionali e sfidando le aspettative. Installazioni, performance e opere concettuali possono essere considerate capolavori in quanto sfidano le convenzioni e offrono nuove prospettive sull’arte.
    Ciò che rende un’opera un capolavoro può variare considerevolmente, ma il termine continua a rappresentare un riconoscimento di eccellenza e impatto duraturo nell’ambito dell’arte.

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    • Luigi Pezzella Laba   16 Settembre 2024 at 15:52

      Il testo presenta una riflessione interessante sulla definizione di “capolavoro”, ma ci sono alcuni punti su cui non sono d’accordo. In particolare, l’affermazione che la famiglia Brueghel “potrebbe mancare di opere uniche e rivoluzionarie” sembra sottovalutare il loro contributo all’arte. Pieter Brueghel il Vecchio, ad esempio, ha innovato profondamente nella rappresentazione della vita quotidiana e dei paesaggi, affrontando temi sociali e umani con una visione estremamente originale, come si vede in opere come “Il trionfo della morte” e “La grande torre di Babele”. Definire la loro produzione come priva di capolavori unici è limitante.
      Inoltre, il concetto di capolavoro, per quanto soggettivo, non dovrebbe essere diluito al punto da includere qualsiasi innovazione. Il testo sembra suggerire che la definizione di capolavoro si sia ampliata al punto da includere anche installazioni e opere concettuali senza una valutazione rigorosa della loro qualità artistica o impatto duraturo. Non tutte le opere contemporanee che sfidano le convenzioni sono necessariamente capolavori. Per essere tale, un’opera dovrebbe anche dimostrare maestria tecnica, profondità concettuale e un significato che resista al tempo, non solo provocare o sorprendere.

      Rispondi
  21. Riccardo Carbonari LABA   4 Gennaio 2024 at 17:07

    Questo articolo offre un’analisi approfondita e critica della mostra dei Brueghel a Palazzo Albergati (Bologna), che mi pare sia stata ben strutturata e informativa, pur con alcune limitazioni. L’accento posto sull’intera dinastia Brueghel, invece di concentrarsi esclusivamente sulle figure più eminenti come Pieter il Vecchio, è un approccio lodevole che fornisce una visione più completa del loro contributo alla pittura di genere e dell’arte fiamminga in generale.
    La riflessione sull’evoluzione della tecnica e dello stile all’interno della famiglia Brueghel è un punto di forza dell’articolo, poiché mette in luce come il mestiere e l’arte si trasmettano e si trasformino attraverso le generazioni. Questo approccio aiuta a comprendere meglio il contesto artistico in cui operavano i Brueghel e il modo in cui hanno influenzato la pittura fiamminga e olandese successiva.
    Tuttavia, l’articolo esprime una legittima critica sulla titolazione e sul marketing della mostra, che sembra aver enfatizzato eccessivamente l’idea dei “capolavori” senza presentare effettivamente le opere più iconiche di Pieter il Vecchio. Questa discrepanza tra il titolo e il contenuto della mostra potrebbe aver generato aspettative errate nel pubblico.
    Inoltre, l’articolo solleva un punto interessante sul concetto di “capolavoro” e sulle sfide nella valutazione dell’arte attraverso lenti storiche e culturali variabili. Questa riflessione stimola una discussione più ampia sul ruolo e l’importanza dell’arte nella società e su come la percezione di ciò che costituisce un’opera di valore possa cambiare nel tempo.
    In sintesi, l’articolo fornisce una lettura stimolante e ben argomentata della mostra, offrendo spunti di riflessione sia sull’eredità artistica dei Brueghel sia sulla natura mutevole dell’arte e della sua ricezione critica.

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  22. Giorgia Adani LABA   4 Gennaio 2024 at 17:45

    Ogni membro della famiglia Brueghel ha il proprio stile e il proprio modo di esprimersi.
    Pieter Brueghel il vecchio nei suoi quadri rifletteva sull’umanità, soprattutto contadina, dipinta in episodi quotidiani. Pieter Brueghel il giovane si concentrava a rappresentare scene di incendio o in ambienti infernali (che caratterizzarono la sua tarda produzione). Jan Brueghel il vecchio, si allontanò molto di più dagli stili di questi ultimi, infatti dipinse nature morte e paesaggi. Jan Brueghel il giovane, ricordava molto lo stile miniaturistico del padre (Jan Brueghel il vecchio). Ambrosius Brueghel, dipinse paesaggi e nature morte. Jan Pieter Brueghel, concentrava i suoi lavori sulle nature morte floreali, spesso in composizioni di vasi o corone a scopo di devozione.
    Tutti e sei, avevano adottato il proprio stile, alcuni riprendendo anche lo stile del proprio padre, ma nonostante, per esempio, Jan Brueghel il giovane, avesse ripreso lo stile del padre, è riuscito a sviluppare uno stile più raffinato. Jan Brueghel il Vecchio è noto per essere stato uno dei primi maestri nella rappresentazione di paesaggi e scene di vita quotidiana dettagliati nel contesto della pittura fiamminga, suo figlio però è riuscito a distinguersi perché pur avendo preso ispirazione dal padre, ha fatto in qualche modo “suo” lo stile. Anche Pieter Bruegel il Vecchio è noto per essere stato un innovatore e un maestro della pittura fiamminga del XVI secolo, mentre Pieter Brueghel il Giovane è spesso visto come un continuatore della tradizione artistica del padre, anche se con una creatività e originalità potenzialmente inferiori, però anche qui possiamo vedere la differenza tra i due.
    Tutto questo per dire che nella famiglia Brueghel, c’è stata una “continuazione” in qualche modo dello stile dei padri da parte dei figli, ma ogni membro della famiglia è riuscito a distinguersi per aver reso “diversi” certi particolari, ed è questa la meraviglia secondo me, diversificare, anche semplicemente, i soggetti che rappresentavano.
    Concordo con lei sul fatto che non tutti possono essere considerati “capolavori”, ma riconosco anche che sarebbe molto interessante andare a vedere una mostra della Brueghel family, per osservare più da vicino le loro uguaglianze e le loro distinzioni.

    Rispondi
  23. Filippo Bruno LABA   4 Gennaio 2024 at 19:36

    La famiglia Bruegel ha sicuramente lasciato un’impronta significativa nella storia dell’arte, contribuendo allo sviluppo della pittura fiamminga. Tra i vari membri della famiglia la mia preferenza personale si orienta chiaramente verso l’opera di Pieter Bruegel il Vecchio per l’accuratezza e precisione quasi scientifica con la quale ritrae vasti paesaggi o scene di vita quotidiana. Credo si sia raggiunto l’apice della produzione artistica firmata Bruegel con le opere “Trionfo della morte” e “Cacciatori nella neve”, a mio parere straordinari esempi di maestria tecnica. Quello che trovo affascinante è il modo in cui la famiglia Brueghel ha adattato e sviluppato uno stile pittorico distintivo, pur rimanendo fedele alle tradizioni fiamminghe.

    Un passaggio dell’articolo mette in luce una dinamica molto interessante nel mondo dell’arte. Viene sottolineata la tendenza contemporanea a privilegiare la spettacolarità spesso a discapito di opere meno conosciute e meno pubblicizzate. Emerge quindi una sorta di paradosso dove l’attenzione sembra spostarsi più verso l’aspetto visuale che verso la sostanza delle opere d’arte. A mio parere questo passaggio dell’articolo invita a rivalutare il valore delle opere al di la delle tendenze contemporanee.

    Rispondi
    • Gabriele Brilli LABA   15 Gennaio 2024 at 00:16

      La tua riflessione sulla famiglia Bruegel è molto interessante e condivido la tua ammirazione per Pieter Bruegel il Vecchio e le sue opere, in particolare “Trionfo della morte” e “Cacciatori nella neve”, opere che io personalmente ritengo eccezionali.
      Sono d’accordo con te sulla capacità della famiglia Brueghel di adattare e sviluppare uno stile distintivo pur rimanendo fedeli alle tradizioni fiamminghe. La loro capacità di evolversi mantenendo una connessione con le radici è un aspetto affascinante che ha contribuito notevolmente al loro impatto duraturo nella storia dell’arte.Tuttavia, potrebbe essere interessante esplorare ulteriormente come gli artisti e le opere meno conosciute possono guadagnare visibilità in un contesto in cui la spettacolarità è spesso predominante.

      Rispondi
  24. Tommaso LABA   5 Gennaio 2024 at 01:39

    Non avevo mai sentito parlare della famiglia Brueghel fino ad’ ora, ma grazie a questo articolo ho avuto modo di conoscerla e di osservarne un’ approfonditana analisi. Nell’ articolo viene messo in risalto quella che è stata l’ importanza per dei Brueghel per l’ arte fiamminga, attraverso l’ evoluzione stilistica dei membri al suo interno, in particolare con Pieter Brueghel il vecchio, che attraverso la sua tecnica è stato la figura artistica principale della famiglia, con l suo rappresentare la realtà quotidiana, attraverso episodi di vita quotidiana. Nell’ articolo in particolare viene discussa in primo luogo mostra di Bologna dedicata alla famiglia Brueghel, con particolare attenzione a Pieter Brueghel il Vecchio,come ho già introdotto, e i suoi discendenti. Sebbene il testo riconosca la professionalità della famiglia Brueghel, sottolinea che molte opere esposte non possono essere considerate capolavori. Il testo critica alcune opere di Pieter Brueghel il Giovane, il quale sembra privilegiare l’impatto visivo sulla qualità pittorica. l’ articolo mette in dubbio se tali opere possono competere con i lavori più riusciti di Pieter Brueghel il Vecchio e altri maestri fiamminghi. Nonostante ciò, riconosce il valore delle opere esposte nel contesto della trasformazione della pittura fiamminga e del loro impatto su generazioni successive di artisti. Infine, l’autore critica le mode culturali che, in passato, hanno influenzato l’interpretazione e l’apprezzamento delle opere di Brueghel il Vecchio.

    Rispondi
  25. Aurora Laba   6 Gennaio 2024 at 09:46

    Fino ad oggi avevo sentito parlare, riferendomi alla pittura fiamminga, solo di Hieronymus Bosch e dei suoi quadri ricchi di elementi dettagliati immersi in una natura fantastica. Leggendo l’articolo in cui si fa riferimento alla mostra di Palazzo Albergati a Bologna, ho per la prima volta avuto modo di conoscere l’arte della famiglia Brueghel, cominciando da Pieter Brueghel il vecchio che, sicuramente influenzato da Bosch, ha saputo riprodurre l’attenzione tipicamente fiamminga per il paesaggio. Le sue opere raccontano la vita di tutti i giorni e gli scenari da lui prediletti sono i paesaggi innevati e le feste contadine.
    Anche suo figlio il giovane, prediligeva rappresentare scene di vita quotidiana e paesaggi ma, a differenza del padre, puntava più che altro a rendere i suoi quadri vivaci. il Vecchio non temeva la rappresentazione del brutto che serviva per rendere i suoi dipinti più realistici grazie anche alla minuzia dei dettagli; il giovane invece mancava di precisione ed era più attento a dipingere opere che potessero risultare commerciabili. All’interno della stessa famiglia di artisti che oltre al vecchio e al giovane ne annovera altri, si può notare un cambiamento sia dal punto di vista creativo che qualitativo, nonostante il mantenimento di uno stesso stile. Trovo molto interessante l’uso del concetto di ” capolavoro” . una persona si aspetta, sentendo questo termine, di trovarsi di fronte ad un’opera di una bellezza assoluta, che lasci il pubblico senza fiato, ma “capolavoro” può essere definito anche qualcosa che, pur non mostrando la bellezza , anzi talvolta mettendo in risalto proprio il brutto, racconti e rappresenti la realtà. Probabilmente solo le opere di Brueghel il vecchio possono essere considerate dei capolavori e purtroppo le più rilevanti non erano esposte alla mostra di Bologna ma, nonostante questo, non si devono trascurare quelle presenti che comunque raccontano e riconoscono la storia della famiglia Brueghel e del contributo che essa ha dato alla pittura fiamminga e alla fine storia dell’arte europea.

    Rispondi
  26. tb   6 Gennaio 2024 at 11:55

    L’articolo offre un’approfondita analisi critica delle opere esposte, concentrandosi sulle figure chiave della dinastia artistica.
    La riflessione sulla definizione di “capolavoro” e “canone d’eccellenza” aggiunge un elemento interessante all’analisi, mettendo in discussione il modo in cui tali concetti possono variare nel tempo e nelle diverse prospettive degli osservatori.
    La famiglia Brueghel è stata una dinastia di artisti fiamminghi che ha lasciato un’impronta significativa sulla pittura del XVI e XVII secolo. I membri più noti della famiglia sono Pieter Brueghel il Vecchio, suo figlio Pieter Brueghel il Giovane e altri discendenti.
    Pieter Brueghel il Giovane è stato un pittore fiammingo noto per le sue opere che raffigurano scene di vita quotidiana, paesaggi e opere satiriche.
    “La Festa del Villaggio” che rappresenta una vivace scena di festa popolare, È un esempio tipico del suo stile, che spesso incorpora elementi di umorismo e dettagli intricati per descrivere la vita quotidiana.
    “Il Paradiso Terrestre” combina dettagli naturalistici con elementi fantastici, riflettendo l’interesse dell’epoca per la natura e il simbolismo religioso.
    Pieter Brueghel il Giovane ha lavorato in un periodo in cui l’arte fiamminga stava vivendo un periodo di transizione.
    Un suo contemporaneo fu Pieter Paul Rubens (1577-1640), uno dei più grandi pittori fiamminghi dell’epoca barocca. La sua arte si caratterizza per i dipinti monumentali, spesso con soggetti mitologici, storici o religiosi.
    La famiglia Brueghel ha influenzato profondamente la pittura fiamminga, contribuendo allo sviluppo di nuovi generi pittorici e mantenendo una tradizione artistica che si è estesa per diverse generazioni. L’eredità della famiglia Brueghel ha avuto un impatto duraturo sulla pittura europea del periodo barocco che ha continuato la tradizione artistica.

    Rispondi
  27. Luigi Pezzella Laba   7 Gennaio 2024 at 11:38

    Il testo, riflettendo sulla definizione del termine “capolavoro”, offre una prospettiva critica che può essere applicata agli esempi forniti riguardanti le opere della famiglia Brueghel. La critica sottolinea che il termine “capolavoro” dovrebbe essere riservato a opere eccezionali e profonde, in grado di evocare qualcosa di significativo e di resistere al passare del tempo. Nel contesto delle opere dei Brueghel, soprattutto quelle di Pieter Brueghel il Vecchio, la riflessione sulla definizione di “capolavoro” potrebbe sollevare interrogativi sulla qualità delle loro produzioni. Opere come “Il trionfo della morte” o “La grande torre di Babele” di Pieter Brueghel il Vecchio, citate nel testo, possono essere valutate attraverso questa lente critica. Si potrebbe discutere se queste opere soddisfino i criteri di profondità e durabilità. Hanno la capacità di offrire un’esperienza emotiva e intellettuale che vada oltre alla sola maestria tecnica? Possono resistere alla prova del tempo, mantenendo la loro importanza e provocando riflessioni anche oggi? L’analisi potrebbe estendersi alle opere dei discendenti della famiglia Brueghel, come Pieter Brueghel il Giovane, evidenziando se le loro produzioni riescono ad andare oltre l’imitazione dei predecessori, se riescono a innovare e a mantenere un significato intrinseco nel contesto artistico più ampio. In sinteti, la riflessione sulla definizione di “capolavoro” offre uno strumento critico per esaminare in modo più approfondito le opere della famiglia Brueghel, e non solo, valutandone la profondità, l’originalità e la durabilità nell’ambito dell’arte.

    Rispondi
  28. Lucia Matilde   7 Gennaio 2024 at 14:16

    Dai miei trascorsi scolastici ho memoria dei due pittori fiamminghi, Bruegel il Vecchio e Bruegel il Giovane, soprattutto della tela “Cacciatori nella neve” di Pieter Bruegel il Vecchio, il quale ha raccontato spesso nei suoi quadri della semplice vita contadina con i suoi rituali, come il lavoro nei campi, la caccia, le feste, i giochi e le danze: le sue opere offrono a chi le guarda la possibilità di conoscere una cultura ormai oggi scomparsa.

    Nell’articolo vengono messi in contrapposizione i due pittori attraverso l’analisi di due quadri, “Danza nuziale all’aperto” di Pieter Bruegel il Giovane e “Nozze contadine” del Vecchio, che rappresentano però lo stesso tema: l’autore non nasconde la predilezione nei confronti di Bruegel il Vecchio e ci invita ad osservare la “regolazione” pittorica più precisa e armoniosa che emerge nel Vecchio.
    La percezione dell’autore dell’articolo sembra quella che il Giovane sia stato fuorviato dagli interessi del commercio e che quindi, oltre a emulare il suo predecessore, non sia stato in grado di evolversi e di dare un’impronta più personale alle sue opere.

    Personalmente trovo che l’apprezzamento dell’autore nei confronti del capostipite sia giustificato: ritengo che sia un pittore capace di trasmettere, tramite la sua tecnica pittorica, la verità del popolo e del periodo, dove coesistevano classi sociali ben distinte: chi beveva e festeggiava e chi pativa la fame.

    Penso sia assolutamente interessante il concetto di capolavoro espresso nell’articolo, poiché un capolavoro non è tale solo in quanto opera eccelsa nel tratto grafico ma nel momento in cui riesce a toccare corde più profonde.
    Proprio per questo, ritengo anche io, come l’autore, che sia stato impropria o perlomeno superficiale, la scelta di definire “capolavori” i quadri inseriti nella mostra di Bologna del 2015.

    Rispondi
  29. Achille   7 Gennaio 2024 at 14:43

    L’articolo offre una visione critica e riflessiva sulla mostra dedicata alla famiglia Brueghel, in particolare a Pieter Brueghel il Vecchio poiché capostipite della dinastia, presso Palazzo Albergati a Bologna. L ‘autore mette in luce le dinamiche artistiche e stilistiche che hanno caratterizzato i vari membri della dinastia fiamminga, con particolare attenzione all’opera di Pieter Brueghel il Giovane, il successore P.B. il vecchio.
    Personalmente, condivido l’approccio critico dell’autore riguardo all’etichettatura delle opere come “capolavori”: al giorno d’oggi si tende ad utilizzare termini senza conoscerne concretamente il significato.
    La riflessione sull’approccio visivo del Giovane rispetto alla qualità pittorica evidenzia un punto interessante sulle differenze stilistiche all’interno della stessa famiglia artistica.
    La panoramica storica fornita nel testo, collegando l’evoluzione dell’arte fiamminga a stili successivi in Olanda e in Inghilterra, offre una prospettiva ampia e approfondita sulle influenze e l’eredità della dinastia Brueghel nell’ambito artistico europeo.
    La delusione dell’autore per la mancanza di opere straordinarie di Brueghel il Vecchio nella mostra è comprensibile, poiché la presentazione di “capolavori” dovrebbe essere supportata da opere che suscitano un impatto significativo e duraturo, le quali,in qualche modo, evocano un qualcosa di profondo nell’osservatore/lettore. Con questo articolo l’autore vuole sottolineare quanto sia importante scegliere con attenzione il titolo per le mostre e l’esposizioni, in modo che rispecchino accuratamente il contenuto e le aspettative del pubblico e di conseguenza far sì che l’osservatore possa godere di una piacevole esperienza.
    Nonostante prima della lettura dell’articolo non ero a conoscenza di Pieter Brueghel Il Vecchio, tanto meno della famiglia Brueghel, trovo in lui un pittore affascinante che, grazie alla sua particolare attenzione nella rappresentazione della quotidianità: Scene di villaggi, feste popolari, paesaggi rurali… , suscita in me curiosità per la quotidianità del XVI secolo.

    Rispondi
    • Nicolò LABA   7 Gennaio 2024 at 22:59

      Sono d’accordo con te sulla necessità di evitare un uso eccessivo di etichette come “capolavori” senza una comprensione chiara dei criteri di valutazione. Condivido la tua preoccupazione sulla superficialità con cui talvolta vengono applicati tali termini senza una base solida.
      La tua analisi delle differenze stilistiche tra Pieter Brueghel il Vecchio e il Giovane è interessante, ma avrei gradito un approfondimento su quali specifici elementi visivi abbiano catturato la tua attenzione. Questo avrebbe reso la tua critica più dettagliata e avrebbe contribuito a una comprensione più approfondita della dinastia Brueghel.
      Tuttavia, ho notato che la tua riflessione storica sul collegamento dell’arte fiamminga a stili successivi in Olanda e in Inghilterra è stata un po’ sommaria. Avrei apprezzato maggiori dettagli su come ritieni che gli stili successivi abbiano assorbito o respinto l’influenza della famiglia Brueghel.
      Infine, concordo sul fatto che la delusione dell’autore per la mancanza di opere straordinarie di Brueghel il Vecchio nella mostra è comprensibile. Tuttavia, avrei voluto conoscere meglio la tua opinione personale su come avresti gestito la selezione delle opere per una mostra di questo genere.
      In generale, il tuo commento è informativo e ben articolato, ma con alcune aggiunte e approfondimenti potrebbe diventare ancora più esaustivo.

      Rispondi
  30. Francesco Giacomucci LABA   7 Gennaio 2024 at 18:01

    In questo articolo ho sentito per la prima volta nella mia vita parlare della famiglia Brueghel che è stata una dinastia di pittori fiamminghi attiva tra il XVI e il XVII secolo. Così ho avuto il piacere di conoscere e studiare la dinastia artistica dei Brueghel ma anche di scoprire l’evoluzione artistica generata dal passaggio di testimone tra i vari componenti della famiglia e anche un viaggio attraverso le tappe cruciali della pittura fiamminga. Dopo l’eccellente Pieter Brueghel il Vecchio, l’eredità è passata di mano in mano, portando gli eredi a porsi una domanda cruciale ovvero ad affrontare il dilemma dell’innovazione contro l’imitazione. L’ipotesi che la scelta di perseguire un’arte più redditizia possa riflettere una sorta di timore nel tentativo di superare il capostipite è intrigante. La storia dell’arte è costellata da dinamiche complesse e una mia ipotesi è che in termini artistici la loro incapacità di andare oltre all’operato del capostipite potrebbe essersi il fatto che una volta che si ha un maestro di questa portata, è forse meno faticoso e più conveniente imitarlo che superarlo e la tensione tra creare un proprio percorso e seguire le orme di un maestro di fama è una sfida comune.
    La mostra “Brueghel, capolavori dell’arte fiamminga” con il suo titolo abbastanza accattivante potrebbe essere un tentativo di attirare il pubblico perché per quanto raccontato nell’articolo le opere esposte vengono considerate all’altezza di essere proclamate capolavori, penso sia un qualcosa di leggermente esagerato, anche se ha esaltato il valore della carriera di Pieter Brueghel il Vecchio e del suo stampo artistico.

    Rispondi
  31. Arianna Filippucci   7 Gennaio 2024 at 18:50

    Ho trovato l’articolo piuttosto interessante, perché riesce a delineare i tratti caratteristici dell’arte fiamminga attraverso la descrizione artistica della famiglia Brueghel.
    Nella Pittura fiamminga affiora un elevato livello di espressione per tutto ciò che riguarda la vita quotidiana, infatti vengono rappresentati paesaggi rurali e scene di festività di campagna.
    La pittura fiamminga è il fulcro delle opere rappresentante dalla gerarchia Brueghel; trovo intrigante il fatto che ciascun membro della famiglia offre una propria interpretazione, ciò permette ad ognuno di loro di distinguersi per merito della propria unicità.
    Pieter Brueghel il Vecchio è conosciuto per la rappresentazione di soggetti appartenenti alla società contadina e per la sua capacità di far emergere la dolorosa realtà della vita di campagna mostrando una particolare attenzione ai dettagli.
    Brueghel il Vecchio, tramite le sue note opere “Cacciatori nella neve” e “Il trionfo della morte”, offre una riflessione psicoanalitica sull’umanità, poiché l’arte ha sempre attribuito al concetto di “capolavoro” e di “bello” tutte quelle opere che rappresentano la bellezza assoluta dell’uomo nella sua perfezione, ma non l’espressione della sua interiorità, ed è proprio per quest’ultimo motivo che le opere di Brueghel vanno ammirate, ho sempre ritenuto che la bellezza di un opera si trova quando l’artista pone una profonda riflessione sulle condizioni sociali o psicologiche dell’umanità, è possibile realizzare ciò solo attraverso una rappresentazione realistica.
    Brueghel il Giovane segue la stessa corrente artistica di Brueghel il Vecchio, ma a sua differenza mostra un approccio più vivace nella composizione dei soggetti e soprattutto mostra una mancanza di dettagli ben accurati e precisi.
    Entrambi gli artisti decidono di rappresentare le stesse tematiche ma con approcci diversi, ed è proprio la metodologia con cui decidono di far emergere i messaggi delle loro opere che li differenzia tra loro, Brueghel il Vecchio ammirato per la riflessione profonda sulle condizioni della vita contadina, mentre Brueghel il Giovane mostra una maggior attenzione sul perfezionamento delle tecniche artistiche nonostante i dettagli non siano così accurati.

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  32. Gabriele Brilli LABA   7 Gennaio 2024 at 19:03

    Pieter Brueghel il Vecchio, un maestro fiammingo del XVI secolo, ha lasciato un’impronta indelebile nella storia dell’arte con la sua straordinaria abilità nel dipingere scene di vita quotidiana e paesaggi intricati. La sua opera è caratterizzata da una profonda osservazione della natura umana e da una raffinata attenzione ai dettagli.

    Brueghel è famoso per i suoi dipinti che ritraggono la vita rurale e le festività popolari, spesso popolate da una moltitudine di figure, ciascuna con una storia da raccontare. La sua abilità nel catturare la complessità delle interazioni umane e nel trasmettere un senso di realismo attraverso la sua pittura dettagliata è davvero straordinaria.

    Uno degli aspetti distintivi del lavoro di Brueghel è la sua maestria nell’uso del colore e la sua capacità di creare profondità attraverso l’uso sapiente della prospettiva. I suoi paesaggi sono spesso caratterizzati da una vastità di dettagli, che offrono uno sguardo approfondito nella vita quotidiana del suo tempo.

    La sua eredità artistica è sopravvissuta attraverso i secoli, ispirando numerosi artisti successivi. Brueghel il Vecchio ha contribuito in modo significativo alla pittura fiamminga e europea nel suo complesso, lasciando dietro di sé un ricco patrimonio artistico che continua a essere ammirato e studiato ancora oggi.
    Da un mio personale punto di vista ritengo che alcune delle opere di Brueghel debbano ricevere una particolare attenzione come ad esempio: “La grande torre di Babele” (Kunsthistorisches Museum, Vienna).
    In questo dipinto, Brueghel raffigura la costruzione della Torre di Babele, cercando di affrontare un tema biblico.
    La scena è ricca di dettagli e mostra una varietà di personaggi e situazioni, alcuni dei quali potrebbero richiamare le visioni surreali di Bosch.
    La struttura architettonica intricata e il caos umano nel dipinto possono essere interpretati come un omaggio stilistico a Bosch.
    Dal mio punto di vista infatti penso che Brueghel possa aver preso ispirazione da Bosch in alcuni aspetti ma è comunque importante notare che i due artisti hanno generalmente seguito percorsi artistici distinti.
    Bosch è noto per il suo mondo fantastico e simbolico, mentre Brueghel si è concentrato sulla vita quotidiana e sul realismo.
    Infine concludo soffermandomi su una delle opere a parer mio più iconiche della pittura di Brueghel ovvero “i Cacciatori nella neve”.
    La tavola, realizzata nel 1565, è una celebrazione visiva delle sfumature e delle contraddizioni dell’esistenza umana, un capolavoro che si staglia nell’immaginario collettivo.
    La prima cosa che cattura lo sguardo è il maestoso paesaggio innevato, una vastità silenziosa che abbraccia tutto l’orizzonte. Brueghel ha dipinto con abilità la bellezza austera dell’inverno, con i rami degli alberi carichi di neve che si stagliano contro un cielo grigio ma vibrante. La luce delicata riflessa sulla neve crea una sensazione di purezza e tranquillità, una tavolozza di bianchi e azzurri che cattura l’essenza pacifica della stagione.
    Il centro dell’attenzione è occupato da un gruppo di cacciatori che rientrano da una giornata di caccia. Brueghel li rappresenta con maestria, ciascun personaggio distinto e caratterizzato in modo unico. I cacciatori, avvolti in spessi mantelli, avanzano stanchi ma soddisfatti, i loro cani fedeli al seguito. Il loro volto riflette la fatica della giornata, ma anche la soddisfazione di un compito compiuto. Questi dettagli anatomici e espressivi sottolineano la maestria di Brueghel nel ritrarre la complessità delle emozioni umane.
    Nella parte anteriore del dipinto, un gruppo di contadini si raduna attorno a un fuoco acceso, cercando riparo dal freddo pungente. Le figure si svelano con sorprendente dettaglio, ognuna con una storia da raccontare. Brueghel dimostra la sua abilità nel catturare la vita quotidiana con un realismo straordinario: i contadini discutono, ridono e si scaldano attorno al fuoco, mentre uno di loro versa il contenuto di un secchio nella neve, forse un gesto simbolico di quotidiana umanità.
    La composizione generale è ricca di piccoli dettagli che catturano l’immaginazione. Sul lato destro, una taverna si staglia contro il paesaggio innevato, con fumi che si alzano dal camino e la presenza di individui all’interno che lascia intravedere la vita sociale dell’epoca. Un mulino a vento si erge solitario sulla collina, simbolo di progresso e stabilità nella vastità invernale. Questi elementi contribuiscono a creare una narrazione visiva complessa, in cui ogni dettaglio è un tassello che si aggiunge alla ricca trama dell’opera.
    Brueghel ha anche inserito elementi simbolici che aggiungono profondità concettuale al dipinto. Sul lato sinistro, una pista per slittini scivola lungo una collina. Questo elemento può essere interpretato come una metafora della vita umana, con la discesa rappresentante il percorso inevitabile verso la vecchiaia e la morte. Tuttavia, la scena nel complesso non è priva di speranza: i cacciatori, nonostante il freddo e la fatica, tornano a casa, simboleggiando il ciclo eterno della vita e della natura.
    “I Cacciatori nella neve” è una pietra miliare nell’evoluzione dell’arte fiamminga. Brueghel il Vecchio ha fuso il realismo dettagliato con la poesia visiva, creando un dipinto che va al di là della mera rappresentazione di una scena invernale. L’opera è un affresco della condizione umana, un’invocazione visiva della complessità della vita e delle stagioni, immortalata con la maestria di un artista che ha saputo catturare l’essenza del suo tempo in un’opera senza tempo.

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  33. Alessio Ponzetto   7 Gennaio 2024 at 20:45

    Partirei dicendo che apprezzo molto l’articolo sull’arte fiamminga riguardo la famiglia Brueghel da me fino ad ora sconosciuta.
    L’analisi effettuata dal professore riguardo la famiglia Brueghel il quale non tralascia nessuno, men che meno il figlio Pieter Brueghel il Giovane.
    Apprezzo dunque il non trascurare il figlio del capostipite, menzionando le sue opere di continuazione stilistica del padre.
    Il Vecchio Brueghel rappresentava persone ubriache e contadini al fine di farci riflettere sull’umanità, mentre il figlio pur proseguendo nel genere stilistico tendeva a rinnovarlo con più energia e mirando maggiormente all’approvazione dello spettatore tralasciando però l’innegabile qualità del Vecchio attento ai particolari.
    Come spesso succede dopo un Grande, difficilmente il successore riesce ad ottenere lo stesso peso e considerazione.
    Anche in questo caso ne abbiamo avuto la conferma.

    Osservando il quadro sulla natura morta del Vecchio mi ha evocato immediatamente i Capolavori della natura morta di Caravaggio dipinti all’incirca nello stesso periodo.
    Detto questo mi collego al termine “capolavoro”, concordando pienamente con l’idea del professore sul fatto che i dipinti e i lavori della famiglia Brueghel siano di ottima qualità e fattezza ma a mio avviso distanti dal termine capolavoro.
    Il capolavoro per me non è solo maestria nell’eseguire un’opera, è soprattutto emozione allo stato puro che evoca nello spettatore.

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  34. Giulia Monti Laba   7 Gennaio 2024 at 22:26

    La famiglia Brueghel ha esercitato un’influenza duratura sull’arte fiamminga ed europea, lasciando un’impronta indelebile nella storia dell’arte. È nota per aver prodotto alcuni dei pittori più rinomati dell’epoca. Pieter Brueghel il Vecchio, capostipite della dinastia artistica, è celebre per le sue vivide e dettagliate rappresentazioni della vita contadina e rurale. Suo figlio, Pieter Brueghel il Giovane, ha seguito le sue orme artistiche continuando il suo lavoro e ampliando il suo repertorio. Brueghel il Vecchio è celebre per le sue opere in cui la ricchezza dei dettagli e la capacità di catturare l’essenza dell’umano rendono i suoi dipinti senza tempo. La sua influenza sull’arte fiamminga ed europea è stata significativa, e la sua eredità artistica continua a ispirare e affascinare gli amanti dell’arte in tutto il mondo.
    Nell’articolo la riflessione sul concetto di “capolavoro” è piuttosto interessante. L’arte deve essere valutata e apprezzata per le sue qualità tecniche e per i suoi concetti più profondi. Fare una ricerca di un’opera poco riconosciuta è importante per ammirarne e conoscerne meglio il significato. Perciò, è significativo fare un’analisi critica e, in questo caso, riusciamo a comprendere l’arte della famiglia Brueghel.

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  35. eros laba   11 Gennaio 2024 at 13:52

    La famiglia Brueghel fu fondamentale per lo sviluppo dell’arte fiamminga, ogni componente aveva uno stile e un modo di rappresentare la realtà ben diverso. Quello che però mi ha colpito di più sono state le scene di vita quotidiana (slice of life), che rappresentano le persone di tutti i giorni, come per esempio in ‘’Danza nuziale all’aperto’’. Possiamo vedere da dentro una semplice festa di nozze e percepire la felicità e il contesto di divertimento ritratto. Tutto la tela è riempita di persone che si divertono, facendole diventare la parte più importante quasi escludendo il paesaggio, questo perché Brueghel voleva dimostrare il suo amore per quel tipo di ambienti e contesti. In conclusione, la famiglia Brueghel è riuscita a diventare una figura principale dell’arte fiamminga passandosi di generazione in generazione le conoscenze e le tecniche artistiche.

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  36. Cecilia LABA   3 Giugno 2024 at 23:53

    Durante il mio percorso scolastico, ho approfondito la conoscenza dei pittori fiamminghi Pieter Bruegel il Vecchio e Pieter Bruegel il Giovane. In particolare, “Cacciatori nella neve” di Bruegel il Vecchio mi ha colpito per la sua rappresentazione della vita rurale del XVI secolo. Questo pittore spesso raffigurava scene di vita contadina, come il lavoro nei campi, la caccia, le feste e i giochi, offrendo uno spaccato di una cultura ormai scomparsa.

    L’articolo confronta due opere: “Danza nuziale all’aperto” di Pieter Bruegel il Giovane e “Nozze contadine” del Vecchio, entrambe incentrate sul tema delle celebrazioni contadine. L’autore dell’articolo esprime una preferenza per Bruegel il Vecchio, evidenziando la sua maggiore precisione e armonia compositiva.

    Pieter Bruegel il Vecchio, noto anche come “Bruegel dei contadini” per la sua attenzione alla vita rurale, è considerato uno dei maggiori esponenti del Rinascimento fiammingo. Le sue opere sono apprezzate per il loro realismo e la capacità di catturare le condizioni sociali del tempo. Al contrario, suo figlio, Pieter Bruegel il Giovane, spesso riproduceva i dipinti del padre, ma con minore successo critico. L’autore dell’articolo suggerisce che Bruegel il Giovane fosse influenzato dagli interessi commerciali, il che limitava la sua capacità di sviluppare uno stile personale distintivo.

    Concordo con l’autore nell’apprezzamento per Bruegel il Vecchio, poiché riesce a trasmettere la realtà delle diverse classi sociali dell’epoca, dalle festività ai momenti di difficoltà. Questo sottolinea il concetto di capolavoro discusso nell’articolo: un’opera d’arte eccelle non solo per la sua tecnica, ma anche per la sua capacità di evocare emozioni profonde e di riflettere verità sociali e storiche.

    Infine, condivido l’opinione che definire “capolavori” i dipinti esposti nella mostra di Bologna del 2015 sia stato un atto superficiale, poiché un capolavoro dovrebbe essere riconosciuto per la sua capacità di toccare profondamente chi lo osserva, oltre che per la sua qualità tecnica.

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  37. Camilla C LABA   17 Settembre 2024 at 19:56

    La mostra a Palazzo Albergati a Bologna, che ha avuto luogo nel novembre 2015, offre un’opportunità unica per esplorare l’epopea artistica della famiglia Brueghel. Pur presentando una selezione piuttosto modesta dei lavori attribuiti ai suoi membri più celebri, l’esposizione si distingue per la sua capacità di ricostruire i passaggi di testimone artistico all’interno di questo prolifico clan. Tuttavia, il mio interesse e la mia riflessione su questa mostra si intrecciano con una certa delusione e scetticismo riguardo al termine “capolavori” utilizzato nella promozione. Nonostante la mostra non possa vantare le opere più note e celebri di Pieter Brueghel il Vecchio, il suo valore risiede nella presentazione di una vasta gamma di artisti che hanno contribuito a un lungo percorso di evoluzione artistica. La selezione include opere di vari membri della famiglia e dei loro collaboratori, rivelando l’evoluzione e le sfumature del loro stile, da Pieter il Vecchio al più recente Abraham Brueghel. Tuttavia, mi sembra che l’esposizione non riesca a rispecchiare pienamente la qualità e l’innovazione che ci si aspetterebbe da una rassegna dedicata ai “capolavori” della pittura fiamminga. Le opere di Pieter Brueghel il Giovane, così come quelle di altri artisti esposti, pur essendo tecnicamente raffinate, non riescono a eguagliare la forza espressiva e la profondità dei veri capolavori. Le nature morte e i paesaggi invernali presentati, sebbene ben realizzati, non raggiungono il livello di innovazione e incisività dei lavori del capostipite Pieter Brueghel il Vecchio, il cui stile unico e l’approccio dettagliato alla rappresentazione del mondo contadino e delle sue contraddizioni rimangono ineguagliati.
    È evidente che, mentre la mostra offre una panoramica preziosa e interessante della famiglia Brueghel, il titolo stesso potrebbe indurre in errore. I capolavori, come ad esempio “Il trionfo della morte” o “La grande torre di Babele”, sono opere che vanno oltre la mera abilità tecnica, evocando una riflessione profonda e una risposta emotiva nel pubblico. Le opere esposte a Bologna, pur essendo di grande mestieri, non sempre raggiungono tale intensità. In definitiva, mentre la mostra di Palazzo Albergati merita attenzione per il suo tentativo di esplorare l’evoluzione di una dinastia artistica e per la sua offerta di piacere visivo, è importante mantenere una prospettiva critica. La qualità e l’originalità dei veri capolavori dei Brueghel, così come il loro impatto storico e culturale, sono difficili da replicare. È quindi fondamentale apprezzare l’esposizione per ciò che è (una finestra su un’importante tradizione artistica) senza lasciarsi trarre in inganno dalla promessa di “capolavori” che, in questo caso, può sembrare più una scelta promozionale che una riflessione accurata sull’arte in mostra.

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  38. Giulia Barbieri LABA   30 Settembre 2024 at 13:37

    La famiglia Broughel è una famiglia dove è giusto soffermarsi un po’, in quanto hanno lasciato un piccolo segno nell’arte fiamminga. Pieter, il Vecchio è diventato celebre per le sue vivide e dettagliate scene di vita contadina, lasciando un segno ben marcato nella storia dell’arte, ispirando ancora oggi tanti appassionati. Il figlio, Pieter, il Giovane, invece segue le orme del padre lasciando un segno meno marcato.
    Infine, vorrei appoggiare le argomentazioni riguardanti il tema del “capolavoro”, concordo col dire che l’arte deve essere valutata per la qualità e per i concetti profondi espressi, per questo credo che non tutte le opere d’arte possono essere considerate capolavori soltanto perché dimostrano grande maestria, devono trasmettere anche concetti più profondi.

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