Ananke. L’elegia tragica di Claudio Romano ed Elisabetta l’Innocente

Un post-apocalittico anomalo, innervato da sfumature gotiche e da toni elegiaci.

Presentato la scorsa Estate alla 51° edizione della Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro, e nella sezione Spazio Italia alla 15° edizione del Trieste Science + Fiction, il folgorante esordio di Claudio Romano, Ananke, ha conquistato il Premio come Miglior Film il 28 novembre scorso al Festival di Assisi. Scritto a quattro mani dal cineasta esordiente e da Elisabetta L’Innocente, Ananke, prodotto da Gianluca Arcopinto e Kio Film, è stato girato in 16 mm nella pittoresca cornice di un paesino dimenticato immerso nei monti della Laga in Abruzzo. Qui è filmata l’odissea anti-epica di una coppia di amanti – l’artista performer Marco Casolino e la scrittrice Solidea Ruggiero – superstiti di una tragedia apocalittica che ha decimato la quasi totalità della popolazione.

Scampati alla tristezza virale che ha contagiato gli esseri umani portandoli al suicidio, i due si rifugiano in una scalcinata e fatiscente dimora bagnata da una pioggia perenne e appena rischiarata dalla luce che filtra dalle finestre. Con loro vi è un’unica, semplice creatura, una capretta che li rifornisce di latte fresco e che tiene loro compagnia nell’autunno dell’esistenza. Alla fine della vita non è possibile, per i dolenti protagonisti del film, alcun ricongiungimento affettivo o pulsionale nel mondo sconvolto dalla pandemia in cui domina un silenzio “assordante”, spezzato dallo scrosciare dell’acqua e dalle frequenze disturbate di una radio abbandonata.

Fuori campo risuonano come un mantra le parole della donna che descrivono lo sfacelo a cui sta andando incontro il pianeta terra, mentre il francese, lingua scelta per gli sparuti dialoghi, armonizza con la sua dolcezza il silente requiem distopico, carico di una rabbia trattenuta, inespressa ma non per questo assente. L’angoscia sartriana secondo cui “l’enfer, c’est les autres” permea la natura circostante e la solitudine ineluttabile a cui è costretto l’uomo per non morire.

ANANKE: IL DRAMMATICO FILM DI CLAUDIO ROMANO

Ananke è senza dubbio un post-apocalittico anomalo, innervato da sfumature gotiche  e da toni elegiaci che immergono gli attori in una messa in scena claustrale. Sprofondati in un galleggiamento esiziale che intorpidisce sensi e anima, i due si destano solamente al richiamo degli uccelli nel bosco o quando sentono il campanello attaccato al collo della capretta.

Un suono che sveglia le coscienze e i corpi atrofizzati e che richiama ad una vita primordiale. Ananke è dunque vita, vitalismo panico che assolve alle funzioni primarie delle divinità: nutrizione e protezione della specie. Il carpe diem post-umano, tratteggiato recentemente da Sabu in chiave “ritornante” con Miss Zombie, ha lo stesso afflato tragico da rigoroso dramma da camera, e lo stesso bianco e nero che “distrugge” i colori della vita e dei sentimenti per rifondare l’esistenza con l’annientamento.

Con coraggio e determinazione Claudio Romano ed Elisabetta L’Innocente regalano agli spettatori una rilettura crepuscolare della cosmogonia orfica, costruendo su un’impalcatura mitologica essenziale, una “stanza”, intesa sia come strofa di un immaginario poema sul taedium vitae, tanto come grembo infetto in cui è dispiegato un lirismo gotico e spettrale. Chiudiamo la nostra analisi con un sentito augurio allo struggente Ananke, sperando possa continuare ad illuminare con la sua luce malinconica proiettata tra sonno e veglia tantissimi altri spettatori.

Vincenzo Palermo

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