L’ Art Déco raccontata attraverso i meravigliosi anni ruggenti italiani

L’ Art Déco raccontata attraverso i meravigliosi anni ruggenti italiani

FORLÌ – Un evento da segnare in agenda questa mostra ai Musei San Domenico (fino al 18 giugno 2017) Art Déco, Gli anni ruggenti in Italia. Una ricchissima esposizione di 440 opere tra dipinti, sculture, litografie, complementi d’arredo dove sarà facilissimo perdersi…

Cinema, stazioni ferroviarie, palazzi, teatri, treni, transatlantici, cartelloni pubblicitari, automobili, suppellettili, tessuti, tele e ceramiche: tutto, nel periodo compreso tra il primo dopoguerra e la crisi del ’29, sembrava essere influenzato dall’Art Déco, formula nata dall’abbreviazione di “Arts Décoratifs”, discipline alle quali nel 1925 venne dedicata l’Esposizione universale di Parigi. Gli anni ruggenti furono quelli che videro la borghesia, segnata dalla disgregazione dei miti ottocenteschi, alla ricerca del lusso sfrenato, della bellezza frivola e del clamore mondano. Curata da Valerio Terraroli e diretta da Gianfranco Brunelli, la mostra incredibilmente esaustiva svela l’importanza che le arti decorative moderne hanno avuto nella cultura artistica italiana, e non solo, e ricerca gli elementi dell’Art Déco anche nelle arti figurative quali la pittura e la scultura.

Ad accogliere il visitatore all’ingresso della mostra l’atmosfera onirica di Notte d’estate di Luigi Bonazza e le tinte turchesi di Busto femminile con scialle di Gigi Supino e Gio Ponti. Il primo raffigura una donna in piedi bendata da un drappo rosso, Orfeo che ammalia delle tigri con un violino, due sagome marmoree che nella parte superiore della tela si abbracciano e un vaso trasparente che contiene una rosa bianca; il secondo rappresenta una donna dalla carnagione chiara in cui la fantasia delle vesti predomina sulla plasticità del suo corpo. Queste e le altre opere della prima parte dell’esposizione mostrano magistralmente come, terminati gli anni ’10, il linguaggio artistico internazionale smise d’ispirarsi alla natura e cominciò a rubare alcuni elementi al Futurismo, mescolando ad una grafica lineare tratti dei bassorilievi egizi e della scultura arcaica greca riletta dalle Secessioni, e all’Espressionismo, ricorrendo all’uso di un colore antinaturalistico privo di sfumature. Nel lungo corridoio che apre la mostra, una serie di sculture attira a sé l’attenzione del pubblico: tra le opere esposte quelle di Adolfo Wildt (come l’enigmatico volto in bronzo sospeso nell’aria intitolato L’anima dei padri) dimostrano quanto la forza espressiva del dettaglio abbia peso. Le opere di Felice Casorati, Arturo Martini e Ie semplificazioni arcaicizzanti di Ivan Meštrović arricchiscono questa primissima parte del percorso che sarebbe stato di maggiore fruibilità se le sculture non fossero state addossate alla parete impedendo di poterle ammirare a tutto tondo.

Gio Ponti
Gio Ponti, La conversazione classica, 1925, maiolica, Sesto Fiorentino, Museo Richard-Ginori della Manifattura di Doccia

Lungo il corridoio che apre l’esposizione si diramano diverse stanze, la prima, contenente la sezione “La forza del colore”, custodisce un pannello del ciclo Le Mille e una notte pensato nel 1914 per l’Hotel Terminus di Venezia. L’opera, realizzata in stile Liberty da Vittorio Zecchin, prende spunto dai mosaici bizantini e dalla tecnica pittorica di Klimt ma la sua geometria e l’evocazione di atmosfere lontane lasciano intravedere il nascente gusto Déco. Le altre piccole sale vicine riassumono bene ciò che furono le Biennali Internazionali delle arti decorative organizzate nella Villa Reale di Monza tra il 1923 e il 1930: arredi, vetri, ceramiche, sculture e arazzi rappresentano solo una minima parte della merce che, esposta durante la manifestazione, dava la possibilità agli industriali e ai produttori di esibire, con innovativi allestimenti affidati ad artisti e architetti, i loro prodotti al pubblico. A testimoniare ciò le parole che Carlo Carrà scrisse nel 1923 “Io ebbi la sensazione che a Monza facesse perno lo spirito estetico dell’Europa vivente”. In questa sezione di Art Déco. Gli anni ruggenti in Italia spiccano Lizzana e Danza di diavoli, realizzati attraverso l’assemblaggio di panni colorati da parte di Fortunato Depero, le maioliche ad archi, corde e grottesche di Gio Ponti e la Coppia di Levrieri di Libero Andreotti. Proseguendo il percorso i tessuti realizzati da Guido Ravasi introducono un altro importante focus che caratterizza l’Art Déco, quello della convivenza tra l’idea di pezzo unico e raffinato e la necessità di rendere disponibili gli oggetti pregiati ad un ampio bacino di consumatori. Le preziose stoffe di Ravasi, quella porpora con i Pappagalli, quella dorata con i Cavallucci di mare e quella dalle tinte scure della Baccante e maschera di Dioniso, sono infatti alcuni degli articoli pregiati prodotti dalle sue Industrie Seriche Nazionali che, fondate nel 1912, s’imposero a livello internazionale. Dalle tecniche usate e dall’industria si passa all’architettura Déco: tra i suoi diversi esponenti voglio ricordare Piero Portaluppi che, ispirandosi alla ritmicità del Rococò e al fascino orientale in veste secessionista, ci ha lasciato numerosi suoi studi preparatori impeccabilmente dettagliati e capaci di integrare l’architettura alla decorazione (basti pensare alla Centrale idroelettrica di Crego e allo Studio per il grattacielo S.K.N.E. di New York che però non venne mai costruito).

Turandot
Leopoldo Metlicovitz, Turandot, 1926, litografia a colori, Milano, Archivio Storico Ricordi

Il piano terra della mostra riserva ancora innumerevoli sorprese come le numerosissime litografie che promossero il turismo, i prodotti commerciali e le rappresentazioni teatrali, come le tantissime opere influenzate dal mito dell’Oriente (due esempi sono il cartellone di Leopoldo Metlicovitz per la Prima della Turandot alla Scala di Milano e i deliziosi bozzetti di Umberto Brunelleschi per i costumi della stessa opera che non furono mai realizzati), come i complementi d’arredo del treno di lusso Côte d’Azur Pullman Express di René Prou (autore anche degli interni del leggendario Orient Express), e come la mitica Isotta Fraschini datata 1931, automobile personalizzata per Gabriele D’Annunzio che guidandola raggiungeva i 150 Km/h.

Piccola russa
Mario Cavaglieri, Piccola russa, 1919-20, olio su tela, collezione privata

Una volta saliti al piano superiore dei Musei San Domenico, prima di accedere alla Pinacoteca, la forma modernizzata di una grande otre in maiolica rapisce prepotentemente l’attenzione; parliamo de La casa degli Efebi di Gio Ponti, un mélange tra forme architettoniche e figure umane immerse in un’atmosfera sospesa e misteriosa. L’artista appartiene ad una nuova generazione di architetti/designer di ambito milanese in cui il Déco viene espresso nella sua versione “neoclassica” e con questo vaso pregiato inaugura una sezione dedicata alle opere d’arte nate intorno al 1925, anno dell’Esposizione universale di Parigi. Ritratto del poeta Chechov di Arturo Martini immortala lo scrittore immerso nella malinconia, il capo infatti abbandona il suo peso su una mano non lasciando però percepire alcuna gravità. Il forte equilibrio della composizione ha fatto sì che la scultura in terracotta diventasse un modello per Gio Ponti che, riproducendo lo stesso atteggiamento di Checov in un Pellegrino stanco in maiolica, decretò lo sviluppo di un’opera che da unica diventò seriale. Degni di nota in questa sezione sono i dipinti Piccola russa di Mario Cavaglieri e l’elegantissimo Ritratto di Wally Toscanini di Alberto Martini: distesa lungo un fianco su un tessuto di velluto veneziano è dipinta l’affascinante figlia di Arturo Toscanini, in un abito di seta giallo che con un copricapo adornato di perle fa eco all’iconografia che caratterizza la regina di Saba.

Ritratto di Wally Toscanini
Alberto Martini, Ritratto di Wally Toscanini, 1925, pastello su carta, 131 x 204 cm, collezione privata

La nostalgia dell’antico e la ricerca della contemporaneità si possono riscontrare in molti pezzi qui esposti, come nell’olio su tela di Giorgio De Chirico, Combattimento di gladiatori, dove il mito dell’anfiteatro, luogo di lotte violente, viene ironicamente sovvertito trasferendo la dinamicità dei gladiatori nella staticità di una stanza. Un ruolo fondamentale è affidato anche al mondo animale e vegetale; il selvaggio, l’esotico e il lontano sono infatti linfa vitale per gli esponenti dell’Art Déco che pur riscontrando la crudeltà dei meccanismi della natura ne restano affascinati e intimamente sedotti. Basti pensare agli animali in bronzo di Sirio Tofanari e alle piante di vetro di Napoleone Martinuzzi. In Art Déco. Gli anni ruggenti in Italia ampio spazio viene poi dedicato all’universo femminile attraverso una serie di costumi esposti e alcuni significativi dipinti. La donna emancipata esibisce il corpo consapevole della propria sensualità nella Venere lattea e suadente dipinta da Rosario Pulvirenti, nella Galatea in bronzo di Amleto Cataldi, nelle donne sospese su corde e appoggiate su nuvole d’oro raffigurate nei piatti in maiolica Le mie donne di Gio Ponti e nelle due sorelle del quadro Raja ritratte in un dolce limbo tra realtà e sogno da Felice Casorati.

Raja
Felice Casorati, Raja, 1924-1925, tempera su tavola, collezione privata

Le ultime opere esposte ripercorrono la crisi del Déco in Italia e in Europa (dietro alla bellezza della regina di Saba di Ertè c’è il vuoto) e il suo prendere piede negli Stati Uniti laddove tra il 1929 e il 1930 viene costruito l’emblematico Chrysler Building. Le tele di Tamara de Lempicka qui esposte testimoniano come il glamour del jet set hollywoodiano rappresenti  una delle fonti ispiratrici dell’Art Déco in America.

Tamara de Lempicka, Saint-Moritz
Tamara de Lempicka, Saint-Moritz, 1929, olio su tavola, Orléans, Musée des Beaux-Arts

Art Déco. Gli anni ruggenti in Italia è un’occasione unica per entrare nel vivo di una corrente che ha investito tutte le arti e che con la sua forza prorompente ha stimolato l’alta produzione artigianale e proto industriale contribuendo alla formazione del design e del “made in Italy”.

L’arte decorativa e industriale definisce quello che siamo totalmente, con tutta la ricchezza e l’autorità della nostra cultura, tutti contribuiscono a formarla, essa appartiene a tutti, per tutti i bisogni degli uomini, i solenni e gli umili…Di fronte al razionalismo iconocasta  della giovane scuola […] invochiamo il dono di un po’ di bellezzaMargherita Sarfatti, critica d’arte degli anni venti.

Per maggiori informazioni è possibile visitare il sito dell’evento.

Elisabetta Severino

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