L’Arte di Allenare, la versione di Max Monteforte: “Allenarsi durante il Covid si può e ci fornisce un’occasione unica…”

L’Arte di Allenare, la versione di Max Monteforte: “Allenarsi durante il Covid si può e ci fornisce un’occasione unica…”

ROMA – L’esperienza del life running coach romano Max Monteforte nel nuovo libro edito da Purosangue Edizioni, pensato per tutti gli amanti della corsa, dai neofiti agli aspiranti trainer.

 La pausa imposta a marzo dal lockdown e la scoperta di una rinnovata passione degli italiani nei confronti della corsa hanno spinto Max Monteforte a rallentare. L’allenatore nazionale ed ex azzurro di ultramaratona con oltre 120mila km nelle gambe, si è cimentato nella stesura di un nuovo libro dal titolo che è tutto un programma: L’Arte di Allenare vede il grande atleta ripercorrere quanto intensamente vissuto fino ad oggi per offrire il proprio bagaglio di conoscenze tecniche e scientifiche sul running.

Ne esce fuori un’opera notevole. L’Arte di Allenare non è solo un manuale di running, è il racconto storia d’amore tra un uomo e la corsa, tra un coach e la fatica di vivere per un sogno.

Le infinite conoscenze di Max vengono alternate ricordi autobiografici, suggestioni e aneddoti. L’intento di Monteforte è quello di svelare la poesia celata dietro alla fatica di ogni performance, sia amatoriale sia agonistica. Quella fatica che ogni sportivo sceglie come irrinunciabile compagna di viaggio, mai come nemica, protagonista delle testimonianze conclusive di Claudia Germani, divenuta runner dopo la terza gravidanza, e Riccardo De Luca, il miglior pentatleta italiano quinto ai Giochi Olimpici di Rio de Janeiro 2016.

RESPIRA CON GLI OCCHI, CORRI CON LA MENTE

Buongiorno Max, è un piacere averti tra le righe di MyWhere. Ci racconti i motivi che ti hanno spinto a scrivere questo libro? Che cosa hai voluto comunicare al lettore?

Le motivazioni sono legate alla profonda passione che nutro per questo sport, che pratico da ben 42 anni. Fattore ulteriormente determinante è stato vedere moltissime persone, in un momento così difficile come il primo lockdown, entrare in uno stato depressivo anche a causa delle forti limitazioni imposte all’attività sportiva. Ricordo bene l’ultima gara a cui ho partecipato. Avevo corso la X Milia di 15 km con una media discreta di 3’39’’/km, sapendo che sarebbe stata l’ultima competizione per molto tempo. Immaginate cosa possa aver significato per tutte quelle persone che, come me, si nutrono di queste emozioni da anni. È stata una privazione forte per gli appassionati. Così ho deciso di comunicare attraverso questo libro, che non vuole essere solo tabelle, quale sia il reale messaggio della corsa: non parliamo di tossine e acido lattico ma un bagaglio di emozioni vere e proprie.

Il sottotitolo del tuo libro recita: respira con gli occhi, corri con la mente. Leggendo L’Arte di Allenare ci accorgiamo quasi da subito che questa è una tua vera e propria filosofia. Ce ne parli?

Per me la corsa, quindi il running in generale, è un approccio alla vita che deve essere sempre proteso al futuro, senza mai dimenticare il passato. Oltre alla mera distanza chilometrica percorsa e alla velocità impiegata, l’aspetto determinante e più significativo è il percorso personale intrapreso. Per primo, in tempi non sospetti, quando non esistevano ancora i vari GPS, sono stato affascinato dalla misurazione e dall’annotazione delle prestazioni. Ho ancora a disposizione agende di oltre trenta anni fa, dove ho registrato tutti i km percorsi in gara e in allenamento. Nel 2015 ho festeggiato con gli amici di una vita il raggiungimento dei 100mila km con l’ultimo km, corso in una pista di 400 m personalmente costruita intorno alla mia abitazione, per rendere questo momento memorabile. Ci tengo, quindi, a ribadire che nella corsa conta in assoluto il percorso personale di ognuno e la motivazione che ci spinge ad affrontarlo.

LA FATICA POSITIVA E LA FATICA NEGATIVA

La copertina del libro di Max Monteforte

Come si deve sviluppare un allenamento di corsa? E quanto è importante curare ogni singola fase di ogni seduta di training?

Un allenamento non parte mai quando si arriva al campo. Parte da una programmazione a monte messa a punto dall’allenatore, nella quale si stabilisce cosa fare e cosa voler allenare. Quando si arriva al campo, bisogna sempre avere le idee chiare. Si parte con il riscaldamento, di norma strutturato in 20’ di corsa leggera, stretching e cinque allunghi, durante il quale è necessario focalizzare l’attenzione per entrare in sintonia con il lavoro che si andrà a fare. Ogni singola fase ha la sua importanza: programmazione, concentrazione, svolgimento e infine scarico al termine della sessione. Non dimentichiamo un ulteriore aspetto, ovvero la valutazione globale del lavoro fatta insieme all’allenatore. Questo momento permette di avere una panoramica ampia sulle sensazioni dell’atleta, di correggere o modificare i successivi allenamenti, se necessario, e acquisire quella credibilità e consapevolezza utili per il salto di qualità. Ciò può avvenire solo nel tempo e dando il meglio in ogni circostanza.

Una delle parti più suggestive del libro è a mio parere quella dedicata all’esaltazione della fatica, mai intesa come nemica, bensì come compagna di viaggio. Ci parli di questo aspetto?

Sicuramente la fatica è un’amica sempre presente nel bagaglio di ogni runner. Quello che negli anni ho imparato è distinguere la fatica positiva da quella negativa. Come raccontato in un capitolo del libro, la fatica negativa è, per esempio, quella legata alla mancanza di ferro che non permette di fare un passo dopo l’altro, sensazione davvero limitante che anch’io ho provato. Suggerisco sempre ai miei atleti di tenere in considerazione questo aspetto con i dovuti controlli. Ora fortunatamente sono più frequenti rispetto al passato nelle persone che praticano attività sportiva.

LA CARRIERA DI MAX MONTEFORTE E LA PANDEMIA 

Alle tue conoscenze tecniche e scientifiche sul running, unisci alcuni ricordi autobiografici e aneddoti. Qual è stata la più grande soddisfazione della tua carriera?

Come scritto nel libro, termino la mia attività agonistica con un po’ di amaro in bocca poiché avrei voluto fare molto di più. Ricordo con piacere varie gare ben affrontate, quando tornando a casa la sera stentavo quasi ad addormentarmi perché rapito dal sogno di ciò che sarebbe potuto accadere da lì a poco. Non dimenticherò mai una corsa del 2003 dal nome emozionante, Il Tremila Delle Stelle, in cui mi sono classificato secondo. Affiancavo in volata Mimmo Caliandro, ragazzo scomparso nel 2011 a causa di un incidente stradale, con il quale ho combattuto fino all’ultimo centimetro. Due settimane dopo ho saputo che era diventato campione europeo juniores, notizia che mi rese orgoglioso di quella sfida. I ricordi delle mie gare sono numerosi, servirebbe un secondo libro per raccontarli.

Fare attività fisica nell’ultimo anno è stato davvero difficile per tutti. Che messaggio vorresti mandare ai runner di tutta Italia?

Il mio messaggio per gli appassionati di corsa è semplice e chiaro: non aspettate la conferma delle gare in calendario per continuare ad allenarvi. La corsa è un amore che deve essere costantemente alimentato, come l’amore per una donna. Non ci si può ricordare di festeggiarla solo l’8 marzo. Inoltre, allenarsi in questo periodo storico permette di migliorare aspetti che solitamente sono trascurati, favorendo anche una programmazione a lungo raggio e un’organizzazione del proprio allenamento senza l’ossessione delle gare. Spesso mi capita di allenare atleti decisi e sempre desiderosi di cimentarsi sulle lunghe distanze e in questo periodo ho fatto comprendere loro quanto sia importante curare la qualità e prepararsi con sfide semplici su gare più brevi come 10km. Si tratta di un lavoro che permette di elevare il livello tecnico e che porterà un notevole miglioramento quando torneremo di nuovo a vivere le emozioni della maratona. Un po’ quello che fece Stefano Baldini quando nel 2000 a Sidney decise di gareggiare sui 10.000 per preparare le Olimpiadi del 2004 ad Atene. Nonostante lo scetticismo di molti, questa tattica si rivelò la scelta vincente che regalò a Stefano la soddisfazione più grande. Di Stefano, inoltre, ho un ricordo bellissimo: nel 2006 e nel 2008 ho avuto, come responsabile dei top atleti per la British 10K a Londra, l’autorizzazione dal suo manager Gianni De Madonna di potere gestire la sua presenza in qualità di campione olimpico. Un’emozione vederlo ai nastri di partenza di una gara con oltre 40mila persone che mi vedeva come organizzatore.

Paolo Riggio

Leave a Reply

Your email address will not be published.