La scuola cattolica, il film ispirato al massacro del Circeo

La scuola cattolica, il film ispirato al massacro del Circeo

ITALIA – L’attesissimo film diretto da Stefano Mordini e tratto dall’omonimo romanzo di Albinati, presentato fuori concorso al Festival del Cinema di Venezia e presente nelle sale dei cinema italiani dal 7 ottobre, delude. Non risulta convincente. Andiamo a capire perché.

Parlando dell’uscita sul grande schermo del film La scuola cattolica con un eccesso di cattiveria e salace ironia, non più tanto cara ad un Paese ormai sempre più impettito e ingessato, alcuni direbbero “beati i ragazzi minori di 18 anni”.

La censura, che ha colpito incomprensibilmente il film di Stefano Mordini presentato fuori concorso al Festival del Cinema di Venezia, paradossalmente ha nobilitato e conferito curiosità e spessore a un’opera assolutamente dimenticabile e velleitaria nelle intenzioni, nonché naufragata nella riuscita.

La scuola cattolica, insomma, è un film davvero difficile da digerire. Andiamo a vedere perché.

LA SCUOLA CATTOLICA, DAL ROMANZO AL FILM

La scuola cattolica. Ph: Claudio Iannone

Edoardo Albinati, autore del romanzo La scuola cattolica pubblicato da Rizzoli nel 2016, da cui è tratto l’omonimo film, nel suo libro decentra completamente il nucleo tematico del massacro del Circeo, relegandolo ad appena quattordici pagine di racconto.

Il libro vuole portare avanti, e ci riesce pienamente, una riflessione sul senso della religione, sulla figura di Gesù, dei santi, di Satana, ponendo sotto la lente critica dell’autore il cattolicesimo italiano e il sistema educativo da esso sponsorizzato e posto in essere.

Il film, di contro, tutto questo non lo fa. Pone l’accento e la lente d’ingrandimento sulla strage del Circeo, sulla mattanza, sull’azione criminale e omicida, scadendo in un eccesso di drammatizzazione e di ridondante morbosità del dettaglio molto più caro a certi programmi televisivi serali che non a larghe visioni cinematografiche.

Manca, a quanto pare, lo sguardo alto e altro, manca lo sviluppo narrativo, manca la dimensione speculativa e filosofica del racconto. Tutto nasce e muore lì. L’epicentro è solo lì. La scuola cattolica non propone e non offre un’impalcatura empatico-relazionale che fornisca una risposta alla necessità impellente di inclusione e/o alterità rispetto allo steccato sociale e burocratico nel quale i ragazzi si trovano a esistere, mancando così di spiegare e comprendere la deflagrazione successiva.

Sempre Albinati, nel suo libro ci parla dei suoi vecchi compagni di scuola come dei ragazzi completamente reclinati su loro stessi, sfiduciati, sfibrati da un’epoca soffocante, senza alcuno slancio potenziale, abitanti di un presente eternato, mentre tutto questo nel film non c’è. Manca.

Mordini, invece, ne La scuola cattolica allestisce in vetrina dei ragazzi frivoli, perfidi, superficiali, stolti, intrisi di quella banalità del male che però viene isolata e non calata nel contesto, in quell’epopea.

Si assiste a un prontuario delle buone intenzioni in cui il male viene semplicemente rappresentato, inscenato, senza però strutturarlo mai e senza connotarlo di significato e di senso. L’ottusità della malvagità che si staglia in sala e lo spettatore è costretto a rimembrarla e rivestirla per comprenderla.

DAL FILM AL ROMANZO

Ancora Albinati nel romanzo La scuola cattolica alterna i registri, ondeggia in alcuni tratti tra tragedia e commedia, non ha paura di svelarsi anche leggero e divertente, mentre il regista toscano soffoca qualsiasi sussulto di ironia e leggerezza come avesse paura di perdere la presa autorale sul film, di smarrire autorevolezza e profondità nel racconto, di disperdere il creduto accumulato.

Il difetto più grande di questo film, tra i tanti, è forse proprio questo: una sorta di dramma di maniera, di tragedia da operetta, per parafrasare Bennato. Il film si annoda su sé stesso, affossa progressivamente, resta paralizzato tra le sabbie mobili del dramma a tutti i costi, in una sorta di spirale compiaciuta della propria dimensione narrativa.

Anche Albinati stesso, protagonista del racconto, viene relegato a osservatore esterno, voce fuori campo, sguardo banalmente cronachistico sulla vicenda; tutto ciò non fa altro che mettere in difficoltà il giovane Albinati della versione cinematografica de La scuola cattolica, Emanuele Maria Di Stefano, andandolo a rendere un piccolo giustiziere che dall’alto del suo desco punta il dito e detta il tempo.

A questo si aggiunge anche lo scolorito contesto storico che viene propinato, per nulla aderente alla realtà di quel tempo. Siamo negli anni Settanta, l’Italia è sotto il tiro del terrorismo, gli intrighi di potere dominano l’agenda politica del Paese e scegliere il posizionamento opportuno in un puzzle così disarticolato risultava complesso.

Il film non fa altro che tracciare una linea demarcativa tra ciò che sta sopra e ciò che sta sotto, tra ciò che è bene e ciò che è male, senza mai spiegare niente. Senza mai cacciare orizzonti nuovi. Stilisticamente e visivamente, invece, La scuola cattolica rende anche peggio: scialbo, smunto, pallido, senza alcuno spunto degno di nota e di memoria.

Per tutte queste ragioni il film di Mordini rappresenta una grossa occasione persa che poteva, e doveva, essere giocata meglio.

Claudio Troilo

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