ITALIA – In La felicità degli altri di Carmen Pellegrino (edizione La nave di Teseo) Cloe è una donna impegnata ad affrancarsi dalle ombre e dai fantasmi del passato e in lotta contro il timore di essere costantemente “silenziata” e messa ai margini. Ma, come osserva Friedrich Hölderlin, “Là dove cresce il pericolo cresce anche ciò che salva”.
La felicità degli altri, la storia di Cloe è quella dei bambini invisibili: quelli non visti dalle famiglie che li hanno generati, quelli abbandonati, quelli non adottati. “Nell’inverno del mio cuore ho desiderato a lungo di essere amata”. Lasciata a dieci anni dalla madre in una stazione, la piccola Cloe viene accolta nella “casa dei timidi”, una spontanea casa di accoglienza dove due visionari, sposati e senza figli, “alla famiglia come destino preferiscono la famiglia come scelta allargata”. “Allunare, più che accogliere o sfamare” è il loro motto, perché desiderano portare i figli degli altri, questi bimbi senza nessuno, sulla luna. La sera lei suona per loro il piano, lui racconta storie per mostrare la bellezza della musica e della fantasia e ripulire così lo strazio che hanno vissuto i “loro” bambini abbandonati: la bellezza esiste e anche i bambini la devono vivere!

Negli eventi che vive Cloe è intenzionata a fare i conti con l’ombra del padre e della madre. Cloe è intenzionata a fare i conti con l’ombra del padre e della madre. La famiglia di Cloe è tipicamente disfunzionale: in essa manca il gesto di cura, lo sguardo, l’essere visti. Il padre è uno psicoanalista poco attento alla figlia e d resto aveva fatto del tradimento un perno, prima nella vita professionale, poi in quella privata.
La madre ha invece il profilo di una Medea. Carmen Pellegrino scrive La felicità degli altri Ispirandosi alla storia della Medea di Euripide, la regina ripudiata che si vendicò del marito uccidendo i loro figli, ma la sua rivisitazione pone al centro i più piccoli. Cloe rappresenta la riscrittura del mito ponendo sulla scena questi figli senza nome, di cui nessuno si occupa e che semplicemente subiscono le scelte dei genitori senza avere autonomia identitaria.
In La felicità degli altri la protagonista compie molti viaggi e attraversa varie esperienze in cerca di rimettere in ordine gli elementi della sua infanzia , come in una sorta di ricostruzione archeologica eseguita per gradi ma con grande attenzione. Mentre è a Venezia, unico luogo nominato del testo, incontra il prof. T, di cui sarà sia allieva che amica. Lui insegna “estetica delle ombre” e ritiene che Caravaggio sia un maestro delle ombre e della luce insieme, e che la luminosità si possa vedere solo col contrasto col buio.
Con questo uomo, per molti da ritenersi un fallito, si compie una magia: Cloe con lui non deve nascondersi perché “nata triste”. Lui accoglie lei per quello che è e lei altrettanto. Senza dover reciprocamente camuffare il proprio “lato oscuro”, si offrono reciprocamente il proprio tempo tra silenzi e lunghe passeggiate. Percepita e accettata dal prof. T, Cloe inizia un percorso di rinascita delle sue rovine.
“C’è un varco da cercare… Lo attraverserai e ti ritroverai là dove si ricrea qualcosa; senza accorgetene ti ritroverai in un nuovo inizio”, aveva appuntato da studente in un foglio nascosto tra i libri.
Dopo altri avvenimenti e incontri, grazie al suggerimento del prof. T, Cloe tornerà al villaggio da cui si era tenuta distante per trent’ anni.
Qui, nella sua casa d’infanzia mentre la madre parla lei vede l’elefante che era da sempre nella stanza. Quella paura che la schiacciava e lei prima non aveva visto: la complessità della madre! Come si conclude questo confronto con mamma Beatrice? Con un atto di cura compiuto dalla figlia e il regalo della foto che le aveva tenuto compagnia da piccola. Alla madre Cloe, prima di ripartire, si rivolgerà con tenerezza.
Carmen Pellegrino ha impiegato quattro anni per scrivere questa storia. La felicità degli altri è un romanzo, intenso e con precisi risvolti di sofferenza, ma senza retorica e decisamente penetrante : tutte le vicende riportate vengono dalle cronache e si riferiscono a paesi distanti tra loro, fatti concreti in cui “vedere” i bambini o non accade o avviene in chiave esclusivamente mercatistica; e se l’ andamento può apparire favolistico, la realtà romanzata è tutta percorsa dalla tensione di un interrogativo: “Cosa c’entrano i bambini?”.
Al momento della ripartenza dal villaggio questa domanda si placa e la conclusione si apre alle grida allegre e alle risate dei bambini che in gruppo compiono la loro salita su un misterioso Monte per chiedere “di salvare i nostri padri dal cuore che si rimpicciolisce e chiude”. Mentre desiderano un cambiamento per i padri dagli occhi indifferenti, questi bambini sono certi che “a volte la vita è dura per noi, ma ce la faremo”.