Occhiali neri di Dario Argento, il grande ritorno del re dell’horror

Occhiali neri di Dario Argento, il grande ritorno del re dell’horror

ACCADDE OGGI – Fra gli adepti del maestro dell’horror c’era molta impazienza per questo nuovo horror. L’attesa è stata ripagata. Gli Occhiali Neri di Dario Argento è uscito il 24 Febbraio nelle sale: il re del genere non ha deluso. 

Un regista ammirato ed emulato in tutto il mondo, un professore nell’usare con estrema semplicità l’arma della paura. La grandezza di Dario Argento sta nell’aver creato uno stile riconoscibile, nel saper gestire l’ansia dello spettatore sempre nel medesimo modo. Con le sue pellicole così inconfondibili si è tirato dietro una vera e propria setta di seguaci, che vogliono solo farsi terrorizzare da lui. Io sono fra questi individui. Fare un bel film può capitare a tutti. Azzeccare una storia horror non è facile, ma può succedere. La cosa veramente difficile, oserei dire improbabile è rimanere il migliore dal 1970 al 2022. Sono 52 anni che questo cineasta dall’aspetto inquietante è il re e speriamo non abdichi mai il trono. Per questo sono corso in sala alla prima proiezione di Occhiali Neri di Dario Argento.

OCCHIALI NERI DI DARIO ARGENTO: LA TRAMA

occhiali neri
Immagine dal profilo ufficiale di Dario Argento @darioargento_official

Roma, capitale, notti di una grande città. Il peccato, la violenza, il sesso, le strade che di giorno sono i polmoni del movimento urbano. Quando diventa buio tutto cambia e quelle stesse vie si trasformano in territorio di caccia. Predatori e prede, insofferenze e lezioni inflitte agli innocenti. La firma d’Argento si respira da subito: si ha la sensazione che il male sia in mezzo a noi, che il divertimento sia finito.

Un assassino seriale di prostitute colpisce senza che Dio lo fermi, senza che nessuno abbia la di frenare le sue mani. Le strangola. Usa una corda per violoncello. È preciso, bravo in quello che fa, si sente meglio facendolo. Per lui tutto gira per il verso giusto sino a quando non decide di attaccare Diana, Ilenia Pastorelli, una escort di lusso. Commette uno sbaglio, non riesce ad ucciderla come aveva immaginato.

La donna comunque non uscirà illesa dall’incontro con il suo carnefice; infatti, rimarrà priva della vista per sempre. Deve iniziare a frequentare una comunità per non vedenti per provare a gestire un mondo nuovo, quello del buio. Diana passa in breve tempo dall’essere una donna forte ad una vulnerabile. All’interno di questa comunità conoscerà Rita (Asia Argento), una volontaria della struttura, che l’aiuta ad ambientarsi nella sua nuova vita senza luce. Nel frattempo, la polizia indaga per fermare l’assassino. Lui però ha un conto in sospeso con Diana.

LA MANO DI ARGENTO

Chi legge la breve sinossi della trama può pensare ad un cliché già visto. Il malato che non vuol essere curato a caccia di prostitute, la fuga di una di loro, una città che trema. Posso assicurare invece che Argento, ancora una volta, presenta il male a suo modo. Pratico, semplice, la sua mano scivola lentamente sullo spettatore goloso. Il sangue del maestro ha ancora quel colore profondo che toglie la sete anche al più esigente dei suoi fan. Sgorga tanto, copioso: sa schizzare ma anche spandersi morbido sul selciato. Il grande ritorno del maestro del brivido, un inseguimento in macchina, un tamponamento, dolore, sconforto, solitudine, sirene dell’ambulanza: ogni piccolo tassello è girato con la medesima arte di ogni altro suo capolavoro. Soffermatevi sulle inquadrature, sul buio profondo come lo era il Rosso nel 1975.

E poi i corridoi che piacciono tanto a Dario Argento. Quelle inquadrature di vittime che camminano verso la morte o verso la scoperta di un corpo. Incubi, svegliarsi pieni di sudore, lame affilate e corde di strumenti musicali che tagliano meglio di coltelli. Durante una intervista hanno chiesto al maestro Argento perché ha sentito la voglia di far uscire un nuovo film. Lui ha risposto semplicemente:

“Ho sentito di doverlo fare. Quando ho riletto la storia ho capito che era andata perduta, come una poesia scritta in adolescenza e smarrita. Era qualcosa che avevo dentro e volevo fosse di tutti”.

OCCHIALI NERI DI DARIO ARGENTO: ILENIA PASTORELLI

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Foto dal profilo ufficiale di Ilenia Pastorelli @ileniapastorelli

L’attrice romana come Luca Argentero ed alcuni altri meno noti, proviene dalla casa del Grande Fratello. Vista la partenza, senz’altro non troppo artistica, i critici attendono ogni volta che inciampi, che fallisca. Io l’ho seguita in lavori precedenti e non l’ho mai trovata un pesce fuor d’acqua. In Lo chiamavano Jeeg Robot di Gabriele Mainetti ha stupito anche i più scettici interpretando l’ingenuità e la fragilità di una debole. L’unico appunto che posso farle riguarda la sua spiccata romanità: ha un accento ed un tono che non le permettono di affrontare ruoli che escano dalla capitale. La sua voce mi piace ma è difficilmente plasmabile, impossibile tenerla lontana da Roma.

Con Dario Argento ha alzato l’asticella, ha dimostrato di essere un’attrice completa, poliedrica, assolutamente a suo agio nel ruolo di una donna che passa dalla luce al buio. Dario Argento aveva già girato un film nel quale si parlava di cecità; infatti, ne Il gatto a nove code aveva affidato la parte del cieco ad un grandissimo attore quale Karl Malden. Ilenia ha retto bene il confronto con questo grandissimo attore statunitense, ha vinto la partita contro una condizione alienante come quella dei non vedenti. È stata brava a far capire cosa sia il buio, come sia difficile difendersi dal male senza usare la vista, quanto sia importante avere fiducia in qualcuno. In delle scene sembra quasi che per Diana sia un brutto sogno, come se sperasse di svegliarsi di botto, fuggire dal buio e tornare alla vecchia vita.

GLI OCCHIALI NERI DI DARIO ARGENTO: L’ECLISSI

Senza scrivere molto altro, per lasciarvi il gusto d’incontrare si nuovo il maestro Argento nelle sale, voglio citare però l’aspetto eclissi. È lei forse la vera protagonista. Infatti, il film inizia in una giornata torrida d’estate quando l’eclissi oscura il sole. Diana verrà aggredita quel giorno e fatalità perderà la vista, vivrà poi in una eclissi permanente. A difenderla dalle tenebre rimarranno solo il suo cane Nerea ed il piccolo Chin, un bambino cinese dai grandi occhi e dalla voce dolce e straniera.

Gli uomini dell’antichità avevano paura che l’eclissi di sole rappresentasse la fine del mondo, una privazione inconcepibile dello sguardo. Io invece ho il terrore personale che questa eclissi possa essere il simbolo di una sorta di film congedo. Un’opera che proprio per questo passaggio da luce a tenebre, voglia rappresentare un saluto del maestro del brivido al suo pubblico. Spero di sbagliarmi e di poter gustare ancora le dissolvenze al nero di Argento in futuro. Voglio altre malinconie cupe, privazioni dei sensi, menomazioni pure, voglio vedere il male lottare contro il bene con una musica lirica in sottofondo. Questa eclissi l’ho accolta davvero con molta ansia mischiata a tristezza. I film americani di questo genere non mi saziano, non usano il mondo animale come Argento, non mi provocano le stesse paranoie.

Cani buoni, cani guida. Cani cattivi, canari, denti aguzzi, bava. Rabbia animale che spezza un silenzio quasi religioso, che è pronta a colpire il passo incerto e barcollante di una donna con il bastone. L’eclissi guida tutto il film, stritola lo spettatore all’interno di una disperazione matrigna e feroce. Si è comodamente seduti davanti al grande schermo, ma la sensazione è sempre la stessa: ci si sente stritolare da un maligno reale e possibile. Ci sentiamo pronti per essere colpiti, per diventare vittime. Argento ed il suo stile inarrivabile, come al solito, mi hanno fatto sentire come avviluppato da un serpente letale che stringe sempre più, scena dopo scena.

Ho visto i suoi primi film negli anni Settanta quando ero solo un bambino, quando mio padre mi metteva alla prova. Oggi la paura più grande che ho provato in sala però è stata il tempo, quelle maledette inesorabili lancette che non si fermeranno mai.

 

Francesco Danti

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