L’Art Director UNESCO Maximo De Marco racconta il suo incontro con Gesù

L’Art Director UNESCO Maximo De Marco racconta il suo incontro con Gesù

MONDO – Siamo abituati a pensare alle figure dei veggenti come la figura mitica non vedente dell’indovino Tiresia, nell’alchimista rinascimentale chiuso nel suo antro o del religioso immerso in preghiera nella sua cella. Come reagiremmo se a raccontarci storie straordinarie fosse un cineasta e direttore artistico di fama internazionale? Scopriamolo con Maximo De Marco, dal 1 dicembre in libreria e nei book store on-line con “Visioni”, edito da Ex-Libris. Una storia di conversione che s’intreccia con la lavorazione di un film, finendo per divenire più sensazionale della fantasia.

Il tempo di Avvento, per i Cristiani, è tradizionalmente legato a un nuovo inizio che, come per i “fratelli maggiori” di religione ebraica, prepara a una grande festività al cui centro vi è una ritrovata freschezza di fede. Se i secondi rinvigoriscono però la loro fiamma spirituale nella ricorrenza di Hanukkah, che significa “dedica” e allude alla consacrazione del nuovo altare del Tempio di Gerusalemme, avvenuta nel 161 a.C., quando Giuda Maccabeo lottò contro l’ordine del re greco Antioco Epifane a tutta la gente ebrea di rinunciare al proprio Dio, i Cristiani vivono con il Natale il particolare calore di una nascita, festeggiata nel giorno proprio di quasi tutti i culti solari. Questo 2020 di pandemia ci impone un distacco dal consueto mercimonio capitalistico che da molti anni è diventato il Natale, costretti come siamo ad osservare il coacervo di misure restrittive contenute nei DPCM emanati a giorni alterni da una Presidenza del Consiglio schizofrenica ed ebbra di poteri straordinari, misteriosamente non contestati dai guardiani dell’antifascismo perenne. Laici e credenti sono in questo momento accomunati dalla contingenza di lunghi mesi in cui fare di necessità virtù, con meno rapporti sociali, maggiore solitudine e forme alternative di lavoro, per evitare la totale paralisi economica e un tenore di vita medio della comunità civile che tenda via via ad avvicinarsi a quello della Sacra Famiglia di Betlemme, di cui peraltro abbiamo smarrito da tempo lo spessore morale e forse la gioia delle piccole cose. Non so se l’incontro con l’ultima fatica editoriale di Maximo De Marco, l’autore di cui sto per raccontarvi, sia da leggere come un segno rivolto alla mia coscienza, ormai inquieta in tema di fede almeno quanto quella del più livoroso dei Grandi Inquisitori visti a teatro e sul piccolo schermo, da che Dostoevskij ne rese immortale il protagonista ne I fratelli Karamazov.

Testimoniare la fede tra arte e misticismo

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Maximo De Marco, autore di “Visioni”

Sarà per queste ragioni, se la lingua batte dove il dente duole, che alcuni giorni fa il titolo e la copertina “sfacciati”, con cui lo scrittore e artista di fama internazionale Maximo De Marco ha confezionato le sue storie incredibili, non mi lasciavano scelta che richiedere una copia del testo alla casa editrice Ex Libris, che lo ha appena pubblicato. Non ero e non sono alla ricerca di racconti natalizi in cui riscoprirmi più “buono”, per poi ritrovarmi nella consueta giungla da lì a due settimane.

Cercavo una lama incandescente, che scavasse nelle mie ferite per cauterizzarle o mandarle definitivamente in cancrena. Sebbene Visioni non sia l’unico libro in cui l’Art Director internazionale dell’UNESCO affronta temi religiosi, esso è con ogni probabilità il più interessante, poiché intreccia le forti esperienze personali, vissute a partire dal 2007, con eventi mondiali di portata collettiva, descritti da una inedita prospettiva. Tanto l’autore quanto la “prefat-trice” Antonella Ponziani non usano mezzi termini, sin dalle primissime pagine. Il lettore capisce immediatamente di trovarsi di fronte a persone convinte di essere state protagoniste di eventi soprannaturali, che per qualche ragione hanno fatto irruzione nelle loro vite. Come De Marco, Ponziani, a sua volta vincitrice di prestigiosi riconoscimenti quali un David di Donatello, un Nastro D’Argento, un Ciak d’Oro e il Premio Internazionale Padre Pio da Pietralcina alla Carriera, racconta l’inizio di un percorso di conversione coinciso con la lavorazione del film Petali di Rosa, dedicato alla figura di Suor Rosa Roccuzzo, fondatrice delle Suore Orsoline.

Il lungometraggio ha ottenuto il Cavallo d’argento Rai 2007 per la regia, il riconoscimento di film d’autore della CEI, il Premio per l’interpretazione delle due protagoniste, Antonella Ponziani e Claudia Koll, al Festival Internazionale del Cinema di Salerno 2007 e la Menzione speciale al Levante Film Festival 2008. Proprio Suor Rosa, ci spiega Maximo De Marco nel libro, lo avrebbe condotto fino in Sicilia, attraverso una comunicazione tutta personale, perché raccontasse la storia della sua vita. La religiosa avrebbe fatto sentire fortissima la sua presenza durante tutte le settimane di riprese, tanto che gli attori avrebbero ricevuto i copioni da recitare soltanto un’ora prima di girare. Eventuali dubbi sarebbero stati fugati da un evento clamoroso, accaduto davanti a tutti i presenti sul set. Al regista De Marco, però, Suor Rosa avrebbe riservato una chiamata speciale, degna di un novello Saulo sulla Va di Damasco. Una vera e propria visione ad occhi aperti, in cui viene descritto anche Gesù in persona.

Da quel momento, l’autore si sente investito da una missione di testimonianza, che perdurerebbe attraverso la sua vita e il suo lavoro di attore, regista e direttore artistico, in cui figurano collaborazioni con nomi dello spettacolo come la già citata Claudia Koll e il compianto Fabrizio Frizzi. Prima di evidenziare i molti temi toccati nel libro, scritto con un linguaggio volutamente colloquiale che rifugge da solennità ieratiche di sorta, sono portato dalle pagine introduttive a riflettere sul significato del “vedere” nella vita cristiana. De Marco esordisce infatti facendo seguire alle parole del profeta biblico Abacuc, al quale si sente evidentemente vicino, quelle che Gesù stesso avrebbe detto a Maria Valtorta, una delle più grandi mistiche del ‘900 e terziaria dell’Ordine dei Servi di Maria:

Ogni visione nasce da una precedente penitenza e ogni penitenza ti apre il cammino ad ogni più alta contemplazione. Vivi per questo. Sei amata per questo. Sarai beata per questo. Sacrificio, sacrificio. La tua vita, la tua missione, la tua forza, la tua gloria. Solo quando ti addormenterai in Noi cesserai di esser ostia per divenire gloria.

Il problema del male

Le parole riferite dalla mistica Valtorta mi ricollegano immediatamente a quelle contenute in una frase, che la Madonna avrebbe pronunciato durante quelle considerate fra le più importanti apparizioni riconosciute dalla Chiesa Cattolica. Ci riferiamo agli eventi di Lourdes, di cui sarebbe stata testimone la giovanissima Bernadette Soubirous, tra il febbraio e il luglio del 1858: Io non prometto di renderti felice in questa vita, ma nell’altra, le avrebbe detto la Vergine. Bernadette, di cui molti anni fa visitai la casa, estremamente povera, fu protagonista, appena quattordicenne, della prima visione l’11 febbraio, mentre raccoglieva legna da ardere in un boschetto vicino la grotta di Massabielle, appena fuori il paese di Lourdes.

Dopo la venticinquesima apparizione, la giovane affermò che la bellissima signora si sarebbe presentata a lei come Immaculada Councepciou, in lingua occitana locale. Difficilmente però una ragazzina poco istruita e totalmente ignorante in materia di Catechismo poteva essere al corrente del dogma dell’Immacolata Concezione, stabilito quattro anni prima da Papa Pio IX e spesso erroneamente confuso ancora oggi con la concezione virginale di Gesù. Il fenomeno di Lourdes è pregno di racconti miracolistici, quali fioriture di rose spontanee in pieno inverno, elemento comune a molte storie di santi come Rita da Cascia, e guarigioni spontanee, avvenute nel corso dei decenni grazie all’acqua che avrebbe iniziato a sgorgare da una sorgente sita sotto una roccia, su indicazione della Vergine tramite Bernadette. Non mancò neppure una forte incredulità, anche da parte dell’autorità religiosa dell’epoca.

Indipendentemente su come la si pensi sul noto santuario francese, è innegabile la pace che vi si respira, come la carica di preghiera espressa dalle tante persone animate da sincera fede che quotidianamente vi si recavano sino all’inizio della pandemia. L’elemento dinanzi al quale, da laico profondamente intriso di spirito greco, non riesco a non provare profondo orrore è la veridicità con cui i fatti biografici della veggente, proclamata santa da Papa Pio XI nel 1933, confermarono la rivelazione privata fatta dalla Signora comparsa presso la grotta. Bernadette morì infatti trentacinquenne, dopo una vita di ristrettezze e gravi malanni fisici che ne minarono irrimediabilmente la salute, provocandole la fine prematura. Il vero mistero resta la capacità del credente di intravedere la volontà di un Dio misericordioso dietro le trame di una vita umana non scelta e abbandonata a sé stessa, quando non “utilizzata” ai fini di un disegno superiore dinanzi al quale tutto il resto perde completamente valore.

La stessa prospettiva cristiana, che si sintetizza anche nella frase della mistica Valtorta con cui De Marco apre il suo libro, dandoci già un consistente motivo per non proseguire oltre nella lettura, fa proprio il concetto teologico di kenosi, ossia lo “svuotamento” che il Cristo spiegato da Paolo apostolo realizzò, facendosi servo al pari degli uomini per obbedienza al Padre, benché egli fosse come Dio. Se Gesù stesso, durante la terribile notte del Venerdì Santo nell’orto degli Ulivi, sudò tuttavia sangue arrivando a dire, in preda a umanissimi sentimenti di paura, Padre, allontana da me questo calice, il fanatismo cristiano raggiunge vette incomprensibili allorché sfocia nella gioia masochistica della sofferenza, vista come Imitatio Christi e unica via per “vedere” e, in qualche modo, raggiungere un Dio che da parte sua non ha esitato a lasciar massacrare suo Figlio nel Nuovo Testamento. Tutto, “per amore”, ci mancherebbe.

Un qualche progresso è però innegabile rispetto all’Antico, dove YHWH, Signore degli Eserciti, è vendicativo almeno quanto il titano Crono e compie più vittime di tutte le guerre della storia umana messe insieme. Ma la scienza non può spiegare tutto, figuriamoci la fede, in virtù della quale, per dirla con Schopenhauer, le religioni sono come le lucciole e per splendere hanno bisogno delle tenebre. Se il lettore, del nostro articolo come del libro Visioni, sarà riuscito a spingersi oltre le riserve che potrà o meno condividere con noi, e delle quali non avrebbe “colpa” la sincera devozione di De Marco, che non è nostro compito porre in dubbio, le successive pagine compiono quasi il miracolo di accattivarsi la nostra “sin-patia”.

Il cammino di conversione

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Maximo De Marco

Il regista racconta di aver sperimentato, prima della conversione, il dolore profondo e il senso di abbandono da parte di Dio. Per il ventenne Maximo, questa fase della vita ebbe inizio con la perdita della madre, seguita di lì a poco da quella di sua nonna, che aveva in parte mitigato il dramma del lutto precedente. Anche per coloro che apprezzarono libri come Conversazioni con Dio, di Neale Donald Walsh, che pure contenevano spunti interessanti legati alla legge di attrazione e alla supposta natura divina dell’uomo, è francamente difficile proseguire nella lettura di Visioni accogliendo l’invito alla sospensione dell’incredulità con cui Antonella Ponziani conclude la sua prefazione.

Maximo De Marco ci confida, fra le righe, di aver iniziato ad avere percezioni di un mondo altro rispetto a quello a cui siamo abituati almeno dal periodo che preludeva la morte della nonna Bambina. Ben prima, dunque, della vera e propria conversione sopraggiunta nel 2007. Sin da queste prime pagine, la narrazione si tinge di suggestioni che sembrano provenire dall’universo letterario fantasy e da un certo cinema di genere dark-fantascientifico, visto in film come Stigmate, di Rupert Wainwright. Non si lesinano particolari su comunicazioni continue con i defunti, telefoni che squillano dall’aldilà, con tanto di voci all’altro capo che chiamano per nome i protagonisti, mancamenti danteschi, demonietti volanti con tanto di pelo e coda, e folgorazioni alla Sant’Agostino.

In tutto ciò, non può mancare la presenza dell’Avversario, che addirittura cerca di ostacolare il Bene inviando messaggi minacciosi sugli schermi degli smartphone. L’intero testo prosegue sospeso in una dimensione totalmente allucinatoria, senza più freni. A differenza dei veggenti più noti degli ultimi anni, come quelli di Medjugorie, l’autore di Visioni avrebbe incontrato, in maniera diretta, praticamente tutti gli abitanti dei regni spirituali che contano: da Gesù Cristo, che gli avrebbe affidato una particolare missione, alla Vergine Maria, passando per l’Arcangelo Michele, Santa Rita, gli angeli del Paradiso e, immancabilmente, il Demonio, nelle forme più spaventose. Numerosi passaggi sono dedicati alla descrizione dei regni ultraterreni, che sarebbero secondo De Marco la condizione amplificata alla quale destiniamo la nostra anima con le azioni che compiamo in vita. Eppure, sembra di leggere versioni moderne delle Cantiche dantesche, con anime che sperimentano contrappassi, chiedono ai vivi nottate di preghiera in suffragio, magari in numero di sette, e mantengono aspetti sin troppo simili a quelli delle proprie spoglie mortali.

Maximo De Marco. Le visioni “profetiche” e l’invito alla santità

Racconti non troppo dissimili troviamo del resto nelle trascrizioni delle visioni che i mistici del passato ebbero dell’Inferno, del Purgatorio e del Paradiso. Di costoro, neanche troppo implicitamente, Maximo De Marco si ritiene erede contemporaneo. Al suo racconto personale seguono infatti le testimonianze scritte di Padre Pio, Natuzza Evolo, Suor Lucia di Fatima, Veronica Giuliani, Faustina Kowalska, Katharina Emmerick, sino alla veggente Vicka Ivankovic di Medjugorie. Passaggio centrale del testo è quello in cui trovano spazio addirittura visioni premonitrici che l’artista avrebbe avuto in merito ad eventi di portata globale, come l’abdicazione di Papa Benedetto XVI, la pandemia da Coronavirus, a cui abbiamo dedicato nei mesi scorsi un lungo speciale in 6 parti, e la fine del mondo.

La seconda parte di Visioni è dedicata a questioni sempre attuali per l’uomo, come il problema della morte, il senso della vita, l’omosessualità e il male, affrontati dal punto di vista dell’uomo di fede, disposto a vedere di buon occhio innovazioni nella vita della Chiesa, purché in accordo con il precetto agostiniano ama e fa’ ciò che vuoi. Seguono brevi cenni su temi più squisitamente teologici, come la Sacra Scrittura, il dialogo interreligioso, e la negazione della Comunione ai divorziati, in merito ai quali De Marco mostra posizioni di apertura, in linea con quelle bergogliane e con elementi di modernismo già presenti in documenti del Concilio Vaticano II come Lumen Gentium. Sincero sbigottimento abbiamo provato nella lettura del capitolo sull’antisemitismo. Maximo De Marco rilegge il fenomeno storico delle persecuzioni al popolo ebreo da secondo un evidente punto di vista karmico. L’odio di cui gli Ebrei furono vittime fu sì, atroce e bestiale, ma altrettanto cieco sarebbe stato quello che essi manifestarono contro il Figlio di Dio, facendolo condannare a morte dal romano Ponzio Pilato e non riconoscendolo come Messia. Più precisamente, secondo tale ragionamento, i bambini innocenti morti nel ‘900 nei campi di sterminio tedeschi avrebbero scontato la “colpa” dei loro padri. Sul concetto di colpa, antichissimo e mortifero per la nostra civiltà, si è scritto moltissimo, da Eschilo a Nietzsche. Troviamo però inaccettabile che nel 2020 si possa alludere a genocidi storicamente a noi vicinissimi con lo stesso orizzonte categoriale con cui si potrebbe parlare del protagonista della Trilogia greca dell’Orestea. Le pagine conclusive sembrano francamente le più lucide, pur ponendosi l’impossibile intento di far chiarezza sul fenomeno delle apparizioni e in generale della visione mistica, sottolineando il discrimine tra la fede dei singoli e i tempi tecnici dell’autorità ecclesiastica nell’esaminare ed eventualmente riconoscere come autentici determinati fatti. Come i classici sette doni ai quali si suole far riferimento nel sacramento della Confermazione, anche la “visione” è un dono straordinario ed è frutto della grazia divina. Come tale, esso non può essere chiesto impunemente, ma solo accolto con docilità, poiché porta con sé delle prove per coloro che lo ricevano e richiede un’integrità e uno spirito di obbedienza particolari. Altra cosa è la santità di vita che, spiega De Marco, può avvenire senza che il soggetto abbia mai avuto doni straordinari e si fonda sulla carità come modello di perfezione. Si fa cenno poi al valore delle rivelazioni private, che sarebbero affidate ai pochi individui in possesso di doni speciali, in momenti storici in cui vi è un abbassamento della fede. Ciò non per aggiungere elementi nuovi alla Rivelazione pubblica e definitiva, fatta da Dio all’umanità tutta, nell’Antico e nel Nuovo Testamento. Chiudono il testo l’invito al discernimento e alla prudenza dinanzi ai molti falsi profeti, e l’esortazione,  sacrosanta per laici e credenti, ad accettarci nella nostra umanità per quello che siamo, restando aperti alla dimensione eterna dell’Amore, unica forza in grado di renderci immortali. Colpisce, però, anche in questa parte conclusiva del libro, la supposta autorevolezza con cui l’autore si autoesclude dal novero dei “visionari” o peggio degli imbonitori con dolo. Vi è il richiamo evidente all’avvertimento di Gesù ai discepoli nel Vangelo di Matteo rispetto ai falsi cristi sarebbero sorti nel tempo della grande tribolazione. Riteniamo, tuttavia, l’accostamento tra le due figure quanto meno ardito.

Anche laddove la nostra credulità vacilli, non è intaccato il nostro desiderio di conoscere. Restano infatti da chiarire numerosi aspetti anche sui temi religiosi. Non ultimo, quello delle riserve espresse recentemente da Papa Francesco nei confronti di alcune apparizioni mariane ritenute indubbiamente autentiche dal libro di Visioni. Cosa ci ha detto in merito, da fervente cattolico, Maxino De Marco che, in luoghi come Medjugorie, è certo di aver avvertito la presenza di Maria?

Siamo andati a parlare direttamente con lui per fargli questa e molte altre domande. Se volete sapere com’è andata, leggete la seconda parteseconda parte del servizio su MyWhere.it.

Stefano Maria Pantano

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