ROMA – Il 16 dicembre al Maxxi sarà inaugurata la mostra Bob Dylan. Retrospectrum. Prima tappa in Europa dell’esposizione. Oltre 100 opere tra disegni, dipinti, sculture per scoprire aspetti inediti di un’icona assoluta della cultura contemporanea mondiale. Avremo modo di vederla fino al 30 aprile 2023.
Domani sarò presente all’inaugurazione di un evento speciale. Il MAXXI, Museo nazionale delle arti del XXI secolo di Roma, ospita la mostra Bob Dylan: Retrospectrum. Prima tappa assoluta in Europa. Un’esposizione che raccoglie le opere di arte visiva di una delle più importanti icone della cultura contemporanea mondiale.
In questo nostro articolo abbiamo avuto modo di parlarvi della biografia dedicata a questo straordinario artista del panorama musicale, ma non solo.
Dopo essere stata al MAM di Shangai e al Patricia & Phillip Frost Art Museum di Miami la mostra a cura di Shai Baitel approda a Roma, in una versione completamente ripensata per interagire con gli spazi dinamici e avveniristici del MAXXI di Zaha Hadid.
Esposte oltre 100 opere tra dipinti, acquerelli, disegni a inchiostro e grafite, sculture in metallo, materiale video, che esplorano oltre 60 anni di attività creativa di Bob Dylan.
Dice lo stesso Bob Dylan:
“È molto gratificante sapere che le mie opere visive saranno esposte al MAXXI, a Roma: un museo davvero speciale in una delle città più belle e stimolanti del mondo. Questa mostra vuole offrire punti di vista diversi, che esaminano la condizione umana ed esplorano quei misteri della vita che continuano a lasciarci perplessi. È molto diversa dalla mia musica, naturalmente, ma ha lo stesso intento“.
Commenta Giovanna Melandri, Presidente Fondazione MAXXI
“Musicista, compositore, poeta, Premio Nobel per la letteratura. Bob Dylan è un mito assoluto, un’icona culturale tra le più importanti del nostro tempo. Con questa mostra, avremo il privilegio di scoprire un aspetto inedito del suo talento inesauribile: i suoi dipinti, come le sue canzoni, sono potenti, sinceri, immediati, evocano cammini e suggestioni on the road. Dylan è un pezzo della nostra storia e una parte di noi, Per questo sono particolarmente lieta di questa mostra al MAXXI che lo racconta nella sua interezza e ci racconta”.
Aggiunge il curatore Shai Baitel:
“Questa mostra, che abbraccia tutta la carriera di Bob Dylan, presenta il suo approccio unico all’arte visiva e la sua padronanza della pittura, del disegno e della scultura. Offre l’opportunità unica di vedere il viaggio creativo di Dylan attraverso il tempo e i luoghi, tra cui la scalinata di Piazza di Spagna, immortalata nell’opera Quando dipingo il mio capolavoro”.
La mostra è un percorso nella vita dell’artista, nella creazione di arte visiva attraverso viaggi e geografie, sia interiori che fisiche.
Bob Dylan, figura iconica del nostro tempo, ha portato avanti per molti decenni una pratica di arte visiva: Retrospectrum è la prima mostra monografica europea che ne esplora l’ampia opera.
Amiamo questo artista e ve ne avevamo palato in occasione dei suoi 80 anni di Bob Dylan.
Un’ampia gamma di opere d’arte, che va dai dipinti a olio, agli acrilici, agli acquerelli, ai disegni a inchiostro, pastello e carboncino, fino a una serie di sculture in ferro. Un itinerario attraverso otto sezioni tematiche – Early Works, The Beaten Path, Mondo Scripto, Revisionist, Drawn Blank, New Orleans, Deep Focus e Ironworks – Retrospectrum offre la possibilità di ripercorrere l’esperienza vissuta da Dylan nel campo dell’arte visiva.
Le opere selezionate rappresentano un vero e proprio diario visivo che documenta la trasformazione delle fonti e degli stili che hanno ispirato e influenzato l’artista nel corso del tempo. Attraverso nuovi e continui incontri con ambienti e persone in continua evoluzione, il suo lavoro è in continua evoluzione e si evolve costantemente in modi entusiasmanti.
La mostra è accompagnata da un catalogo in doppia edizione italiano e inglese, 224 pagine, edito da Skira e curato da Shai Baitel. Nel volume la vasta produzione artistica di Bob Dylan viene raccontata attraverso le immagini e il contributo di importanti scrittori, critici e artisti, tra cui Shai Baitel, Alain Elkann, Anne-Marie Mai, Greg Tate, Richard Prince, Bob Dylan, Caterina Caselli.
Oltre le generazioni – Shai Baitel
“Tutto quello che posso fare è essere me stesso: chiunque io sia.”
Bob Dylan in un’intervista del maggio 1965
Dalla Silent Generation ai Baby Boomers fino ai Millennials, ogni generazione è costretta a confrontarsi con l’essenza della propria identità. E ogni generazione arriva all’età adulta come l’ombra di chi l’ha preceduta. Per formarsi ha dovuto contrapporsi ai valori dei genitori che l’hanno plasmata, insieme alla onnipresente tecnologia e agli inevitabili fattori economici. Su questa tensione generazionale fra rispecchiamento genitori/figli e impulso a definire sé stessi in opposizione alla famiglia hanno riflettuto molti scrittori e intellettuali. Sostenitore della natura ciclica della storia, Mark Twain scrisse che “la storia non si ripete, ma spesso fa rima”. Con accenti più minacciosi, Walter Benjamin sviluppò la celebre metafora dell’“angelo della storia”: una figura sospinta da tumulti e agitazioni “nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale davanti a lui fino al cielo. Ciò che chiamiamo ‘progresso’ è questa tempesta”.La storia è volubile, turbolenta, raramente ordinata, spesso poetica. Nel momento storico incerto e complesso in cui viviamo, sentiamo il bisogno di artisti in grado di collegarci al passato e al presente, rinnovando la promessa di una continuità e di un futuro pieno di speranza. Bob Dylan è una di queste voci.
Dylan è cresciuto a Duluth, Minnesota, ascoltando alla radio musica blues e country, più tardi rock and roll. Appartenente alla cosiddetta Silent Generation, è diventato un simbolo della cultura americana e uno degli artisti più stimati del nostro tempo. Le sue canzoni intramontabili hanno parlato alle generazioni passate e continuano a parlare, con crescente autorevolezza, a quella presente. Schierandosi contro i valori della generazione precedente che esaltava il conformismo, l’unità e la coesione, Dylan ha preferito concentrarsi sugli aspetti imperfetti, complicati e provocatori della vita: una scelta che si riflette anche nella sua pratica artistica, che lo vede spesso improvvisare, creando qualcosa di completamente nuovo da un concerto all’altro. Perché solo abbracciando l’incertezza della vita si può vivere per davvero. Ai tempi del liceo suonava le cover di Elvis Presley e Little Richard: per lui la musica era la vita. Il rock and roll gli parlava, ma non parlava la sua lingua: doveva ancora trovare il genere che avrebbe reso unicamente suo – anche se rinchiudere il talento di Dylan in un genere è impossibile. Combinando il linguaggio della musica folk e il rock and roll della sua giovinezza con il mondo della poesia e dell’arte, Dylan ha inventato una musica che sfida le categorizzazioni. Ed è anche diventato un prolifico artista visivo.
Silent Generation
Con mezzo secolo di carriera alle spalle, in che modo l’ottantunenne cantante, performer, pittore e scultore parla alle nuove generazioni? La Generazione Z è composta dai nati fra la fine degli anni novanta e l’inizio del secondo decennio del secolo seguente. Come i giovani della Silent Generation, anche loro sono cresciuti in un mondo di complesse vicende globali, politiche ed economiche: dall’11 settembre alle guerre infinite in Medio Oriente, fino alla recessione del 2008. Inoltre, gli effetti persistenti e acuti della pandemia da Covid-19 continuano ad avere un impatto enorme sulle vite dei più giovani, provocando una formazione tumultuosa che rispecchia quella della Silent Generation. Entrambe sono state indotte a essere stanche del mondo e scettiche nei confronti delle nuove opportunità.
La Silent Generation ha trovato la sua vocazione primaria nel movimento per i diritti civili, esortando il mondo a rifiutare il razzismo e la discriminazione. Dylan, ad esempio, ha esordito con la sua prima canzone di protesta, “The Death of Emmett Till”, al Congress of Racial Equality del 1962; e “The Times, They Are A-Changin’”, scritta nel 1964, è sempre rimasta viva fra tutti coloro che nel mondo si trovano ad affrontare confusione e conflitti. La figura di un uomo che annega disegnata da Dylan dà un’urgenza esplicita e viscerale al destino di chi rifiuta di stare al passo coi tempi, di cambiare con essi, mescolando testo e metafora: “È meglio che inizi a nuotare o affonderai come una pietra”. Alla Generazione Z non mancano le cause per cui unirsi, dall’uguaglianza di genere al cambiamento climatico: tutte istanze che riecheggiano gli imperativi del movimento per i diritti civili degli anni sessanta. Eppure, i ragazzi della Generazione Z dimostrano in certa misura un senso del progresso e uno slancio che rivela una qualche speranza per il futuro. Nativi digitali, sono cresciuti con internet e smartphone, strumenti che permettono di organizzarsi e attivarsi in modo estemporaneo.
Invece la Silent Generation, non avendo i mezzi, le infrastrutture o i precedenti per cambiare lo status quo, si è accontentata per troppo tempo di agire all’interno del sistema. “Chimes of Freedom”, che Dylan scrive nel 1964, si ribella a questa idea ed esprime la meraviglia dell’autore di fronte a una natura straripante, metafora che celebra la libertà d’identità e di percezione: il brano è un inno ai cuori nobili, ai miti, ai maltrattati. Nel frattempo, la diffusione della tecnologia ha dato alla Generazione Z la possibilità di scegliere e di sfruttare il suo potere collettivo; in particolare, di suonare allarmi per gli oppressi del mondo. Oggi le masse armate di smartphone possono essere altrettanto potenti nei confronti dei politici e delle autorità quanto le generazioni precedenti lo sono state con le loro armi e tattiche di guerriglia.
La Generazione Z non è solo cresciuta in un mondo digitale. Questi giovani cercano la verità e valorizzano l’espressione individuale; sono pragmatici e analitici; credono nel potere del dialogo per risolvere problemi grandi e piccoli, locali e globali. La loro capacità di connettersi con il mondo circostante e l’accesso istantaneo alle informazioni hanno dato luogo a una prospettiva globale, grazie alla quale sono più aperti e disposti non solo a riconoscere, ma anche ad accettare pienamente la differenza, “l’altro” (nel senso accademico del termine). Guardano alla storia, sanno comparare il passato e il presente in campi diversi, dalla politica all’arte. Come Dylan, rifiutano di essere etichettati o confinati in un unico mezzo artistico. È una generazione che sposa anche l’etica dylaniana di non dover necessariamente separare il “lavoro” dalla “vita”: vogliono trarre piacere da ciò che fanno e tendono a scegliere la realizzazione personale anziché il compenso.
Con un’opera che trascende generazioni, luoghi e circostanze, Dylan parla al nucleo più stabile della nostra umanità. Per questo forse non sorprende che continui a dare prova di una potente forza creativa. Nella sua carriera ha pubblicato otto libri di disegni e dipinti e ha venduto oltre125 milioni di dischi. Ha vinto premi Grammy, Golden Globe, Oscar, e il suo nome è nella Rock and Roll Hall of Fame. Nel 2008 gli è stato assegnato il Pulitzer per “il suo profondo impatto sulla musica popolare e sulla cultura americana, segnato da composizioni liriche di straordinaria potenza poetica”. Il premio avrebbe anche potuto essergli assegnato come riconoscimento per la prosa del brillante e acclamato Chronicles: Volume One, pubblicato quattro anni prima. Nel 2012 il presidente Obama gli ha conferito la Presidential Medal of Freedom e nell’ottobre 2016 ha vinto il Nobel per la Letteratura “per aver creato nuove espressioni poetiche all’interno della grande tradizione della canzone americana”.
Se Dylan è nato nell’epoca della Silent Generation, di certo non ha permesso che questa definisse la sua persona o il suo lavoro. Lui quel silenzio l’ha infranto, in una sorta di boato sonico di cui anche i giovani di oggi sentono profondamente gli effetti. Le sue parole, la sua musica e la sua arte sono qui per restare. E su questo non abbiamo dubbi:
“La vita non è trovare sé stessi o trovare qualcosa in generale. La vita è creare sé stessi”.
Bob Dylan. Retrospectrum.
Dal 16 dicembre 2022 al 30 aprile 2023
Per i biglietti e tutte le info qui
Foto in Homepage: Bob Dylan. Retrospectrum. Museo MAXXI foto MyWhere©
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