Blumenfeld

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10 Corso Como ha regalato a tutti gli appassionati cultori della fotografia una straordinaria mostra: per tutto il mese di marzo nella Galleria d’arte del celebre concept store si potranno ammirare le immagini di Erwin Blumenfeld, fantastico e disincantato interprete di un innovativo stile di comunicazione visiva della moda, vicino all’espressione artistica.

La mostra

Evelyn Tripp - Vogue US 1949 ©The Estate of Erwin Blumenfeld
Evelyn Tripp – Vogue US 1949 ©The Estate of Erwin Blumenfeld

Le immagini selezionate dai curatori si riferiscono al periodo 1941-1960, quando E.Blumenfeld lavorava nel suo Studio a New York. Si tratta ovviamente soprattutto di foto di moda e di campagne pubblicitarie. Non mancano tuttavia pregevoli riferimenti al suo stile originalissimo nel ritrarre personaggi influenti e alcune delle sue significative foto sperimentali a testimonianza della sua vera passione che era l’arte.

Questa mostra completa idealmente, un percorso italiano di riscoperta del fotografo, cominciato qualche anno fa con l’esposizione ad esso dedicata dalla biennale della fotografia europea di Reggio Emilia, della quale, alla fine di questo articolo, potete leggere il commento che a suo tempo scrissi. Nella Sala Comunale di Cavriago, nel 2009, venne presentata una selezione di foto che Blumenfeld fece a Parigi tra il 1936 e il 1941. Come ho già detto, l’esposizione milanese si occupa invece della produzione in seguito realizzata negli Stati Uniti.

Tutte le foto in mostra a 10 Corso Como sono state stampate in modo meraviglioso. Alcuni vecchi negativi sono stati restaurati, recuperando i toni dei colori così come li concepiva l’autore, probabilmente tra i primi fotografi di moda a coglierne le potenzialità e l’efficacia. Attraverso un uso magistrale del colore infatti, Blumenfeld introdusse nell’ipocrita e un po’ bigotto immaginario della moda del periodo, una raffinata corrente di sensualita’, suscettibile di trasmettere alle lettrici la spinta del desiderio che enfatizza la bellezza, senza mai oltrepassare la soglia della trasgressione o della provocazione, sconfinamento che sarebbe stato intollerabile per la mentalita’ degli editori negli anni ’40/’50. Per la prima volta forse, in Italia, abbiamo potuto ammirare in modo esaustivo il talento e la tecnica di uno dei grandissimi fotografi del novecento, le cui immagini sono state fondamentali per la maturazione creativa di image makers del calibro di Irving Penn, William Klein, Gianpaolo Roversi e David Seidner, per citare solo alcuni dei fotografi che pubblicamente hanno riconosciuto l’intelligenza visiva e grafica di Blumenfeld.

A shake in young fashion Vogue US August 1953 ©The Estate of Erwin Blumenfeld
A shake in young fashion Vogue US August 1953 ©The Estate of Erwin Blumenfeld

Ma, non credo di esagerare se sostengo che ben pochi fotografi di moda delle generazioni che arrivarono dopo il nostro autore, possono dirsi immuni dall’impatto che le sue foto produssero nell’immaginario della moda.

Lilian Marcusson Vogue US January 1951 ©The Estate of Erwin Blumenfeld
Lilian Marcusson Vogue US January 1951 ©The Estate of Erwin Blumenfeld

Rimane per me un mistero il perché Blumenfeld, dopo la sua scomparsa, sia rimasto per decenni praticamente sconosciuto al grande pubblico. Probabilmente le istituzioni museali non gli hanno riservato le mostre che meritava. Una ragione in più per apprezzare la solida programmazione espositiva della Galleria d’arte di Carla Sozzani, fin dalla sua fondazione attentissima alla valorizzazione delle eccellenze della cultura visiva della moda.

Devo aggiungere che ho percepito un brivido di piacere quando ho visto che i curatori, Nadia Blumenfeld Charbit/Francois Cheval/Ute Eskildsen, pur avendo focalizzato la mostra nell’arco temporale citato, avevano avuto la sensibilità di non farci mancare l’immagine che più amo dell’autore: l’incredibile scatto del 1939, effettuato ad un’altezza vertiginosa, che riprende una coraggiosissima Lisa Fonssagrives, vestita con un abito di Lelong, aggrappata alla torre Eiffel. La drammaticità della messa in scena non impedì a Lisa di assumere una posa sorprendentemente aggraziata, valorizzando il tessuto a motivi quadrangolari dell’abito, leggero come le ali di una farfalla.

Le teste quadre che dominavano la redazione di Vogue, capitanate da un arrogante e presuntuoso art director che rispondeva al nome di Agha, considerarono questa immagine priva di qualsiasi interesse e non la pubblicarono.

In realtà nello scatto “censurato” c’era tutto il futuro della foto di moda, da Munkacsi e Blumemfeld in poi proiettata verso una bellezza dinamica, estrema, a volte terribile (quindi “sublime”),

Il fotografo

The women serve cover Harper'sbazaar July 1943 ©The Estate of Erwin Blumenfeld
The women serve cover Harper’sbazaar July 1943 ©The Estate of Erwin Blumenfeld

Erwin Blumenfeld nacque a Berlino nel 1897.

Le sue prime performance nel campo della editoria di moda cominciarono nel 1936, alla soglia dei quarant’anni. La sua formazione, i suoi interessi erano quanto di più lontano si possa immaginare dalla visione estetica che potevano avere le redattrici tra gli anni trenta e quaranta del novecento.

Blumenfeld amava l’arte e ad essa dedico’ gran parte delle sue energie creative. I suoi interessi estetici furono plasmati dall’entusiasmo per il mood che le avanguardie diffusero tra i giovani talenti nelle prime decadi del novecento. Giovanissimo comincio’ a frequentare artisti e poeti che si riconoscevano nel movimento artistico “espressionista”. Divenne amico del pittore Georg Grosz, dal quale trasse ispirazione per i suoi collages.

Dopo la grande guerra, fu attratto dal proto-situazionismo Dada. Fece quadri, disegni, scrisse poesie, novelle, racconti brevi, dimostrando doti non comuni per la scrittura.

Ma, era difficile per un giovane, in quel periodo, vivere facendo l’artista tra Berlino e i Paesi Bassi. Soprattutto per le difficili situazioni economiche della famiglia, praticamente fallita dopo la morte del padre (1913).

Nancy Berg Chesterfield 1956 ©The Estate of Erwin Blumenfeld
Nancy Berg Chesterfield 1956 ©The Estate of Erwin Blumenfeld

Dopo il matrimonio con Lena Citroen nel 1923 apri’ una boutique di marocchinerie con la quale probabilmente a stento manteneva la famiglia. Nel 1935 fu costretto a chiuderla per fallimento. In tutti questi anni aveva continuato a coltivare i suoi sogni d’artista, orientandoli sempre più verso l’espressione fotografica.

C’è da dire che la fotografia gli consentiva di esplorare la dimensione estetica che gli era congeniale e al tempo stesso rappresentava un mezzo con il quale adattarsi meglio alle necessita’ di avere una professione utile per sopravvivere.

Dopo il fallimento della sua attività commerciale si recò nel 1936 a Parigi per tentare di diventare un vero fotografo professionista.

Soutenez la Croix Rouge - Vogue US March 1945 ©The Estate of Erwin Blumenfeld
Soutenez la Croix Rouge – Vogue US March 1945 ©The Estate of Erwin Blumenfeld

Bisogna ricordare che Blumenfeld aveva familiarità fin da giovanissimo con il mezzo fotografico. Trovo i suoi collages veramente ragguardevoli, i suoi disegni denotano talento. Ma per esempio i ritratti fotografici e i nudi che fece a partire dall’inizio degli anni trenta hanno una dimensione e un’estetica talmente originale da distinguerlo nettamente da altri fotografi.

Pubblicò le sue immagini su numerose riviste parigine ( Verve, Votre Beaute’…) ma con risultati economici deludenti.

Poi incontrò Cecil Beaton, uno dei più famosi fotografi di moda in circolazione, e finalmente ebbe accesso agli ambienti che potevano garantire compensi adeguati al suo talento.

C’è da aggiungere che non abbandono’ mai la sua ricerca artistica. Anche quando faceva foto commerciali l’istinto dello sperimentatore risultava spesso incontenibile.

Da ciò discende la difficoltà di rapporti che ebbe per tutta la vita con chi vedeva nella fotografia solo un mezzo per diffondere belle informazioni visive.

Con il tempo Blumenfeld imparò a temperare lo spirito ribelle che secondo la sua opinione animava la vera arte. In realtà non rinunciò mai ai suoi vangelo estetici. Semplicemente imparò a dissimularli in ciò che apparivano come le foto di moda più belle mai viste sulle pagine delle riviste di moda.

Blumenfeld e la moda

Per almeno 15 anni Blumenfeld è stato uno dei fotografi più richiesti dalle riviste di moda. Ma certamente non ha mai amato l’ambiente che pure gli aveva dato celebrità e l’opportunità di vivere agiatamente. Nella sua autobiografia “Jadis et Daguerre” (Editions Textuel, 2013), racconta con parole molto dure, appena mitigate da una tagliente ironia, le donne che dominavano alla fine degli anni trenta la scena della moda: Carmel Snow (Harper’s), Edna Chase (Vogue), Helena Rubinstein, Elisabeth Arden gli apparivano come vecchie streghe che dettavano alla “jeunesse du monde les lois de la beauté et de l’élégance. Quiconque a eu l’occasion d’être en relation avec l’un de ces épouvantails de l’économie féminine américaine sans devenir homosexuel a subi avec succès le baptême du feu. J’ai du travailler avec chacune d’elles et avec plusieurs de leurs imitatrices encore plus épouvantables et ne suis pour autant pas devenu ennemi du sexe féminin”.

Il ritratto di Carmel Snow che ci ha lasciato è divertente ma anche corrosivo. Traduco: “Carmel era un concentrato di istinto infallibile su tutto ciò che era moda, fondato su una abissale mancanza di cultura. Era repellente con charme; estremamente avara e carrierista ad oltranza. Avrebbe ucciso a sangue freddo sua madre in cambio di una buona pagina in Harper’s Bazaar”.

Sono parole estreme che non dobbiamo interpretare alla lettera. D’altronde mi ha sorpreso notare che in 450 pagine autobiografiche, Blumenfeld non spenda una sola riga per ricordare nessuno degli altri grandissimi fotografi di moda del suo tempo.

The Picasso girl 1447 © The Estate of Erwin Blumenfeld
The Picasso girl 1447 © The Estate of Erwin Blumenfeld

L’unica eccezione è Cecil Beaton, suo protettore e amico. Ovvero colui che gli permise di avere i contatti giusti per poter entrare nella moda dalla porta principale e che lo difese dagli attriti che il suo stile fotografico (e probabilmente il suo carattere) produceva tra i vari editor che incrociarono il suo avveniristico lavoro.

“Avec la protection de Cecil, j’atterris bientôt dans la boutique Vogue et j’appris à mépriser ce milieu hostile a’ l’art et cette foire des vanités, ou’ de prétentieux journalistes à sensation s’affichent en arbitres des élégances”, scrive Blumenfend, aggiungendo che malgrado la pubblicazione di innumerevoli foto si percepì sempre come un corpo estraneo.

Un giorno, il redattore in capo di Vogue, Michel de Brunhoff, gli disse: “Se soltanto voi foste nato barone oppure omosessuale, sareste oggi il più grande fotografo al mondo”.

E’ chiaro che la prima esperienza in Vogue non fu particolarmente felice. Blumenfeld trovò un ambiente tendenzialmente ostile alla sua visione sull’arte e sulla bellezza.

Il suo lavoro era mal retribuito e considerato poco adatto alla moda. E’ interessante notare tuttavia che pubblico’ moltissime immagini e molte di queste portavano decisamente le stigmate del suo stile. Quindi la strada stretta che doveva percorrere tra redattrici pretenziose e art director omosessuali impegnati a proteggere le foto di moda da un abbraccio, ai loro occhi, pericoloso con l’arte d’avanguardia, non era certo priva di ostacoli relazionali ed interiori. Bisogna anche considerare che in quel periodo l’omosessualità era un reato penale. La moda rappresentava, per chi amava partner del proprio sesso, una delle poche nicchie ideali per poter lavorare in un ambiente protetto (da complicità, da simpatie tra simili etc).

Variant of the photograph published - Vogue US 1 august 1950 ©The Estate of Erwin Blumenfeld
Variant of the photograph published – Vogue US 1 august 1950 ©The Estate of Erwin Blumenfeld

Oggi, le parole di Blumenfeld suonano profondamente ingiuste. In definitiva il suo successo lo doveva a Beaton, omosessuale ma anche primo ammiratore del suo talento. E in Vogue, malgrado tutto ebbe modo di esercitarsi nell’arte di seguire progetti di visualizzazione che non condivideva fino in fondo o che rappresentavano il rovescio dei suoi vangeli estetici.

Dopo Vogue, andò a lavorare per Harper’s Bazaar. Vi trovo’ Brodovich, un art director che amava l’arte del suo tempo, che apprezzava l’energica immaginazione di Blumenfeld e il suo occhio grafico, utilissimo quando si lavora per una rivista. In seguito, quando in Vogue arrivò, al posto di Agha, Alexander Lieberman, preparato e sensibile all’arte quanto Brodovich, torno’ a collaborare con la testata che lo aveva lanciato sul mercato americano.

Le sue idee sull’ambiente della moda, come testimoniano le parole che ho riportato, non cambiarono affatto. Era la moda che velocemente stava cambiando anche grazie al lavoro sulle immagini di Blumenfeld (e di altri colleghi).

Aldilà del lavoro professionale (la moda e la pubblicità potevano garantire ad un buon fotografo inserito negli ambienti giusti risorse economiche importanti) cos’era della moda in senso lato che appassionava Blumenfeld? Le modelle, direi. Il fotografo amava la bellezza femminile. Ne era affascinato e immagino che questa corrente pulsionale, trasferita alla protesi fotografica, generasse il suo bisogno di introdursi da protagonista in ciò che si presentava come corpo reale, per sublimarlo in uno scatto esemplare. La sua straordinaria competenza artistica gli consentiva di attraversare il soggetto della moda per trasfigurarlo in un simbolo di inedita tonalità emozionale.

Blumenfeld è stato uno tra i primi fotografi di moda ad esplorarne la sensualità, senza l’ipocrisia paralizzante che dominava il periodo nel quale fu protagonista. La sensibilità ai colori, le tecniche artistiche mutuate dall’esperienza dada, surrealista, l’empatia che provava per il corpo femminile, gli consentivano di erotizzare il gioco a due tra modella e fotografo, che diverrà paradigmatico per la foto di moda con l’avvento della generazione successiva e soprattutto negli anni sessanta con D.Bailey quando il sex appeal, libero da tutte le paturnie moralisticheggianti, comincio’ a dominare il campo della fotografia di moda.

Ma ancora una volta, non possiamo non registrare quanto le costrizioni di un’epoca, possano sorprendentemente avere esiti tutt’altro che banali o oscurantistici.

Come le vituperate redattrici di moda, pur irritando Blumenfelfd o, se volete, in virtù di una sublime ignoranza che negava al fotografo la possibilità di esprimere in modo libero le pulsioni creative, lo censuravano, tuttavia lo avevano anche condotto alla scoperta di una efficace sintesi estetica (compatibile con il mercato della moda del periodo) che fondeva il talento per la sperimentazione e i tratti pertinenti della moda standard; come le bistrattate redattrici, dicevo, allo stesso modo il moralismo ipocrita della società americana anni ’40/’50, contribuì a fargli scoprire una raffinata modulazione del glamour sensuale e provocante, dagli esiti estetici spesso superiori a ciò che una generazione dopo verra’ prodotto nel nome di un sex appeal sfacciato, a volte volgare.

In un certo senso le sue immagini raccontavano benissimo il dualismo delle donne di quel tempo: avevano l’obbligo di essere sexy negando pero la sensualità, dovevano essere eleganti fino alla perversione ma anche puritane senza cedimenti.

L’ironia, il carattere onirico, la trasgressione grafica o formale di molte sue foto sono come una critica subliminale, imbricata in immagini, della morale e dell’etica americana, inattaccabili per l’efficacia persuasiva della bellezza estrema che riverberavano dalle cover e dalle pagine delle riviste. Se guardiamo le immagini di Blumenfeld con la mente proiettata al futuro, comprendiamo il grande ruolo giocato dalle riviste di moda nel mutamento di mentalità delle lettrici. Di questo cambiamento silenzioso, certo non chiassoso come l’arte che il fotografo amava, si può dire che Blumenfeld, probabilmente senza averne piena coscienza, sia stato uno del principali registi.

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Le fotografie fatte a Parigi tra il 1936-1941, esposte a Cavriago (RE) nel 2009

1939 Lisa Fonssangrives sulla Tour Eiffel
1939 Lisa Fonssangrives sulla Tour Eiffel

Si può dire che Erwin Blumenfeld (nato nel 1897 a Berlino; morto a Roma nel 1969) cominciò realmente la sua carriera di fotografo quando decise di trasferirsi a Parigi nel 1936. Aveva dietro alle sue spalle una lunga pratica come fotografo di ritratti e una straordinaria sensibilità artistica supportata da curiosità intellettuali certamente non banali (nella sua fase berlinese creò collage e disegni ispirati al dadaismo). Le sue foto fatte ad Amsterdam all’inizio degli anni trenta testimoniano di una valenza estetica in controtendenza rispetto i canoni della “bella foto” del periodo; sono scatti che sorprendono per la sofisticata lettura psicologica del soggetto. Per certi versi, analizzate col senno di poi, sembrano foto di fattura superiore a quella di molti colleghi già affermati. Ad Amsterdam per vivere aveva aperto un piccolo negozio. Per attirare l’attenzione o semplicemente per animare la mediocre attività del punto vendita, prese l’abitudine di organizzarvi piccole mostre fotografiche. Non di rado sulle vetrine appiccicava alcune foto-ritratto delle sue clienti. Un giorno Genevieve la figlia del pittore parigino Georges Rouault si vide immortalata in uno scatto e rimase colpita dal ritratto che le aveva fatto Blumenfeld.

Fenêtres Paris 1949 vintage
Fenêtres Paris 1949 vintage

Nacque una amicizia che si rivelò preziosissima per il fotografo. Grazie a Roualt e alla figlia riuscì a trasferirsi a Parigi godendo di preziose pubbliche relazioni presso alcune rappresentati della buona società che divennero le sue prime clienti. Malgrado le difficoltà economiche Blumenfeld divenne uno dei principali collaboratori della rivista d’arte Verve e si può dire che la sua creatività non avesse confini ben definiti: ritratti, moda, architettura, paesaggi urbani, scultura, nudi. La sua forza si basava su un controllo del mezzo costantemente affinato dalla sua propensione a sperimentare le nuove tecniche che i fotografi d’avanguardia utilizzavano per strappare la fotografia dalle banalità del realismo rozzo e alle mielosaggini del pittorialismo. Controllo tecnico dicevo, reso pungente da una immaginazione all’altezza delle sfide dadaiste e surrealiste nei confronti delle quali Blumenfeld fu interprete geniale. Il suo riferimento più importante era Man Ray, artista e fotografo americano, giunto a Parigi nel 1921, capace di dialogare con i massimi esponenti del surrealismo quanto di sbarcare il lunario pubblicando foto di moda su Vogue e Harper’s Bazar. E per certi versi la carriera di Blumenfeld seguì la strada inaugurata da Man Ray.

Matisse Paris 1937 New York 1965
Matisse Paris 1937 New York 1965

Pur sentendosi proiettato verso ideali estetici assoluti riuscì a guadagnarsi da vivere con le riviste di moda divenendo in pochi anni uno dei fotografi più apprezzati. Cecil Beaton che nel ’38 era già una celebrità nella moda lo ricorda dopo un loro incontro con parole affettuose: “Sembra ingiusto e vergognoso che le sue fotografie non siano mai pagate per quello che valgono – scrive nel suo diario – Ma il suo merito in quanto artista risiede nel fatto che è incapace di fare dei compromessi. Anche se spero che lavori per Vogue, le sue immagini non corrispondono allo spirito della rivista dal momento che sono troppo serie, troppo provocatrici e di un altro livello rispetto a quelle della moda”. Se guardo le foto oggi esposte alla mostra di Cavriago capisco le perplessità di Cecil Beaton. Blumenfeld non abbellisce il soggetto, ma sembra volere penetrare la misteriosa barriera che lo separa dal proprio mondo interiore. Il ritratto di Matisse mi sembra un buon esempio della glaciale serietà dell’occhio fotografico di Blumenfeld. Anche quando ritrae soggetti femminili, il suo tema preferito, i suoi scatti cercano di restituirci un’idea di bellezza interiore appena un pò beauty, molto pensosa e al tempo stesso aggraziata.

Fenêtres Paris 1949 vintage
Fenêtres Paris 1949 vintage

Malgrado le perplessità, Cecil Beaton raccomandò il nuovo amico a Michel de Brunhoff, redattore in capo di Vogue Francia il quale gli pubblicò nel 1939 il suoi primi portfoli di moda. In quella serie di fotografie ce ne fu una in particolare che avrebbe dovuto allertare gli addetti ai lavori sulla genialità di Blumenfeld, permettendogli quel cambiamento nella vita professionale che meritava: una straordinaria e coraggiosissima Lisa Fonssangrives, aggrappata ad uno degli elementi della Tour Eiffel sventola come una bandiera l’abito di Lelong con sullo sfondo Parigi vista dall’alto… la luce primaverile imprime una gradevole dolcezza ad una inquadratura che dà le vertigini; il fluttuare delle stoffe, la posa geniale della modella che con la testa leggermente di lato guarda verso il basso sono la testimonianza della capacità del fotografo nel valutare il posizionamento dell’obiettivo più efficace; le linee decorative dell’abito che sembrano cercare singolari affinità con la struttura della Torre Eiffel rivelano un’altra caratteristica preziosa di Blumenfeld: nessun fotografo di quel periodo poteva vantare un controllo grafico così pertinente. Ma purtroppo per Agha, l’art director di Vogue America, un personaggio i cui meriti fanno fatica a stare al passo con le sciocchezze che la sua ottusa arroganza riversava su molti dei fotografi ch collaboravano con la rivista, Blumenfeld “non sapeva fotografare” e quindi non gli fece confermare il contratto. La presunzione di Agha contribuì al successo di Harper’s Bazar, l’unico vero concorrente di Vogue, guidato da Carmel Snow. Infatti quando nel 1940 il fotografo si recò a New York trovò subito estimatori in Life e presso la corte di Harper’s Bazaar. Così come Steichen negli anni venti era riuscito a fondere moda, pubblicità e estetica modernista, Blumenfeld pur rispettando la visibilità del “prodotto” insinuò di soppiatto nella sua rappresentazione un concetto di bellezza sostanzialmente nuovo nella moda. Molti fotografi citavano le dimensioni surreali e stranianti riconducibili al dissacrante lavoro delle avanguardie.

Profil français Paris circa 1936 vintage
Profil français Paris circa 1936 vintage

Pochi nella moda del periodo raggiunsero gli esiti estetici di Blumenfeld. Malgrado i suoi dubbi sul valore culturale ed artistico delle riviste di moda, bisogna riconoscere che i suoi scatti erano perfetti per la comunicazione della haut couture via via sempre più interessata a rappresentarsi come se gli abiti provenissero dal mondo dei sogni. Teniamo presente che pur con tutti i legittimi condizionamenti relativi al fatto che si trattava di una rivista commerciale, Harper’s Bazaar nel ventennio ‘35-‘55 è stata ben più di un semplice magazine di moda. Non mancavano infatti articoli dei più grandi scrittori in circolazione e servizi fotografici creati da miti culturali come Cartier Bresson, Brassai etc. che trascendevano gli obiettivi della foto di moda.

Le foto di Blumenfeld, perfettamente orchestrate da Brodovich, il celebre art director di Harper’s Bazaar sono da considerare piccoli capolavori del genere. I suoi colleghi più prestigiosi, Munkacsi, Dahl Wolfe, Hoynigen Heune avevano grande rispetto per il suo lavoro. Io ritengo che la visione delle foto di Blumenfeld abbiano avuto un ruolo molto importante nei confronti dell’affinamento estetico di Irvin Penn e Richard Avedon, i due più grandi fotografi della generazione successiva.

Portrait au visage étiré Paris 1937 vintage
Portrait au visage étiré Paris 1937 vintage
Lamberto Cantoni
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19 Responses to "Blumenfeld"

  1. Maria Camila Vanegas   25 Marzo 2014 at 20:26

    Considerato uno dei fotografi più influenti del ventesimo secolo che con un senso innato per lo stile e l’arte, è diventato ricco e famoso. Uno sperimentatore e innovatore, che nei 35 anni della sua carriera ha lasciato un grande legacy di pitture, fotografie e tanti altri lavori, compresi nudi in bianco e nero, ritratti di celebrità, campagne pubblicitarie e tante fotografie di moda. Ha preso più copertine per Vogue da qualsiasi altro fotografo nella storia e la sua arte fotografica è rimasta per lungo tempo messo in ombra dal suo lavoro commerciale.

    Anche se la “prima grande retrospettiva” della sua arte è avvenuta solo nel 1996, il suo lavoro è pensato aver influenzato molti grandi fotografi come Richard Avedon, Irving Penne William Klein. I suoi primi nudi in bianco e nero sono ampiamente considerati tra i suoi migliori lavori, anche se è la fotografia di moda a colore quella che ha distinto la sua competenza tecnica in camera oscura.

    La maggior parte delle sue opere sono fatte in bianco e nero, ma per esempio per i suoi lavori commerciali nella moda, tanto per Vogue che per Harper Bazaar, preferiva usare il colore. In entrambi Magazines, si poteva apprezzare la sua vasta esperienza nella pittura classica e moderna. Era uno dei pochi artisti a fare tutta la sua stampa da solo, sia a colori, sia in bianco e nero, e anche se stesso in camera oscura. Tra le altre tecniche che usava nelle sue fotografie c’erano gli specchi, i veli, la doppia esposizione, la solarizzazione, e la stampa a dopio. Un’altra tecnica che lo distingueva era lo stile proprio quando faceva i collages con il caratteristico Dada-style, i quali faceva come regali e lettere, ma non come lavori professionali. Ma ora comunque sono molto conosciuti e visti ovunque.

    Le altamente stilizzate immagini a colori di Blumenfeld sono diventati il look degli anni ’40 e ‘50. Nonostante il contesto commerciale in cui stava lavorando (Bazaar e Vogue), Erwin ha continuato a sperimentare e si ha rifiutato a compromettersi solo con la fotografia di moda. Tra le sue immagini più intriganti e drammatiche c’è la copertina ‘doe occhio’ che ha fatto per Vogue nel 1950. Il modello, Jean Patchett, è stato ridotto a uno sfondo bianco piatto con un perfetto paio di labbra, una macchia di bellezza e un occhio evidenziato con dell’eyeliner. Questa copertina è probabilmente non solo la migliore copertura di Blumenfeld, ma una delle copertine più iconici della storia di Vogue.

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  2. Lamberto Cantoni   27 Marzo 2014 at 09:37

    Si, Camilla, la copertina Vogue che hai citato e’ veramente un capolavoro. E’ incredibile come Blumenfeld sia riuscito a criptare la sua idea di bellezza surreale senza andare in deroga al glamour richiesto dagli editor della rivista.
    Cosa ci trasmette la decostruzione del volto di Jean Patchett? Ci dice che la bellezza e’ un gioco, un artificio che interpretato con ironia può rendere più intelligente l’orientamento alla moda.
    E’ chiaro che in questa immagine risuona la lezione surrealista di Breton, ben descritta nel libro L’Amour Fou: il corpo della passione e’ un corpo fatto a pezzi o, se vuoi ricomposto, dall’ “altro”.

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  3. Ideal Dridi   1 Aprile 2014 at 00:38

    Gentile professore,
    ho letto con attenzione il suo articolo sulla mostra “10 Corso Como” dedicata a E.Blumenfeld mi é sembrata molto significativa la frase “amava l’arte” con cui lei lo rappresenta, aggiungendo che ad esssa Blumenfeld dedicò tutte le sue energie creative.Senza dubbio vive e si forma ,in un periodo storico molto complesso, in cui gli artisti rompono con la tradizione: la vera arte é l’anti arte, un controsenso,una pura azione immotivata e gratuita, ma proprio per questo demistificante nei confronti dei valori costituiti.Man ray,la fotografia Richter, il cinematografo,Duchamp e ready made sono gli esempi più eclatanti di questo periodo complesso.
    Anche la sua predilezione per il collages (che rappresenta la capacità di mettere insieme più cose)ci dà l’idea della sua versatilità: Blumenfeld fu anche pittore,poeta, scrittore e questo bagaglio culturale lo accompagna anche nelle sue creazioni fotografiche.
    Mi è molto piaciuta la foto del 1956 ,secondo me anche la più trasgressiva, dati i tempi: l’obbiettivo è puntato sulla parte inferiore di un volto su cui spicca una nuvola di fumo che esce da due labbra rosse. Del viso non vediamo altro possiamo solo immaginare il piacere di una donna che dopo aver aspirato una boccata di sigaretta si abbandona, lasciando uscire il fumo lentamente, quasi con voluttà.
    Con un simile spirito anche il rapporto di Blumenfeld con la moda non poteva non essere conflittuale: in un mondo dominato dall’ omosessualità, le sue sane pulsioni sessuali lo portano a rappresentare la modella e la bellezza femminile, senza mortificarla, anzi esaltandola, stralciando il concetto di Ulisse, moglie e madre esemplare ( molto in voga a quei tempi).Nei pochi scatti di queste pagine, la modella non è un mito ma una donna in carne ed ossa capace di suscitare piacere e desiderio , ma anche armonia ed eleganza, tendenza artistiche frutto delle sue esperienze vissute nel periodo dadaistico.
    Per questo per capire Blumenfeld è necessario immegersi nel suo tempo: questo ci consente di apprezzarne l’ originalità e la sua sensualità che emanano dalle sue modelle, in foto che anticipano la capacità di sognare: non freddi stereotipi ma particolari che evocano il sogno.

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  4. Lamberto Cantoni   3 Aprile 2014 at 09:38

    Hai ragione Ideal, bisognerebbe approfondire la versatilità del talento di Blumenfeld. Credo che, come dici tu, il suo “bagaglio culturale” sia determinante per comprendere il senso del suo lavoro nella moda.
    Ma una mostra veramente completa dei suoi eterogenei lavori, non credo sia mai stata proposta. Le sue poesie, i suoi racconti non credo siano in commercio. I collages, raramente vengono aggregati alle sue mostre fotografiche.
    Sappiamo che tento’ di fare il pittore: esistono ancora i suoi quadri? Non potrebbero essere importanti per capire il suo senso del colore, per esempio?
    Insomma, esagerando un po’, potremmo dire che Blumenfeld e’ ancora tutto da scoprire.
    Non sono d’accordo con la tua interpretazione del conflitto tra “sane pulsioni” e “un mondo (della moda) dominato .dall’ omosessualità.
    In senso stretto le “sane pulsioni” non esistono. Che pulsioni sarebbero? i pregiudizi invece si, e nel suo diario Blumenfeld li sfrutta per prendersi delle rivincite nei confronti di personaggi che resistevano alle sue libere espressioni.
    In un certo senso, possiamo dire che Blumenfeld nella moda fu un artista inibito nei confronti dell’oggetto.
    In altre parole sul set non poteva fotografare quello che voleva (non gli avrebbero pubblicato nulla).
    Ma, segui bene questo passaggio, questa inibizione non gli impedì di raggiungere la meta: le sue foto di moda, fuori dalla griglia editoriale, portano i segni dell’arte.
    Quindi, dobbiamo interrogarci con maggiore lucidità, sul significato dell’ostacolo che inibisce la libertà del talento.
    Siamo sicuri che un talento senza ostacoli produca “valore”? Ciò che fa grande un artista e’ la sua libertà o gli ostacoli che ha superato?

    Rispondi
  5. Margherita Baldi   3 Aprile 2014 at 21:16

    Vorrei commentare questo articolo parlando non solo di Erwin Blumenfeld, ma della mostra a 10 Corso Como che è riuscita a dare un giusto contorno alle sue creazioni.
    Entrando nella sala si è accolti da una musica di pianoforte, perfettamente consona all’atmosfera che le fotografie rendono quasi magica e surreale. Pareti bianche, un corridoio che gira intorno ad una saletta più scura, costituiscono un percorso coinvolgente in cui il visitatore può immedesimarsi.
    Personalmente sono stata travolta dal fascino della galleria in tutte le sue parti: le immagini di Blumenfeld sono estremamente potenti quanto aggraziate, questo fa capire quanto si possa stupire senza la trasgressione estrema, quella utilizzata spesso oggi tanto per attirare l’attenzione, forse per sviare il fatto che il fotografo non è nemmeno più di tanto capace. Ho trovato in Blumenfeld una grande precisione nel dettaglio, nell’inquadratura e negli altri elementi presenti in foto (oggetti, scenografia), che rende le immagini pulite, semplici e libere da inutili orpelli, ma allo stesso tempo complesse e con un impatto visivo decisamente potente e accattivante. Gli sguardi delle modelle nei ritratti per le copertine delle riviste di moda, la scelta dei colori e la composizione visiva stupiscono se si pensa al periodo in cui sono state scattate, senza ovviamente l’utilizzo del ritocco grafico.
    Una delle copertine che più mi ha colpita è quella di Vogue America per la Croce Rossa per il numero di Marzo del ‘45, in cui si scorge una modella dietro il vetro patinato della porta di un ospedale. In quest’immagine Blumenfeld ha saputo unire in perfetta armonia aiuto umanitario e moda, due ambienti decisamente discordanti, il primo associato alla solidarietà e il secondo alla frivolezza dell’individuo. L’elemento moda è rappresentato dal cappello dal colore acceso della modella, in posa statica ma decisa, che appare sfocato dietro il vetro ma non per questo in secondo piano. La croce rossa della porta integra mood e tema centrale della fotografia.
    Un altro esempio dell’abilità comunicativa di Blumenfeld si può riscontrare nell’immagine “Fenêtres Paris” del 1949, in cui il primo piano della modella la raffigura indossante un copricapo con tanto di retina, mentre è ella stessa dietro una reale rete. Colpo di genio ed effetto visivo che si commentano da soli.

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    • Lamberto Cantoni   5 Aprile 2014 at 02:16

      Margherita, hai scritto un bellissimo art/comm. Un linguaggio preciso, attento ai dettagli. Buona presa critica.
      Sul ritocco grafico delle foto avrei qualcosa da obiettare. Ma questo non cambia molto il piacere che che mi hai dato.

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    • Silvia Valesani
      Silvia Valesani   8 Aprile 2014 at 11:10

      Mi sono trovata in pieno accordo con il commento di Margherita, soprattutto a proposito delle righe iniziali in cui parla della puntuale coerenza che traspare dall’allestimento dell’esposizione in toto. Ogni scelta è stata fatta con gusto e intelligenza, secondo sia i canoni del bello che del saggio. Il percorso risponde in modo esaustivo ad una propria logica intrinseca senza lasciare che l’appetito emotivo risulti per questo inappagato.

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  6. Mina   6 Aprile 2014 at 15:28

    Considerando la mia recente visita al concept store “10 Corso Como” e all’annessa mostra, riporto la mia testimonianza circa le esposizioni di Erwin Blumenfeld, noto fotografo del XX secolo.

    Premesso che qualsiasi fotografia e immagine di moda di Blumenfeld trovi sempre il modo di farsi notare per una propria peculiarità, due in particolare hanno attirato la mia attenzione più di tutte le altre, innescando un processo di riflessioni e opinioni.
    Si tratta di due fotografie nate con l’intento di reinterpretare i grandi artisti, o più specificatamente, i pittori del passato.
    La prima immagine, che si ispira a “La ragazza con l’orecchino di perla” di Veermer, usata come copertina di Vogue USA, e la seconda, che si ispira a “Bar des les Folies Bergères” di Manet, pubblicata per un servizio su Harper’s Bazaar nel 1941, testimoniano la biunivocità dei due mondi, apparentemente divisi, della fotografia e dell’arte, ma uniti in modo indissolubile e perfettamente affine.
    Il legame tra arte e fotografia affonda le sue radici nel movimento artistico dell’Impressionismo, quando artisti e fotografi maturavano una medesima concezione della realtà, considerata istantanea e fuggente. La fotografia serviva, infatti, ai pittori per catturare un istante di vita quotidiana e per creare una base strutturale al dipinto che stava per nascere, rielaborando, così, un momento prigioniero di uno scatto, attraverso un’impronta personale.
    Analogamente, Blumenfeld, influenzato fortemente dal concetto di fotografia come arte, traeva spesso ispirazione dalla storia dell’arte, citando noti pittori e rivisitandoli in chiave moderna. Inoltre, figlio del movimento dadaista berlinese, sviluppava idee come collage, fotomontaggi, realizzando immagini sognanti ed innovative. Le foto dell’artista, attraverso l’uso sapiente degli specchi per moltiplicare una figura, giochi di forme, luci e ombre, lasciano trapelare una visione moderna e sono la manifestazione tangibile della fotografia artistica, intesa come arte di creare, sovrapporre, sviluppare, non tralasciando il retaggio culturale, più che i parametri convenzionali.

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  7. Ginevra Carotti   7 Aprile 2014 at 21:11

    E.Blumenfeld, a mio avviso, è sicuramente uno dei più sensibili ed eccezionali fotografi del XX secolo che ha influenzato il lavoro degli artisti venuti dopo di lui.
    Lui che della fotografia ha fatto un’arte d’avanguardia; appassionato di grafica e di citazioni storiche, i suoi scatti sono così memorabili poiché risultano impeccabili, provocatori al punto giusto e innovativi. Famose sono le reinterpretazioni delle opere dei grandi pittori come Vermeer e Manet.
    Sono forti le sue sperimentazioni con impronta dada che raggiungono un’estetica sublime; così come la poetica delle figure intere che ritrae, così plastiche che rimandando ai nudi neoclassici; un mix così insolito per un fotografo che questa etichetta gli sta troppo stretta poiché Blumenfeld è un artista figurativo che di un’immagine ne fa un concetto.
    La foto che in assoluto mi ha colpito di più è “The Picasso Girl” pubblicata in Life magazine nel 1947.
    Di questa foto mi piace la sensualità che emana al primo sguardo per non parlare del mistero che si intravede nel volto non ben visibile della donna. Quel telo rosso che avvolge il corpo femminile mi rimanda a un concetto ben più grande della sensualità in sé, bensì mi fa pensare all’Amore sia carnale che intellettuale.
    Da uno che credeva che “the moment is everything, life is nothing” cosa ci si può aspettare?
    Già dal primo scatto si nota come la capillarità di Blumenfeld nel catturare il fugace momento che risulta in seguito essere lo snodo comunicativo di tutta la fotografia stessa, rimanda a un concetto soggettivo ben più ampio. La sua fotografia è un condensato di molteplici linguaggi che attraverso simboli del tutto “Blumenfeldiani” comunica la sua essenza.

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    • Federica Crosato   21 Aprile 2014 at 11:52

      Vorrei riportare questa tua frase Ginevra poichè trovo queste poche e semplici parole raffigurative di Blumenfeld “è un artista figurativo che di un’ immagine ne fa un concetto”.
      Visitando la mostra a lui dedicata a 10 CC si percepisce la grande sapienza e bravura che egli aveva nel rappresentare su carta le sue forti abilità. Camminando per la troppo piccola sala colma di veri e propri capolavori, mi ritrovavo a ripassare più volte sulle stesse fotografie e a rimanere piacevolmente sorpresa ogni volta che riuscivo a trovare un nuovo particolare che qualche minuto prima non avevo colto. Lo studio che Erwin dedicato ad ogni sua creazione era talmente minuzioso e perfetto che non bastava un solo sguardo per cogliere tutta l’impalcatura che era presente dietro.
      Nonostante il periodo nel quale egli ha vissuto, le sue “creature artistiche” potrebbero benissimo vivere ai giorni nostri grazie alla composizione alternativa, dinamica e al forte studio dei colori che le caratterizza. E’ infatti questa atemporalità che mi ha colpito del repertorio di Erwin e che mi invoglia a scoprirlo ancora meglio.

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  8. Chiara Tintisona   8 Aprile 2014 at 02:28

    Visionando i lavori di Blumenfeld, si percepisce un senso di innovazione che non è figlia di un incessante ricerca del perfezionismo, bensì di una esaltazione dell’essere e della filosofia abbracciata da subito dal fotografo tedesco: il dadaismo.
    Prendiamo in esame una delle più celebri foto di Blumenfeld: Lisa Fonssagrives on the Eiffel Tower nonché copertina di Vogue 1939. Si percepisce un senso di leggerezza e di leggiadria che attutisce il senso di pericolosità che la location detta. Il fotografo esalta il movimento della modella che con naturalezza sembra sconfiggere le paure, quasi deridendole. Questa sensazione di enfatizzazione della stravaganza è sicuramente fulcro essenziale delle opere dell’artista, collocato comunque in un epoca difficile, bellicosa e ottusa. Non è facile sicuramente per un artista del genere farsi conoscere per quel che si è e che si vuole esprimere quando tutto ciò che lo circonda sembra andare nel verso opposto. Ecco perché Erwin Blumenfeld, non è riuscito ad avere un successo imminente!
    Ad oggi, comunque, è insieme ad altri grandi fotografi come Richard Avedon e Martin Munkacsi uno dei migliori artisti riconosciuti di tutti i tempi.
    La storia insegna che le più grandi scoperte non furono accettate inizialmente dall’umanità.

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  9. Francesca Orsi Spadoni   8 Aprile 2014 at 10:48

    Blumenfeld e 10 Corso Como sono un abbinamento perfetto nel quale ambiente, atmosfera, colori e profumi rispecchiano profondamente l’essere del fotografo.
    Blumenfeld è stato e verrà ricordato come uno dei fotografi sicuramente più sensuali dell’epoca: sensualità che però non oltrepassava mai la trasgressione. Basta pensare al periodo in cui si trasferisce a Parigi ed effettua i suoi scatti fra il 1936 e il 1941. L’immagine più iconica del periodo, che lascia “col fiato sospeso”, viene scattata nel 1939 sulla Torre Eiffel con la modella Lisa Fonssangrives. E’ un’immagine che di primo impatto non si capisce bene dove la modella sia sospesa, poi però studiandola meglio e capendo l’ambiente in cui si trova fa pensare al momento stesso dello scatto: difficile sia per la modella appesa a una parte della torre che doveva cercare di mostrare coraggio e spensieratezza senza che il suo gesto fosse troppo irrigidito anche dalla paura, sia per il fotografo che doveva essere veloce nello scatto e nel cogliere il momento perfetto per rendere la foto tanto empatica quanto nello scatto finale.
    Le foto di 10 Corso Como sono state restaurate e rivitalizzate in maniera perfetta, con colori che sicuramente rispecchiano ciò che il fotografo voleva mettere in risalto nelle sue vere e proprie “opere”.
    La carriera del fotografo è stata un po’ frastagliata soprattutto per quanto concerne le riviste di moda in generale, ma nonostante questi intoppi ha sicuramente lasciato un segno per il mondo della moda.

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  10. Federica B.   8 Aprile 2014 at 23:34

    Erwin Blumenfeld è tra le figure più influenti e innovative della fotografia del ventesimo secolo. Un artista con una percezione dell’arte, della moda, della pubblicità unica nel suo genere, caratterizzata da una continua sperimentazione.
    Egli spazia dalla fotografia di moda alle campagne pubblicitarie, dai ritratti di personalità, ai manifesti della propaganda, fino ai lavori sperimentali che oggi sono stati riconosciuti come significativi e determinanti per lo sviluppo della fotografia contemporanea.
    
Blumenfeld inizia immediatamente a lavorare per la rivista Harper’s Bazaar e collabora con Carmel Snow e Diana Vreeland alla realizzazione di servizi di moda. Dopo soli tre anni negli Stati Uniti, è già uno dei più famosi e ben pagati fotografi del settore, così lo definisce il New York Times “una guida eccezionale dell’immaginario fotografico”.
    
La sua collaborazione con Vogue, durata 15 anni, segna il culmine della sua carriera in America. Realizza oltre cinquanta copertine per Vogue US tra cui i ritratti di modelle famose e donne dell’alta società del tempo.
    Profondamente inventivo, sperimentatore e spesso in opposizione ai codici convenzionali, Blumenfeld sviluppa uno stile proprio, utilizzando il fotomontaggio, la solarizzazione, le diapositive a colori e un’infinità di tecniche ibride.
    Blumenfeld traeva spesso ispirazione dalla storia dell’arte, dal suo interesse per la grafica, e trovava il modo di citare i grandi pittori, ad esempio reinterpretando con un tocco di modernità l’opera di Vermeer La ragazza con l’orecchino di perla per Vogue US.

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  11. Mariagrazia Di Rosa   10 Maggio 2014 at 20:39

    10 Corso Como ha regalato una straordinaria mostra nella Galleria d’arte del concept store. Più di cento opere, legate al periodo 1940-60, sono il soggetto della mostra dedicata al fotografo Erwin Blumenfeld, una delle figure più influenti della fotografia di moda del ventesimo secolo e interprete di un innovativo stile di comunicazione visiva della moda. Erwin Blumenfeld, collaborò con una delle riviste di moda più autorevoli: Harper’s Bazaar. Definito dal New York Times come “una guida eccezionale dell’immaginario fotografico”, Erwin collabora per 15 anni con Vogue, realizza campagne pubblicitarie e lavora con le star dell’epoca. Blumenfeld era convinto che la fotografia fosse arte, è proprio da qui che prende ispirazione.

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  12. Giulia Capone   31 Maggio 2014 at 13:50

    Erwin Blumenfeld è senza dubbio uno di quei grandi nomi tra i maestri della fotografia del XX secolo. Quando si parla di un artista a tutto tondo come Blumenfeld non si può certo descrivere il suo genio solamente collegandolo esclusivamente alla fotografia ma da ricordare sono anche la sua passione per la scrittura e il disegno che manifesta già in tenera età. Quando nella sua vita la passione per la fotografia diventa una dominate egli inizia non solo ad elevarla come sua passione esclusiva ma a sperimentare tecniche fotografiche che vanno dalla solarizzazione alle esposizioni multiple, dai viraggi alle distorsioni, riuscendo a dare un apporto personale ad un’arte annosa come la fotografia. La sua particolare attenzione per l’immagine di moda viene esplicitata quando sia a Parigi che in America ottiene contratti con le più grandi e famose testate di moda. La maestria del fotografo di origini tedesche sta anche nell’aver saputo codificare sia una fotografia di moda intimistica che una più commerciale senza però perdere il suo tocco tutto personale. Il fotografo si mostra un grande innovatore e sperimentatore, spingendo la fotografia in luoghi dove mai nessuno prima aveva osato scattare foto. Erwin Blumenfeld nei suoi scatti crea un’aura di mistero rappresentando uno dei temi assieme alla morte più ricorrenti nel suo repertorio artistico: le donne; atmosfere misteriose le ricoprono ma riuscendo comunque a mantenere una naturalezza disarmante. La fotografia di moda con Blumenfeld infatti assume tratti surreali delineando ancora una volta un nuovo livello di creatività artistica per il mezzo fotografico.

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