Cinema e Moda: Un fruttuoso scambio di prestazioni

Cinema e Moda: Un fruttuoso scambio di prestazioni

MONDO – Riflessioni sul sottile ma fondamentale filo che da più di un secolo collega il Cinema con la Moda.

1. Si può dire che a partire dagli anni venti del novecento, i responsabili delle produzioni e i registi cinematografici abbiano cominciato ad utilizzare con una certa consapevolezza la moda e il costume per creare a livello di fruizione del pubblico, una immediatezza di contenuti percettivi che aumentavano l’appeal delle star di un film e lo arricchivano di significazioni non lineari. Non sto parlando solo della coerenza dei costumi o della precisione filologica degli abiti di scena (in realtà quasi mai veramente rigorose) relativa alla narrazione e al contesto previsti da una determinata sceneggiatura.

Avanzo la congettura che fin dalla prima generazione di produttori, autori, registi, sia parso evidente il fatto che l’effetto di “verosimiglianza aumentata” creato dal costumista era fonte di un reale piacere visivo e che quasi sempre le deroghe o le noncuranze a questo principio configurativo comportavano il rischio di spalmare una velatura di ridicolo o di incredulità su ogni sequenza.

Ovviamente generi come il comico o la fantascienza facevano eccezione: il riso presuppone la rottura delle regole ordinarie e indubbiamente è piacevole. Ma, secondo logica, lo scarto dalla regola che provoca il riso, risulta possibile solo se esiste un canone condiviso dai più. E, per quanto riguarda la fantascienza, bisogna tenere in conto che si tratta di un genere che presuppone fin dall’inizio del progetto qualcosa di non ordinario anche per quanto riguarda il guardaroba degli attori.

Oltre all’importanza del costume relativamente al contesto del film, ai registi era ben chiaro il fatto che gli abiti dei personaggi più inquadrati (interpretati dagli attori principali) avevano bisogno di un trattamento particolare per accentuare dettagli che, stilizzandone la figura, accentuava l’impatto visivo delle star e l’accordava alle aspettative del pubblico. Potremmo definire questo supplemento di significanza vestimentaria nei termini di una “verosimiglianza aumentata”, realizzata dal costumista pronto a reinterpretare con creatività pattern considerati come degli standard.

Tuttavia quando parliamo di effetto “verosimiglianza aumentata” come piacere visivo non dobbiamo mai dimenticare le cornici che danno senso al concetto. L’assetto film nel quale l’attore prende posto implica a livello di fruizione del pubblico, un ingaggio percettivo simile quello attivato dal soggetto in movimento nell’ambiente reale. Simile significa però che c’è una differenza.

Vi propongo di chiamare provvisoriamente questa differenza “L’errore di Coco Chanel”. Vorrei dimostrarvi che una semplice riflessione sull’esperienza hollywoodiana della mitica couturiere ci permetterà di capire meglio le origini dello scambio di prestazioni tra moda e cinema e di comprendere le ragioni della “verosimiglianza aumentata” che a lungo ha marcato la specificità del costumista cinematografico. 

Gloria Swanson indossa Chanel nel film Tonight or Never (1932)
Gloria Swanson indossa Chanel nel film Tonight or Never (1931)

2. Nel 1931 Samuel Goldwyn, il più importante produttore di Hollywood, propose a Coco Chanel di creare abiti per tutte le sue attrici, ovvero star del calibro di Gloria Swanson e Mary Pickford, per intenderci. Il compenso offerto alla celebre couturiere per quei tempi era favoloso, superiore di molti zeri a quello del costumista specializzato in produzioni cinematografiche. Le motivazioni di Goldwyn erano intelligenti, innovative e per certi versi ancora oggi plausibili. Ve le presento con le parole di Edmonde Charles-Roux, tratte dalla bella biografia che dedicò a Coco Chanel (1). Goldwyn aveva intuito che la crisi economica divenuta drammatica dopo il crollo di Wall Street nel ‘29, avrebbe precluso la diffusione del cinema tra la moltitudine di persone che avevano perso tutto. Voleva dunque espandere i suoi film soprattutto tra il pubblico femminile che ancora poteva permettersi (pagando il biglietto) di sognare. Immaginò allora che il potere seduttivo della moda potesse “Dare alle donne un duplice motivo per andare al Cinema…In questo consisteva tutto il suo piano. Esse vi sarebbero andate, primo, per vedere i suoi film e le sue dive, secondo per vedere le dernier cri della moda”. Ora, tra la fine degli anni venti e l’inizio dei trenta nessuno poteva rivaleggiare con la forza del mito Chanel. Il suo leggendario stile sopravanzava di gran lunga la reale diffusione dei suoi abiti. Grazie a Vogue, Harper’s Bazaar, tutte le donne ricche la conoscevano, l’adoravano…Insomma sembrava la soluzione perfetta per fondere i due più ineffabili poteri novecenteschi: quello della moda e l’abbagliante fascino dello star system holliwoodiano. Per convincerla le offrì la direzione creativa del guardaroba di tutte la star della United Artist. E probabilmente sottovalutò le prevedibili conseguenze negative del suo progetto. Infatti, quando due poteri si incontrano, il primo effetto prodotto ha quasi sempre il rumore del conflitto. Ora, Chanel aveva un suo specifico modo di approcciare il processo creativo grazie al quale era divenuta una trendsetter per tutte le donne che potevano permettersi di guerreggiare a colpi di eleganza, stile, bellezza. Non disegnava, non elaborava idee o concetti astratti, almeno all’inizio. Osservava però con estrema attenzione le donne emancipate, meglio se fuori dagli schemi, ne percepiva il fascino e le conseguenti implicazioni per le sue nuove collezioni. Quando finalmente accettò l’offerta del produttore e si trasferì negli Stati Uniti cercò di intercettare i tratti che distinguevano, in quel preciso momento, le donne americane. Coco Chanel notò subito che erano più atletiche, dinamiche e flessuose delle donne europee; più frivole e persino più audaci. Coco Chanel tradusse tutto ciò nello strano “linguaggio” degli abiti quando realizzò il completo guardaroba di Gloria Swanson per il film  Tonight or Never (1931), una noiosissima commedia diretta da Mervyn LeRoy, che diventa grottesca quando osserviamo Gloria Swanson usare il suo talento recitativo per convincerci che un’esperienza romantica della protagonista, sin lì troppo fredda e severa, può trasformarla di colpo in una convincente empatica cantante lirica. Contro ogni previsione dei produttori il pubblico femminile non si fece abbindolare da queste cazzate e il film fu un fiasco clamoroso. Il guardaroba creato da Chanel non impressionò nessuno e per giunta fioccarono le critiche.  Era il terzo flop della serie e le conseguenze non tardarono a produrre il loro prevedibilissimi effetti. Coco si impegnò ancora nel 1932 per il film The Greeks Had a Word for Them diretto da Lowell Sherman, per il quale creò abiti per le tre Star protagoniste, Magda Evans, Ina Claire e Joan Blondel che recitavano benissimo la parte di donne affamate di money e lusso, civettando e prendendo per il culo, ciascuna a suo modo, i loro facoltosi sponsor. Stavolta il film fu un discreto successo, ma solo per la regia dal ritmo jazz e per le attrici. Gli abiti di Chanel, scrissero i critici cinematografici, erano semplicemente ininfluenti. E così Goldwyn e Coco risolsero il loro contratto.

Ora, ammetto di non essere la persona più adatta nel giudicare questo genere di film. Detesto l’ipocrisia holliwoodiana del periodo che esigeva un’immagine pubblica delle star, immacolata come se fossero tutte quacchere decerebrate, vestite però molto bene. Ho sempre provato un deplorevole piacere quando mi capitava di leggere presunti resoconti segreti della loro vita reale, spesso punteggiata dall’abuso di droghe, da orge e perversioni. Confesso di non aver mai resistito sino alla fine nella visione di un film commedia americana b/n degli anni trenta. Anche per me vale quello che dichiarò alla stampa Coco Chanel durante la sua permanenza negli Stati Uniti: “Mi spiace tanto, ma preferisco i polizieschi”. Tuttavia, malgrado i miei evidenti limiti, mi attribuisco la facoltà di evidenziare due aspetti del caso Chanel V/S Hollywood. Guardando alcune sequenze del film Tonight or Never e le foto di scena disponibili, mi pare legittimo spendere parole di elogio per il guardaroba creato da Chanel. Gloria Swanson domina le scene con la tipica eleganza un po’ severa che per Coco significava il vero lusso. Ma a mio avviso era proprio questo il problema: lo Stars System holliwoodiano del periodo aveva un altro concetto del lusso e dell’aura magica che, anche tramite il look, una star doveva evocare. Come scrive Henry Gidel nel suo “Coco Chanel, la biografia” (Lindau Editore)… “Il cinema ha le sue leggi, e deve, ancor più che il teatro, esagerare gli effetti per farli arrivare al pubblico. Ora, una donna vestita da Chanel è di una eleganza sobria, un’eleganza che non si nota, mentre la star, al contrario, ci tiene a differenziarsi dalle altre attrici, che deve far dimenticare grazie a quello che lì viene chiamato il suo glamour, ossia il suo splendore, quel non so di ammaliante che eclissa di colpo tutte le concorrenti. Si vorrebbe forse far passare inosservata una star? In queste condizioni risulta evidente che lo stile di Chanel non è particolarmente adatto a valorizzare l’immagine di una attrice”(2). Anche Hal Vaughan nel suo “A letto con il nemico” (3) scrive le stesse cose: “i suoi sottili completi in Jersey con colletti e polsini bianchi non erano sufficientemente glamour. A lei mancava il marcato sex appeal che attori e registi cercavano per esaltare i propri film; sul grande schermo la discreta eleganza dei costumi di Chanel pareva scialba”. 

Insomma, per farla breve, Coco Chanel considerava volgare e Kitsch lo stile del costume di scena hollywoodiano e, forte della sua notorietà cercò di allinearlo alle tendenze moda che lei stessa aveva contribuito a plasmare. Vale la pena di ricordare che uno degli aforismi preferiti della couturière  suonava: “Io non faccio moda, io sono la moda”.

Allora, quale fu il suo errore? Fu quello di non capire che le sue ragioni ( o se volete, presunzioni)  non implicavano tout court l’inadeguatezza dei costumisti di Hollywood. L’assetto cinema, cioè l’aumento di dimensione degli elementi in scena dovuto al grande schermo, cambiavano le regole dell’ingaggio percettivo con il pubblico. Il passaggio di registro visivo da piccolo (come poteva essere una foto di moda pubblicata da Vogue) a grande (il fotogramma cinematografico proiettato in sala), a livello percettivo ha effetti esponenziali, ovvero produce una significanza che trasforma qualitativamente l’esperienza che il sistema occhio-mente distilla dalla visione di inquadrature e sequenze.

A questo aggiungerei il fatto che lo specifico del cinema a livello di percezione (e del linguaggio audiovisivo in genere) è replicare/simulare i modi della visione naturale come nessun altro medium sino ad allora poteva fare, ovvero porre lo spettatore al posto della macchina da ripresa e fare come se si muovesse anch’esso sulla scena insieme agli attori. La percezione della dinamica significanza dell’abito cambia la sua valenza dal momento che dall’oggetto (l’abito indossato dall’attrice) i determinanti del valore si incollano al personaggio focalizzato, fondendosi con ciò che rappresenta in funzione della sceneggiatura. Se a tutto ciò aggiungiamo l’aggressiva competizione delle star per difendere il proprio stile individuale in pubblico, è facile immaginare che la pur prestigiosa cifra creativa firmata Coco Chanel, da condividere con le colleghe, rappresentava per l’aura mitica della star imprigionata dal sogno di unicità oltre che di rarità portato al parossismo dal cinema hollywoodiano, rappresentava, dicevo, un rischio che nessuna grande diva voleva correre.

Tra l’altro, nella Parigi della Belle Époque, capitale della moda/mondo, la necessità di amplificare il design dei costumi di scena, era ben nota tra gli addetti ai lavori. L’esempio più eclatante probabilmente fu lo straordinario impatto che ebbero i Balletti Russi di Diaghilev. Il Cinema ovviamente non c’entra nulla. Ma in quel contesto, un ballerino come Nijinki e una ètoile come Tamara  Platonovna Karsavina avevano un’aura mitica paragonabile a quella che caratterizzerà le Star di Hollywood. Ebbene, la sensazionale influenza “estetica” dei Balletti Russi che a cascata si ripercosse sul milieu artistico parigino, oltre alla maestria dei ballerini citati e alle musiche di Stravinsky,  fu prodotta anche dal geniale scenografo/costumista Léon Bakst, il cui impatto investì i concetti moda allora dominanti. A tal riguardo ai fini del mio discorso, è interessante la reazione di Paul Poiret, probabilmente il couturier più famoso prima dell’avvento di Coco Chanel. Nella sua autobiografia (“Vestendo la Belle Époque”, excelsior1881) scrive: “Ho scontentato più di una cliente che si era presentata da me con un nell’acquerello comprato a caro prezzo da Bakst, perché mi rifiutavo di interpretare le idee di qualcun’altro. Questo mio comportamento veniva preso come invidia. Non era affatto vero. Del resto, mi limitavo a non accettare supinamente tutte le idee di Bakst, che troppo spesso ricorreva a tratti eccessivi ad esagerati per darsi tono. C’era ben poco da estrapolare dalle sue creazioni teatrali. Erano troppo sopra le righe per poter ispirare un creatore di moda che debba fare i conti con la vita reale”. Le parole di Poiret ci presentano in modo invertito il problema che sopra ho definito “l’errore di Coco Chanel”: da una moda incapace di rispondere in modo efficace alla sfida percettiva portata dall’ambiente Cinema, passiamo all’impossibilità della messa in scena, non più di un film ovviamente, ma di un grande balletto caratterizzata da specifici costumi, di rapportarsi con il punto focale della creatività di un couturier. Possibile che Coco Chanel non avesse piena consapevolezza degli effetti percettivi e amplificativi segnalati da Poiret? Verso la fine del 1920, non aveva lei stessa creato i costumi per una riedizione de La sagra della primavera di Stravinsky interpretata dai Balletti Russi? E certamente quei costumi non avevano nulla da spartire con le sue collezioni moderniste (grazie alle quali aveva distrutto Poiret). Anche i costumi in lana grezza con disegnati motivi decorativi della Grecia Classica che realizzò nel 1922 per la piece teatrale “Antigone” di Jean Coucteau non ebbero mai alcuna risonanza con le forme dei suoi abiti. E allora, perché quando venne chiamata da Hollywood si rifiutò di agire partendo dalla specificità del Cinema? Probabilmente durante gli anni venti Chanel concepiva un film come qualcosa di sostanzialmente diverso dalla rappresentazione teatrale. Più vicino all’intrattenimento il primo rispetto alla forte impronta artistica del secondo? Oppure fu il potenziale realismo del Cinema a suggerirgli una relazione di massimo contatto tra il guardaroba delle attrici con lo stile dei suoi abiti?

Forse definirlo un “errore” è una affermazione troppo severa. Ho sempre pensato che Coco Chanel fosse da tutti sopravvalutata; trovo assurde le mitologie che una moltitudine di idioti continuano a promuovere. Faccio una grande fatica a separare il suo rozzo antisemitismo dalla valutazione critica dei suoi atti creativi. Tuttavia non posso non riconoscerne la stupefacente lungimiranza. La sua collaborazione con il cinema hollywoodiano può esserne un buon esempio. Visti attraverso le lenti della sensibilità odierna, quegli abiti rimandano a significazioni che ribaltano i giudizi di valore. La star vestita come un albero di Natale oggi non impressiona più nessuno. Per contro, molti look di Coco Chanel creati per Hollywood appaiono ben costruiti, pertinenti e persino con tratti attuali. Ma sono propenso a pensare che per il cinema, operativo tra i folli anni venti e il decennio della grande crisi, e il suo pubblico, un costumista come Adrian fosse molto più performante di qualsivoglia couturier del periodo, anche dell’immensa Coco Chanel. 

C’è da dire che la stilista fece tesoro dell’esperienza americana. Le collaborazioni con grandi registi, questa volta europei, nei decenni a seguire furono numerosissime. I suoi abiti per alcuni film di Marcel Carnè (Il porto delle nebbie, 1938 ), Renoir (La regola del gioco ), Louis Malle (Gli amanti,1958), Bresson (soprattutto quando il regista francese era ancora uno sconosciuto) risultarono efficaci e all’altezza della sua fama. Quando decideva di impegnarsi per un film Chanel non ripeté più l’errore dei suoi esordi…Non creava più abiti pensando alla moda cioè riflettendo su cosa volessero le sue clienti o a farsi pubblicità rafforzando la percezione diffusa del suo stile…Grazie alla sua non comune capacità di entrare in contatto con il corpo della donna, interpretato come un ricettacolo di energie psicologiche da liberare, gli abiti che concepiva per le attrici erano dentro la storia del film e al tempo stesso una specie di seconda pelle per le protagoniste. 

Bisogna aggiungere che nel frattempo il cinema era cambiato. Il neorealismo italiano e il nuovo cinema francese stavano erodendo prestigio e interesse a Hollywood, tra il sempre più numeroso pubblico colto e impegnato, Non mi sorprende che Chanel abbia dato il meglio di sé come costumista proprio con i registi che rappresentavano l’Avant Garde che lei, nella moda, aveva sempre cercato di catalizzare anche quando alcune colleghe come la Schiaparelli e madame Vionnet, si erano dimostrate più brave e creative.

Tuttavia, il guardaroba che Chanel creò per il film di Alain Resnais, L’anno scorso a Marienbad (1961) è da ricordare per un motivo diverso. Gli abiti della stilista provenivano interamente dalla collezione Haute Couture Chanel. C’è chi sostiene che era la prima volta che in un film gli abiti non venivano concepiti come una questione interna cioè come il costume per una attrice. Credo sia una delle proverbiali idiozie che accompagnano come un’ombra la distorsione prodotta da un presunto approccio critico razionale, causata dalla forza del mito (Chanel sempre prima in tutto). Anni prima Marlene Dietrich aveva imposto a Hollywood gli abiti di Dior. Anche il favoloso guardaroba creato da De Givency per Audrey Hepburn nel film di Stanley Donen, Cenerentola a Parigi (Funny Face, 1957) non era altro che una replica del concept degli abiti delle collezioni dell’allora giovane brillante couturier, opportunamente scelto dalla costumista ufficiale del film ovvero la celebre Edith Head, la più brava del mestiere dopo Adrian. Stesso ragionamento per Sabrina di Billy Wilder (1954) e Colazione da Tiffany di Blake Edwards (1961): Audrey Hepburn fu sedotta dalla bellezza degli abiti di Givency e probabilmente dopo il film di Wilder spese parole importanti per l’utilizzo del giovane couturier; la Head ne riconobbe la pertinenza accettandolo come partner. 

Pensate a quello che era successo a Chanel un paio di decenni prima e certamente vi chiederete: come mai ora risultava possibile un dialogo così costruttivo tra moda e cinema? 

Look Chanel nel film Greek Had a Word for Them (1932)
Look Chanel nel film Greek Had a Word for Them (1932)

3. I sintomi del cambiamento di regolazione dei rapporti tra cinema e moda, li vedo emergere dopo il secondo conflitto mondiale; e si presentano con un doppio movimento: nel 1949 viene attribuito finalmente l’Oscar per i costumi di un film, segno inequivocabile di una maggiore e diffusa consapevolezza delle valenze percettive offerte da un guardaroba di scena efficace; non per caso, proprio in quel periodo, grandi couturier vengono, in diversi modi, cooptati nelle produzioni cinematografiche, con un successo pieno, senza ambiguità o polemiche con la stampa specializzata.

Da quei giorni lo scambio di prestazioni tra Cinema e Moda a bilancio positivo per entrambe, non si è più interrotto. La produzione di un film può continuare a servirsi di un/una costumista specializzati i quali possono scegliere di utilizzare sarte  che creino i costumi di scena da loro disegnati, oppure optare per una sorta di shopping tra i look dei brand moda ritenuti efficaci per il film. E non di rado succede che il regista, il costumista o addirittura i responsabili della produzione si rivolgano direttamente a un grande stilista per dare maggiore coerenza percettiva ai personaggi centrali di una storia; coerenza parametrata alle attese del pubblico di riferimento.

Quali sono state le alleanze tra Cinema e Moda che hanno consolidato ciò che ho definito un proficuo scambio di prestazioni? In questa sede non è possibile ovviamente proporne un elenco esaustivo da momento che, soprattutto dagli anni sessanta in poi, la moda col passaggio dalla couture allo stilismo, ha cambiato il suo modo di operare divenendo a livello di fruizione di massa, un dispositivo di induzione passionale potente quanto il cinema. Non per caso, diverse dimensioni pratiche della costruzione di un immaginario-moda, presentano contaminazioni con il milieu professionale del cinema. Un set fotografico, un reportage di buon livello assomigliano tantissimo all’organizzazione del set cinematografico. Le modelle, da mannequin (pose codificate, rigide, inespressive) da tempo sono sempre più simili alle attrici. Molte sfilate oggi, anche se si presentano come serie di istallazioni ispirate all’arte o al teatro, viste dal punto di vista sinestetico, accreditano l’ipotesi che siano pensate e progettate come se fossero un film:  il ritmo dei fashion frame che mettono in sequenza i look, la musica, le immagini nei grandi schermi, i cambi di luce…lasciano percepire un dinamismo percettivo che per molti di noi è diventato sinonimo di meraviglia e piacere visivo. La disposizione ad esperire montaggi di look in contesti sovraccarichi di stimoli sensoriali, come qualcosa di seducente e piacevole, non è totalmente “naturale”. Avanzo la congettura che sia stata l’esposizione al Cinema a far emergere una risposta percettiva progressivamente catturata dai circuiti neuronali che controllano le gradazioni o gli intervalli tra piacere e dolore (noia). D’altronde è ben nota agli psicologi l’effetto di riconfigurazione emozionale, della continua esposizione ad uno stimolo. All’inizio provo qualcosa di lontano dal coinvolgimento, ma poi attraverso la ripetizione degli stimoli mi trovo sempre più assorbito da qualità emozionali che accompagnano l’esperienza del piacere.     

Ritorniamo ad indagare i momenti cruciali della sovrapposizione degli effetti del parallelismo estetico/estesico tra film e moda. Ebbene, la loro interazione, dal punto di vista dell’impatto prodotto sull’immaginario della gente, non è avvenuta di colpo e per caso.

Ci sono stati film che più di altri hanno convinto gli addetti ai lavori sull’efficacia del coinvolgimento diretto di stilisti operativi nella moda? Quali sono stati i registi e i costumisti più sensibili sugli effetti prodotti da un look indovinato? E chi furono i creativi della moda più efficaci?

La risposta alle domande ovviamente è: sì ci sono stati film che hanno demarcato un prima da un dopo; e di conseguenza ci sono stati anche registi e costumisti più sensibili di altri relativamente alle valenze che uno stilista poteva offrire; come del resto dobbiamo annoverare creativi della moda rivelatisi più efficaci di altri in contesto cinematografico.

Il già citato “Funny Face”, a tal riguardo, probabilmente rappresenta in forma narrativa il riconoscimento della forza configurativa ed espressiva delle apparenze funzionali al successo, gestite direttamente dall’ordine estetico imposto dalla moda e raccontate da un film. Bisognerà attendere “American Gigolo”(1980) di Paul Schrader, con gli impeccabili abiti di Giorgio Armani , per incontrare un film capace di evocare, con ancora più forza, l’elogio delle apparenze per la costruzione di una identità, fasulla finché si vuole, si tratta pur sempre di un film, perbacco!, tuttavia suscettibile di scuotere e cambiare l’immaginario di un vasto pubblico.

Ma credo che sia stato il film “Colazione da Tiffany”(1961), di Black Edwards, la possibile linea di demarcazione tra una moda utilizzata dal cinema come strumento tattico sottoposto al controllo del costumista di mestiere,  e una moda che diventa direttamente parte della creazione di qualità espressive fondamentali per la valutazione estetica di un film da parte del pubblico.

I protagonisti di questa riconfigurazione del rapporto Cinema e Moda, sono gli stessi di “Funny Face”, ovvero Audrey Hepburn e Hubert de Givency. L’attrice, interpretando il personaggio di Holly, proietta sull’immaginario work in progress della moda del periodo, la figura di una nuova protagonista generazionale: giovane, per certi versi ribelle, ma totalmente immersa (stile di vita) nel sistema di segni della moda. L’abito nero da cocktail con il cappello a tesa larga che Audrey/Holly Goghety indossa in alcune sequenze, ebbe un impatto straordinario. Anche se sappiamo che fu Coco Chanel a diffondere il tubino nero, fu la silhouette di Audrey comunicata in un numero sconfinato di fotografie e immagini grafiche, a mobilitare le fantasie delle giovani donne che a partire dalla metà degli anni sessanta cominciarono ad apprezzare il minimalismo chic, severamente sexy, strettamente coeso ad una identità femminile, indipendente e reattiva. Di quel film si ricorda ancora oggi anche il cappotto di lana arancione a doppio petto dal taglio impeccabile. Ad essere sincero, se dovessi scegliere il look che con maggiori probabilità ha avuto un ruolo riconfigurativo dell’imago femminile, opterei per il trench beige con foulard abbinato. 

Con “Colazione da Tiffany”,  tra i creativi della moda si rafforzò l’idea della centralità del Cinema per scalare velocemente le classifiche di una notorietà senza confini. Parallelamente anche registi e costumisti cambiarono sostanzialmente i modi di interagire con i protagonisti della moda: ora non erano più solo gli autori dai quali prendere oggetti e look in modo diretto o indiretto; ora erano, come gli attori, parte integrante di un progetto filmico nel quale la percezione delle apparenze di uno dei protagonisti si rivelava importante quasi quanto l’interpretazione del ruolo.

Film Colazione da Tiffany (1961) con Audrey Hepburn, George Peppard e Patricia Neal
Film Colazione da Tiffany (1961) con Audrey Hepburn, George Peppard e Patricia Neal

Ma, lo ripeto, è difficile stabilire gerarchie o date di inizio. Per esempio: come dimenticare i film del periodo “americano” di Alfred Hitchcock? Il grande regista inglese era molto attento ai look delle sue attrici preferite. I look di scena di Grace Kelly in “ La finestra sul cortile” del ‘54, e il sublime guardaroba indossato dall’attrice in “Caccia al ladro” del ‘55, sono una testimonianza forte di quanto le apparenze possono rafforzare il mito della bellezza e consolidare il flusso passionale che intercorre tra l’attrice/attore e il suo pubblico. Dello stesso regista si può citare anche l’abito nero indossato da Kim Novak nel film “Vertigo” del ‘58; e il vestito verde di Titti Hedren nel film “Gli uccelli” del ‘63. I look citati sono entrati di forza nell’immaginario della gente, rendendo evidente ai registi e produttori quanto fosse pregnante il look che rispondeva agli innesti  creativi di chi operava da protagonista nella moda.

C’è da dire, per quanto riguarda Hitchcock, che l’attenzione verso la moda, fu probabilmente stimolata da Marlen Dietrich, quando per “Paura in palcoscenico” impose al regista gli abiti di Dior. Il film fu ingiustamente sottovalutato dalla critica almeno quanto fu apprezzato il guardaroba della Dietrich. Se fino a quel momento il regista si era trincerato dietro al costumista professionale, grazie al quale poteva intervenire personalmente sull’abito, dopo quel film il suo sguardo sulla moda divenne cruciale e la lista di look citata sopra, a mio avviso, lo dimostra.

Lo stesso anno in cui apparve in tutte le sale cinematografiche “Colazione da Tiffany”, Alain Resnais presentò al festival di Venezia “L’anno scorso a Marienbad” (1961), un film reso pretenzioso fino alla noiosità dalla sceneggiatura di Alain Robbe-Grillet, il rappresentante più famoso del Noveau roman. Una delle poche cose che convinse tutti i critici fu il guardaroba creato da Coco Chanel per Delphine Seyrig, che in alcune indimenticabili scene è di una eleganza stratosferica.

Delphine Seying vestita Chanel in L’anno scorso a Marienbad (1961) 
Delphine Seying vestita Chanel in L’anno scorso a Marienbad (1961)

Sono certo che qualche sapientone di Cinema e con buone cognizioni di moda, a questo punto gonfio come un rospo incazzato (ricordo al lettore che, se disturbato, il Bufo bufo si espande per far paura al possibile predatore e contemporaneamente se la fa addosso), vorrebbe dirmi: E Cecil Beaton? Te lo sei dimenticato? Errore, errore…è stato lui a sdoganare nel cinema la moda intesa come induzione di stile? Va bene, va bene – risponderei – ammetto di non aver particolari simpatie per uno stronzo ultra conservatore, vanesio da far paura, buttato fuori da Vogue per stramberie antisemite, che si eccitava ogni volta che intercettava segni che in qualche modo alludevano alla monarchia, alla nobiltà, alla bellezza aristocratica. Però so benissimo che nel ‘58 vinse l’Oscar per i costumi con il film “Gigi”, diretto da Vincent Minelli. Un exploit replicato nel ‘64 con “My Fair Lady”, una commedia musicale diretta da George Cukor, considerato dagli esperti (boh!) uno dei 100 migliori film americani di sempre (Mah! E poi ancora Boh!). 

Anche se indubbiamente Cecil Beaton, soprattutto come fotografo di moda, è stato un personaggio di primissimo piano, dai numerosi talenti e indubbiamente un fervente cultore dello stile dandy alla Oscar Wilde, molto influente negli ambienti della couture, i due film citati e i relativi Oscar per i costumi, hanno avuto un impatto tutto sommato relativo, rispetto a quanto sto argomentando.

Il contesto storico dei due film risaliva ai primi del novecento ovvero all’epoca edoardiana. Non ho alcun dubbio sul fatto che l’interpretazione del guardaroba di una donna elegante del periodo, progettata da Beaton, abbia colpito la critica e il pubblico. L’età edoardiana rappresentava l’ambiente storico nel quale si era formato l’orientamento estetico del fotografo e per molti anni scattò fotografie che evocavano il mood del mondo di privilegiati al quale ambiva appartenere (il mileu aristocratico, ovviamente). Però Beaton era un uomo intelligente e quindi capace di modificare l’assetto delle immagini che produceva per le riviste, in funzione delle mode culturali del momento. Citava il surrealismo, il modernismo, l’espressionismo. Tuttavia quando poteva, si abbandonava alla nostalgia delle atmosfere teatrali, tulleggianti, romanticamente flou, pittorialiste tipiche dell’età edoardiana. Come fece nei due film citati, del resto. Quindi si può dire che abbia offerto all’arte cinematografica una superba interpretazione di come il costume possa contribuire alla stilizzazione del personaggio, ma dal mio punto di vista, il suo contributo alla moda, in questi casi, è stato quasi irrilevante. Voglio dire che nessuna ragazza chic nei sessanta avrebbe mai desiderato di abbigliarsi come Audrey Hepburn in “My Fair Lady”. E dire che lo stile eduardiano era stato di tendenza nella Londra dei ‘50 e primi ‘60. Ma era apparso sulla scena della moda grazie alla subcultura dei Teddy Boys e di certo non ispirato da Beaton. 

Leslie Caron con un abito creato da Beaton nel film Gigi (1958)
Leslie Caron con un abito creato da Beaton nel film Gigi (1958)
Audrey Hepburn  con un abito di Beaton in My Fair Lady (1964)
Audrey Hepburn  con un abito di Beaton in My Fair Lady (1964)

Dal mio punto di vista, per ragionare sullo scambio di prestazioni tra cinema e moda, ebbero più importanza film come “Bella di giorno” (1968) diretto dal grande Luis Bunuel. L’attrice principale era Catherine Deneuve, in quel periodo una delle donne più attraenti del pianeta, che interpretava il ruolo di casalinga borghese annoiata al punto da trasformarsi ogni pomeriggio in una perversa escort d’alto bordo.  Non è il film meglio riuscito girato da Bunuel ma Catherine Deneuve era fantastica e fantastici erano gli abiti di Yves Saint Laurent, Abiti neri, cappottini deliziosi e copricapo che le spettatrici potevano trovare nella boutique dello stilista. Comunque il film circolò con un certo successo tra il pubblico più intellettuale, e contribuì a rafforzare il mito di geniale creativo di Yves Saint Laurent.

Catherine Deneuve indossa un cappottino di Yves Saint Laurent in Bella di giorno (1968)
Catherine Deneuve indossa un cappottino di Yves Saint Laurent in Bella di giorno (1968)

Un altro proficuo scambio di prestazioni fu il film di Roger Vadim, “Barbarella”, del quale non si può dire che sia il più brutto e ridicolo film di fantascienza mai girato, ma, rivisto oggi, il sospetto nasce.

Tuttavia Jane Fonda/Barbarella era semplicemente irresistibile; certamente per via della sua bellezza, ma anche grazie al guardaroba creatole da Paco Rabanne. Le scene in cui indossa maglie a due pezzi fatte con elementi circolari di alluminio, i body borchiati, gli stivali di plastica alti fino alle cosce, erano gravide di erotismo kitsch, ma presentavano per la prima volta abiti futuristici, spaziali assolutamente credibili e soprattutto molto Camp cioè di tendenza.

Se penso che nello stesso anno sugli schermi appariva il capolavoro di Stanley Kubrick “2001 odissea nello spazio”, allora non mi faccio remore nel definire ridicolo il film di Vadim. Tuttavia la pellicola tra il largo pubblico, grazie a Jane Fonda e agli abiti di Paco Rabanne incontrò non pochi apprezzamenti che proiettarono lo stilista verso una diffusa notorietà globale che le sue collezioni ancora non avevano. 

Jane Fonda in Barbarella (1968). Look creato da Paco Rabanne
Jane Fonda in Barbarella (1968). Look creato da Paco Rabanne

A mio avviso, lo stilista che maggiormente contribuì a rendere espliciti e sempre più numerosi, gli scambi di prestazioni di primo livello tra Cinema e Moda, fu Giorgio Armani quando nel 1980 collaborò con il regista Paul Schrader al film “American Gigolo”, un thriller dal quale, aldilà della storia noir, emergevano significazioni etiche epocali che riguardavano il rapporto uomo-donna. Il ruolo di raffinato strumento di piacere per donne mature alla ricerca del proprio desiderio smarritosi nel tran tran della vita ordinaria, interpretato da Richard Gere, era per il largo pubblico del cinema una “novità storica”. Julian Kaye non è un seduttore alla Rodolfo Valentino e nemmeno un James Bond. È colto, sofisticato, disponibile; ma il perno centrale del suo fascino è lo stile che trasuda dal suo modo di essere. A tal riguardo credo di non esagerare se affermo che il guardaroba creato da Giorgio Armani ha contribuito in misura notevole al fascino del personaggio, almeno quanto Schrader è stato intelligente e abile nell’incapsulare nel film alcune scene mai viste prima: penso alla sequenza nella quale Julian sceglie il look di giornata, esplorando i dettagli (es:le armoniche indovinabili dal rapporto camicia/cravatta) che aggiungono note estetiche differenziali al look.

Il film ebbe un notevole successo e contribuì ad elevare Richard Gere al rango di star globale. Ma, a mio avviso fu ancora più importante l’idea di mascolinità che suggeriva: la disinvoltura, l’apparente fragilità di un’eleganza dinamica, non priva di quella grazia che al senso comune in quei giorni veniva normale attribuire al genere femminile, ben bilanciate con i tratti tipici dei modi maschili (la cura del corpo prestazionale, la determinazione nel tirarsi fuori dai guai, la reattività aggressiva nel confronti del “nemico”), furono intercettate dal pubblico di entrambi i sessi, con conseguenze delle quali non abbiamo una metrica precisa, eppure determinanti per un cambiamento epocale dell’immaginario che, in qualche modo, regola i rapporti tra i sessi in termini di disposizioni e di attese. Ebbene, per questa nuova regolazione, l’anima bella, i buoni propositi, il senso discorsivo sui fatti della vita contano meno del tessuto di immagini che dal punto di vista percettivo mobilitano i nostri stati interni assai più dei contenuti verbalizzati, affinando ciò che chiamiamo la sensibilità, un sentire/sentirsi diversi. Ecco perché mi viene spontaneo attribuire a Giorgio Armani, a Schrader e per estensione allo scambio di prestazioni tra Moda e Cinema, il ruolo di catalizzatori della strana energia neuronale necessaria per modificare disposizioni e attese che alla fine si traducono in nuovi comportamenti.

Comprenderete dunque il perché considero entrambi, il film e i look del nostro stilista, un modello di scambio di prestazioni di primo livello. In questi casi, lo stilista non incide solo sulla congruità dei costumi di scena, ma offre un in-più di senso intercettato dal sistema percettivo, che pur senza la piena consapevolezza dello spettatore, investe il suo modo di essere, lo stile di vita, suggerisce possibili alternativa al comportamento, offrendosi dunque come un modello di riferimento per mettere in moto nuovi valori e le trasformazioni da essi presupposti.

Richard Gere in American Gigolò in abito Armani
Richard Gere in American Gigolò in abito Armani

Ovviamente gli effetti sullo stile di vita della gente che ho agganciato alla scambio di prestazioni di primo livello, non sono molto frequenti.

Molto più numerose sono le occorrenze che mettono in movimento valenze il cui raggio d’azione è confinato a ciò che potremmo avvicinare nei termini di:  “la robustezza dell’ingaggio percettivo/emotivo del personaggio”. Faccio subito un esempio che spero chiarisca quanto ho appena scritto.

Nel film “007.Bersaglio mobile” (1985) Grace Jones interpreta magistralmente May Day, una pericolosa, crudele, pazza criminale. Il guardaroba per l’attrice, creato da Azzedine Alaïa è di sorprendete efficacia percettiva: gli abiti fasciati con il cappuccio trasmettono gli ambivalenti segnali di una silhouette esageratamente sexy e al tempo stesso inquietante. Anche il blazer gessato da mafioso anni trenta/quaranta, indossato dalla perseverante e cattivissima  assassina, gioca sul doppio impatto emotivo: eleganti, formali ma con evidenti note aggressive.

Perché scomodare un grande couturier per raggiungere effetti facilmente emulabili da qualunque abile costumista? Per due motivi credo. Il primo corrisponde alla necessità di evitare ogni anacronismo. A tal riguardo si può aggiungere che tutti gli stilisti sono particolarmente attrezzati per citare apparenze del passato (o in qualche modo codificate), reinterpretandole in funzione del gusto ad essi contemporaneo, evitando come la peste il rischio di essere etichettati come anacronistici o nostalgici. Per contro il costumista, qualora il guardaroba del quale è responsabile implichi la freccia del tempo rivolta all’indietro, ha meno propensione a ricreare un look storico adattandolo al gusto contemporaneo. Anche se l’abito che configura risultasse filologicamente più corretto, in molti casi conviene calcolare che lo spettatore medio difficilmente possiede la cultura storica per apprezzarlo. E proprio il suo rigoroso “realismo” potrebbe risultare indigesto, qualora facesse attrito con alcune escrescenze estetiche della sensibilità contemporanea.

Cerco di chiarirmi ancora con un esempio. Per il guardaroba del film “Il grande Gatsby” (2013) del regista Baz Luhrmann, Miuccia Prada, in collaborazione con Catherine Martin, la costumista del film, ha creato bellissimi look ispirati agli anni venti. Trionfo di paiettes a parte, tutti gli abito strizzano l’occhio a ciò che uno spettatore con conoscenze fatalmente approssimative, immagina dovesse essere il lusso dei miliardari Made in USA di quel periodo. Tra l’altro la stessa Catherine Martin nelle conferenze stampa che anticipano l’uscita del film, aveva chiarito il perché era stata scelta Miuccia: i miliardari della East Coast negli anni venti per quanto riguarda la moda e l’arte si ispiravano all’estetica europea; l’eleganza che potremmo definire minimalismo di lusso che nessuno meglio di Miuccia Prada ha saputo declinare secondo molteplici gradation, senza sconfinamenti nel kitsch, ai suoi occhi rappresentavano una scelta creativa azzeccata. Ma non è irrilevante notare che i look progettati per il film portano anche i segni di numerose occorrenze relative a collezioni della stilista (sia del Brand Prada che Miu Miu).

Di conseguenza il guardaroba di Miuccia Prada (circa 40 abiti) è storico e al tempo stesso stranamente conforme alla sensibilità contemporanea. È coerente con il contesto del film e proattivo cioè aiuta lo spettatore a immergersi senza attriti nelle trame della narrazione.

Grace Jones in 007 bersaglio mobile (1985). Look di Azzedine Alaïa 
Grace Jones in 007 bersaglio mobile (1985). Look di Azzedine Alaïa

 

Leonardo Di Caprio nel film Il Grande Gatsby
Leonardo Di Caprio nel film Il Grande Gatsby

Un ulteriore aspetto del lavoro del costumista merita di essere indagato. Una produzione cinematografica costa un sacco di soldi. La necessità di prevedere le reazioni del pubblico fa parte del gioco. Sembrerebbe ragionevole in molti casi, confezionare per la gente la trappola narrativa/visuale più vicina alle loro aspettative, sia per avere successo e sia per distribuire le quote di benessere emotivo che il film più di altre opere creative può mettere in motion. Tuttavia, in linea teorica, prevedere le reazioni del pubblico e agire di conserva, significa anche il rischio di togliere a una produzione l’ineffabile “differenza” che sappiamo essere foriera di curiosità, sorpresa e di una più sentita o profonda partecipazione emotiva. Ecco perché i film che ci cambiano la vita (si fa per dire, of course) usano ciò che crediamo di sapere sulle disposizioni del pubblico per in qualche modo negarle. In realtà dunque, sembra più intelligente calcolare in anticipo non tanto ciò che desidera vedere il pubblico bensì l’ampiezza della distorsioni percettive che potrebbe accettare, per far sì che lo scarto dalle aspettative non apra le porte a perplessità o a tratti anti=estetici che poi ricadranno sul giudizio generale dell’opera. A livello di guardaroba questo problema spesso viene risolto dal costumista professionale con uno shopping multimarca. Come esempio posso citare il film “Atomica bionda” del 2017,diretto da David Leitch.

La costumista Cindy Evans, astutamente devo dire, selezionò abiti in stile vagamente anni ‘80 provenienti da brand famosi. Il cappotto rosso ciliegia che indossa la protagonista (Charlize Theron) è di Dior. Poi appare con un’altro cappotto nero a doppio petto di MaxMara. Quando deve indossare un trench ecco arrivare in scena un sempre elegante Burberry. Gli stivali borchiati sono firmati YSL. Il capo che il giornalistese ha considerato più iconico è un cappotto bianco che l’attrice esibisce in una delle prime scene, creato appositamente per lei da John Galliano.

Se consideriamo che lo stile delle inquadrature di Leitch sembra evocare l’estetica sevy-noir delle foto Helmut Newton, possiamo dire che la scelta della costumista di un guardaroba che strizzava l’occhio alla decade che rese il fotografo una superstar, si rivela azzeccata. Utilizzando brand che tutti conoscono e citando indirettamente frammenti di cultura della moda ancora integrati in ciò che potremmo definire il gusto contemporaneo, Cindy Evans ha notevolmente contribuito all’appeal del personaggio interpretato da una splendida Charlize Theron, conferendo ad essa i caratteri mitici dell’eroina e al tempo stesso quel senso di novità che i grandi brand della moda hanno imparato ad operativizzare con terrificante efficacia.

Charlize Theron in Atomica bionda (2017). Cappotto di Galliano
Charlize Theron in Atomica bionda (2017). Cappotto di Galliano

4. Cosa significa dunque “scambio di prestazioni”? Cosa si scambiano Cinema e Moda? come ho già fuggevolmente ricordato sopra, i grandi stilisti e i loro brand nella postmodernità hanno raggiunto un consenso globale che li colloca tra le icone dello star system. Evidentemente nel tappeto di informazioni preparato per attirare l’attenzione del pubblico ante evento cinematografico, la notizia che il guardaroba del film è stato creato da un creativo della moda, può essere considerata una strategia molto efficace. In questo contesto lo scambio significa dunque un’alleanza di simulacri del potere in formato “immagine”, capaci di catalizzare l’interesse di una moltitudine di soggetti in perenne attesa dell’innesco dei propri desideri. E il grande spettacolo del cinema è indubbiamente un efficace ricettacolo nel quale le anticipazioni spesso scatenano emozioni di intensità maggiore dell’esperienza diretta di un film. Tuttavia, alla luce di quanto ho detto, sembra emergere anche una interazione che vede l’opera cinematografica arricchita, grazie alla collaborazione con uno stilista di rango, di inedite “affordances” appiccicate addosso agli attori tali per cui la visione del film (e dei suoi protagonisti, soprattutto) acquisisce qualità percettive sfumate cioè difficilmente descrivibili a parole, quanto di evidente impatto sulla sensibilità dello spettatore. 

Per contro, lo stilista di turno, al netto di compensi economici e di un in-più di notorietà, grazie al cinema ha l’opportunità di metacomunicare al pubblico eterogeneo di un film la propria idoneità a misurarsi con sfide estetiche che trascendono le sue ordinarie competenze. In tal modo viene rafforzata la fitness creativa del brand che lo rappresenta.

Il termine affordances rinvia alla teoria della percezione di J.J.Gibson definita dall’autore “ecologica”. Semplificando, significa che un oggetto, una situazione, la scena di un film…sono in grado di suggerirci in modo immediato (non elaborato da costrutti mentali), modalità d’uso sintonizzate con ciò che in quel preciso momento ci agita dall’interno. Noi guardiamo un film per provare un’esperienza e più gli oggetti e le situazioni dell’ambiente cinema attivano affordances specifiche e maggiori sono le probabilità di sentirci dentro al film e non immobili di fronte ad esso. 

Quali sono le affordances che un/a stilista può offrire al guardaroba di attori e attrici? Le definirei affordances di conformità alle dimensioni, sopravvalutate finché volete ma non rimuovibili dalla sensibilità contemporanea, avvicinabili attraverso i concetti di creatività e di stile individuale. 

Perché uno stilista di grido può essere più efficace del costumista professionale? Beh! In un modo nell’altro lo sappiamo o lo intuiamo tutti…Sappiamo per esempio, che le attese del pubblico e le sue disposizioni rappresentano l’estensione degli effetti sullo stile di vita prodotti da una lunga esposizione alla moda. Quindi mi chiedo, chi meglio di uno stilista può creare configurazioni d’abbigliamento con un piede nelle disposizioni che la moda ha diffuso, mettendo l’altro piede nel terreno di ciò che può essere percepito come novità, tendenza, bellezza conforme al momentum?  Vorrei precisare che l’attesa di novità tra il pubblico è più di un fatto culturale o di una necessità di mercato; in altre parole è una questione sembra radicata nel biologico. I neuroscienziati ci dicono che il sistema percettivo sia esterno che interno si è evoluto sviluppando rete neuronali che bilanciano la possibilità per l’organismo di trattenere tracce archiviandole in memorie, con la necessità di iscriverne di nuove (o riscrivere le stesse come se fossero nuove). Ora, sono le seconde, che noi percepiamo (internamente) come immerse nel sentimento di novità, a classificare le prime. 

Il costante e stressante confronto con l’impegno di ricreare la “novità” tenendo presente l’archivio delle forme con dentro le tracce di ciò che sin lì ha funzionato, prepara lo stilista ad affinare la sua sensibilità verso le configurazioni che promettono un ingaggio emotivo (che noi sperimentiamo come immediato), con i recettori neuronali che subito le traducono in mappe e immagini interne, a loro volta responsabili della messa in moto dell’immaginazione, in direzione di una più acuta percezione dei valori grazie ai quali diamo senso alla nostra vita come individui.

Avere stile è un valore. Piace a tutti essere percepiti come interessanti o addirittura attraenti. Persino il fascino della devianza, interpretato da uno stilista, cioè se diventa “stile”, può risultare performante (penso al Punk trasfigurato da Vivienne Westwood).

Naturalmente anche il costumista professionale specializzato nel cinema, oltre a padroneggiare l’ambito delle contestualizzazioni vestimentarie con maggiore competenza rispetto al designer, può configurare effetti espressivi ispirati dallo stile e dal desiderio di novità compatibili con la sensibilità del momento. Il primo esempio che gli archivi della mia memoria presentificano con una immagine mi portano nei dintorni della cerimonia degli Oscar del 1955. Quell’anno fu premiata come migliore attrice Grace Kelly per il ruolo interpretato in The Country Girl. Quando apparve indossando uno splendido abito in raso duchesse grigio-azzurro le giornaliste andarono in estasi prolungata. Hedda Hopper del Los Angeles Time descrisse l’attrice come “un sogno che cammina”; le considerazioni critiche sul fatto che l’Oscar come migliore attrice fosse meritato, passarono in secondo piano. Ebbene, quel look era stato creato da Edith Head, una delle costumiste più premiate da Hollywood. Ora, è vero che De Givency aveva già fatto sfilare abiti dalla silhouette simile. Ma questo non toglie nulla alla performance creativa della Head, esemplare anche per quanto riguarda l’allineamento con le attese di un pubblico immaginato essere una sorta di arbitro di ciò che approcciamo col termine “contemporaneità”. Non posso fare a meno di ricordare il già citato Adrian: i suoi look per Joan Crawford caratterizzati da spalle generosamente imbottite divennero immediatamente moda; alcuni suoi abiti indossati da attrici, replicati e messi in commercio furono venduti in centinaia di migliaia di copie.
Il ricordo della Head e di Adrian, intendono suggerirvi che i miei argomenti sopra riportati non puntano ad escludere il costumista dallo specifico della moda,  bensì a spiegare il perché sempre più spesso faccia shopping tra i prodotti creati da stilisti che, pur dichiarando di vendere sogni, misurano la propria fitness affrontando il mercato e persone che vivono nel mondo reale.

La moda da sempre dialoga con la percezione che noi abbiamo del nostro corpo; la moda silenziosamente cambia di continuo le sottili regolazioni che specificano i tratti di stile di identità immaginarie, fasulle se volete, con le quali però dobbiamo fare i conti. La deviazione dalle attese dei suoi pubblici, grandi o piccole che siano, sono il frutto di sperimentazioni, azzardi; ma il loro impatto non può prescindere anche da una costante riflessione che uno stilista indirizza verso il suo tempo. Non dovrebbe sorprendervi se attribuisco a stilisti di rango una maggiore attitudine e abilità nel progettare abiti capaci di avvolgere il corpo di una attrice o di un attore con significazioni complesse, difficili da verbalizzare, ma con porte e finestre aperte a un sentire contemporaneo.

Non sono sicuro di avere trovato parole o metafore adeguate a descrivere e spiegare la specificità del contributo dello stilista al cinema. In compenso mi è parso che, ma forse è una mia illusione, i film citati la mostrassero benissimo.

Lamberto Cantoni
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83 Responses to "Cinema e Moda: Un fruttuoso scambio di prestazioni"

  1. luciano   24 Marzo 2023 at 11:21

    Non sono d’accordo sul trattamento riservato a Cecil Beaton. Essere scelto dalla Regina Elisabetta come fotografo di corte non è una colpa. E nemmeno essere bravissimo come costumista. My Fair Lady nel suo genere è un capolavoro. Capisco che nei sessanta gli abiti di Beaton non potevano essere di tendenza. Ma si parla di un film che ci riporta all’inizio del secolo. Che cosa doveva fare Beaton? disegnare minigonne? La nostalgia è una emozione che andrebbe rispettata. Definire Beaton un vanesio è un affronto ad uno dei più grandi fotografi del secolo scorso.

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    • maurizio   25 Marzo 2023 at 11:42

      Condivido quello che dice Luciano. Beaton era talmente bravo e non trovo inappropriato che esaltasse il suo talento. Normale che preferisse fotografare la famiglia reale invece che gente comune. Bisogna essere ciechi per non apprezzare l’abito “Leslie” postato nell’articolo. Una cosa bella non è mai nostalgica.

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    • Lamberto Cantoni
      Lamberto Cantoni   27 Marzo 2023 at 16:44

      Non conosco fotografi che si siano fotografati o fatti riprendere, tanto quanto Cecil Beaton. Come vogliamo chiamare questa necessità di esibirsi? Narcisismo? Chi ostenta un frivolo compiacimento di se stesso, lo definisco un vanesio.
      Nei suoi famosi diari Beaton non aveva mezze misure nel descrivere i personaggi che non gli andavano a genio. Ho pensato di riservargli lo stesso trattamento.
      Non ho remore nel disprezzare chi dicendo idiozie minimizza o ironizza sul dramma degli ebrei in epoca nazista. Beaton, forse senza rendersene conto lo fece quando lavorava per Vogue. Condè Nast lo licenziò. È vero anche tentò di redimersi. Tanto che dopo 5/6 anni tornò a collaborare con la rivista. Ma non trovo giusto dimenticarmene completamente.

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  2. Nicolò U.   24 Marzo 2023 at 14:50

    I costumi nel cinema vengono utilizzati soprattutto per far immergere lo spettatore all’interno dell’opera che sta guardando. Prendendo per esempio i costumi utilizzati nel film “Blade Runner” di Ridley Scott, essi restano uno dei punti più alti dell’intera pellicola. I designer Charles Knode e Michael Kaplan hanno sapientemente utilizzato un look che va dal punk, al vintage e strizzando l’occhio a oriente. Un esempio di questo concetto è il personaggio di Pris Stratton, interpretato da Daryl Hannah; notiamo il choker borchiato al collo, un vestito velato nero e un capotto tigrato logoro. Insomma un mix di varie correnti, correnti che ai giorni d’oggi prende il nome di cyberpunk.
    Ma i costumi non vengono solo utilizzati per farci immaginare un futuro distopico, oppure un mondo fantasy ma anche epoche passate. Un film che vorrei citare è “C’era una volta ad Hollywood” di Quentin Tarantino, una reinterpretazione del massacro della famiglia Manson ai danni dell’attrice Sharon Tate. La stilista Arianne Phillips (candidata più volte agli oscar e stilista di fiducia di Madonna) è riuscita sapientemente a riportare lo spettatore negli anni 60 in piena epoca del boom economico americano in contrapposizione allo stile hippie che di li a poco stava costantemente prendendo forma.
    Mi verrebbe da dire che moda e cinema sono due vasi comunicanti, che si scambiano reciprocamente spunti.

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    • Lamberto Cantoni
      Lamberto Cantoni   27 Marzo 2023 at 16:26

      Eccellenti citazioni. Blade runner è stato un film ben riuscito anche per la bravura dei costumisti che hai citato. Sì, anche per me Arianne Philips per Tarantino è stata bravissima.

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  3. Conigli Aurora LABA   1 Aprile 2023 at 12:57

    La moda ormai è tutto, ci rende unici, ci influenza, entra in noi come qualcosa di inconsciamente seduttivo, oramai è diventato uno dei protagonisti più discussi perfino nei social.
    Trovo nei costumi presenti all’interno dei film citati nell’articolo di una meraviglia a livello di piacere visivo molto ampia, tali film hanno accompagnato la storia del cinema e della moda in movimenti quali Neorealismo, Surrealismo, Modernismo ed Espressionismo e hanno tramandato allo spettatore una grande influenza, lo hanno reso partecipe.
    La potenza di ciò che possiamo percepire è veramente tanta, solo con ciò che vediamo possiamo immagine e capire molto di un singolo personaggio, penso difatti che i costumi scelti per gli attori all’interno della cinematografia possano parlare più dei fatti.
    Lo spettatore è in grado di cogliere una lista di informazioni ampissima semplicemente guardando un capo di abbigliamento.
    La moda è bellezza, ci accompagna da anni ed è stata in grado di dare al cinema un nuovo livello percettivo ed emotivo fatto di influenza, difatti Coco Chanel, come citato nel testo, è stata in grado di attribuire alla figura femminile caratteristiche quali eleganza, fragilità e determinazione con dei capi di abbigliamento. Tutto ciò ha reso fondamentale per il successo all’interno della realizzazione di un film la presenza di figure professioniste capaci di tramandare allo spettatore le giuste conoscenze e emozioni, in grado di portarlo, scena dopo scena, in un mondo fatto di unicità e bellezza straordinaria.
    Di notevole successo fu il film “Il diavolo veste Prada” diretto da David Frankel, il quale presenta uno dei messaggi principali che la moda ci tramanda, ovvero quanto trasmetta un’immagine di noi stessi, facendoci esprimere al mondo che ci circonda, più di quanto possiamo farlo da soli.
    Penso che le apparenze giocano un ruolo fondamentale nella percezione che l’altro ha su di noi, e si riflettono nel modo in cui noi tendiamo a comportaci nella nostra vita e nelle nostre azioni.
    Il cinema e la moda sono collegati in una maniera impressionante, si sviluppano e si rincorrono insieme, forse perché collega lo spettatore al mondo reale, lo rende partecipe, lo influenza in modo efficace, fino a farlo diventare autorevole e affascinato.

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  4. Federico Francia   1 Aprile 2023 at 17:11

    Il cinema esisterebbe senza la moda? No, il cinema è un insieme di linguaggi: la sceneggiatura , il suono, la luce, la scenografia, il montaggio, i colori e anche gli abiti degli attori.
    La moda serve a rispecchiare la realtà quotidiana nella trasposizione cinematografica realistica. Come detto nell’articolo, il linguaggio audiovisivo è in grado di simulare i modi della visione naturale, ovvero rende quasi presente lo spettatore sul set insieme agli attori. Vorrei anche aggiungere che il vestiario (se realistico) è un modo di caratterizzare il personaggio (epoca storica, ceto sociale, origine…).
    Trovo anche giusto accostare le grandi produzioni cinematografiche a grandi nomi della moda. Il motivo? Sicuramente oggi è un’importante forma di pubblicità intrinseca. Il secondo motivo è indubbiamente per esaltare con creatività l’abito dei personaggi. Non rischiamo di cadere nel banale e nel poco reale? Assolutamente sì, ma in certi termini il mondo cinematografico lo è già tutt’oggi. Mi spiego meglio. In tutti i film vanno a letto o si svegliano truccati e con acconciature perfette, ma voi avete mai visto qualcuno truccato andare a dormire? E’ sicuramente un qualcosa di inconsueto, ma che nel mondo cinematografico è assolutamente accettato.
    Parlando di cinema e moda, non possiamo non citare l’ultima cerimonia degli Oscar 2023. Su tutte le cronache, abbiamo visto la signora Germanotta, in arte Lady Gaga, arrivare in abito da sera di alta moda (made in Versace) e salire sul palco con un normalissimo paio di jeans (strappati), una t shirt e delle “democratiche” Converse. Non possiamo negare che l’abbigliamento parli da solo. E’ una scelta dettata sicuramente dalla canzone, ma con un significato importante. Lo scopo è quello di voler apparire senza maschere, per come si è. Ha cercato di portare l’attenzione solo sulla performance canora e non su abiti o elementi di disturbo. I costumisti del cinema, abilissimi artigiani sono sempre stati in grado di realizzare abiti di scena rispettando i canoni estetici di periodi in cui ancora non c’era la fotografia quindi basandosi su fonti precedenti (disegni pitture rappresentazioni grafiche delle varie epoche). L’avvento della fotografia prima in bianco e nero (lo stesso vale per le pellicole) e poi con il colore ha aumentato in maniera esponenziale la possibilità di documentare la vita quotidiana delle società. Ormai quasi duecento anni di fotografia e cinema hanno consolidato le immagini dell’abbigliamento della società e le nostre conoscenze, anche se non le abbiamo vissute in prima persona. Guardando un film ambientato nel primo dopoguerra o negli anni 60, 70, 80 siamo in grado di valutare se è realistico il contesto della scenografia e quindi anche dei costumi. La moda (che non vuol dire eleganza) dal dopoguerra ha dettato i nuovi canoni del vestire. L’alta sartoria ha continuato a vestire chi se lo poteva permettere. Ma soprattutto le donne, attraverso le riviste cartacee a larga distribuzione sono venute a conoscenza dei nuovi modi di vestire. Gli abiti pubblicati sono identificati con il nome di chi li aveva disegnati e fatti confezionare e il prestigio dei sarti francesi e italiani ha valicato i confini nazionali. La fama di molte attrici americane è ancora oggi collegata agli abiti che indossavano. La nostra generazione può non avere visto molti film famosi, ma ha sicuramente visto sulle riviste singole fotografie tratte da quelle pellicole che immortalano l’attore con l’abito della stilista famosa o dello stilista di grido.
    Il fatto stesso che Hollywood abbia creato un oscar per il miglior costumista, sta a dimostrare che la moda ha fatto bene al cinema e che il cinema ha rafforzato la fama mediatica del vestito.
    Mi piace poi ricordare che a volte gli abbigliamenti iconici dei film sono nati quasi per caso e che il passaggio è stato inverso. Riporto l’esempio del film Flashdance del 1983: la protagonista, Jennifer Beals indossa in scena un maglione al quale era stata tagliata la parte superiore portando la scollatura a livello delle spalle. I calzettoni erano tagliati come scaldamuscoli per la danza. Per anni la moda della strada e delle palestre ha preso ad esempio questi due semplici abbigliamenti e chiaramente il mondo della moda se l’è appropriato.

    Federico Francia – Graphic Design 1 LABA

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  5. Anita Migani   1 Aprile 2023 at 20:05

    Per curiosità personale, in seguito alla lettura di questo articolo, mi sono permessa di ricercare quanti degli oscar vinti per i migliori costumi e quante delle nomination di quest’ultimo appartenessero a stilisti di fama mondiale come, da lei citati, Coco Chanel e Giorgio Armani. Non risulta ci siano numerosi film associati a questi grandi nomi, è quindi importante precisare che, per poter rendere iconico l’apparato stilistico di un film, non sia obbligatoriamente necessario un couturier di fama. A favore di questa tesi voglio esporle tre film di fama popolare, primo dei quali del regista, sceneggiatore, fumettista e scrittore italiano Federico Fellini, ‘La dolce vita’ (1960). Basti pensare che gli abiti indossati dalla emblematica Anita Ekberg sono, ancora oggi, una grande fonte d’ispirazione per stilisti del calibro di Christian Dior, che presentò nella collezione primavera-estate 2013 una versione modernissima dell’abito sfoggiato dall’attrice nel l’iconica scena della fontana di Trevi.
    Questa è una chiara dimostrazione di come l’abito indossato Ekberg sia tutt’oggi di una eleganza e attualità disarmante, nonostante il costumista abbia fatto un lavoro splendido nel rappresentare la moda della Roma glamour del secondo dopoguerra. Anche sul versante maschile ‘La dolce vita’ non sbaglia, infatti è proprio il film a lanciare la moda del cappotto corto per gli uomini e a dare il nome ‘dolce vita’ ai maglioni a collo alto. A regalarci tutto ciò è il costumista Piero Gherardi, candidato ben 6 volte al premio Oscar, che vinse 2 volte “La dolce vita” e con “8½” (1964), entrambi di Fellini.

    Un altro film degno di nota è sicuramente “Alice in Wonderland” (2010) diretto da Tim Burton, con il quale la costumista Colleen Atwood vinse il suo terzo Oscar per i migliori costumi. Il merito della Arwood sta sicuramente nel voler utilizzare, per i look della protagonista, la couture decostruzionista, creando abiti alla moda partendo da materiali e oggetti bizzarri, come tende, lacci di scarpe…
    Questo porta ad un inevitabile rimando all’armadio Dior, complice anche la scelta di ispirarsi a mode del passato utilizzando nelle sue collezioni bustini e parrucche esagerate.

    Per ultimo, ma non per importanza, vorrei citare il film più legato al mondo della moda sia per la trama che per i costumi. “Il diavolo veste Prada” (2006), come si può denotare anche dal titolo, presenta inequivocabilmente come tema centrale lo stile a tutto tondo, con una protagonista che da “brutto anatroccolo” diventa una raffinata giovane donna che sfila per le strade di New York, come se fossero una passerella e non il tragitto per andare al lavoro. La costumista, Patricia Field, ha svolto un eccelso lavoro nel creare outfit ragguardevoli per rappresentare al meglio ognuno dei personaggi, facendo al contempo appassionare numerose ragazze e ragazzi al mondo della moda.

    Alla luce di questi fatti penso di poter affermare che, per creare costumi senza tempo, non siano necessari stilisti della portata di Coco Chanel.
    Ci sono persone là fuori, come quelle precedentemente citate, in grado di dare anima agli abiti, rendendoli immortali, influenzando la moda di un’intera epoca. Basta saper centrare il punto, creare qualcosa che rimane impresso nella mente del pubblico e capace di rappresentare al meglio i personaggi secondo tutte le loro sfumature, rendendone più facile la lettura. Spesso i costumi possono diventare per lo spettatore stesso un modello e accende in quest’ultimo la necessità di rinnovare il suo armadio personale, questa è, a parer mio, la massima espressione di un lavoro da costumista svolto in maniera vincente.

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    • Lamberto Cantoni
      Lamberto Cantoni   2 Aprile 2023 at 10:24

      Direi che potevi effettuare ricerche più approfondite. Non prendertela se ti rispondo in modo dogmatico:
      1. I film ai quali Chanel e Armani hanno dato un sostanzioso contributo sono tanti. Ti lascio il piacere di scoprirli;
      2. L’abito in velluto nero di Anita Ekberg non è del costumista Piero Gherardi bensì fu creato dal brand di Alta Moda Gattinoni. Diciamo che il costumista è stato bravo a sceglierlo, e questo rientra perfettamente nell’assetto tematico del mio script;
      3. Perché l’Oscar per il costume è andato a Piero Gherardi e non alla casa di moda? A. Un film è complesso, non ci sono solo gli abiti iconici; esiste un livello di percezione olistica complessiva, dalle apparenze delle comparse agli oggetti decorativi che richiede sincronie, integrazioni etc. Nominare un costumista ufficiale è la prassi, anche se poi in un contesto visivo senza buchi, sono gli abiti iconici a fare la differenza. B. È nella logica della situazione che la giuria di un Oscar del cinema, composta da addetti al settore, elegga come vincitore il professionista del settore e non semplicemente il creativo della moda coinvolto. Mettiamola giù così:50% si premia l’orchestrazione degli effetti olistici; 50% per difendere il territorio professionale.
      3. Per quanto riguarda “Il diavolo veste Prada” dovresti innanzitutto non perdere di vista il fatto che nel titolo viene riportato un grande Brand della moda e non una etichetta di fantasia. E questo lo definirei un fatto. A me pare di ricordare che il budget a disposizione della costumista fosse nell’ordine dei 100 000 dollari. Ma a conti fatti i costumi arrivarono a superare il 1 000 000 di dollari. Come risolsero il problema i responsabili della produzione? È semplice: prendendo moltissimi abiti in prestito…e da chi? Dai grandi brand della moda. Eccoci di nuovo a contatto con i temi del mio script cioè lo scambio di prestazioni. Quindi, cosa posso aggiungere? Che Patricia Field è stata brava a fare shopping…
      4. Da quanto scrivi sembra quasi che la costumista Atwood abbia inventato il decostruzionismo. Il film di Tim Burton è del 2010, il decostruzionismo nella moda appare vent’anni prima, per esempio con Margiela, Allora si può dire che la Atwood è stata bravissima a sfruttare l’efficacia di anacronismi già sperimentati per esempio da Galliano per Dior, e decostruzioni alla Margiela. Insomma, si è allineata alla moda e ha imitato tecniche di configurazione dimostratisi performative per l’interesse del pubblico.
      5, Usi la parola “eternità” come se fosse un correlato linguistico dell’aspetto centrale della moda. Errore, è solo uno stereotipo del giornalistese di bassa qualità… “la moda senza tempo” non può esistere. Il dispositivo di induzione passionale che chiamiamo confidenzialmente “moda” non ha niente di parmenideo, piuttosto assomiglia al mondo di Eraclito: tutto passa, tutto scorre. Il tratto distintivo della moda è il cambiamento continuo. Possiamo riconoscere che certi stili durano più a lungo di altri. Possiamo dire che ritornano. Ma non hanno mai lo stesso significato.
      5. Il mio script si intitola “Cinema e Moda: un fruttuoso scambio di prestazioni” e non “Il costume nel Cinema”. Il mio scopo era orientato a cercare il punto di aggancio tra il costumista e lo stilista, in vista di effetti percettivi che da un certo punto in poi sono entrati nel mirino del regista. Non era mia intenzione sminuire il lavoro dei primi e nemmeno esaltare quello dei secondi (infatti ho esordito con “errore di Chanel”).

      Dulcis in fundo, ti ringrazio per l’approfondito commento che mi hai riservato. È scritto molto bene, è ricco di suggestioni e mi ha dato il sottile piacere della critica. Hai colto credo l’incompletezza del mio script. Infatti ho solo parzialmente esplorato quanto gli stilisti devono al cinema e quindi anche ai costumisti professionali. Comunque non sono un masochista e mi sono divertito a metterti di fronte all’ordine di fatti che rendono meno appuntite le tue argomentazioni.

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  6. Matthias Mazzoni (cinema2)   2 Aprile 2023 at 11:47

    Ho trovato l’articolo molto interessante, soprattutto perché, per quanto mi riguarda, essendo un’amante di film storici, ho sempre cercato di notare che il costume fosse storicamente accurato e riportasse dettagli riconducibili all’epoca in cui il film è basato.

    Invece, leggendo questo articolo, ho potuto vedere quanto le case di moda possano avere e avere avuto un ruolo fondamentale nella consacrazione di un personaggio cinematografico ed allo stesso tempo una conferma mondiale della loro capacità di essere percepiti dal pubblico come icone di stile.

    Concordo col fatto che sia difficile per uno stilista riuscire a cucire gli abiti addosso ad un personaggio ed ancora di più riuscire non solo a prevedere cosa può apprezzare il pubblico, ma ancor di più quale limite di distorsione potrebbe accettare.

    Penso sia fondamentale per lo stilista riuscire nel film, come nelle sue sfilate, a proporre qualcosa di diverso, di nuovo, ad affascinare e sorprendere sia il pubblico che i critici.

    Pur non essendo un esperto di moda, capisco quanto il costume sia fondamentale per contribuire a creare e ricreare l’ambientazione che il regista vuole dare a quel film e far percepire al pubblico le emozioni, le sensazioni, l’identità di quel personaggio, cercando di portare lo spettatore a voler immergersi in quel mondo e ad esplorarlo come se fosse lui stesso li.

    Credo quindi che lo scambi di prestazioni tra moda e cinema sia importante e fruttuoso.

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  7. Mattia C.   3 Aprile 2023 at 21:19

    Che dire, penso che nel cinema ci sia sempre stato un rapporto tra produzione cinematografica e moda, soprattutto nel secolo scorso. Probabilmente quasi come per fondere due grandi arti assieme, fornendo forse anche maggior valore al film e traendo beneficio anche in ambito pubblicitario? Anche se ritengo che le grandi case di moda di stilisti non abbiano bisogno di alcuna pubblicità, oltre che fruttuose collaborazioni. Suppongo che tra cinema e moda il rapporto sia prevalentemente infatti di tipo artistico, poiché ideare e dirigere un film è di per sé un’arte, per l’appunto, anche perché in ambito cinematografico è presente anche una mansione specializzata nel curare il costume degli attori, ovvero il costumista.
    Addirittura ad Hollywood, anni addietro, ogni diva del cinema aveva un sarto costumista personale.
    Per esempio mi basta pensare ad alcuni film recitati da Audrey Hepburn, come “Colazione da Tiffany” e “Cenerentola a Parigi” nei quali il suo guardaroba era curato interamente dal famoso stilista “Givenchy”, citati anche nell’articolo, e concordando con la corrente di pensiero che sia stata una delle più fondamentali collaborazioni nel il rapporto tra cinema e moda, insieme ad altri film citati, dove gli attori erano vestiti da Armani.
    Ho scoperto che un altro grande stilista, protagonista di questo rapporto è anche Ralph Lauren, che nel secolo precente ha messo a disposizione i suoi capi ai costumisti.
    Ralph Lauren firmerà infatti tutti gli abiti del film culto vincitore di ben 4 premi Oscar, Io e Annie, diretto dal grande Woody Allen, con lo stesso nei panni di attore insieme a Diane Keaton e Tony Roberts. Qui il mood country chic, declinato in camicie a quadri, giacche in velluto a coste con revers a lancia e gilet patchwork diventano protagonisti del grande schermo.
    Concludendo vorrei affermare che probabilmente dietro ad un abito di boutique ci sia sicuramente uno studio ed una lunga progettazione proprio come dietro un film, ed è proprio per questo che si genera un grande scambio di prestazioni tra essi, anche se molto probabilmente la moda si può intersecare a qualsiasi altro tipo di arte.

    Mattia Castelnuovo Cinema 1 Laba

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    • Lamberto Cantoni
      Lamberto Cantoni   4 Aprile 2023 at 08:25

      Hai ragione, i look di Diane Keaton nel film di Woody Allen che hai citato, curati da Ralph Lauren hanno contribuito tantissimo alla configurazione di uno stile decontratto, chiamiamolo pure come dici tu “Country chic”, premiato anche dal mercato della moda. Il film è del 1977. Si può sostenere che il personaggio di Annie, secondo determinati rispetti, anticipi di qualche anno il Julian Keye di American Gigolo.

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  8. Veronica Mantovani   4 Aprile 2023 at 21:43

    I concetti espressi nell’articolo sono stati molto interessanti. La relazione tra cinema e moda mi è sembrata per certi versi quella di una coppia, ma gli esempi forniti hanno reso l’idea in maniera precisa. Da una prima attrazione verso un rapporto stabile, con incertezze e momenti di distacco.
    È una relazione difficile da spiegare in quanto entrambi, il cinema e la moda, hanno anche per conto loro avuto un’evoluzione, pensando al cinema in bianco e nero ad esempio e alla moda nel passaggio allo stilismo. Aspetti che poi si sono riflessi sugli apprezzamenti dei film e sulle sensazioni fornite. Questioni che si sono anche incrociate come nel film citato Colazione da Tiffany, in cui l’iconico tubino nero di Coco Chanel ha avuto la sua ascesa ufficiale con la silhouette di Audrey Hepburn.
    La moda condizionando le apparenze condiziona anche le percezioni, e insieme al cinema si crea un flusso inesorabile di sensazioni, fluire che grazie alla prima riesce ad arrivare in profondità in noi. Non possiamo rimanere indifferenti, e nemmeno il nostro corpo, come testimonia il citato “ingaggio emotivo”.
    Se quello che da senso alla nostra vita sono i valori, grazie a questa relazione si riesce a trasmettere quel qualcosa che possa permeare il pubblico nel profondo.

    Coco Chanel è stata una donna fuori dall’ordinario, a partire dal suo modo di creare l’abito, fino alla sua sensibilità a tratti estrema a mio parere. È riuscita a suscitare sensazioni che ci appartengono con le sue creazioni e in lei si può notare sempre un eleganza semplice e veritiera.
    Con il cinema a mio parere intervengono complessi fattori culturali, di non facile affronto. Mi viene da pensare anche che le prime pellicole fossero in bianco e nero, e nel caso di Chanel la suprema sobrietà non è stata totalmente apprezzata. Inoltre lavorando con gli americani, rispetto a noi europei, essi hanno una diversa sensibilità verso le opere d’arte, e penso infatti che il nostro archetipo sia l’eleganza derivante dalla semplicità.
    Oltre a ciò va considerato quindi il contesto nel quale il film operava e anche il cinema come mezzo attraverso il quale l’abito veniva riprodotto. L’intesa deve essere forte e la figura dello stilista è rilevante.
    Se il cinema deve esagerare i suoi effetti per arrivare al pubblico, con il passare degli anni e con la crescente consapevolezza del mezzo, è possibile oggi apprezzare anche gli abiti più semplici, anche per il fatto che ormai siamo abituati a vedere per immagini.

    Il famoso detto “l’abito non fa il monaco” perde di significato. Basta pensare che il primo modo con cui interagiamo con una persona, da adulti, è con la vista. Quindi direi che l’abito è la prima cosa che balza agli occhi creando una sensazione in noi, fornendoci una certa percezione.
    La potenza evocativa dell’abito non ha eguali e ci permette di sentirci parte integrante di qualcosa e di sognare.
    Il lavoro del costumista rimane importante nella figurazione del film. Infatti non vanno dimenticati alcuni abiti che hanno rivoluzionato la moda entrando nell’immaginario di massa, come ad esempio le giacche extra long in pelle e gli occhiali ovali del film Matrix.
    Nel cinema tuttavia la moda ricopre un ruolo fondamentale in quanto colma l’immaginario che si va creando con le scene. Tant’è che nel film Pretty Woman (1990), la costumista Marilyn Vance ha chiesto a Nino Cerutti di realizzare gli abiti per il protagonista interpretato da Richard Gere. Volevano creare l’immagine di un uomo estremamente elegante, ma senza esagerare, e affidarsi allo stilista era l’unico modo di realizzare quell’idea.

    Ho notato poi in Romeo + Giulietta di William Shakespeare (1996) del regista Baz Luhrmann, che nel film le identità delle due casate veronesi sono specifiche e in particolare doveva essere evidenziato il divario generazionale che viene trattato. Il regista ha deciso di affidarsi a degli stilisti: abiti anni Sessanta di Yves Saint Laurent per gli anziani, contro i giovani vestiti di Dolce & Gabbana. Ma non è tutto perché ci sono trucchi di stile che vedono la ridondanza di ricche stampe e decorazioni, piuttosto che fibbie di cinture molto appariscenti. Per l’abito da sposo di Romeo invece il regista si è affidato a Prada, regalandoci oggi il ricordo ancora attuale di quella cravatta a fiori indossata da Leonardo DiCaprio.
    Ogni scelta di stile è perfettamente integrata nel mondo creato dal film. L’adattamento cinematografico, per niente facile, è diventato iconico grazie a questa relazione con la moda.
    O ancora in Io sono l’amore (2009) di Luca Guadagnino, abbiamo l’attrice Tilda Swinton che indossa il Little Red Dress di Jil Sander. Il direttore creativo del brand, Raf Simons, ritrovando l’estetica della casa di moda nell’armadio della protagonista del film, ha realizzato questo abito per le scene. Si è proprio voluta evidenziare la coincidenza tra l’estetica di Jil Sander, basata su semplicità e un lusso sofisticato, e l’estetica del film. Pertanto la creazione dello stilista era l’unico modo per far sì che questo potesse avvenire, creando una specifica collocazione nel tempo e nello spazio e anche una magia che potesse evolvere con la narrazione della storia.

    L’abito per gli essere umani deve essere come una seconda pelle, e noi possiamo sentirci veramente noi stessi soltanto se con dei vestiti che ci rappresentino, anche a livello inconscio. Oggi l’essere bombardati da immagini di abiti, di celebrità, di chiunque con qualunque outfit, ci fa credere di non esserne totalmente influenzati, mentre quando apriamo l’armadio per vestirci la mattina ecco che sbuca nella nostra mente quell’immagine che fa venire voglia di indossare dei semplici jeans, piuttosto che una camicia e così via. Si va così colmando la nostra essenza, l’abito deve essere un modo per dargli voce.
    Questo vuole anche evidenziare il ruolo dello stilista nei film, in quanto con il suo lavoro egli ha sviluppato una sensibilità nel modellare qualcosa che riassume le nostre mille sfaccettature. Un abito è in grado di rappresentare molto di più della sua figurazione. Può riuscire, come ha fatto Coco Chanel, a interpretare il “ricettacolo di energie psicologiche da liberare” nel nostro corpo.

    In conclusione gli abiti sono un simbolo che ha molto potere e nel cinema non può essere tralasciato. Sono un modo di essere e a loro volta trasmettono una certa sensibilità.
    Gli abiti di Vacanze romane a mio avviso rendono molto chiaro il concetto. Sono un tutt’uno con la sensibilità trasmessa dal film e permettono allo spettatore di percepire le sensazioni trasmesse dal cinema nello loro interezza, in complementarità con noi stessi: ci caliamo nei panni degli attori e sentiamo in noi la loro personalità.
    La potenza percettiva del cinema insieme alla sua capacità di farci sognare a occhi aperti può a mio parere essere davvero impattante solo se in simbiosi con la magia della moda.

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    • Lamberto Cantoni
      lamberto cantoni   10 Aprile 2023 at 15:46

      Intervento ricco di suggestioni. Sono d’accordo con la tua valorizzazione dei costumi e della moda nel cinema. Ma non dobbiamo esagerare. La musica, il sonoro, i colori o la loro assenza, le inquadrature, i movimenti di macchina, la maestria degli attori, il montaggio, la regia, partecipano da protagonisti all’impatto di un film; molti di questi elementi del testo cinematografico risultano assai più decisivi del guardaroba.

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  9. Tom   6 Aprile 2023 at 09:17

    I costumi sono una parte fondamentale del film, poiché possono trasportare lo spettatore all’interno dell’opera che sta guardando. Uno dei migliori esempi di questo è il film “Frantic Max: Wrath Street”, dove I costumi hanno svolto un ruolo essenziale nella creazione del mondo post-apocalittico rappresentato nel film. La stilista Jenny Beavan ha saputo utilizzare I colori, I tessuti e gli accessori in modo creativo per creare costumi che trasmettessero la sensazione di un mondo duro e violento.

    Inoltre, I costumi possono anche essere utilizzati per riflettere uno stile o una tendenza. Un esempio di questo è il film “The Incomparable Gatsby” di Baz Luhrmann, dove la stilista Catherine Martin ha creato costumi ispirati allo stile degli anni ’20 for each trasmettere l’atmosfera opulenta dell’epoca. Anche il recente film “Joker” di Todd Phillips ha utilizzato I costumi in modo efficace, con la fashioner Imprint Extensions che ha creato un abbigliamento che rifletteva l’evoluzione del personaggio principale da un comedian fallito an un criminale sociopatico.

    In sintesi, I costumi sono un elemento essenziale del film e possono trasportare lo spettatore in un mondo immaginario o in una realtà storica passata. Inoltre, I costumi possono anche riflettere le tendenze e gli stili del momento, creando un ponte tra il film e la moda

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  10. Marianna Pati   9 Aprile 2023 at 19:52

    Fin dalla sua nascita, il Cinema ha avuto un legame indissolubile con la moda. L’abbigliamento infatti riveste un ruolo fondamentale in un film in quanto la sua funzione principale è quella di esprimere “l’essenza” del personaggio.
    L’influenza della moda ebbe inizio soprattutto verso i primi anni del ventesimo secolo con la nascita dello star System hollywoodiano, quando le prime grandi case di produzione (come la Famous Players-Lasky Corporation e la Fox Film Corporation) puntarono sull’attrattiva di certi interpreti, costruendo intorno a loro un’aura di particolare carisma e suggestione, capace di influenzare emotivamente l’immaginario collettivo. Il sistema è stato perfezionato rapidamente e ha vissuto un’età dell’oro durante la cosiddetta fase Classic Hollywood (anni ’20-’50).
    Per quanto riguarda la Moda, secondo il mio punto di vista, è espressione di sé, è arte e in quanto tale, è legata in qualche modo a un determinato gusto estetico. E’ inevitabile quindi che uno strumento di comunicazione di massa quale è il cinema abbia fatto riferimento ad essa.
    Se ci facciamo caso infatti, ancora oggi diamo particolare importanza (anche inconsciamente) agli abiti indossati da attori ma anche cantanti, politici e personaggi dello spettacolo. Questo perché l’abbigliamento è il primo fattore che ci colpisce, fornendoci una prima impressione che può risultare più o meno positiva. Con ciò vorrei affermare che l’abito ha fatto sì la storia del cinema ma anche in generale la storia della Televisione. Dal momento che l’abbigliamento allude ad un fattore psicologico, i capi che appaiono sul grande schermo sono frutto di un’attento studio del personaggio, dei colori, dei tratti caratteriali che si vogliono trasmettere, della classe sociale a cui appartiene il personaggio o dell’epoca in cui viene ambientato il film.
    Ci sono abiti apparsi nel teleschermo che sono impressi nella nostra mente e che ormai fanno parte della storia e del bagaglio culturale di ognuno di noi. Tra questi è impossibile non citare l’abito bianco con ali d’angelo indossato da Claire Danes nell’adattamento del film “Romeo e Giulietta” di Baz Luhrmann. Il regista sceglie di contrastare lo sfarzo delle corti europee con il minimalismo chic di Miuccia Prada, che per il film disegna gli outfit dei due protagonisti; e come dimenticarsi dell’elegante tubino nero indossato da Audrey Hepburn in Colazione da Tiffany (1961) realizzato da Hubert de Givenchy.
    E’ chiaro dunque che gli abiti influenzano la nostra percezione ma perché fare affidamento alle importanti case di moda piuttosto che a un qualunque abile costumista? Ecco, secondo me una spiegazione plausibile è che tutto ciò è finalizzato a una sorta di sponsorizzazione reciproca.
    Cinema e moda sono due macro-aree che necessitano di essere pubblicizzate e approvate dal pubblico, ecco perché insieme combaciano bene. In questo modo, ognuno può a suo modo dare lustro all’altro. Nonostante ciò non si esclude la possibilità che molti grandi abiti siano stati creati da costumisti poco conosciuti. E’ il caso dello stilista William Travilla, conosciuto principalmente per aver realizzato gli abiti indossati da Marilyn Monroe, come il celebre abito da cocktail bianco nel film “Quando la moglie è in vacanza” (1955) e l’iconico abito rosa in “Gli uomini preferiscono le bionde”.

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    • Lamberto Cantoni
      lamberto cantoni   10 Aprile 2023 at 15:32

      Ho apprezzato il tuo intervento. Però non sono sicuro che la funzione principale dell’abbigliamento in un film sia, come scrivi, esprimere “l’essenza” del personaggio. Personalmente non ho mai visto essenze ma bensì percepito uno stile, una coerenza con il contesto, un supplemento di senso tale da mettere in rilievo un ruolo, un carattere etc.

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  11. Filippo Maiani   17 Aprile 2023 at 11:59

    Il rapporto tra moda e cinema è analizzato in profondità, concentrando l’attenzione sull’importanza dei costumi cinematografici per arricchire l’esperienza del pubblico. Si sottolinea l’importanza di creare costumi distintivi per i personaggi principali al fine di aumentare la “verosimiglianza” visiva. Viene raccontata la storia della collaborazione tra Coco Chanel e Samuel Goldwyn, che ha portato a un nuovo tipo di marketing cinematografico rivolto alle donne. Inoltre, l’articolo esplora la storia del design della moda nel cinema e la capacità del cinema di far sentire allo spettatore come se fosse al posto della macchina da ripresa. Vengono menzionati diversi film senza stabilire una gerarchia, e si evidenzia l’importanza del rapporto tra moda e cinema nella creazione di nuove tendenze e valori sociali. Inoltre, la collaborazione tra stilisti e registi può portare a risultati sorprendenti e innovativi, come dimostrato da Barbarella e American Gigolo. In sintesi, credo che l’articolo fornisca una prospettiva completa sull’interazione tra moda e cinema, e sono lieto di averne appreso di più su questo argomento.

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  12. Antonio   17 Aprile 2023 at 12:20

    L’articolo analizza l’interazione tra moda e cinema e come i costumi dei personaggi possono migliorare l’esperienza visiva dei film. Viene evidenziato come la moda possa essere utilizzata come strumento di marketing cinematografico, come nella collaborazione tra Coco Chanel e Samuel Goldwyn. Viene anche discusso il ruolo del design della moda nel cinema e nella cultura, con l’esempio di Léon Bakst nei Balletti Russi di Diaghilev e la reazione di Paul Poiret. Il cinema può porre lo spettatore al posto della macchina da ripresa, rendendo l’esperienza visiva più coinvolgente. Viene inoltre analizzato come i film iconici possano influenzare la moda e la cultura in generale. La collaborazione tra stilisti e registi può portare a risultati sorprendenti e innovativi. L’articolo offre una visione completa dell’interazione tra moda e cinema nel corso degli anni, mostrando come questa relazione abbia contribuito a creare nuove tendenze e valori sociali.

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  13. Riccardo Bianchi   19 Aprile 2023 at 18:25

    L’articolo analizza in modo dettagliato il rapporto tra due forme d’arte che si sono influenzate a vicenda per più di un secolo.
    Il testo fa riferimento alle origini del legame tra cinema e moda, partendo dal primo film della storia, “L’arrivo di un treno alla stazione di La Ciotat” dei fratelli Lumière, nel quale la moda ha un ruolo importante in quanto viene rappresentata attraverso i vestiti dei passeggeri. Da quel momento in poi, il cinema ha continuato ad utilizzare la moda come elemento fondamentale per definire l’immagine dei personaggi e lo stile di un’epoca, così come la moda ha trovato nel cinema una vetrina per presentare le sue creazioni al grande pubblico.
    Nell’articolo viene sottolineato come questa relazione tra cinema e moda sia stata particolarmente importante durante il periodo dell’età d’oro di Hollywood, quando le star del cinema erano anche icone di stile e di eleganza, e le case di moda volevano creare abiti che le rendessero ancora più glamour.
    Il testo inoltre evidenzia come questa sinergia tra cinema e moda abbia avuto un ruolo importante nella costruzione dell’immaginario collettivo, con abiti e personaggi diventati iconici e immortali nel tempo, come ad esempio l’abito nero di Audrey Hepburn in “Colazione da Tiffany” o il vestito bianco di Marilyn Monroe in “Gli uomini preferiscono le bionde”.
    Infine, tratta di come oggi il rapporto tra cinema e moda sia ancora forte e vitale, con i film che continuano ad influenzare la moda e viceversa. In particolare, l’industria cinematografica utilizza spesso i marchi di moda come sponsor e partner per la promozione dei film, mentre la moda si avvale della presenza delle celebrità sul red carpet per promuovere le sue creazioni.
    In conclusione, l’articolo fornisce un’interessante analisi del rapporto tra cinema e moda, evidenziando come questa relazione sia stata fondamentale per lo sviluppo e la diffusione di entrambe le forme d’arte nel corso del tempo; personalmente credo che questa “collaborazione” andrà avanti ancora per molto finché l’una o l’alaltra esisteranno in quanto rappresenta un grande vantaggio per ambo le parti.

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  14. Nicolò Giorgetti LABA   19 Aprile 2023 at 19:55

    L’articolo parla dell’importante rapporto tra l’industria cinematografica e quella della moda. Si sottolinea come le due industrie siano strettamente legate e come l’influenza reciproca abbia portato alla creazione di alcuni dei look più iconici della storia del cinema.
    In effetti, questo connubio tra moda e cinema non è un fenomeno nuovo. Già negli anni ’30 e ’40, quando il cinema divenne un’industria di massa, i costumi dei film divennero importanti strumenti di marketing per promuovere i personaggi e le storie sul grande schermo. Grazie all’affermazione dello star-system hollywoodiano e al talento di straordinari costumisti, il cinema si è imposto come diffusore di mode. Ad esempio, il vestito bianco indossato da Marilyn Monroe in “Gli uomini preferiscono le bionde” o l’iconico tubino nero di Audrey Hepburn in “Colazione da Tiffany”. Il personaggio interpretato da Hepburn, Holly Golightly, ha indossato un abito nero lungo fino alle caviglie disegnato da Hubert de Givenchy che è diventato un’icona della moda.

    Tuttavia, il legame tra moda e cinema non riguarda solo l’aspetto commerciale. Infatti, la moda ha spesso svolto un ruolo importante nella creazione del look dei personaggi cinematografici e nel loro sviluppo psicologico. Il vestito che indossa un personaggio può rivelare molto sulla sua personalità, sulla sua classe sociale, sulla sua età e sulla sua epoca storica. Inoltre, la moda nel cinema può anche rappresentare un commento sociale sulla cultura dell’epoca. Ad esempio, nel film “Belle di giorno” di Luis Buñuel, il personaggio interpretato da Catherine Deneuve indossa abiti alla moda ma il suo guardaroba è anche una metafora della sua identità divisa e delle sue contraddizioni morali.
    La moda e il cinema sono entrambi riflessi della società in cui viviamo; quindi, la loro interazione può anche offrire una lente attraverso cui osservare il cambiamento culturale nel tempo.

    Comunque, il rapporto tra moda e cinema non è sempre stato pacifico, come accade anche oggi con i social, ci sono stati momenti in cui l’industria cinematografica ha criticato l’industria della moda per promuovere modelli di bellezza irrealistici e per creare una cultura dell’immagine distorta e dannosa. Tema attuale nei dibattiti odierni.
    Ad esempio, nel 1967 la modella Twiggy è stata accusata di promuovere un’immagine di magrezza estrema che ha causato problemi di salute mentale a molte giovani donne. Negli ultimi anni, invece, ci sono state molte polemiche riguardo alla rappresentazione delle donne nella moda e nel cinema, in particolare riguardo a quella delle donne nere e delle loro culture, raffigurazione spesso farcita di stereotipi. Inoltre, l’opinione pubblica è spesso divisa sulle scelte di cast e costumi delle case cinematografiche più in vista, come la Disney o Netflix. Si apre un tema molto importante sulla rappresentazione delle diverse culture sul grande schermo e come quest’ultime vengono promosse.

    In conclusione, l’articolo affronta un tema importante e complesso. La moda e il cinema sono due industrie strettamente connesse che si influenzano reciprocamente e che hanno cambiato storicamente la società, le tendenze, il modo di fare cinema. Questa industria non potrebbe essere la stessa senza il contributo che la moda apporta alle pellicole nel raggiungimento di obiettivi sia creativi che commerciali. Il cinema è moda e viceversa.

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  15. Arianna Pagnoni   20 Aprile 2023 at 10:48

    Sono d’accordo su quanto detto: penso che la moda sia la parte di coerenza del film che stiamo guardando. I costumi sono una parte fondamentale del cinema, sono quella fetta del film che:
    ‘’ci fai caso senza farci caso’; nel senso che non sono la prima cosa che adocchi mentre sei davanti allo schermo, ma se inadeguati e fuori luogo risaltano sulla tua attenzione.
    Appena iniziato a leggere l’articolo, nel primo punto, mi è subito venuto in mente il cinema neorealista; quel cinema nato in un periodo molto difficile per l’Italia.
    Volendo trattare di situazioni realmente accadute, si ricreavano scene della vita quotidiana. Tutto dove apparire su come le cose erano realmente: luoghi, personaggi, tratti non da attori ma da gente comune, di strada, vicende, costumi..
    Si dava importanza nel non dare importanza alle piccole cose, al minimo dettaglio, perché tuto doveva essere reale, così come era, non studiato.
    Quindi si penso che il costume sia quel punto che chiude il cerchio di un girato. Racconta il periodo, il personaggio.
    Dinanzi del terzo punto mi era venuto in mente il noto film ‘’Colazione da Tiffany.’’ Penso sia il film celebre del costume. Quando pensi al film viene subito in mente il ‘popolare’ tubino nero di Holly. Una cosa nuova, mai vista prima. Una cosa che fece rumore tra la gente.
    È de qui che secondo me, se fatto con criterio il vestito può essere più protagonista del protagonista stesso. Facciamo caso a Marilyn Monre, pensando a lei non fai altro che collegarla al suo vestito bianco drappeggiato.

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  16. Nicolò Andreani   20 Aprile 2023 at 12:45

    Il legame che si presenta tra cinema e moda è inestricabile sappiamo ormai tutti che i vestiti hanno svolto un ruolo importante nella creazione di film sin dagli albori della produzione a pellicola e che sono parte integrante della storia.
    Forse molti di noi non prestano attenzione ai vestiti del personaggio quando guardano l’immagine, ma in realtà c’è un’intenzione molto specifica dietro ogni capo di abbigliamento.
    Questa intenzione spesso, già dagli albori ha origini economiche e di sponsorizzazione, non è neanche da mettere in dubbio il perché dell’entrata a gamba tesa nella pellicola di certi Brand come Gucci, Chanel e Prada.
    Ogni capo di abbigliamento, pantaloni, camicia che indossano gli attori è accuratamente selezionato tra mille altri capi di abbigliamento, e il motivo è che anche questi contribuiscono tanto alla storia, creando in noi una visualizzazione memorabile dei personaggi e delle figure che vengono presentate sul grande schermo ad oggi.
    Se ci allontanassimo dai film di regia e dalle grandi star, il duo di intrattenimento alla moda sta tornando con forza anche sul piccolo schermo.
    I grandi gruppi televisivi italiani attirano sempre una certa attenzione e l’abbigliamento degli ospiti è spesso controverso.
    Il capo indossato dalla Chiara Ferragamo nell’ultima edizione di San Remo, quello ideato per l’artista “Rosa Chemical” la sfilza di trascrizioni e giudizi non richiesti durante la settimana ci potrebbero magari far pensare a qualcosa?
    Tutto questo fenomeno di partnership e di sponsoring, non ci porta a lungo andare in una traiettoria dove ognuno crea il proprio armadio di “vestiti che voglio”.
    Passiamo all’origine di video, cinema e spettacolo, il singolo frame, che ci fa cadere sul mondo della fotografia di moda, origine del cinema del costume.
    Purtroppo come tutte le altre arti questa fa da maestro per dei meri scopi d’industria, e certamente ha trasposto le proprie credenze di immagine è tecnica, in un primo momento, a tutto il compartimentò economico del cinema.

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  17. Serena Gaspari LABA   21 Aprile 2023 at 17:59

    Sappiamo che più o meno da sempre il modo in cui una persona si veste o appare può raccontare molte più cose di lei di quanto possa farlo la persona stessa, dato che i costumi e la moda in generale ci condizionano in maniera evidente, sia nel comportamento che nel modo di pensare o comunicare. La moda manipola la nostra percezione visiva e non solo, a tal punto che riusciamo a giudicare una persona seria o ridicola semplicemente basandoci su cosa indossa, ancora prima di averla conosciuta a livello personale, ancora prima di averci parlato. Per questo esiste fin dalla creazione delle prime pellicole una profonda simbiosi tra il cinema e la moda, per questo si usano i costumi per “presentare” dei personaggi agli spettatori ancora prima che essi abbiano detto la loro prima battuta; questa enorme potenzialità della moda ha contribuito al successo di tantissimi titoli cinematografici che hanno avuto dei ruoli centrali nella storia del cinema. Usando una determinata categoria di costumi e specifici capi di abbigliamento si può giocare con la percezione sensoriale ed emotiva delle persone, per fornire una descrizione precisa di un personaggio che rimane immortalato in gran parte grazie al suo “outfit”, il quale contribuisce a renderlo iconico. Grazie a questa collaborazione tra cinema e moda, non solo si è in grado di attribuire determinati tratti, simbolismi o risposte emotive ad un personaggio (riprendendo l’esempio citato nel testo di Coco Chanel e delle caratteristiche femminili rappresentate dai suoi capi), ma si può anche trasmettere messaggi e conquistare gli spettatori proprio attraverso la potenza dell’immagine. Questo articolo analizza in maniera interessante la collaborazione ancora presente tra questi due pilastri dell’intrattenimento, che a mio parere continueranno a svilupparsi e ad avere così tanto successo nel tempo solo mantenendo questo rapporto forte e attivo (lavorando sia in termini di partnership economica, finalizzata alla promozione di film e capi di abbigliamento, sia fornendo un collegamento emotivo e inclusivo tra lo spettatore e i contenuti cinematografici).

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  18. Camilla Frongia   26 Aprile 2023 at 17:05

    L’articolo esplora il rapporto tra moda e cinema, evidenziando come i due settori siano spesso in simbiosi e come la loro influenza reciproca abbia portato alla creazione di alcuni dei look più famosi della storia del cinema. Tuttavia, il rapporto tra moda e cinema non è sempre stato positivo, soprattutto quando si tratta della promozione di modelli di bellezza irrealistici o della rappresentazione stereotipata delle donne di diverse culture.

    Il costume dei personaggi nei film può rivelare molto sulla loro personalità, sulla loro classe sociale, sull’età e sull’epoca storica in cui vivono, e la moda nel cinema può anche essere utilizzata come commento sociale sulla cultura dell’epoca. Inoltre, la moda e il cinema sono entrambi espressioni della società in cui viviamo, e la loro interazione può offrire una lente attraverso cui osservare il cambiamento culturale nel tempo.

    Il rapporto tra moda e cinema è complesso e variabile nel tempo, ma entrambi i settori sono strettamente connesse e il loro contributo è stato essenziale nel definire le tendenze e cambiare la società nel corso del tempo. L’articolo evidenzia come il costume sia fondamentale per contribuire a creare l’ambientazione che il regista vuole dare a quel film e far percepire al pubblico l’identità di quel personaggio.

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  19. Lorenzo Dellapasqua   29 Aprile 2023 at 11:32

    Parto col dire che non mi ritengo esperto in nulla di quanto detto nell’articolo. Sono un cineamatore sì, ma non un esperto di cinema. Mi sono approcciato alla moda solo da pochissimo tempo, e di certo le mie finanze non vengono usate per acquistare oggetti con un valore stilistico alto.
    Posso parlare forse meglio invece, partendo dalla mia breve esperienza attoriale, di quanto il costume (e non abito in generale, in questo caso) aiuti l’interpretazione e il lavoro dell’attore in generale. E’inutile dire che se stai girando un film storico Vittoriano in shorts di certo non ti potrai mai calare davvero nei panni del personaggio (scusate il gioco di parole), e sicuramente il disagio prevarrebbe su tutto (a meno che questa non sia una scelta regista oculata, ovviamente). Ma il costume, se azzeccato, può aiutare davvero ad innescare quei processi percettivi ed emozionali che in gergo lavorativo chiamiamo Trigger. Il Trigger, in poche parole nemmeno troppo adatte, non è altro che un insieme di azioni, sforzi cognitivi ed emozionali che grazie a ore e ore di training sensoriale intensivo, aiutano l’attore a mettersi in contatto con le parti più recondite e buie della propria personalità, del proprio passato e soprattutto della propria sfera emotiva (inutile dirlo, l’essenza stessa del lavoro dell’attore). Questi trigger una volta scoperti, dopo innumerevoli ore di training come già detto, aiutano moltissimo il lavoro sporco dell’attore sul set. Perché, bisogna sottolinearlo anche se forse è ovvio al lettore, il prodotto finito visto in sala non ha quasi mai niente a che vedere con lo sforzo per produrlo. Sul set esistono mille distrazioni diverse che non fanno altro che disorientare e far cascare nel ridicolo l’interpretazione dell’attore non allenato a quel certo tipo di vita. E visto che fare l’attore è in tutto e per tutto una scelta di vita (alla pari di chi sceglie di dedicarsi a sport estremi come il paracadutismo), servono degli strumenti per affrontarla, e per portare in sala interpretazioni efficaci e meravigliose del calibro di Al Pacino e Meryl Streep. Una di queste, come già anticipato, è il trigger: questo strumento permette (quando chiaramente non si hanno ore e ore di tempo per calarsi lentamente dentro la psiche del personaggio come fatto in fase di training) di connettersi immediatamente all’emotività scelta ad hoc per il personaggio interpretato. Dico scelta, perché spero che ormai sia risaputo che il lavoro dell’attore è estremamente metodico e assolutamente scientifico nella ricerca spasmodica che deve essere fatta prima di poter minimante pensare di poter interpretare un personaggio; e che la parte emotiva è di certo centrale ma che non basta “sentirsi” tristi per interpretare Matthew McConaughey mentre parla con sua figlia distante anni e chilometri in Interstellar. Detto questo, torniamo al costume. Il costume può, anzi è, un perfetto trigger. Vestire i panni del proprio personaggio è sempre stato (dalle maschere del teatro greco) il modo attraverso cui l’interpretazione poteva risultare “veritiera” agli occhi del pubblico (andrebbe aperto un discorso enorme sulla differenza tra reale e vero in ambito attoriale, ma non è questo il momento). Toccare con mano, il gesto dell’indossare, entrare nel vero senso della parole nell’abito che è adibito solo ed esclusivamente a quel personaggio interpretato in quel momento risulta di un’importanza fatale, molto più per l’attore stesso che per il pubblico. Esempi calzanti possono essere il Joker di Joaquin Phoenix (esempio lampante per quanto riguarda il concetto di maschera), ma anche (trascendendo l’idea del costume stesso) Brendan Fraser in The Whale. O ancora, schivando per un attimo l’idea propria di costume, un Jeremy Irons sul set di House of Gucci che ferma la produzione per 2 ore, costretta a trovargli una forchetta da aragosta e non semplicemente da pesce (nel film Jeremy interpretava un borghese molto preciso).

    Tutto questo wall text appena scritto dovrebbe servire a capire perché scegliere uno stilista che ti segua attraverso le produzioni, come fece la Hepburn con de Givenchy, nasca certo come idea narcisistica e economica nei confronti della risposta del pubblico (in quel caso penso sia stato prevalentemente per questo), ma anche come mezzo magico per poter davvero “cucire” insieme a qualcuno che ha scelto di creare stile come scelta di vita (e non semplicemente scegliere costumi già esistenti per adattarli a forza ad un personaggio, anche se mi rendo conto che funziona quasi allo stesso modo in alcuni casi), un nuovo personaggio per dargli la vita che si merita, e farlo brillare sullo schermo e creare quell’engagement che solo le grandi interpretazioni possono trasmettere.

    Perciò si può pensare che il legame tra Cinema e Moda sia di certo fruttuoso a livello economico e di immagine, ma che nasconda anche una sincera vena d’amore per il medium e per la creazione di qualcosa di unico, che possa in primis funzionare ma sopratutto emozionare e stupire come solo i grandi film sanno fare. Per farla breve e melensa: il cinema è davvero l’arte definitiva che ha il potere di raggruppare tutte le altre arti sotto un unico grande e meraviglioso tetto.

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  20. Debora Maddalena LABA   2 Maggio 2023 at 12:25

    I concetti elencati nell’articolo sono molto interessanti, di fatto, mi hanno fatto riflettere molto sull’importanza dei costumi\vestiti utilizzati nei film e di quanto possano cambiare totalmente le sorti di una scena, se non di un intero film. Il primo esempio che potrei citare è il famoso “Il Diavolo Veste Prada” (2006), diretto da David Frankel il cui soggetto è tratto dall’omonimo romanzo di Lauren Weisberger, nel quale possiamo notare l’estrema importanza del ruolo giocato dagli abiti in questo film. Partendo dal concetto che i vestiti nei film abbiano un ruolo fondamentale, ovvero quello di far immedesimare lo spettatore all’interno di quest’ultimo, trascinandolo nell’ambientazione di diverse epoche, mode e contesti, si può notare come questo sia stato applicato proprio nel film appena citato. Partendo dalle prime scene del film possiamo notare la protagonista Andrea Sachs indossare un top con un stampa rappresentate farfalle colorate adornate da brillantini, oppure un semplicissimo maglione color ceruleo. Con questi due semplici capi lo spettatore viene trasportato negli anni 2000, in un contesto rappresentato da persone assolutamente comuni che indossano questi due abiti “cult” di quegli anni. Sempre nell’onda della moda degli anni “2000” possiamo notare i costosissimi abiti presenti nel film dove il valore complessivo superava il milione di dollari (dove il budget era “solamente” di 100 000 dollari) e ci trasportano in un contesto diverso, ovvero, l’alta società di quelli stessi anni; le grandi feste, il red carpet e le sfilate di moda, insomma tutto un altro mondo. L’altra caratteristica che possiedono i vari abiti nei film è quella di esprimere determinate emozioni\concetti attraverso giochi di colore e forme, come il vestito viola di Miranda Priestley, che tende a definire il personaggio per come si presente all’esterno, una donna perfida di grand importanza; proprio per questo è stato deciso di farle indossare un capo i quel colore, i quanto il viola è uno dei colori dedicato ai reali ma che col tempo è divenuto attribuito maggiormente al male e a persone con cattive intenzione (come le streghe). Per citare un altro film, mi piacerebbe parlare del gran capolavoro diretto da Garry Marshall e interpretato da Richard Gere e Julia Roberts, ovvero Pretty Woman, un film che in molte scene lascia passare il messaggio di come gli abiti riescano a “definire una persona” agli occhi altrui, di come il rispetto nell’alta società dell’epoca si guadagnava specialmente nel modo in cui apparivi alle altre persone tramite un modello di immagine già prestabilito ed impartito dalla società stessa. Tutto questo non sarebbe stato possibile se non con l’utilizzo dei meravigliosi capi che si trovano all’interno del film; come ad esempio l’iconico minidress bicolore indossato dalla protagonista Vivian, realizzato dalla costumista Marilyn Vance e dallo stilista Rudi Gernreich, oppure dal meraviglioso abito da cocktail in pizzo nero che porta sopra il marchio Gucci nonostante sia stato realizzato dalla costumista, le belle décolleté bianche invece erano un modello di Chanel. Insomma, in questo film sono presenti innumerevole marchi di moda, come Valentino, Ferrè, Versace ecc. … , ma uno dei messaggi che questo film vuole lanciare è proprio quello he non importa chi tu sia o che cosa faccia, se qualcuno ti incrocia per strada e nota i tuoi lussuosi capi di abbigliamento, sei sicuramente una persona degna di rispetto.

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  21. Luca Mastrovincenzo   3 Maggio 2023 at 17:52

    Il cinema e la moda sono due mondi che conciliano perfettamente. Il cinema deve tramettere emozioni e fare in modo che lo spettatore viva il film e si immerga in esso. Uno dei modi che sicuramente permettono che questo accada è il sostegno di un buon stilista nella produzione di un film. Di fatto questa interazione permette ad entrambe le parti di trarne profitto; poiché la moda utilizza il cinema come vetrina per i suoi prodotti.
    Riguardo al fatto che il costumista possa proporre abiti che non appartengono all’epoca di riferimento del film, trovo che sia una scelta che non possa giovare lo spettatore nella fruizione di un’opera, anche perché sarebbe un inganno facilmente riconoscibile da persone con un minimo di cultura.

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  22. Elia   4 Maggio 2023 at 13:43

    Gli stilisti svolgono un ruolo fondamentale nell’industria cinematografica, contribuendo a creare personaggi memorabili e iconici. Non solo devono considerare il design e la creatività del loro lavoro, ma anche i bisogni dei personaggi e delle trame del film.

    Il lavoro degli stilisti nel cinema è quello di creare abiti che definiscano i personaggi, la loro personalità e la loro storia. L’abito può anche sottolineare il periodo storico in cui il film è ambientato o suggerire l’atmosfera dell’ambientazione. Gli stilisti lavorano a stretto contatto con i registi, gli attori e i produttori del film per garantire che gli abiti siano in linea con la visione complessiva del progetto.

    Uno dei più grandi esempi di un’importante collaborazione tra stilisti e cineasti è quello di Edith Head, la leggendaria stilista di Hollywood. Ha lavorato su oltre 1.000 film, tra cui Casablanca, Gli uccelli e Tutti insieme appassionatamente. La sua collaborazione con Alfred Hitchcock è stata particolarmente famosa, ed è stata nominata per 35 premi Oscar e ha vinto otto volte. Il suo lavoro ha contribuito a definire l’immaginario del cinema classico americano, creando personaggi indimenticabili come la Signora Danvers di Rebecca e la graziosa ereditiera Melanie Hamilton di Via col vento.

    Anche oggi, gli stilisti continuano a collaborare con i cineasti per creare look e abiti indimenticabili. Ruth E. Carter ha vinto il suo primo premio Oscar nel 2019 per il suo lavoro nel film Black Panther, in cui ha creato abiti che rappresentano la cultura e la storia africana. Il suo lavoro ha contribuito a definire il mondo di Wakanda e a rendere il film un successo mondiale. Colleen Atwood, un’altra nota stilista del cinema, ha lavorato su film come La Bella e la Bestia e Alice nel Paese delle Meraviglie, creando abiti incantevoli e dettagliati che hanno catturato l’immaginazione del pubblico.

    Gli stilisti non solo creano abiti, ma devono anche considerare i bisogni dei personaggi. Devono prendere in considerazione il personaggio, la sua personalità e la sua posizione nella trama del film. Ad esempio, il costume di un personaggio malvagio deve suggerire il suo lato oscuro, mentre quello di un eroe dovrebbe sottolineare la sua forza e il suo coraggio. L’abito deve anche essere funzionale per il personaggio, consentendogli di muoversi e agire durante le scene. Gli stilisti devono anche considerare la regola del “less is more”, utilizzando i dettagli giusti per evocare l’emozione e la personalità del personaggio senza abbellimenti eccessivi.

    Un altro aspetto importante del lavoro degli stilisti nel cinema è la loro capacità di creare abiti che resistano alla prova del tempo

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  23. Nicolò Donati   12 Maggio 2023 at 01:33

    La moda e il cinema sono due mondi estremamente diversi ma che mischiati hanno saputo dare dei capolavori assurdi. Negli anni i registi e i produttori cinematografici hanno capito che la moda da a queste opere un lato stilistico più gustoso da vedere e alcuni costumisti sono diventati pure famosi per certi film vincendo pure degli oscar. Creare dei personaggi che abbiano un design che li renda culto è un compito per nulla facile per certi stilisti e costumisti. Basta vedere come certi villain nei film siano diventati iconici per certe particolarità, uno dei miei preferiti è il joker di Heath Ledger diventato iconico per questo suo trucco da clown fatto male apposta e queste sue cicatrici nel sorriso. Molti di noi quel film di Batman ce lo ricordiamo apposta per la particolarità di questo personaggio. Un film che sennò ha avuto molto a che fare con la moda è il più classico dei classici Zoolander, film che vuole anche soprattutto parodizzare questo mondo con le sue gag bizzarre e divertenti. Io penso che la moda abbia molto ancora da dare al cinema e il cinema abbia molto ancora da dare alla moda e viceversa.

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  24. Andrea Casadei LABA   12 Maggio 2023 at 10:07

    Le tesi esposte riguardano principalmente l’importanza del costume e della moda nel cinema, non solo come elemento visivo coinvolgente per il pubblico, ma anche come elemento narrativo significativo. Inoltre, viene analizzata la relazione tra moda e cinema, evidenziando come queste due forme d’arte abbiano influenzato l’una l’altra nel corso del tempo. Personalmente, concordo con l’importanza del costume nel cinema e nel suo ruolo nella creazione di personaggi credibili e situazioni verosimili. Riguardo la critica dei film descritti come “cazzate” e “grotteschi” e ritengo però che la qualità di un film non possa essere giudicata esclusivamente in base ai costumi utilizzati, ma che questi ne ricoprano un ruolo fondamentale. Inoltre, trovo interessante l’analisi del rapporto tra moda e cinema e come queste due forme d’arte siano diventate sempre più interconnesse nel corso degli anni. Personalmente, penso che la moda possa ispirarsi ai film e viceversa, creando un circolo virtuoso di influenza creativa.

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  25. Manuel LABA   18 Maggio 2023 at 13:51

    A mio parere il costume è fondamentale per la progettazione e lo sviluppo di un buon film, o più in genrale di un qualsiasi audiovisivo.
    Rimanendo nell’ambito cinematografico il costume oltre a deliziare lo sguardo dovrebbe sempre ricollegare il film ed i vari personaggi ad un determinato periodo storico, ad un ceto sociale, ad una condizione di vita, ecc ecc.
    Sempre parlando di piacere visivo penso sia giusto per un costumista far risaltare i principali tratti e le principali caratteristiche dell’attore, protagonista e secondario, ed anche solamente le comparse da non trascurare perchè comunque aiutano a ricreare l’ambiente e la giusta atmosfera.
    Per capire quanto importante sia la relazione tra moda e cinema basta vedere come nel corso degli anni alcuni film siano diventati dei veri e propri “trendsetter”, come spesso siano presenti pubblicità all’interno dei film, e come alcuni attori balzavano dal recitare per un film al recitare per servizi di moda e pubblicità, fino a diventare anche dei veri e propri modelli. Per fare un esempio di “trendsetter” nel mondo del cinema non può non venirmi subito in mente il film “Forrest Gump”, dove il protagonista recitato da Tom Hanks indossava delle Nike Cortez.

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  26. Emma Bonvicini   21 Maggio 2023 at 18:30

    Ho trovato molto interessante l’articolo, il quale tratta del rapporto tra cinema e moda, come è nato e come nel tempo si è evoluto;
    Il legame tra i due campi è sempre stato in continua evoluzione e lo è ancora oggi, ritengo che sia fondamentale la presenza della moda nel cinema e viceversa.
    All’interno del mondo cinematografico credo che la moda sia essenziale, i costumi devono corrispondere alla parte che viene interpretata dai personaggi, è importante studiarli e progettarli nei minimi dettagli in quanto aiutano a percepire meglio anche il ruolo che hanno gli attori, non a caso oggi il costumista è fondamentale all’interno del cast di un film;
    Il rapporto trai due non avviene solo all’interno di una produzione cinematografica, ma banalmente in tutti i programmi, festival e show che vengono mandati in mondovisione, come Sanremo, nel quale vengono scelti in modo dettagliato tutti gli abiti dei conduttori, degli artisti e così via, qui a mio avviso è ancora più percepibile che in un film, la sponsorizzazione dei vari brand e del festival stesso, in quanto i look scelti sono spesso stravaganti, attirano nell’immediato l’attenzione dello spettatore, a differenza di una pellicola, nella quale il costume va a completare la scena stessa che stiamo osservando; ciò non vuol dire che in essa l’attenzione non cade sui costumi, anzi, ma avviene in modo graduale, non è la prima cosa che osserviamo e analizziamo.
    Ritengo quindi che ci sia uno scambio continuo tra cinema e moda, come sopra citato, se le produzioni cinematografiche utilizzano le case di moda per sponsorizzare il film, esse adottano lo stesso sistema proponendo determinati look durante i red carpet dei festival cinematografici.

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  27. Laura Malpezzi LABA   24 Maggio 2023 at 15:23

    Da quando esiste il cinema, la moda, ha avuto un salto di qualità. Se prima era la moda che influenzava il cinema ispirando gli stilisti con le epoche più disparate e gli eventi più bizzarri, ora invece è il contrario quasi. Si sentono sempre delle nuove collezioni, di stilisti rinomati, che prendono spunto da film o serie tv che hanno avuto particolare successo nell’ultimo periodo. La moda e il cinema sono due mondi lontani, ma affini, diversi, ma simili, due poli che erano destinati ad incontrarsi e così è stato. Tra i due la collaborazione però non si è poi limitata soltanto a dietro la videocamera. Spesso, soprattutto ai giorni nostri, le più famose case di moda prendono come testimonial attori famosi con molto seguito, basta guardare un qualsiasi red carpet in giro per il mondo, c’è un doppio guadagno: gli attori sono vestiti bene e non si devono preoccupare di nulla, le case di moda si fanno pubblicità su grandi palcoscenici, vincono tutti.

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  28. Letizia Mazzetti   24 Maggio 2023 at 17:28

    Io penso che il cinema non possa esistere senza la moda e senza la figura del costumista. Sono due cose che vanno a pari passo.
    Lo scopo del cinema è anche quello di rendere partecipi gli spettatori all’interno del film stesso e, di sicuro la moda, quindi in questo caso i costumi di scena contribuiscono al fatto che ciò avvenga.
    Inoltre penso che una funzione importante che ha l’abito all’interno di un film sia quella di personalizzare maggiormente la figura dell’attore, e in tal caso può anche capitare che un determinato abito diventi simbolo di un personaggio cinematografico e quindi che diventa una “icona”.
    Credo sia importante tenere a conto che come il cinema è evoluto, passando dalle pellicole in bianco e nero, fino ad arrivare ai film che vediamo noi oggi, anche la moda sia evoluta al tempo stesso, migliorando o peggiorando (credo sia soggettivo) vari aspetti di essa.
    Magari la moda all’interno di un film può condizionare maggiormente la figura dell’attore agli occhi del pubblico. Può essere quel qualcosa in più che serve allo spettatore per entrare maggiormente all’interno della storia e magari ad aiutarlo anche a immedesimarsi all’interno dei personaggi.
    Ovviamente, però, la moda è solo un aspetto all’interno del film, dal momento che anche le figure della musica, delle scene, del montaggio, del sonoro e delle inquadrature sono fondamentali. Per questo credo che tutti questi aspetti dovrebbero essere coordinati e “aiutarsi” fra di loro per ottenere una resa ancora migliore del film.

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  29. Dario Tosto   30 Maggio 2023 at 10:11

    Scoprendo questo caso di Coco Chanel mi è venuto in mente un pensiero riguardo il rapporto tra moda e cinema. Il cinema sappiamo che è una finzione, anche se si vuole rappresentare la realtà, il modo e le tecniche per arrivarci sono manipolatorie, nel senso che giocano con la visione dello spettatore per riuscire a far passare ciò che si vuole nel modo più naturale possibile. Un esempio banale che mi viene in mente è il sound design, concetto amplissimo, ma che di base sfrutta i suoni per creare una sequenza narrativa ed evidenziare determinati aspetti. Se sentiamo ad esempio dei passi di una persona, oppure delle gocce che cadono nell’acqua, molto probabilmente questi suoni aumenteranno lo spazio che occupano nell’orecchio dello spettatore, il tutto però senza che ce ne accorgiamo, anzi probabilmente sarebbe strano non sentirli.
    Credo che lo stesso discorso si possa applicare a tutti gli aspetti del cinema quando entra in relazione con un’altra arte o disciplina. Secondo me i costumi migliori quindi sono quelli che quasi non notiamo, per la naturalezza con la quale ci passano davanti, essendo la scelta azzeccata per quel determinato personaggio e quella determinata sensazione. Come appunto è capitato a Chanel, che all’epoca era la stilista più influente probabilmente al mondo che però non ha avuto successo come costumista, è evidente che il problema non sono gli abiti in se, in quanto sennò non sarebbe la persona che conosciamo oggi, bensì non ha raggiunto gli standard del pubblico e dei registi di voler rappresentare il glamour all’ennesima potenza, il piccolo dettaglio però è che lo volevano nelle sale cinematografiche, non nella vita vera, dove era già presente.
    Ci sono ovviamente delle eccezioni, ma io non mi reputo per niente un esperto di moda, anzi e quindi non mi sento di andare a giudicare i costumi dei film citati, posso però concludere riaffermando l’importanza della rappresentazione adeguata, ma anche no, dei personaggi in una pellicola, facendoli collocare allo spettatore immediatamente in una categoria precisa e dando un determinato sguardo sulla loro personalità.

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  30. Emanuela Petrillo LABA   30 Maggio 2023 at 11:39

    Da sempre la moda dialoga con la percezione che si ha del corpo, e più in generale di una persona. Il modo in cui una persona esteticamente si pone agli altri è il primo elemento analizzato da chi si trova di fronte a quest’ultima, la pettinatura, la pulizia e i vestiti.
    Gli abiti, e quindi la moda, esprimono un messaggio, una sensazione della persona che li indossa.

    Questa sensazione è ovviamente amplificata sul grande schermo: il cinema.
    Il cinema è il media che replica la realtà come nessun altro media è stato in grado di fare in passato. Essendo capace di emulare la realtà in maniera molto precisa, e quindi riuscendo ad ingannare la nostra percezione, diviene il più importante media in merito all’influenza e l’indottrinamento delle persone.

    Cinema e moda sono due realtà che nascono separatamente ma che oggigiorno entrano in contatto inevitabilmente. Essi sono legati da un rapporto basato su un dialogo costante che fa in modo che ormai non possano più persistere l’uno senza l’altro.

    Per il cinema lo studio dell’abbigliamento degli attori è di notevole importanza in merito alla percezione che il pubblico riceve dell’ interpretato. Un film ove gli abiti non vengono attentamente studiati in base alle esigenze, ossia in base al personaggio interpretato, sarà meno efficace ,in merito al dialogo percettivo, quanto un film ove l’abbigliamento degli attori è attentamente studiato. Il compito dell’abbigliamento è quello di esprimere la reale essenza del personaggio, con lo scopo di aumentare la qualità dell’impatto percettivo sullo spettatore.

    Viceversa ormai il mondo della moda non può sopravvivere senza quanto appreso dalle modalità sceniche del cinema, che hanno ormai abituato la mente degli spettatori ad un dinamismo percettivo. Infatti le sfilate di moda oggigiorno sono studiate ed interpretate quasi come se fossero dei film.
    Inoltre il mondo della moda sfrutta il grande schermo per promuovere brand e collezioni.
    Il cinema è ovviamente uno dei mezzi in grado di influenzare maggiormente il pubblico, e la presenza di un abbigliamento può determinare la nascita di un nuovo trend o moda molto facilmente. Ovviamente anche il cinema sfrutta questo fenomeno, utilizzando il costumista come un mezzo per attirare più persone alla visione del film.

    Il ruolo del costumista, sia nell’ambito cinema che nell’ambito moda è di fondamentale importanza. Per quanto riguarda il cinema, il costumista professionista è in grado non solo di evitare gli anacronismi, ossia di bilanciare i look di scene ambientate nel passato con il livello percettivo dello spettatore medio, ma è anche e in grado di creare abiti che siano in grado di stimolare la curiosità. In sostanza un costumista professionista non crea abiti che assecondano unicamente le aspettative del pubblico, ma indagando la sfera percettiva di quest’ultimo è in grado di rintracciare i confini entro i quali può muoversi per non creare attrito tra ciò che è ritenuto esteticamente adatto e coerente e ciò che non può essere compreso a pieno.
    La composizione scenica del cinema ha come obiettivo quello di ricreare una parte di realtà (a meno che non si tratti di ambientazioni fantascientifiche). Tra i vari elementi che vanno attentamente studiati per conseguire questo effetto c’è ovviamente l’abbigliamento.

    Un esempio che mi ha particolarmente colpito riguarda i costumi del film “l’ultimo imperatore”, ove nella parte iniziale del film i vestiti degli attori sono attentamente studiati secondo la tradizione e la cultura cinese dell’epoca. A mio parere in questo film è stato interessante entrare in contatto in maniera graduale con la cultura Occidentale e i suoi abiti. Infatti nella prima parte del film prevalgono costumi tipici Cinesi, che nel corso delle scene vengono sostituiti gradualmente da abiti tipici di una cultura capitalista Occidentale.
    Nonostante la lunga durata del film, è molto interessante da visionare e cattura l’attenzione, e sono convinta che, in parte, questo avvenga grazie all’ingaggio percettivo inconscio prodotto dai costumi, ben studiati e in grado di prevenire attriti durante la visione.

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  31. Giulia Gallo LABA   31 Maggio 2023 at 11:41

    Il complesso e duraturo rapporto tra cinema e moda si caratterizza per la crescita ed evoluzione che ha subito negli anni, responsabile di aver cambiato e influenzato entrambi i mondi. Questa trasformazione la possiamo facilmente osservare nell’esperienza che la celebre couturier francese Coco Chanel ha avuto con il cinema, dallo Star System Hollywoodiano a quello europeo. Una relazione che agli inizi si mostra conflittuale e non all’altezza delle aspettative, si trasforma successivamente in una vincente collaborazione. È la diversa concezione del lusso che negli anni ’20 crea un certo attrito tra Hollywood e Coco Chanel che veste le grandi star del cinema con una sobria eleganza caratteristica dei suoi abiti, approccio che non viene però apprezzato, ma al contrario considerato non sufficiente, poco appariscente per l’ambiente dell’epoca. Questo contrasto va però a scomparire con il tempo e, con la fine della Seconda Guerra Mondiale, viene sostituito da un rapporto positivo e proficuo in cui sono i registi ad affidarsi a grandi stilisti.
    Ritengo che uno degli aspetti più interessanti sia sicuramente come i due mondi si avvalgano dell’influenza reciproca per creare un qualcosa di memorabile. Ottimo esempio di questo vincente sodalizio è il film “Colazione da Tiffany” con Audrey Hepburn e l’indimenticabile combinazione dell’abito nero con il cappello, che trasmette l’immagine di una donna elegante, sobria ed indipendente. Coco Chanel, Paco Rabanne, Yves Saint Laurent e Giorgio Armani sono alcuni dei nomi di case di alta moda la cui collaborazione con il mondo del cinema, porta ad un grande successo non solo del film, ma anche e soprattutto dei suoi personaggi e della caratterizzazione attribuitagli dagli abiti che indossano.
    Quali sono quindi i vantaggi di questo vincente sodalizio? Per le case di alta moda occuparsi del guardaroba di grandi attrici e attori dalla fama mondiale significa sicuramente farsi pubblicità, farsi conoscere da un pubblico sempre più ampio, ed inoltre mettersi alla prova con sfide nuove che non possono far altro che arricchire l’esperienza dello stilista e il valore sul suo brand. Per il cinema affidarsi ad importanti stilisti non significa solo raccogliere consensi, ma presentare al grande pubblico la migliore versione possibile del film e dei suoi personaggi. L’apporto fondamentale fornito dagli stilisti, ne è un ottimo esempio Giorgio Armani, è la profonda caratterizzazione che gli abiti forniscono ai grandi protagonisti. Il look scelti, così come il montaggio, la musica e tutti gli aspetti tecnici che si nascondono dietro ad un film, non vanno che a rinforzare nel pubblico le peculiarità (sia che si parli di tratti positivi che di tratti negativi), lo stile di vita e il comportamento dei personaggi. Responsabilità della moda è anche garantire che gli abiti proposti non solo non siano anacronistici, ma che mantengano un contatto con la contemporaneità, che possano quindi incontrare il gusto del pubblico senza perdere l’attinenza con il periodo storico di riferimento. In questo sono le case di alta moda ad essere estremamente abili e a presentare quindi i risultati migliori.
    In conclusione, ritengo che quello vissuto da moda e cinema sia stato un viaggio di profonda trasformazione che ha contribuito ad evidenziare i diversi ruoli dei due mondi, ad arricchirli e a mostrare come siano fortemente legati ed influenzati reciprocamente.

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  32. Alessandro Diego LABA   1 Giugno 2023 at 12:33

    L’articolo esplora la relazione tra moda e cinema, mettendo in luce la loro frequente simbiosi e l’influenza reciproca che ha portato alla creazione di alcuni dei look più iconici nella storia del cinema. Basti pensare agli abiti indimenticabili di Audrey Hepburn in “Colazione da Tiffany” o al celebre vestito bianco di Marilyn Monroe in “Gli uomini preferiscono le bionde”. I costumi dei personaggi non solo contribuiscono a migliorare l’esperienza visiva dei film, ma rivelano anche molteplici aspetti della loro personalità, classe sociale e età .
    La moda nel cinema può essere utilizzata come un potente commento sociale sulla cultura del tempo. A volte, un abbigliamento o un taglio di capelli visti in un film, possono anche influenzare la moda nel mondo reale, creando tendenze che si diffondono tra il pubblico, basti pensare al taglio avuto da Jennifer Aniston nella prima stagione della serie cult Friends che ha creato un boom incredibile tra le giovani americane che hanno iniziato a portare i capelli alla “Rachel”.
    In sintesi personalmente, ritengo che questa “sinergia” continuerà ad esistere a lungo, poiché rappresenta un notevole vantaggio reciproco per entrambe le parti coinvolte, alimentando la creatività e offrendo nuove opportunità di espressione artistica, ed inoltre penso che non si limiterà solamente al media “cinema”, infatti per come sta proseguendo la tecnologia, tra un paio di anni, si inizieranno a creare dei trend anche da media innovativi e tecnologici come il metaverso.

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  33. Simona Del Giudice LABA   7 Giugno 2023 at 11:15

    L’articolo esplora in modo interessante il rapporto sinergico tra due mondi creativi: il cinema e la moda. È innegabile che queste due forme d’arte abbiano instaurato nel corso del tempo una connessione profonda, trasformandosi in un influente scambio di idee e stili.
    Da una prospettiva critica, è importante sottolineare come la moda e il cinema si siano reciprocamente plasmati, influenzando le tendenze e i gusti del pubblico. L’immaginario cinematografico ha spesso veicolato ideali estetici e di moda, creando icone di stile che hanno lasciato un’impronta indelebile nella cultura popolare. Allo stesso tempo, la moda ha fornito al cinema costumi e abiti straordinari che hanno contribuito a creare personaggi memorabili e atmosfere suggestive.
    Tuttavia, mentre apprezzo l’approccio positivo dell’articolo sul “fruttuoso scambio di prestazioni” tra moda e cinema, ritengo importante porre alcune riflessioni sul lato critico di questa correlazione. In alcuni casi, il rapporto tra moda e cinema può trasformarsi in una sorta di perpetuazione di stereotipi estetici, promuovendo ideali di bellezza irrealistici e spesso inaccessibili. Ciò può creare pressioni sulla società e alimentare un’immagine distorta del corpo e dell’identità.
    In conclusione, la correlazione tra moda e cinema è un argomento affascinante e complesso. Mentre riconosco l’importanza di questo scambio di idee e influenze, è fondamentale mantenere uno sguardo critico sulle dinamiche che possono sottostare a questa relazione. La moda e il cinema hanno il potere di ispirare, ma è importante ricordare che l’autenticità e l’individualità dovrebbero essere sempre valorizzate al di là delle tendenze effimere e delle pressioni esterne.

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  34. Vernocchi Giulia Laba   7 Giugno 2023 at 12:32

    Il legame tra il cinema e la moda è un fenomeno affascinante e profondo che ha attraversato oltre un secolo di storia. Questo sottile, ma fondamentale, filo che li collega ha creato un terreno fertile per l’influenza reciproca e la collaborazione tra i due mondi.

    Fin dai primi giorni del cinema, le star di Hollywood sono diventate icone di stile e tendenza. I costumi elaborati e gli abiti lussuosi indossati sul grande schermo hanno catturato l’immaginazione del pubblico e hanno influenzato la moda dell’epoca. Icone come Audrey Hepburn in “Colazione da Tiffany” o Marilyn Monroe in “Gli uomini preferiscono le bionde” hanno lasciato un’impronta duratura nella storia della moda, definendo stili e tendenze che sono stati emulati per decenni.

    D’altra parte, la moda ha sempre svolto un ruolo cruciale nella creazione di atmosfere e personaggi nel cinema. I costumi indossati dai personaggi contribuiscono a definire la loro identità e a trasmettere informazioni sulla trama e sul periodo storico in cui è ambientato il film. I designer di moda collaborano con registi e scenografi per creare abiti che si integrano perfettamente nel mondo visivo del film.

    Questa interazione tra cinema e moda si è rafforzata nel corso degli anni, soprattutto attraverso eventi come i festival cinematografici e le cerimonie di premiazione. Le star che camminano sul tappeto rosso diventano veri e propri spettacoli di moda, con gli stilisti che cercano di far indossare i loro abiti alle celebrità più famose. Questo ha portato a una maggiore visibilità per i designer di moda e ha reso l’abito da sera una forma d’arte in sé.

    Oggi, con l’esplosione dei social media e la rapida diffusione delle immagini, l’influenza del cinema sulla moda e viceversa è diventata ancora più immediata e accessibile. Le star del cinema diventano ambasciatrici di marchi di moda e collaborano con stilisti per creare linee di abbigliamento e accessori. Allo stesso tempo, il cinema si ispira alle tendenze e agli stili di moda attuali per creare personaggi e scenografie che risuonano con il pubblico contemporaneo.

    In conclusione, il legame tra cinema e moda è un continuo gioco di influenze e ispirazioni reciproche. Entrambi i mondi si nutrono l’uno dell’altro, creando una sinergia unica che ha lasciato un’impronta indelebile nella storia dell’arte e del costume. Questo sottile filo che li collega è un testimone della potenza creativa e del potere di trasformazione di entrambe le forme d’arte.

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  35. Tommaso De Guglielmo   7 Giugno 2023 at 17:19

    La moda è un fenomeno che va ben oltre l’aspetto superficiale e estetico. Attraverso i secoli, ha influenzato la società, la cultura e l’economia in modi profondi. Non è solo una questione di abbigliamento, ma anche di espressione individuale e di identità collettiva.

    La produzione di costumi per i set cinematografici è un aspetto spesso trascurato, ma svolge un ruolo cruciale nell’evocare emozioni e creare atmosfere per i personaggi e le storie che vengono raccontate. I costumi non sono solo indumenti, ma strumenti narrativi che aiutano gli attori a immergersi nei loro ruoli e a trasmettere sentimenti ai spettatori. Un costume ben progettato può comunicare il contesto storico, la personalità del personaggio e persino i sottintesi psicologici.

    Inoltre, la moda è una parte integrante della nostra storia collettiva. Ogni periodo storico ha avuto i suoi stili distintivi che riflettevano i valori, le credenze e le tendenze culturali dell’epoca. Dall’antica Grecia all’Egitto, dal Rinascimento al Barocco e al Romanticismo, la moda ha testimoniato i cambiamenti sociali, politici ed estetici delle diverse epoche.

    Ma la moda non è solo un fenomeno del passato. Continua a evolversi e ad adattarsi ai tempi moderni. Nuove tendenze emergono costantemente, influenzate da fattori come la tecnologia, la globalizzazione, i movimenti sociali e l’ambiente. La moda si adatta alle esigenze e alle preferenze delle persone, riflettendo la società in cui viviamo.

    In definitiva, la moda è molto più di semplici abiti e accessori. È un linguaggio visivo che ci consente di esprimere chi siamo, di raccontare storie e di connetterci con il mondo che ci circonda. È un potente strumento di comunicazione e un riflesso dei cambiamenti sociali e culturali che attraversiamo nel corso del tempo. Quindi, non sottovalutiamo l’importanza della moda nella nostra storia e nella nostra vita quotidiana.

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  36. Giulia Marrapodi LABA   8 Giugno 2023 at 01:14

    E’ difficile pensare a un film senza costumi, leggendo questo articolo mi è sorta una domanda: è il costume cinematografico che diventa moda oppure è la moda che diventa un costume cinematografico? Ho pensato che nel cinema la moda rappresenta un’ulteriore veicolo che esprime il senso del corpo del personaggio.
    Cinema e moda si incontrano molto presto, possiamo pensare già agli inizi del Novecento, e portano avanti una combinazione che si rafforza sempre di più. Una tappa fondamentale è la nascita, dagli anni Trenta, del sistema cinematografico hollywoodiano. Dove nasce una nuova figura, quella dello stilista anche costumista che collabora con il regista alla sceneggiatura per creare, al di là del film, un modo di essere, di fare o di agire che influenzerà il pubblico, la gente comune e quindi la moda.
    Mi voglio soffermare sul film, diretto da Blake Edwards nel 1961. Esso ha avuto un impatto significativo sulla moda e ha contribuito a influenzare lo stile dell’epoca.
    “Colazione da Tiffany” ha introdotto un’iconica immagine di Audrey Hepburn nel ruolo di Holly Golightly, che ha fatto scuola per lo stile elegante e sofisticato. Il costumista del film, Hubert de Givenchy, ha creato abiti e accessori che hanno contribuito a definire l’estetica del personaggio e che sono diventati parte integrante della narrazione visiva.
    In questo senso, il film può essere considerato come un esempio in cui la moda diventa un elemento centrale nell’espressione estetica e nella creazione di un’atmosfera cinematografica distintiva. Gli abiti indossati da Audrey Hepburn e il loro design raffinato sono diventati parte integrante dell’esperienza del film per il pubblico, influenzando la percezione estetica complessiva e contribuendo alla sua valutazione.
    Questa transizione da una moda utilizzata come strumento tattico sottoposto al controllo del costumista a una moda che diventa direttamente parte dell’espressione artistica e della valutazione estetica di un film da parte del pubblico è un processo interessante e complesso. Nel corso degli anni, molti altri film hanno seguito questa tendenza, in cui il design dei costumi diventa un elemento visivo distintivo e parte integrante della narrazione.
    Ciò dimostra come la moda possa essere un potente strumento di comunicazione visiva nel cinema, influenzando il pubblico e contribuendo alla creazione di atmosfere, caratterizzazione dei personaggi e messaggi estetici.
    In conclusione, “Colazione da Tiffany” rappresenta un esempio significativo di come la moda nel cinema possa andare oltre il suo ruolo puramente funzionale, diventando un elemento chiave nella creazione di un’esperienza estetica e nella valutazione del pubblico.

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    • Lamberto Cantoni
      Lamberto Cantoni   8 Giugno 2023 at 08:39

      Un film di successo produce conseguenze che possono portare alla devastante diffusione di un certo stile di abbigliamento. Così come sembra evidente che il modo di presentarsi al pubblico delle aziende moda assomiglia sempre di più a Hollywood piuttosto che alle classiche maison o alle grandi griffe novecentesche. Si può sostenere che, nel nome dello spettacolo, le narrazioni dei due campi estetici, secondo determinati rispetti, tendono a sovrapporsi.

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  37. Alessia Tresente   8 Giugno 2023 at 11:15

    Per quanto concerne il commento ci terrei ad esprimere parte del mio dissenso riguardo all’importanza della moda in campo cinematografico…
    In primo luogo, vorrei affermare che reputo estremamente insensato il discorso di Goldwyn, secondo cui bisognasse, (come citato nel testo), “Dare alle donne un duplice motivo per andare al cinema: vedere i suoi film e le sue dive ma anche per osservare le Dernière crì della moda“; infatti, a mio parere, se dovessimo considerare unicamente l’incredibile bellezza dell’abbigliamento indossato dai personaggi in un ipotetico film, il significato di quest’ultimo “verrebbe meno” e il fascino del cinema rischierebbe di finire così in secondo piano. Solitamente ci si aspetta che il pubblico critichi per lo più il valore del contenuto in sé e non solo ed esclusivamente il vestiario delle celebrità.
    Se invece dovessimo considerare più nello specifico il “sottile filo” che lega i due diversi settori (non solamente in ambito estetico quindi), è innegabile l’importanza del fenomeno definito “verosimiglianza aumentata”, che consiste nell’accrescimento del piacere visivo e non intendo negare in alcun caso la rilevanza di utilizzare un vestiario adeguato in base ad ogni personaggio, in quanto, come descritto nel testo stesso, l’abito viene concepito come una sorta di “seconda pelle”, tale da possedere determinate caratteristiche che, a livello visivo potrebbero suscitare interesse sul protagonista da parte dell’audience e ad accentuarne particolarità caratteriali, evidenti o meno, per ricreare una “maggiore coerenza percettiva” (come nel caso del personaggio di Holly in “Funny face”). Tuttavia, a mio favore utilizzerò il buffo esempio di valutare la star “Addobbata come un albero di Natale”, in quanto lo scopo effettivo consisterebbe per l’appunto nel volersi distinguere e nel mettersi in mostra ma a mio giudizio non è certamente l’elemento principale e indissolubile per la quale le persone si affascinano al mondo del cinema.
    Ciò nonostante, per quanto io personalmente trovi lo stile di Coco Chanel eccezionale e affascinante il look futuristico e provocante di Paco Rabanne, (utilizzato da Jane Fonda in “Barbarella”), ci terrei comunque a ricordare che in realtà i due campi, nonostante siano estremamente collegati tra loro in uno scambio di prestazioni favorevoli per entrambi, di fatto non possono superarsi vicendevolmente; la moda non può far altro che arricchire semplicemente l’opera cinematografica in sé, senza infierire su di essa per porla in secondo piano, come viene spesso sconvenientemente presentata a mio giudizio. “Avere stile è un valore” (come citato nel testo), che permette di essere percepiti come interessanti ma suppongo che per essere apprezzato pienamente dovrebbe essere esaminato da un punto di visto separato dal cinema.

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    • Lamberto Cantoni
      Lamberto   13 Giugno 2023 at 09:46

      Non mi pare di aver scritto qualcosa che possa essere interpretato nei termini di un sopravvento della moda sul cinema, ma solo di uno scambio di prestazioni.
      Riguardo il caso Goldwyn devi contestualizzarlo. Erano gli anni d’oro del genere commedia e delle Star. Il pubblico femminile adorava contemplare le grandi attrici. E da parte loro le grandi attrici sapevano di dover stupire il proprio pubblico. Non è un azzardo congetturare che il come si presentavano sul set facesse la differenza. Cosa sarebbe successo se seguendo le tue parole, avessero forzato la produzione a trascurare le proprie apparenze per così favorire la lettura delle riprese in quanto tali, del montaggio o delle parole che pronunciavano? Sarebbero rimaste delle star? Ne dubito.

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  38. Giorgia Poletti   14 Giugno 2023 at 11:11

    Il cinema e la moda hanno una storia che li lega profondamente l’uno a l’altro, un legame indissolubile che va ben oltre il fattore estetico, essi sono mezzi di espressione creativa che si influenzano reciprocamente e che si integrano per creare delle narrazioni visive suggestive.
    Il cinema ha spesso agito come una potente piattaforma per promuovere e diffondere le tendenze di moda. Film iconici come “Colazione da Tiffany” con Audrey Hepburn, “Funny Face” sempre con la medesima attrice che interpreta il ruolo di una modella che viene trasformata in un’icona di stile e “American Gigolo”, film noto per il suo stile sofisticato e alla moda, con Richard Gere nel ruolo di un gigolò che indossa abiti eleganti e costosi. Tutti e tre film hanno avuto un impatto significativo rispetto alla popolarità degli abiti di lusso e di misura. Inoltre, molti registi e sceneggiatori lavorano a stretto contatto con stilisti e case di moda per creare l’estetica dei loro film, creando collaborazioni che attraggono l’attenzione e l’interesse del pubblico. Non solo, la moda diventa essenziale per il cinema nel momento in cui inizia a svolgere un ruolo essenziale nella costruzione dei personaggi e nella creazione dell’ambientazione. I costumi indossati dagli attori possono comunicare la personalità, lo status sociale, l’epoca storica e persino l’umore dei personaggi.
    La rappresentazione della moda nel cinema può spesso essere influenzata da convenzioni estetiche e da standard di bellezza che possono perpetuare ideali irrealistici e discriminanti. Inoltre, il lato commerciale della moda nel cinema può portare a una banalizzazione dell’arte e ad una riduzione della creatività, con la moda diventata solo uno strumento di marketing. Questo può avere di conseguenza una commercializzazione eccessiva della moda, a scapito della creatività e dell’originalità. Invece di promuovere l’individualità e l’espressione personale, il cinema può diventare uno strumento per la promozione di marchi e tendenze di moda preconfezionate; un esempio concreto di questa connessione può essere osservato nel fenomeno dei product placement nei film, in cui i marchi di moda pagano per avere i loro prodotti indossati o mostrati dai personaggi principali. Questa pratica può influenzare la narrazione e il messaggio del film, mettendo in discussione l’autenticità e l’integrità artistica.
    È fondamentale promuovere una visione più inclusiva e diversificata della moda nel cinema, abbracciando una gamma più ampia di stili, corpi e identità. Inoltre, è importante che il cinema venga utilizzato come mezzo per affrontare tematiche più profonde e complesse, andando oltre la superficie estetica e utilizzando la moda come veicolo per narrare storie più significative. Per tali affermazioni, secondo il mio punto di vista, il legame tra cinema e moda ha la capacità di portare risultati stupefacenti, basti pensare alle promozioni culturali e sociali, apprezzando l’estetica e l’influenza visiva che la moda del cinema può offrire, bilanciando la consapevolezza del rischio di promuovere standard stilistici irrealistici con una prospettiva più ampia sull’arte e la creatività cinematografica.

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  39. Martina Sipione LABA   14 Giugno 2023 at 14:43

    Ho trovato l’articolo molto interessante. La moda e il cinema fin dalla nascita si può dire che si completano. Come cita l’articolo la non curanza degli abiti può portare all’incredulità della scena. Questo perché la scelta deve essere coerente rispetto a ciò che si vuole trasmettere, è ovvio che durante una scena triste il protagonista, o le comparse intorno, non possano avere vestiti “felici”, con fiori o frasi di serenità. Come in generale i vestiti devono essere conforme al tema del film, se il film è ambientato nel medioevo gli attori non possono indossare jeans e snickers, come se il film è d’avventura non si possono usare vestiti per una cerimonia. Tuttavia la complicità tra cinema e moda non sempre ha funzionato.

    Difatti il caso di Coco Chanel e la sua collaborazione con Hollywood negli anni ’30 rappresenta un interessante punto di conflitto tra la moda e il cinema. Mentre il produttore Samuel Goldwyn vedeva l’opportunità di combinare il potere seduttivo della moda con le star del cinema per attrarre il pubblico femminile, Chanel, con il suo stile sobrio ed elegante, trovava inadeguato il glamour esagerato e volgare del costume cinematografico. La sua esperienza nella creazione di costumi per il cinema si rivelò molto deludente, poiché i suoi abiti non riuscirono a suscitare l’effetto desiderato sullo schermo. Questo conflitto derivava in parte dalla differenza tra la percezione visiva del cinema e quella delle foto di moda, ma anche dalla volontà delle star di distinguersi e mantenere la loro unicità nell’immaginario pubblico. Inoltre, si può notare che nel contesto parigino della Belle Époque, il rapporto tra la moda e le arti performative, come i Balletti Russi, aveva già affrontato il problema di adattare il design dei costumi alle esigenze sceniche.

    Dopo la Seconda Guerra Mondiale, i costumi cinematografici hanno iniziato a essere riconosciuti come elementi artistici di grande valore, tanto che gli stilisti di moda sono stati coinvolti attivamente nella produzione cinematografica. Questa collaborazione ha portato a risultati straordinari, in cui la moda e il cinema si sono influenzati reciprocamente, creando un’esperienza visiva coinvolgente e affascinante per il pubblico.
    Sono stati i film “Colazione da Tiffany” e “Funny Face” ha segnare una svolta nella relazione tra moda e cinema, grazie alla collaborazione tra icone come Audrey Hepburn e stilisti come Hubert de Givenchy. I loro look iconici sono diventati parte integrante dell’immaginario collettivo e hanno influenzato la moda dell’epoca. Inoltre, il regista Alfred Hitchcock ha compreso l’importanza dei costumi nel creare l’identità dei personaggi e ha collaborato con stilisti per garantire la perfezione estetica dei loro film.

    In definitiva, la relazione tra cinema e moda è un affascinante gioco di influenze reciproche, in cui lo stile e l’estetica si fondono per creare un’esperienza visiva unica. Questa collaborazione ha contribuito a plasmare l’immaginario collettivo e ha reso la moda parte integrante della creazione estetica dei film.

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  40. Giacomo Casadio Laba   15 Giugno 2023 at 15:05

    Il legame tra cinema e moda è indubbiamente forte e profondo, andando oltre l’aspetto estetico. Entrambi sono mezzi di espressione creativa che si influenzano reciprocamente, creando suggestive narrazioni visive. Nel corso degli anni, il cinema ha spesso svolto un ruolo fondamentale nella promozione e diffusione delle tendenze di moda. Film iconici come “Colazione da Tiffany” e “Funny Face”, entrambi interpretati dalla talentuosa Audrey Hepburn, hanno contribuito a trasformare l’attrice in un’icona di stile e hanno influenzato la popolarità dei lussuosi abiti su misura. Allo stesso modo, film come “American Gigolo”, noto per il suo stile sofisticato, hanno contribuito a plasmare le tendenze di moda dell’epoca. Questi esempi dimostrano come i costumi indossati dagli attori possano comunicare personalità, status sociale, epoca storica e persino l’umore dei personaggi.

    Tuttavia, è importante riconoscere che la rappresentazione della moda nel cinema può essere influenzata da convenzioni estetiche e da standard di bellezza irrealistici e discriminanti. Inoltre, il commercio legato alla moda nel cinema può portare a una banalizzazione dell’arte e a una riduzione della creatività, con la moda che diventa semplicemente uno strumento di marketing. La commercializzazione eccessiva della moda può mettere a rischio l’originalità e l’autenticità, favorendo marchi e tendenze preconfezionate. Ad esempio, il fenomeno del product placement nei film, in cui i marchi di moda pagano per avere i loro prodotti indossati o mostrati dai personaggi principali, può influenzare la narrazione e mettere in discussione l’integrità artistica.

    Per affrontare queste problematiche, è fondamentale promuovere una visione più inclusiva e diversificata della moda nel cinema, abbracciando una vasta gamma di stili, corpi e identità. Inoltre, il cinema dovrebbe essere utilizzato come strumento per affrontare tematiche più profonde e complesse, andando oltre la superficie estetica e utilizzando la moda come veicolo per narrare storie significative. È necessario trovare un equilibrio tra l’apprezzamento dell’estetica e l’influenza visiva offerta dalla moda cinematografica, e la consapevolezza dei rischi legati alla promozione di standard stilistici irrealistici. In definitiva, il legame tra cinema e moda ha il potenziale di produrre risultati straordinari, promuovendo la cultura e la società, pur mantenendo una prospettiva ampia sull’arte e la creatività cinematografica.

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  41. Tania Sirotti (cinema 2)   15 Giugno 2023 at 16:21

    Gli abiti nel cinema hanno sempre rivestito un ruolo importante e il mondo della moda è da sempre legato al mondo filmico.
    Molte volte peró è anche il cinema che detta moda, ci basti pensare agli occhiali Ray-Ban indossati dal grande Tom Cruise in top Gun che sono diventati praticamente un’icona di moda del film.
    L’abbigliamento nel vasto mondo cinematografico riveste un ruolo fondamentale, il suo compito è quello di esprimere la reale essenza del personaggio, spesso il successo di un film dipende anche dagli abiti di scena ben riusciti.
    A Hollywood una diva aveva diritto ad un costumista personale che aveva il compito di creare per lei abiti esclusivi e rigorosamente realizzati a mano e su misura.
    Nel 1948 con l’istituzione del primo premio Oscar per i costumi, la moda divenne centrale e sempre più importante nel mondo cinematografico.
    Anche la nostra Cinecittà contribuì ad influenzare il mondo della moda e dello spettacolo, basti pensare a Sofia Loren, Gina Lollobrigida e Silvana Mangano.
    Sono molti gli abiti che hanno fatto la storia e sono tutt’ora considerati icone indissolubili.

    Audrey Hepburn a colazione da tiffany indossava il suo elegante tubino nero Givenchy raffinato e femminile considerato ancora oggi il vestito perfetto sinonimo di eleganza.

    Marilyn Monroe indossava il famoso morbido abito bianco la gonna plissettata che si solleva sulle grate della metropolitana è l’icona stessa di questa attrice e della commedia americana anni 50.

    Olivia Newton indossava il completo di pelle nera tra i film che hanno lasciato un segno importante nella moda c’è sicuramente Grease che ha caratterizzato un’era ancora oggi si indossano i giubbotti di pelle che venivano utilizzati nel film.

    L’abito è un segno iconico che amplifica l’aspetto filmico.
    Ad oggi sarebbe impossibile concepire un film senza costumi.

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  42. Sofia Pilli LABA   15 Giugno 2023 at 16:45

    La moda e il cinema hanno una stretta relazione in cui si influenzano reciprocamente.
    Ritengo che la moda svolga un ruolo significativo nell’industria cinematografica, in quanto contribuisce a definire i personaggi, creare atmosfere e comunicare stili di vita. Credo, inoltre, che i costumi e gli abiti indossati dai protagonisti influenzino la narrazione e aiutino a trasmettere messaggi visivi e emozionali.
    Tuttavia, il cinema ha un impatto sulla moda, ispirando tendenze e influenzando il gusto del pubblico.
    Per questo la collaborazione tra stilisti di moda e registi è sempre più comune, portando a partnership creative di successo.
    Coco Chanel nel cinema è considerata un esempio di fallimento nella creazione di abiti adatti alle attrici di Hollywood proprio perché i suoi stili minimalisti e sperimentali non erano in linea con i gusti e le esigenze del pubblico e delle produzioni cinematografiche dell’epoca. Le sue creazioni, pur essendo innovative e influenti nella moda, non si adattavano al glamour e al lusso richiesti dal cinema hollywoodiano, risultando poco accattivanti e poco adatte per le star cinematografiche.

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  43. Rita Ghidoni   17 Giugno 2023 at 18:12

    Questo articolo affronta il legame tra il cinema e la moda nel corso del tempo, esplorando l’importanza dei costumi cinematografici e il loro impatto sull’esperienza visiva del pubblico. L’autore sottolinea come i registi abbiano iniziato a utilizzare consapevolmente la moda e il costume per arricchire i contenuti dei film e aumentare l’attrattiva delle star, contribuendo alla creazione di significati non lineari. Tuttavia, l’articolo evidenzia anche le sfide di creare costumi che siano coerenti con la narrazione del film e che soddisfino le aspettative del pubblico.

    Prendiamo ad esempio i film del periodo “americano” di Alfred Hitchcock. Il grande regista inglese era noto per prestare molta attenzione al look delle sue attrici preferite. I costumi di scena di Grace Kelly in “La finestra sul cortile” del 1954 e il sublime guardaroba indossato dall’attrice in “Caccia al ladro” del 1955 testimoniano quanto le apparenze possano rafforzare il mito della bellezza e consolidare il flusso passionale tra l’attrice/attore e il pubblico. Anche nei suoi altri film, Hitchcock si è distinto per l’attenzione verso la moda, come l’abito nero indossato da Kim Novak in “Vertigo” del 1958 e il vestito verde di Tippi Hedren in “Gli uccelli” del 1963.
    Appassionata di Hitchcock da quando l’ho studiato a scuola, ho sempre apprezzato la sua dedizione nella scelta delle attrici giuste, fino ai look che sono entrati a pieno titolo nell’immaginario collettivo. Questo dimostra agli Studios e ai produttori l’importanza del look nel riflettere la creatività di coloro che operano nel mondo della moda.

    Se fino a quel momento il regista si era affidato principalmente ai costumisti professionisti, grazie ai quali poteva intervenire personalmente sugli abiti, dopo il film “la finestra sul cortile” la sua visione della moda divenne cruciale.

    Nel 1961, nello stesso anno in cui “Colazione da Tiffany” apparve sul grande schermo, una delle poche cose che convinse i critici fu il guardaroba creato da Coco Chanel per Delphine Seyrig, che in alcune indimenticabili scene era di un’eleganza stratosferica.

    Sono certa che qualcuno, con una conoscenza approfondita del cinema e della moda, vorrebbe sottolineare l’importanza di Cecil Beaton. Tuttavia, devo ammettere di non nutrire particolare simpatia per un personaggio così conservatore, vanesio e dai tratti antisemiti. Nonostante ciò, riconosco che Beaton ha vinto l’Oscar per i costumi nel 1958 con il film “Gigi”, diretto da Vincente Minnelli, e nel 1964 con “My Fair Lady”, diretto da George Cukor. Tuttavia, a mio avviso, il suo contributo alla moda in questi casi è stato relativamente limitato rispetto ad altri esempi che ho citato in precedenza.

    E cosa dire del film “Barbarella” del 1968, diretto da Roger Vadim? I costumi audaci e futuristici creati da Paco Rabanne per Jane Fonda nel ruolo della protagonista Barbarella hanno incarnato perfettamente l’immaginario spaziale del periodo e sono diventati vere e proprie icone di moda.

    Tuttavia, non bisogna limitare la discussione solo ai film degli anni ’50 e ’60. Nel 1980, il regista Paul Schrader e lo stilista Giorgio Armani hanno collaborato nel film “American Gigolò”. I costumi di Armani, indossati da Richard Gere nel ruolo principale, hanno definito il personaggio e hanno avuto un impatto significativo sulla moda dell’epoca. Il guardaroba del film è diventato simbolo di lusso e stile, influenzando le tendenze dell’abbigliamento maschile dell’epoca.

    Tutto sommato, questi sono solo alcuni esempi del connubio tra cinema e moda che hanno avuto un impatto duraturo sul pubblico e sull’immaginario collettivo. Gli abiti indossati dai personaggi dei film possono diventare simboli di stile e ispirare il pubblico, creando nuovi modelli di riferimento e influenzando i valori e i comportamenti delle persone. Queste collaborazioni di alto livello tra moda e cinema continuano a essere una fonte di ispirazione e innovazione, dimostrando la potenza della creatività nell’industria dello spettacolo e della moda.

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  44. Claudia Mura LABA   19 Giugno 2023 at 16:19

    La collaborazione tra il cinema e la moda ha una lunga storia e rappresenta una sinergia creativa che spesso produce risultati sorprendenti. Entrambi i settori si influenzano reciprocamente, trasmettendo idee, tendenze e stili attraverso le loro creazioni.
    Tutto ha avuto inizio negli anni venti del novecento come strategia economica, a seguito della crisi economica del ’29, da parte del regista Goldwyn. Questo primo esperimento con Coco Chanel non ottenne però i risultati sperati, in quanto i costumi presentati dalla stilista non esprimevano il sex appeal che gli attori e i registi del tempo cercavano per esaltare propri film, ma anzi risultavano scialbi per la troppa eleganza, simbolo della casa di moda parigina. Coco, capito l’errore, lavorò con altri registi creando degli abiti che concepiva direttamente per le attrici e che erano DENTRO la storia del film.
    Più avanti, dopo la seconda guerra mondiale, quando venne istituito l’Oscar per i costumi, questa collaborazione diventò per entrambe le parti, stilisti e registi, importantissima per ottenere maggior successo e affermarsi nel mercato.
    Il costume contribuisce alla stilizzazione e caratterizzazione del personaggio, come in “Colazione da Tiffany”, e, a volte, sensibilizza talmente tanto lo spettatore da suggerire alternative al comportamento e offrire nuovi valori e modelli di riferimento, come succede in “American Gigolò”.
    Infatti la moda dialoga con il nostro corpo, ma anche con la nostra mente e la percezione che abbiamo di noi stessi. Capita, che se ci vestiamo in un certo modo, cambi anche il nostro atteggiamento e la nostra postura; ad esempio se mi mettessi un tailleur probabilmente sarei più composta e seria, rispetto a se indossassi dei jeans. Questa percezione deriva anche dai film, un/a protagonista forte, di successo e, se vogliamo, ricco sarà sempre vestito con abiti più eleganti e raffinati rispetto al protagonista goffo di un film comico.
    In conclusione, questa collaborazione è un connubio creativo che ha il potere di ispirare, emozionare e influenzare sia l’industria del cinema che quella della moda. La moda può trasformarsi in un mezzo di espressione visiva nel contesto cinematografico, aiutando a delineare i personaggi, creare atmosfere e raccontare storie in modo più efficace. Allo stesso tempo, il cinema può diventare una fonte di ispirazione per la moda, influenzando le tendenze e creando icone di stile senza tempo.

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  45. Marica Giustini LABA   19 Giugno 2023 at 17:38

    Il testo esplora la connessione profonda ed influente tra il mondo del cinema e quello della moda. Viene sottolineato come queste due industrie si siano influenzate reciprocamente nel corso dei decenni, dando vita a una collaborazione proficua che ha ridefinito lo stile e l’estetica, sia sul grande schermo, che nelle passerelle.
    Il testo evidenzia come il cinema abbia spesso svolto un ruolo chiave nell’introdurre e promuovere tendenze di moda iconiche. Da icone come Audrey Hepburn in “Colazione da Tiffany” con il suo elegante tubino nero, a personaggi cinematografici come Carrie Bradshaw nella serie “Sex and the City”, i film hanno contribuito a creare un’immagine di riferimento per lo stile di un’epoca e hanno ispirato generazioni di spettatori a seguire le tendenze di moda.
    Allo stesso tempo, la moda ha svolto un ruolo essenziale nella creazione dei personaggi cinematografici. I costumi e gli abiti indossati dai personaggi sono diventati parte integrante della narrazione, aiutando a definire la personalità e il contesto dei protagonisti. La moda ha il potere di creare atmosfere, trasmettere emozioni ed immergere gli spettatori nell’ambientazione del film.
    Inoltre, viene rimarcato come lo scambio tra il cinema e la moda si sia intensificato nel corso degli anni. Oggi, registi e stilisti lavorano spesso a stretto contatto per creare un’esperienza visiva e narrativa coerente. Le collaborazioni tra stilisti di alto livello e registi di fama, si sono tradotte in straordinari abbinamenti di creatività e hanno portato a risultati sorprendenti sullo schermo.
    Trovo affascinante il legame tra questi due colossi e l’influenza reciproca che si sono scambiati nel corso del tempo. Entrambe le industrie sono connesse e legate alla creatività e alla narrazione visiva, e questa sinergia ha dato vita a risultati straordinari.

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  46. Matilde Tagliavini LABA   21 Giugno 2023 at 02:18

    Moda e cinema sono due mondi intrecciati tra loro, il cinema non è completo senza la moda. Lo spettatore, spesso guardando il film, si sente parte di esso. I costumi enfatizzano questa sensazione. Chi riuscirebbe a guardare un film ambientato negli anni trenta senza tener conto dello stile di allora?
    Anche i personaggi stessi hanno abiti che si adattano alla loro personalità e questo aiuta a rendere più veritiera la scena. Ad esempio nel film Il diavolo veste Prada si può notare benissimo questa unione. Se nelle prime scene, la protagonista ha uno stile non proprio appropriato al lavoro che fa, nelle scene successive si può notare che il maturare delle sue conoscenze sulla moda, anche il suo stile cresce con lei mano a mano facendo vivere allo spettatore la sua trasformazione. Oppure come la scelta stilistica per il personaggio di Miranda Prestley, rispecchi appieno la personalità: arrogante, megalomane ed egocentrica.
    Credo sia importante anche citare la costumista Colleen Atwood, che ha lavorato su film come Edward mani di forbici, Piccole donne, Il silenzio degli innocenti e ha vinto il suo quarto oscar nel 2017 con Animali fantastici e come trovarli.
    Come nell’articolo viene citato il film Atomica bionda, dove la protagonista indossa capi di brand come Dior, YLS, e i marchi sono visibili in molte scene, mi sorge una domanda: perché questi grandi brand vengono inseriti, alcune volte anche prepotentemente nei film? Dobbiamo considerare che cinema e moda sono strettamente collegati alla necessità di pubblicità e approvazione pubblica, trovando il modo di una sponsorizzazione reciproca.

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  47. Matilda rigoni   21 Giugno 2023 at 15:02

    Rigoni Matilda LABA Graphic design 1

    Cinema e moda: Un fruttuoso scambio di prestazioni
    Come già citato nel titolo dell’articolo, cinema e moda sono uno scambio di prestazioni. Il cinema non esisterebbe senza la moda: la sceneggiatura, il suono, la luce, la scenografia, il montaggio, i colori e anche gli abiti degli attori.
    I costumisti del cinema sono artisti e abilissimi artigiani, sono stati in grado di realizzare abiti di scena di periodi in cui ancora non c’era la fotografia rispettando i canoni estetici; dovendosi basare su fonti differenti come disegni, pitture e rappresentazioni grafiche delle varie epoche. Sicuramente l’avvento della fotografia, prima in bianco e nero e successivamente a colori, ha facilitato il lavoro dei costumisti almeno sotto questo aspetto.

    Leggere questo articolo mi ha fatto capire quanto le case di moda possano avere e aver avuto un ruolo fondamentale nella consacrazione di un personaggio cinematografico ed allo stesso tempo una conferma mondiale della loro capacità di essere percepiti dal pubblico come icone di stile.
    Non oso immaginare la difficoltà per uno stilista nel riuscire a cucire gli abiti addosso ad un personaggio ed ancora di più riuscire non solo a prevedere cosa può apprezzare il pubblico, ma ancor di più quale limite di distorsione potrebbe accettare.
    Penso che il costume sia fondamentale per contribuire a creare e ricreare l’ambientazione che il regista vuole dare a quel film e far percepire al pubblico le emozioni, le sensazioni e soprattutto l’identità di quel personaggio, cercando di portare lo spettatore a voler immergersi in quel mondo e ad esplorarlo come se fosse lui stesso li.

    Il cinema, ad un certo punto del suo corso, ha assorbito una nuova figura: quella dello stilista-costumista, il quale ha assunto uguale importanza per la riuscita di un film del regista stesso, degli scenografi, dei tecnici, ecc.
    Attori e attrici indossano i propri abiti e le attrici meglio vestite sono quelle che lavorano di più e quindi che guadagnano di più. In seguito, in pochi anni, quando le case cinematografiche si accorgono che il fan della singola star cerca di imitarne non solo il comportamento, ma anche il modo di vestire e ne copia atteggiamenti è allora li che il disegnare abiti diventa una vera e propria arte, sempre in cerca di nuovi talenti.
    Il regista è il diretto responsabile dell’unità e della originalità dello stile che crea per il suo film. Ma altrettanto valore e responsabilità in questo compito dobbiamo riconoscerli al costumista, il quale deve saper caratterizzare l’aspetto dell’attore seguendo le circostanze drammatiche e psicologiche delle scene.
    Il rapporto tra moda e cinema è complesso e variabile nel tempo, ma entrambi i settori sono strettamente connesse e il loro contributo è stato essenziale nel definire le tendenze e cambiare la società nel corso del tempo.
    La “scenografia umana” in un film è essenziale, mentre si può pensare ad un film senza scenografie non è altrettanto facile concepire un film senza costumi.

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  48. Giacomo Venntrucci LABA Graphic Design   26 Giugno 2023 at 14:31

    Fin da sempre ho creduto fermamente che il modo in cui ci vestiamo e ci presentiamo al mondo possa raccontare molto di noi, a volte più di quanto possiamo esprimere noi stessi come individui. È sorprendente come i costumi e la moda in generale siano in grado di condizionarci profondamente, influenzando non solo il nostro comportamento, ma anche il nostro modo di pensare e comunicare. La moda esercita un potere tale da permetterci di giudicare una persona come seria o ridicola semplicemente osservando ciò che indossa, anche prima di aver avuto l’opportunità di conoscerla personalmente o scambiare una parola con lei. È proprio per questa ragione che il cinema e la moda hanno stretto un legame profondo fin dai primi giorni delle pellicole. Attraverso i costumi, i personaggi cinematografici vengono “presentati” agli spettatori ancor prima che pronuncino una sola parola, sfruttando appieno l’enorme potenzialità della moda. Questa simbiosi tra cinema e moda ha contribuito al successo di numerosi film che sono diventati dei veri e propri punti di riferimento nella storia del grande schermo. Con un’attenta scelta di costumi e abiti particolari, si può giocare con le nostre percezioni sensoriali ed emotive, riuscendo a descrivere un personaggio in maniera così precisa da renderlo iconico grazie al suo “outfit”.
    Col passare degli anni, l’intreccio tra cinema e moda si è rafforzato, soprattutto attraverso eventi come i festival cinematografici e le cerimonie di premiazione. Le celebrità che solcano il tappeto rosso diventano delle vere e proprie icone di stile, con gli stilisti che ambiscono a far indossare loro i loro straordinari abiti. Questo fenomeno ha dato vita a una maggiore visibilità per i designer di moda, trasformando l’abito da sera in una vera e propria forma d’arte.
    Oggi, con l’esplosione dei social media e la diffusione istantanea delle immagini, l’influenza reciproca tra cinema e moda è diventata ancora più tangibile e accessibile. Le star del cinema diventano ambasciatrici di brand di moda e collaborano attivamente con gli stilisti per creare linee di abbigliamento e accessori esclusivi. Allo stesso tempo, il cinema si nutre delle tendenze e degli stili di moda attuali per creare personaggi e scenografie che risuonino con il pubblico contemporaneo.
    In conclusione, l’intreccio tra cinema e moda rappresenta un affascinante gioco di influenze e ispirazioni reciproche. Entrambi i mondi si arricchiscono a vicenda, creando una sinergia unica che ha lasciato un’impronta indelebile nella storia dell’arte e della moda. Personalmente, trovo affascinante questo sottile filo che li lega, un testimone del potere creativo e trasformativo che entrambe le forme d’arte possiedono.

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  49. Michele Ghiselli LABA   26 Giugno 2023 at 18:53

    Poul Poiret (sarto francese che influenzò molto Hollywood) nel 1912 fu il primo stilista, a collaborare per gli abiti di un film, quelli usati da Sarah Bernhardt in “La regina Elisabetta. Da lì in poi cinema e moda, hanno lavorato insieme per scopi commerciali ma non solo. Un abito ha saputo valorizzare, a volte identificare ed imprimere, il carattere di un personaggio meglio di qualsiasi altra cosa. Alcune immagini che mostrano attori e attrici con un determinato abito, trucco e acconciatura, non solo sono entrate nell’immaginario collettivo, ma sono diventate quasi il successo stesso, il “marchio di fabbrica” di quel film, determinanti per la caratterizzazione del personaggio. Ad esempio Audrey Hepburn con il tubino nero (Givenchy) in “Colazione da Tiffany”, o con il fuseaux e le ballerine (Givenchy) in “Sabrina”; Humphrey Bogart con il trench, (Burberry) e il borsalino leggermente piegato in “Casablanca”; la vestaglia (LCF), indossata da Sophia Loren nel “La Ciociara”; il vestito bianco svolazzante, (William Travilla) usato da Marilyn in “Quando la moglie è in vacanza”; Uma Thurman con la camicia bianca, (Betsy Heimann) e i pantaloni neri a sigaretta, usati nella famosa scena di ballo in “Pulp Fiction”; le giacche sgargianti (Daniela Ciancio) di Jep Gambardella nel “La Grande Bellezza”; … Il product placement, se in una storia viene gestito bene e giustificato, non mi dà fastidio, e quindi in questi casi vedere abiti (ma non solo), realizzati con scopi pubblicitari va bene.

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    • Lamberto Cantoni
      Lamberto Cantoni   27 Giugno 2023 at 00:19

      Il film presentato al pubblico nei primi mesi del 1912 che citi all’inizio del tuo intervento in realtà era una produzione francese. Hollywood in senso stretto, non c’entra praticamente nulla. La Paramount Pictures (non credo che all’inizio questa società si chiamasse proprio così) fondata tra l’altro nell’agosto del 1912 acquistò i diritti per l’adattamento del lungometraggio da distribuire in America (ebbe un notevole successo). Riguardo ai costumi di Sarah Bernhardt qui e là nel web appare il nome di Poiret, il quale però nella sua autobiografia non dice una parola su questa collaborazione. Parla, per contro, molto dell’America, ma con parole molto ironiche e financo critiche. L’unico film del quale sono sicuro del suo intervento è L’inhumaine di M.Heribier (1924). Naturalmente potrebbero essere molti di più, compreso il film del 1912. Probabilmente durante l’era del film muto non si dava troppa importanza al costumista nel senso che non lo si pubblicizzava. Infine, per tornare al nostro tema, si tratta di un film storico e anche ammettendo l’intervento di Poiret bisognerebbe aggiungere che disegnò costumi di scena (come faceva regolarmente a Parigi quando veniva coinvolto per realizzare i guardaroba per opere teatrali). In altre parole non credo che per Sarah Bernhardt nel film in oggetto, abbia citato la sua moda del momento. Quindi non può essere paragonato a quanto fece Chanel vent’anni dopo a Hollywood.

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  50. giulia zappia (LABA)   26 Giugno 2023 at 19:23

    Il cinema usufruisce dell’apporto prezioso delle creazioni di moda, e le tracce della moda si
    strutturano marcando in modo indelebile l’immaginario cinematografico collettivo, con le
    immagini che segnano la memoria di chi guarda. La moda, considerandola in questa sede
    soltanto come abbigliamento che per diffondersi necessita del supporto di sistemi comunicativi, si rende conto che il cinema è un veicolo di comunicazione impareggiabile e dispone del potente mezzo per lasciarsi trasportare nel mondo. Il cinema fa riferimento alla moda, servendosi dei prodotti e delle creazioni elaborate da quest’ultima.

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  51. mary   18 Ottobre 2023 at 08:53

    Il film Barbie di Greta Gerwing è un perfetto esempio di simbiosi tra moda e cinema. Il mondo in rosa che domina lo schermo è una rappresentazione colorata credibile delle emozioni del fashion. La costumista Jacqueline Durran è stata bravissima. Un guardaroba da Oscar. Anche la sceneggiatura mi ha colpito: il ritorno alla realtà di Barbie nel finale è un bellissimo suggerimento alla moda attuale, sempre troppo indecisa tra sogno e il rispetto dei limiti che la rendono vicina alla vita reale delle persone.

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    • mauri   22 Ottobre 2023 at 09:11

      Personalmente ho trovato il guardaroba di Barbie molto marketing oriented. Mi ha convinto di più quello del film Oppenhaimer uscito in sala negli stessi giorni.

      Rispondi
      • Lamberto Cantoni
        Lamberto   25 Ottobre 2023 at 06:08

        Nolan è un perfezionista e quindi figuriamoci se sottovaluta il guardaroba dei suoi film. Comunque in Oppenheimer c’è qualcosa che non mi convinceva ma che credo di aver capito dopo aver letto una intervista alla costumista del film.
        Emmy Ellen Mirojnick dice del regista: “ Devi capire la sua visione…e questo per ogni singolo capo d’abbigliamento. Conosce ogni singolo capo d’abbigliamento prima che vada sul set, prima che l’attore si muova”. E fin qui la costumista conferma l’idea che mi ero fatto su come il regista agiva con le apparenze dei suoi attori. Ma la parte più interessante di quello che disse Emmy è relativa alle istruzioni che Nolan le diede per il film Oppenheimer: “Non voglio che sia elegante- è il regista che parla- Non deve essere stilizzato. Non voglio pensare, ok, ora stiamo entrando in questo periodo. Trova un modo per essere in grado di fonderli in un modo che sia facile per essere ovunque sia necessario alla narrazione”. Forse la traduzione dall’inglese non è stata perfetta, forse il giornalista stesso ha trasposto in modo imperfetto ciò che Emmy stava dicendo. Il risultato è un discorso un po’ ermetico che personalmente interpreto così: 1. L’eleganza non si compenetra con l’esigenza di mostrare chi era Oppenheimer dall’interno delle sue esperienze interiori; 2. L’eccesso di stilizzazione per connotare le fasi storiche non si compenetra con il mio desiderio di raccontare il vissuto del protagonista e distrae la fruizione. Ma soprattutto disturba gli effetti del montaggio che intendo utilizzare ovvero una libertà di andare avanti e indietro nelle sequenze temporali della storia, tale per cui anche a livello di superficie il mio Opprnheimer trasmetta allo spettatore un forte impatto in termini di unità del personaggio.

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      • Antonio Bramclet
        antonio   30 Ottobre 2023 at 08:51

        Il sandalaccio sugherato che la Barbie indossa nel finale del film lo comprano tutte. Più marketing di così…

        Rispondi
        • ann   31 Ottobre 2023 at 14:09

          Personalmente trovo appropriato che il look di Barbie quando torna alla realtà sia superfunzionale come i sandali Arizona della birkenstok. Al cinema basta poco per dire tanto.

          Rispondi
          • Antonio Bramclet
            antonio   1 Novembre 2023 at 10:10

            è incredibile come il cinema riesca a nobilitare qualcosa che fini a pochi anni fa era considerato il culmine della ineleganza. Ricordo bene le intellettualine impegnate che si presentavano ai convegni e alle inaugurazioni delle mostre con i sandalacci e orribili calzettoni da montanara scoppiata.. Orrore! Eppure il tempo ha datto ragione a loro. Barbie è la loro consacrazione.

  52. Giorgia Venturi LABA   12 Novembre 2023 at 12:56

    Quando noi spettatori guardiamo un film, spesso ci soffermiamo “solo alla superficie”: notando le particolarità della trama, la bravura degli attori e del regista dietro le telecamere. Uno spettatore comune non vede subito, a meno che tu non lo faccia notare, l’immenso lavoro che c’è dietro un’opera cinematografica, e di come ogni mansione sia estremamente importante, anche quelle più piccole, dall’aiuto regia, fino ad arrivare ai truccatori e ai costumisti. Il lavoro di questi ultimi, è estremamente importante, poiché attraverso i costumi, andranno a rendere i personaggi più verosimili possibile. Ho trovato molto interessante il secondo punto, dove si parla “dell’errore di Coco Chanel”, la quale accettò la proposta di lavorare come costumista nella celebre Hollywood vedendola come un’opportunità per promuoversi. Purtroppo non ebbe tanto successo e venne definita “non abbastanza elegante per il cinema”. Successivamente, probabilmente perché comprese l’importanza dei costumi, riuscì a “rifarsi” riuscì a capire l’indole dei personaggi che vestiva e, adattandoli ovviamente al periodo storico in cui il film era ambientato, andò a creare abiti bellissimi, semplici e eleganti, andando ad influenzare le donne di tutto il mondo. Il concetto che un film, possa condizionare, avere un impatto così forte nelle persone, il fatto che, citando l’articolo, “ti cambi la vita” è veramente molto affascinante, il cinema grazie al suo potere, può, a mio avviso, anche influire sulle tendenze della moda, un esempio recente potrebbe essere “Mercoledì” una serie Netflix, nonostante non mi vada a genio, c’è da considerare l’enorme successo che ha scaturito sin da prima della sua uscita (perché la gente ne parlava già, prima che la serie uscisse). Gli abiti della protagonista sono piaciuti talmente tanto che sono stati riprodotti da tantissimi brand come, per esempio, Miu Miu e Motivi ed altri brand di massa come H&M. Con l’arrivo del fast fashion dovuto al consumismo ( che si può anche associare a piattaforme come, il già citato Netflix), la durata delle mode e delle tendenze è cambiata molto, siamo in un periodo storico dove le persone preferiscono la quantità rispetto alla qualità, ciò ha portato, non solo ad un utilizzo di materie prime scarse e lavorazioni poco curate, ma anche alla creazione di mode e di tendenze molto fugaci, della durata di qualche mese se non meno (al contrario dei film citati nell’articolo). Un altro esempio recente un altro esempio recente potrebbe essere il film Barbie di Greta Gerwig, anch’esso diventato famoso prima della sua uscita, con degli abiti ispirati alle famose bambole, t-shirt con loghi, tutte caratterizzati, ovviamente da uno dei colori distintivi di questo personaggio, il rosa.

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  53. Davide Zanatta (LABA)   12 Novembre 2023 at 17:37

    Personalmente non ho mai approfondito bene il rapporto che il cinema ha con la moda, difatti ho sempre dato per scontato che la gestione stilistica dovrebbe essere elaborata nella maniera più accurata per garantire il migliore approccio con l’atmosfera narrativa e scenografica di un film. Leggendo però questo articolo sono riuscito a cogliere degli aspetti interessanti di cui prima non ne ero a conoscenza, e quindi ho effettivamente notato come anche la moda abbia avuto un certo sviluppo nel cinema.
    C’è da dire che molte pellicole al giorno d’oggi vengono abbondantemente arricchite di effetti speciali che vanno a coprire la bellezza stilistica del soggetto, quando invece una volta era proprio quest’ultima uno degli elementi dominanti dell’inquadratura. Ciò però non toglie il fatto che ancora oggi vengono assegnati molti premi al miglior costume, ma che soprattutto molti cineasti propongono pellicole con un uso ridotto di CGI, per dare spazio a una realtà più vivida dove lo spettatore possa cogliere al meglio l’accuratezza di un ambiente scenografico, del trucco e il tal caso dei costumi di scena.
    Interessante è anche il modo in cui il vestiario di un soggetto possa attirare l’attenzione del pubblico, tanto da arrivare a vestirsi come il soggetto stesso.
    Non è questione solo di moda, ma in generale nel cinema l’apparenza che viene data a un personaggio deve essere simbolica, e proprio grazie a questa il pubblico ne riesce a individuare il suo valore, tanto da imitarla.

    Rispondi
  54. Giacomo Lolli Ceroni Laba   14 Novembre 2023 at 18:20

    Trovo che l’articolo fornisca una riflessione interessante sulla relazione tra moda e cinema, concentrandosi tra le altre cose anche sulla figura della stilista Coco Chanel e la sua esperienza nel mondo cinematografico.
    Questo articolo evidenzia come il cinema abbia influenzato la percezione del pubblico attraverso l’uso dei costumi, sottolineando l’importanza della “verosimiglianza aumentata” creata dai costumisti.
    Interessante anche come nonostante la reputazione di Coco Chanel come icona della moda, la sua collaborazione con Hollywood negli anni ’30 non ebbe successo a causa di una mancata comprensione delle esigenze del cinema e del pubblico cinematografico. Viene sottolineato il contrasto tra lo stile sobrio di Chanel e l’aspettativa di glamour e sex appeal delle star cinematografiche dell’epoca.
    Successivamente la stilista imparerà dagli errori ottenendo risultati migliori ed apprezzati, dimostrando versatilità.
    Ho trovato anche interessante nell’articolo il mettere in risalto la fallacia di Coco Chanel, dimostrando come anche “mostri” di questo calibro nell’ambito stilistico possano fallire nel loro lavoro.
    Interessante anche vedere come dietro a un mondo così poco notato dallo spettatore medio ci siano lavori di estremo Labor limae.
    I costumi in un film se realizzati bene aiutano l’opera e ne compongono una parte estremamente importante e questa cosa è fattuale sin dal cinema delle origini, dove questi avevano veramente una grandissima parte della scena.
    Per quanto riguarda il presente forse parte di questa importanza intrinseca dei costumi è andata a scemare a causa dell’entrata di nuove tecnologie e metodi per la spettacolarizzazione delle scene, ma lo studio per la buona riuscita di questi trovo che tutt’oggi sia parte cardine per una buona riuscita di una scena e più in grande di una pellicola.

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    • Lamberto Cantoni
      Lamberto Cantoni   15 Novembre 2023 at 16:40

      Quello che a un certo punto dici è vero: di solito il fruitore ordinario di un film nota poco il guardaroba utilizzato dal regista, nel senso che questo elemento appare poco di frequente nelle normali conversazioni post visione della pellicola. Da giovane ho consumato notti intere nelle osterie più becere di Bologna a parlare con gli amici del film appena visto, Non ricordo una sola occorrenza dei discorsi (leggermente etilici) che planasse sulle apparenze vestimentarie degli attori. Però sono convinto che percepissi benissimo la pregnanza delle apparenze. Per esempio, dopo aver visto nell’80 American Gigolo divenni un cliente assiduo di Armani. Tutto il mio guardaroba in stile old england dissolto, finito, kaputt… Dobbiamo prendere sul serio il fatto che la gente di solito non ha i concetti e le parole per discorsivizzare il campo problematico che in questa sede ci interessa; ma al tempo stesso dobbiamo prendere atto che lo spettatore percepisce benissimo gli effetti delle apparenze vestimentarie, E infatti un costumista che sbaglia il tono dei look può condannare all’insuccesso una pellicola; ancora, look indovinati possono generare rincorse ad acquistare qualcosa che abbia somiglianza di famiglia con ciò che si è visto in un film.
      Allora, cosa dobbiamo far discendere da questi ragionamenti? 1. La gente nota (nel senso specificato sopra) poco il guardaroba semplicemente perchè non ha le parole per dirlo; 2. Ne consegue che chi vuole introdursi alle professioni implicate da messaggi audiovisivi deve costruirsi una sensibilità e un lessico per controllare gli effetti dell’ingaggio percettivo creati da un video, un short movie, un lungometraggio etc. etc.

      Rispondi
  55. Francesco Zambelli LABA   15 Novembre 2023 at 16:05

    Una riflessione che mi è venuta leggendo il saggio è il filo di connessione fra moda e cinema.
    Basti pensare allo studio della psicologia del colore, che si manifesta nel cinema, ovviamente sui capi d’abbigliamento.
    Per esempio il musical La La Land, di Damen Chazelle, rappresenta molto bene il rapporto che hanno i protagonisti fra di loro attraverso l’uso dei costumi.
    Mia nella prima metà indossa spesso vestiti con colori accesi e sgargianti, nella seconda metà invece indossa solo vestiti bianchi o neri (appunto per stare a simboleggiare la relazione insieme a Sebastian che è stata chiusa da tempo).
    Lo stesso concetto lo si puo trovare anche del piu recente Babylon, sempre di Damien Chazelle
    Interessante come alcuni film, piu spesso negli ultimi anni, fanno da vetrina per alcuni brand di moda, basti pensare a Birkenstock nel film Barbie, o come Armani in American Gigolot.

    Rispondi
    • Lamberto Cantoni
      Lamberto Cantoni   15 Novembre 2023 at 16:25

      Il probabile cambio di significato tra look caldi e in seguito più freddi, utilizzati per marcare la diversa regolazione affettiva tra i protagonisti di La La Land mi era sfuggita. Probabilmente perché i musical mi annoiano almeno quasi le storie d’amore. Grazie per la dritta.

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  56. Jessica Biagioli   15 Novembre 2023 at 17:56

    Interessante la prospettiva in cui viene raccontata l’evoluzione del legame tra moda e cinema nel corso degli anni ’20 e ‘30, evidenziando l’importanza cruciale della moda nel creare una connessione immediata con il pubblico cinematografico, anche la discussione sulla rottura delle regole aggiunge ulteriore profondità e coinvolgimento nel discorso, in particolare quando emerge all’interno del discorso il nome “Coco Chanel”, sottolineando le differenze estetiche tra la sobria eleganza di Chanel e le esigenze di glamour, richieste dallo star system dell’epoca. Risulta incredibile come un piccolo errore di valutazione, possa essere entrato così tanto nella storia.
    La riflessione sulla centralità del cinema nel modellare dettagli estetici, apparentemente irrilevanti, insieme alla discussione su costumisti, stilisti e film emblematici, contribuisce a una visione completa della complessa interazione tra queste due forme d’arte che hanno influenzato la cultura visiva moderna.

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  57. Gabriele Panichi   15 Novembre 2023 at 19:03

    Il testo offre una panoramica completa della connessione tra Cinema e Moda nel corso del tempo. Attraverso esempi chiave come “Colazione da Tiffany” e “American Gigolo”, descrivi come il lavoro degli stilisti e costumisti abbia contribuito a ridefinire le norme di stile e a influenzare le tendenze della moda. L’analisi delle scelte di abbigliamento in film specifici, insieme a considerazioni sul contesto storico e culturale, evidenzia l’importante ruolo che la moda gioca nella creazione di identità e nell’impatto sulla percezione del pubblico. La riflessione sulla collaborazione tra cinema e moda, evidenziando anche il concetto di “affordances”, aggiunge una prospettiva interessante su come la moda possa offrire opportunità percettive uniche nei film. In generale, il testo offre una riflessione approfondita sulla complessa interazione tra cinema e moda.

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  58. Chan Vannak Vinella (LABA Cinema 1)   15 Novembre 2023 at 19:06

    “Se la moda è capace di scolpire e rappresentare la storia di un personaggio, credo che il cinema sia quel momento in cui la farà brillare”: è con questo mio incipit che voglio affermare la mia piena approvazione per questo articolo.

    La moda e il cinema secondo il mio punto di vista sono in continuo divenire che non riescono mai a smettere di aiutarsi a vicenda. Se ad esempio il regista di un film ha bisogno di avvicinarsi sempre più al reale, cercando di raggiungere quella “verosimiglianza aumentata” citata nell’articolo, è qui che le figure professionali del mondo del cinema come il truccatore e il costumista della moda vadano ad imprimere nei protagonisti un’attrazione quasi ipnotica verso lo spettatore. Questo è stato l’inizio dell’ “errore di Coco Chanel”, la quale la stessa stilista non riuscì ad ottenere quel l’immediato apprezzamento dal pubblico di allora. Successivamente però le sue idee cominciarono a svolgere un ruolo decisivo nel mondo del mercato, tanto da renderla una dei pilastri della moda femminile. Diventò quindi il cinema come una “vetrina” dove i brand di moda più rinomati come H&M, Giorgio Armani, volevano esporre i loro nuovi progetti al largo pubblico. Come nei classici cartelloni pubblicitari che si vedono nelle grandi città come Milano, dove il Design e la fotografia diventano l’oggetto del desiderio della massa, nel cinema la moda vive letteralmente nei corpi dei personaggi, rendendoli sempre più reali. Mi spiego meglio: nei film ad esempio di Sylvie Ohayon, “Haute Couture” e di Anthony Fabian, “Mr. Harris goes to Paris”, il brand Dior è riuscito velatamente ad illustrare i nuovi lavori della sua boutique, senza renderli entrambi uno “spot pubblicitario”. Dove sta quindi il reale? E’ la voglia da parte della moda di voler abbattere quelle barriere fra venditore e consumatore, facendo direttamente immedesimare lo spettatore o la spettatrice in quel vestito.

    E’ importante sottolineare come la moda riesca a far trasparire la psicologia dei personaggi e del loro carattere allo spettatore. E’ nel caso di Alice Rohrwacher, nota regista e sceneggiatrice italiana che ha inscenato due importanti lungometraggi “Corpo celeste” e “Le meraviglie”. Lei investe con particolare attenzione e dedizione sullo stile dei suoi personaggi, per modellare la loro personalità e del loro stato d’animo. Ad esempio il sentimento di noia lo si può enfatizzare attraverso i vestiti dei personaggi come nel film “Marie Antoniette” di Sofia Coppoli dove il vestito della regnante ideata da Milena Canonero si presenta con delle cuciture strette alla vita e dall’eccessiva presenza di fiocchi per simulare l’oppressione e l’alienazione della stessa protagonista. Sta allo stilista insieme alla troup della regia a dare quel famoso tocco di “verosimiglianza aumentata” ad un’opera d’arte come un film.

    Non posso affermare di essere esperto in questo settore e nel corso della mia vita la vedevo come qualcosa di trasversale alle varie arti quali la pittura e la fotografia, ma grazie alle continue esperienze e dibattiti ho potuto realizzare come il binomio tra cinema e moda dia come risultato “un fruttuoso scambio di prestazioni”.

    Rispondi
    • Lamberto Cantoni
      lamberto cantoni   18 Novembre 2023 at 09:53

      Decisamente pertinente la notazione degli effetti dell’abito di Maria Antonietta concepito da Milena Canonero (la nostra migliore costumista) per il film diretto da Sofia Coppola. Tieni presente però che era una foggia a quel tempo per niente straordinaria per una Regina. L’eccessiva presenza di fiocchi come indizio di alienazione me lo devi far comprendere: a me sembra piuttosto rispondere all’obbligo formale di essere più di tutte le altre donne della corte: una strategia che impose il Re Sole per affermare anche a livello di immagine, diremmo oggi, la supremazia dei monarchi.

      Rispondi
      • mauri   18 Novembre 2023 at 10:03

        Il Re Sole come un influencer della moda? Mi sembra troppo!

        Rispondi
        • ann   18 Novembre 2023 at 10:12

          Anche a me sembra una cavolata. E poi quello che dice Chan sull’abito di Maria Antonietta è una interpretazione corretta. Come la citazione della Rohrwhacher.

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          • Lamberto Cantoni
            Lamberto Cantoni   23 Novembre 2023 at 09:04

            Riguardo alla strategia d’immagine del Re Sole posso dire che è un fatto confermato da innumerevoli fonti che evidentemente vi erano sfuggite.
            Per chi ama assorbire conoscenza da testi audiovisivi, consiglio di godersi il lungometraggio “La presa di potere da parte di Luigi XlV” (1966), del grande regista Roberto Rossellini. In una scena centrale il padre del neorealismo italiano, al quale l’etichetta di regista cinematografico andava stretta, affronta la questione che stiamo discutendo, facendo dire al Sovrano parole che manifestano l’intenzionale strategia legata alle apparenze, per trasformare la nobiltà raccolta a Versailles da riottosi antagonisti del Re a uomini di corte interessati a feste e vari giochi di moda regolati da un ferreo codice di comportamento.

  59. Federico Canducci (LABA)   16 Novembre 2023 at 01:29

    Ho trovato questo articolo molto interessante, ricco di esempi e spiegazioni di casi in cui il cinema e la moda grazie alla loro unione hanno tratto benefici reciproci.
    Devo ammettere di essere entrato a conoscenza dell’importanza di questa simbiosi solo pochi giorni fa durante il corso di Storia del costume. Sono appassionato di film ma fin’ora non essendo strettamente interessato alla moda non mi ero mai soffermato su questo argomento. Dopotutto per me iniziare la visione di una pellicola è come accettare ad occhi chiusi il fatto che i suoi personaggi esistano veramente, almeno per le due o tre ore che seguono. I vestiti che indossano in una determinata scena sono sotto i miei occhi perché il personaggio che li indossa li ha scelti la mattina. Certamente non sono l’unico che si lascia ingannare dalla bravura degli attori ad immedesimarsi nelle storie ed è giusto così, è questa la magia del grande schermo.
    Ora però inizio ad entrare nel backstage e leggere questo articolo è stato come un breve viaggio all’interno di esso. Mi ha stupito molto leggere di Hitchcock, che considero il maestro assoluto dell’horror. Non mi aspettavo di trovare anche in storie così sinistre personaggi poi considerati “trendsetter” nella moda della loro epoca. Iniziare a conoscere questo vasto mondo è stato una bella sorpresa.

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  60. Tatiana Onofri   16 Novembre 2023 at 10:43

    E’ affascinante poter osservare ed analizzare l’evoluzione dell’utilizzo e dell’importanza dei costumi e della moda all’interno del mondo cinematografico. Come questi siano riusciti a creare ideali e percezioni in tanti mondi differenti. L’uso del costume nella cinematografia diviene mezzo fondamentale per comunicare informazioni e l’iconografia di determinati personaggi. Diventa un dettaglio con cui giocare, con cui cercare di rendere unici ed immediatamente riconoscibili i soggetti essenziali di ogni opera. I costumi divengono estensione e rappresentazione del film sotto forma di abito. Il cinema è una collaborazione tra più arti e la moda non è rimasta in disparte, venendo integrata con il tempo. I tentativi e gli errori commessi agli inizi non sono stati altro che una pista di lancio per lo sviluppo dell’importanza della moda e dei costumi nel cinema. L’abito si afferma come aiuto e mezzo per creare l’immagine di un personaggio, per sottolinearne i gusti e la personalità, così come la sua concretezza e la sua veridicità. È avvincente soffermarsi a notare le particolarità dei costumi e provare a dedurre i significati celati dietro di essi.

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  61. lorenzoagostinilaba   27 Novembre 2023 at 14:59

    Ho trovato molto interessante l’articolo, il quale tratta del rapporto tra cinema e moda, come è nato e come nel tempo si è evoluto;
    Il legame tra i due campi è sempre stato in continua evoluzione e lo è ancora oggi, ritengo che sia fondamentale la presenza della moda nel cinema e viceversa.
    All’interno del mondo cinematografico credo che la moda sia essenziale, i costumi devono corrispondere alla parte che viene interpretata dai personaggi, è importante studiarli e progettarli nei minimi dettagli in quanto aiutano a percepire meglio anche il ruolo che hanno gli attori, non a caso oggi il costumista è fondamentale all’interno del cast di un film;
    Il rapporto trai due non avviene solo all’interno di una produzione cinematografica, ma banalmente in tutti i programmi, festival e show che vengono mandati in mondovisione, come Sanremo, nel quale vengono scelti in modo dettagliato tutti gli abiti dei conduttori, degli artisti e così via, qui a mio avviso è ancora più percepibile che in un film, la sponsorizzazione dei vari brand e del festival stesso, in quanto i look scelti sono spesso stravaganti, attirano nell’immediato l’attenzione dello spettatore, a differenza di una pellicola, nella quale il costume va a completare la scena stessa che stiamo osservando; ciò non vuol dire che in essa l’attenzione non cade sui costumi, anzi, ma avviene in modo graduale, non è la prima cosa che osserviamo e analizziamo.
    Ritengo quindi che ci sia uno scambio continuo tra cinema e moda, come sopra citato, se le produzioni cinematografiche utilizzano le case di moda per sponsorizzare il film, esse adottano lo stesso sistema proponendo determinati look durante i red carpet dei festival cinematografici.

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  62. Giada Vitiello LABA   2 Gennaio 2024 at 18:07

    A lettura conclusa, trovo che l’articolo offra una prospettiva affascinante sulla complessa e dinamica relazione tra moda e cinema nel corso del Novecento, delineando il modo in cui i costumisti cinematografici hanno contribuito a plasmare l’immagine delle star e come la moda abbia influenzato la percezione visiva del pubblico. La sua menzione dell’ “errore di Coco Chanel” aggiunge uno strato interessante, personalmente mi ha incuriosita la sfida che la couturière ha affrontato nel tentativo di adattare lo stile hollywoodiano alle sue visioni di moda. Difatti, la sua incapacità di comprendere appieno il cambiamento delle regole percettive causato dal grande schermo evidenzia la complessità della connessione tra moda e cinema.
    La transizione post-seconda guerra mondiale, come descritta nell’articolo, è un capitolo fondamentale in cui si intensifica questo dare e avere di prestazioni tra cinema e moda. Figure di spicco, come Giorgio Armani, diventano protagonisti in questo scambio, il film “American Gigolo” fornisce infatti un’analisi ben sviluppata di come lo stile si trasformi in un elemento cruciale per definire i personaggi e arricchire la trama con tratti significativi. Il modo in cui la moda riesca a condizionare delle caratteristiche di un personaggio è a mio avviso eccezionale.
    Quanto detto sulla necessità di evitare l’anacronismo nei costumi cinematografici è illuminante, effettivamente gli stilisti possono essere più efficaci nel combinare le aspettative del pubblico con un tocco di innovazione. Inoltre, il modo in cui questi ultimi affrontano la sfida di creare abiti che siano fedeli al periodo storico ma ancorati alle attuali disposizioni del pubblico mette in luce la complessità del loro ruolo.
    La collaborazione tra stilisti di fama e il cinema è presentata come un arricchimento per entrambe le industrie, ma quali sono gli impatti più sottili di questa sinergia sulla creatività e sull’immagine dei brand di moda? In primo luogo, la presenza di abiti di design in film di successo può fungere da potente vetrina per gli stilisti, contribuendo a consolidare o rafforzare la loro immagine di marca. Quando un capo iconico indossato da una star cinematografica diventa memorabile, si crea un’associazione indelebile tra lo stilista e il glamour del grande schermo. Questo può tradursi in un aumento della percezione di lusso e innovazione associate al brand, influenzando positivamente la percezione del pubblico.
    Allo stesso tempo, l’industria cinematografica, attraverso la collaborazione con stilisti di rilievo, può accedere a un arsenale di creatività e originalità che va oltre il tradizionale repertorio del costume cinematografico. L’apporto di un designer di fama può introdurre nuove prospettive estetiche, tendenze e dettagli raffinati che arricchiscono la trama visiva dei film. Questa fusione di mondi diversi contribuisce a creare un’esperienza cinematografica visivamente coinvolgente e attuale. Leggendo la sezione dedicata alle “affordances” ho trovato la conferma a quanto detto finora. Ho apprezzato come l’articolo mi abbia portato a notare le sfumature che fondono questi due mondi apparentemente distinti.

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