Come celebrare la giornata mondiale del teatro il 27 MARZO

Come celebrare la giornata mondiale del teatro il 27 MARZO

MONDO – Il 27 marzo si celebra, in tutto il mondo, la Giornata Mondiale del Teatro.

La Giornata Mondiale del Teatro, il 27 marzo, viene istituita, dall’Istituto Internazionale del Teatro, a Vienna nel 1961. Da allora viene celebrata in un centinaio di paesi del mondo.
L’Istituto Internazionale del Teatro fu creato, su iniziativa dell’U.N.E.S.C.O. nel 1948. Con lo scopo di incoraggiare gli scambi internazionali nel campo della conoscenza e della pratica delle Arti della Scena. E di stimolare la creazione e allargare la cooperazione tra le persone di Teatro. La Giornata Mondiale del Teatro è, dunque, la celebrazione internazionale, attraverso numerosi eventi pubblici e privati, di questa volontà.
Nel 2012 viene costituito in Italia il Centro italiano dell’International Theatre Institute. – ITI UNESCO, responsabile delle celebrazioni della Giornata Mondiale del Teatro (27 marzo) e della Danza (29 aprile) in Italia. Tra le finalità del Centro vi sono l’internazionalizzazione della scena, la realizzazione di progetti di ricerca, scambio, coproduzione, con la costituzione di partenariati nazionali ed internazionali.

Ogni anno, in occasione della Giornata Mondiale del Teatro, una personalità del mondo del teatro o della cultura viene invitata a condividere le proprie riflessioni sul tema del Teatro e della Pace tra i popoli.

Il Messaggio Internazionale, così come viene chiamato, tradotto in diverse lingue, viene letto prima della rappresentazione della serata nei teatri nel mondo intero. Stampato nelle centinaia di quotidiani e diffuso da radio e televisione sui cinque continenti, Jean Cocteau fu l’autore del primo messaggio internazionale nel 1962.
Jon Fosse, artista norvegese poliedrico, è l’autore del Messaggio Internazionale per la Giornata Mondiale del Teatro 2024. Lo riportiamo qui integralmente, per la bellezza e potenza del contenuto:

“Ogni persona è unica, ma allo stesso tempo simile a ogni altra persona. Il nostro aspetto esteriore e visibile è diverso da quello di chiunque altro – questo è appurato – ma c’è anche qualcosa dentro ciascuno di noi che appartiene a quella persona e a quella soltanto. Che è quella persona soltanto. Potremmo definirlo il suo spirito, o la sua anima. Oppure possiamo decidere di non etichettarlo con parole, ma di lasciarlo stare e basta.
Ma anche se siamo tutti diversi l’uno dall’altro, siamo ugualmente simili. Persone da ogni parte del mondo fondamentalmente si assomigliano, indipendentemente dalla lingua che parlano, dal colore della pelle o dei capelli.
Lo si potrebbe considerare una specie di paradosso: ci assomigliamo e siamo allo stesso tempo profondamente diversi. Forse in quanto persone siamo intrinsecamente paradossali, nel nostro legame tra corpo e anima: inglobiamo tanto l’esistenza più terrena e tangibile, quanto qualcosa che trascende questi limiti terreni e materiali.
L’arte – la buona arte – riesce nella sua meravigliosa maniera a combinare il totalmente unico con l’universale. Ci fa capire cos’è diverso – cos’è estraneo, si potrebbe dire – in quanto universale. Così facendo, l’arte infrange le barriere tra le lingue, le regioni geografiche, i Paesi. Mette insieme non solo le qualità individuali di ognuno, ma anche, in un altro senso, le caratteristiche individuali di ogni gruppo di persone, per esempio di ogni Nazione.
L’arte compie questo senza appianare le differenze e rendendo tutto uguale ma, al contrario, mostrandoci ciò che è diverso da noi, ciò che è alieno o straniero. Tutta la buona arte contiene precisamente questo: qualcosa di alieno, qualcosa che non è possibile capire completamente, ma che allo stesso tempo comprendiamo, in un certo senso. Contiene, così per dire, un mistero. Qualcosa che ci affascina e quindi ci spinge oltre i nostri limiti, e così facendo crea la trascendenza che tutta l’arte deve contenere in sé e che deve allo stesso tempo guidarci.
Non conosco modo migliore per mettere insieme gli opposti. Questo è l’approccio esattamente contrario rispetto a quello dei violenti conflitti che vediamo fin troppo spesso nel mondo, che concedono la distruttiva tentazione di annichilire tutto ciò che è estraneo, tutto ciò che è unico e differente, spesso usando le invenzioni più disumane che la tecnologia abbia messo a nostra disposizione. C’è terrorismo nel mondo. C’è guerra. Perché la gente ha anche un lato animale, guidato dall’istinto di percepire l’altro, l’estraneo, come una minaccia alla propria esistenza, piuttosto che un affascinante mistero.
Ecco come l’unicità – le differenze che tutti possiamo vedere – scompare, lasciandosi dietro una identicità collettiva, in cui qualsiasi cosa diversa è una minaccia da sradicare. Ciò che da fuori è visto come una differenza, per esempio nell’ideologia religiosa o politica, diventa qualcosa che va sconfitto e distrutto.
La guerra è la battaglia contro ciò che si trova dentro di noi, nel profondo: qualcosa di unico. Ed è anche la battaglia contro l’arte, contro ciò che si trova dentro tutta l’arte, nel profondo.
Ho parlato qui dell’arte in generale, non del teatro o della drammaturgia in particolare, ma l’ho fatto perché, come ho detto, tutta la buona arte, nel profondo, ruota attorno alla stessa cosa: prendere il totalmente unico, il totalmente specifico, e renderlo universale. Unire il particolare all’universale esprimendolo artisticamente: non eliminando la sua specificità, ma sottolineando questa specificità, facendola risplendere attraverso ciò che è sconosciuto e poco familiare.
Guerra e arte sono opposti, proprio come lo sono guerra e pace.
È semplicemente così.
L’arte è pace.”
 

Alessandra MR D'Agostino
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