Pro e contro dello smart working. L’impatto sul mondo del lavoro e l’aumento della produttività

Pro e contro dello smart working. L’impatto sul mondo del lavoro e l’aumento della produttività

ITALIA – La pandemia ha cambiato le nostre vite e tra gli improvvisi cambiamenti da affrontare c’è anche tutto quello che riguarda l’organizzazione del lavoro. Nuovi punti di riferimento, nuove tecnologie, nuovi approcci, per evitare che le imprese, attive nel pubblico e nel privato, subissero effetti e crisi ancor più devastanti. Questa nuova concezione di lavoro ha sia risvolti positivi che negativi, ha messo a dura prova l’organizzazione quotidiana di lavoratori e aziende ma l’ha anche facilitata e implementata. Vale la pena osservare come e perché è stato appurato che il lavoro agile aumenti la produttività.

Dopo un primo momento d’incertezza e preoccupazione, non hanno tardato a mostrarsi al mondo i vantaggi dello smart working: strade meno trafficate nelle ore di punta, niente più alzatacce mattutine, maggior possibilità di occuparsi della famiglia e riduzione della durata di meeting e conferenze. Per non parlare del risparmio in termini economici per alcune sedi di lavoro.

Sul retro della medaglia emergono i punti di debolezza di un sistema di smart working che in Italia fa spesso fatica a funzionare, in termini di adeguamento tecnologico ma anche di organizzazione del lavoro: la sensazione che hanno alcuni dipendenti di lavorare con orari più lunghi, i problemi relativi alla connessione di rete durante le videoconferenze, i propri cari che vedono tutto questo come una vacanza e tendono a disturbare chi lavora, gli impegni lavorativi e quelli privati che spesso si sovrappongono, la freddezza di un rapporto distante fra i colleghi.

Insomma, raggiungere l’equilibrio non è affatto facile. Eppure, lo smart working è ad oggi molto apprezzato, poiché il recupero delle ore perse in viaggio fra la casa ed il lavoro e l’assenza delle pressioni di un’ambiente lavorativo d’ufficio hanno dato nuova vita al mondo del lavoro ed hanno persino aumentato la produttività. E’ stato ufficialmente dimostrato!

LE DUE FACCE DELLA STESSA MEDAGLIA

Sarà perché lo smart working è entrato a far parte del nostro quotidiano in maniera così repentina ed inaspettata, tanto da cogliere impreparate molte aziende italiane che ancora si dichiaravano apertamente poco inclini ad un’organizzazione del lavoro più flessibile ed inquadrata per obiettivi. Sarà perché spesso le tecnologie messe a disposizione in Italia, da datori di lavoro che mai prima avevano pensato ad una dislocazione delle risorse, sono risultate insufficienti o approssimative.

Come affermano anche alcune ricerche effettuate dal Politecnico di Milano, al contrario di molti altri Paesi europei, le aziende che nel 2017 e quindi prima della pandemia, avevano iniziato a sperimentare lo smart working, erano ancora davvero poche. Nel 2020, con l’inizio della pandemia, si sono moltiplicati in maniera esponenziale i numeri e le tipologie di dipendenti che hanno iniziato a lavorare da casa, passando da 570.000 a 6 milioni. E questo ha portato vantaggi e svantaggi. Riduzione degli spostamenti, meno traffico cittadino, riduzione del sovraffollamento nelle grandi città con conseguente rivalutazione dei piccoli centri, un’ottica mirata al risultato e snellimento delle pratiche lavorative quotidiane: tutti questi elementi positivi vanno ad affiancarsi a molti dubbi che tuttora aleggiano in molti ambienti di lavoro.

In Italia, l’ottica dello smart working è stata forse troppo improvvisata e questo ha creato delle difficoltà a chi nella propria abitazione deve condividere gli spazi con altri individui, come ha reato difficoltà a chi si è trovato a dover svolgere mansioni di grande importanza con strumentazioni e dispositivi poco adeguati.

NON E’ SEMPRE TUTTO “SMART”

Ma poi, cos’è davvero lo smart working? “Lavoro agile”: letteralmente un modo di intendere e svolgere il proprio lavoro senza vincoli di luogo ed orario. Tuttavia, specialmente in Italia, viene scambiato, consapevolmente o inconsapevolmente, con l’home working, con cui in realtà si deve intendere tutt’altro: durante lo smart working si può essere dovunque, mentre il termine home working prevede che il dipendente lavori da casa, alternando con il lavoro in ufficio una o due volte alla settimana. Inoltre, nel nostro concetto italiano di smart working, che quindi spesso nasconde realmente l’home working, non si lavora per obiettivi e l’orario di lavoro resta invariato rispetto a quello che si aveva in sede. Non esiste, inoltre, il cosiddetto “diritto alla disconnessione”, anzi molto spesso si resta connessi più a lungo del dovuto.

Lo smart working diventerà sempre più una realtà consolidata, che necessita quindi di un adeguamento su molti fronti; le realtà aziendali che hanno avuto successo nel 2020 avevano iniziato a sperimentarlo già prima della pandemia, ideando una struttura interna molto dinamica e dando piena formazione ai dipendenti. Una delle problematiche che i dipendenti in prima persona si trovano ad affrontare è quella tecnologica: utilizzando la propria rete privata, accedendo ai dati strettamente riservati dell’azienda ed agli archivi tramite smartphone e PC espongono il proprio lavoro e l’intera azienda ad attacchi malware e pishing, che in questo periodo di nota debolezza si sono fatti sempre più frequenti.

Il tema della cybersecurity, che tradizionalmente si basava prevalentemente su firewall, VPN e gateway, in tempi di Covid-19 è diventato centrale per i reparti IT delle aziende, i quali hanno dovuto rendere gli accessi da remoto il più possibile sicuri e veloci. Da queste rinnovate necessità ne ha conseguito un aumento esponenziale degli investimenti nel settore della tecnologia e della sicurezza IT, ormai di primaria importanza per tutte le aziende del globo.

QUALCHE DATO PRESENTE E FUTURO

Secondo i più recenti studi, lo smart working che tanto aveva spaventato all’inizio della pandemia, ha in realtà apportato un notevole incremento produttivo: il 63% delle aziende italiane ha ottenuto una crescita della produttività già nel terzo trimestre del 2020. Quello che i dati rilevano in aggiunta, però, è lo stato d’animo dei dipendenti, i quali spesso tendono ad avere la sensazione di essere always on, cioè sempre connessi, sempre reperibili. Questo è ciò che si evince dal report di Capgemini Research Institute.

Volendo stilare una classifica a proposito dell’incremento di produttività, nelle aziende prese in esame nella suddetta ricerca il podio se lo aggiudicano i reparti IT e digitali, con un aumento del 68%. In seconda battuta, troviamo il servizio clienti, con un 60%, seguito dal settore del marketing e delle vendite con un 59%. La ragione primaria va ricercata nella digitalizzazione e nell’introduzione di nuove tecnologie che queste aree produttive hanno gradualmente ed opportunamente ricevuto, molto più di altri settori.

Gli ambiti, ad esempio, della produzione manufatturiera, della ricerca e del supply chain hanno minor possibilità di applicare lo smart working, motivo per cui hanno rilevato un minor aumento della produttività, pari al 51%. Complessivamente, si stima che per i prossimi due-tre anni l’aumento della produttività per le aziende che utilizzeranno lo smart working sarà del 17%.

Fra gli slanci positivi che l’introduzione di questa nuova metodologia ha apportato, va ricordato il risparmio economico relativo alle sedi di lavoro: l’88% delle aziende prese in analisi ha registrato una riduzione dei costi sugli immobili ed il 92% sostiene che ne rileverà di nuovi nei prossimi anni: infatti, più o meno il 70% di loro ritiene di poter continuare ad apportare aumenti di produttività anche dopo la pandemia, continuando a mantenere un livello diffuso e costante di smart working. In breve, i dipendenti che lavoreranno in smart working continueranno a farlo anche in futuro e gli spazi destinati ad ospitare uffici e luoghi di lavoro verranno ridotti.

Sebbene tutto questo sia decisamente confortante, non si può non considerare l’opinione dei dipendenti: quasi il 56% di loro, una percentuale non trascurabile, teme un uso improprio del termine smart working e del concetto di flessibilità oraria, con il rischio che si traduca nella pretesa di essere “always on”. Parallelamente, le risorse che si affacciano da poco in una nuova realtà lavorativa ed aziendale, percepiscono tutta l’incertezza del sistema: all’interno dei team, da questa categoria si evince spesso uno scarso coinvolgimento ed una confusione generale sulla visione aziendale di base e sull’organizzazione del lavoro. Una situazione complessa, che si riflette anche sui senior, alcuni dei quali hanno dichiarato di sentirsi maggiormente in difficoltà nel collaborare virtualmente con le new entries.

Insomma, non sappiamo cosa accadrà in seguito alla pandemia. Non sappiamo come sarà strutturato il mondo del lavoro, come verranno esattamente scanditi i nuovi ritmi e quali saranno le nuove richieste del mercato. Quel che è certo è che servirà e sicuramente verrà proposto un approccio molto più dinamico, fluido ed artificiale ma allo stesso tempo interattivo e che possa condurre ad un risparmio di tempi e costi. E per farlo occorrerà perfezionare la coesione dei team di lavoro, ottenere un perfetto equilibrio di sistema nel quale risulti facile integrarsi ed adottare un cambiamento innanzitutto culturale, non solo manageriale.

Da questo periodo di crisi ed enorme vuoto che ci siamo trovati a vivere, potremmo uscirne avendo imparato qualcosa di nuovo.

 

Michela Ludovici

Leave a Reply

Your email address will not be published.