Se l’acqua ride: finalista al premio Campiello, la parola allo scrittore

Se l’acqua ride:  finalista al premio Campiello, la parola allo scrittore

ITALIA – L’acqua ride quando porta lavoro e socialità e permette a un ragazzo, di nome Ganbeto,  di crescere e diventare uomo. Spaccato nella società veneta e italiana degli anni ’60. Quando “tutto cambia come l’acqua dei fiumi”: attraverso le parole dello scrittore Paolo Malaguti, finalista al Premio Campiello 2021.

Tre generazioni sono coinvolte in Se l’acqua ride, il cui protagonista  è un ragazzino senza nome, identificato come spesso accadeva in quegli anni con un soprannome: Ganbeto, ad identificare il ferro ricurvo per bloccare l’ancora. Dopo la seconda media per Ganbeto arriva un’estate diversa con l’esperienza di andare  sul burchio, il tipico barcone a fondo piatto in uso nella laguna veneta per il trasporto delle merci.

Alla ricerca dell’acqua che ride, scrutava avanti a sé, godendo nell’attesa dell’avventura magnifica di quell’estate appena iniziata.

Malaguti in Se l’acqua ride racconta i silenzi, i richiami, il sostegno di un nonno che educa al mestiere e alla vita il nipote. Ganbeto vive il suo primo incarico con l’ansia gioiosa della giovinezza  per immergersi nei piaceri, novità, avventure di cui la vita dovrà per forza essere prodiga”.

Il ragazzo segue e si plasma sugli insegnamenti del nonno Caronte. In barca percorre i  canali e il complesso intreccio di corsi d’acqua che scorrono tra Cremona e Trieste, Ferrara e Treviso. Mentre ascolta e impara, diventa uomo a colpi di remo. Nel tempo libero ci imbattiamo nelle disfide di paese, le guerre tra ragazzini progettate per puro divertimento con meticolosità e tanto di stemmi di combattimento per le squadre di  Tex Willer e del Grande Black che si fronteggiano.

Più avanti troviamo il primo imbambolarsi per  “la pura bellezza dell’istante suscitata dalla ragazza di Pellestrina.  In un’immagine tenerissima, vediamo che è proprio nonno Caronte che si preoccupa  di mormorare al figlio che bisogna istruire Ganbeto nell’arte di corteggiare le ragazze!

Interessanti le difficoltà del protagonista, e di molti altri ragazzi dell’epoca, nell’ inserirsi in un sistema scolastico troppo incomprensibile e lontano dalla loro vita reale  (nel testo Bepi Tanaia – che ha settant’anni-  si vanta di aver sparato ai libri di testo con la doppietta dopo aver ripetuto la prima elementare quattro volte).

Il fiume, la conoscenza del fiume non può essere detta, ma solo fatta. A scuola le cose da imparare sono tante ma il mondo dell’acqua, del fiume che dà lavoro, è ben altra cosa! E , se al mestiere di barcaro i professori non lo hanno preparato,  la scuola  in ogni caso scava nel profondo: quel basta mamma, sto studiando di Ganbeto, che infrange le regole della lingua naturale parlata in famiglia, è un’arma mai usata prima: l’italiano!

Michele Rossi presenta Paolo Malaguti al Museo Zeffirelli, Firenze, rassegna Intemporanea, Estate Fiorentina 2021.

Conclusa  la terza media il burchio diventa il suo destino assegnato e suscita un consapevole impegno:  “il barcaro era l’arte per la quale sentiva di essere nato.

Purtroppo il progresso dell’industrializzazione impedisce progressivamente di continuare in un’attività ormai non più redditizia. Il primo a cambiare è il padre, col suo io vado operaio in fabbrica. Ganbeto resta col nonno ma, seguendo le orme già tracciate dal  padre, anche lui approderà a un lavoro vantaggioso in un’officina e a sua volta capisce di essere cambiato”.  Prima mozzo a marinaio, ora verrà chiamato e definito quasi apprendista e poi apprendista.

Museo Zeffirelli, Firenze: palco.

Paolo Malaguti utilizza nel romanzo Se l’acqua ride il dialetto come lingua naturale mescolato all’italiano: il veneto col suo suono dolce,  melodico e aspro nelle reprimende ben si addice alla trama. La realtà di paese che Malaguti riprende  è il naturale (come l’acqua potremmo dire) sfondo sociale che merita  di non essere dimenticato per il sapore di quella genuinità che lo caratterizza.

Gli anni ’60 sono presenti in questa scrittura letteraria con una pennellata ad ampio raggio: le canzoni di Mina e della Caselli, l’entrata della televisione nelle case,  il mitico carosello che rendeva la pubblicità spettacolo di qualità. Ganbeto, in questa società in rapida evoluzione,  come gli altri giovani del periodo, è proiettato verso il futuro. Ma nel cuore gli resta quel legame (col nonno e il burchio, con l’acqua) che non lo lascerà più.

Con questo romanzo che si snoda lungo il profilo dell’acqua, che in Veneto  rappresentava da sempre il motore dello sviluppo delle relazioni economiche e sociali, Malaguti dipinge il tramonto di una civiltà. Secondo gli occhi di un ragazzo che vede i vantaggi del sistema industriale, pur nella nostalgia di un lavoro, quello del barcaro, incantevole per il suo radicarsi nell’acqua, nello scenario del fiume a contatto con la natura. Mestiere faticoso ma che impronta un’anima virile  e pronta a resistere alle difficoltà, mestiere che in qualche modo, facendolo, ci si sentiva uomini accanto ad altri uomini.

Intervista a Paolo Malaguti per Se l’acqua ride, romanzo finalista al Premio Campiello

Il filo della storia scorre sull’acqua, da intendersi come protagonista silente: “era l’acqua ad accelerargli la corsa del cuore…come si fa con la morosa”. L’idea di scegliere l’acqua come elemento scenico su cui strutturare un romanzo che significati conduce?

L’acqua era in qualche modo la protagonista obbligata, visto che desideravo raccontare il tramonto della civiltà dei barcari in Pianura Padana. Però mano a mano che il romanzo procedeva mi rendevo conto di quanto lo scenario del fiume potesse essermi utile in chiave simbolica. Il romanzo è ambientato negli anni Sessanta, un decennio di cambiamenti profondi e spesso violenti.

Giocare sull’ambiguità dell’acqua, che dà vita e lavoro ma che può anche distruggere, mi è servito per tentare di dare profondità alle vicende dei protagonisti, senza condurre riflessioni esplicite sul tema del progresso.

Il dialetto veneto di cui sono intrisi i dialoghi e i nuovi linguaggi dettati dalla tv: questa prospettiva  di fusione, resa celebre da Camilleri per dare risalto alla realtà geografica regionale, quanto rende dinamica e arricchisce la scrittura?

Come lettore amo molto quegli autori del Novecento (penso in primis a Meneghello, Gadda, Pasolini…) che hanno saputo usare le parlate regionali come strumenti espressivi da far dialogare con l’italiano nelle loro pagine. In questo romanzo in particolare il dialetto mi serviva, è anzi quasi un co-protagonista.

Negli anni Sessanta la televisione e l’obbligo scolastico fino alla terza media fecero penetrare in profondità l’italiano nelle case del nostro paese, in un processo rapido di sradicamento talvolta complicato e traumatico dalle civiltà rurali preesistenti, basate sull’oralità. Il protagonista del romanzo è un adolescente che vive sulla propria pelle il cambiamento del mondo in cui vive, e questo cambiamento fu anche linguistico, e quindi il dialetto mi era necessario.

Più in generale però credo che riuscire ad utilizzare qualche lingua regionale nel momento in cui la trama ce lo consente costituisca una preziosa occasione di potenziamento linguistico della nostra narrativa. L’italiano letterario di matrice manzoniana se non usato con estrema attenzione risulta a volte artificioso, stucchevole; viceversa l’italiano standard, essendo storicamente derivato dal linguaggio dei mass media del secondo Novecento, è a mio avviso troppo piatto, bidimensionale.

Per fortuna abbiamo un patrimonio ricchissimo di gerghi, linguaggi specifici, dialetti, contaminazioni regionali che ci danno la possibilità di colorare la pagina, creando in parole povere un interesse narrativo non solo basato sul “cosa” scrivo, ma pure (o soprattutto) sul “come” scrivo.

Un libro che ricostruisce l’atmosfera familiare e i costumi sociali degli anni ’60, quelli del boom economico, nei dettagli spesso trascurati dalle cronache ma vivi nei ricordi della gente: questo romanzo si presenta utile e storicamente fonte di informazioni per i più giovani e non solo?

Spero che Se l’acqua ride possa interessare i giovani lettori, ma non tanto per un interesse “archeologico” rispetto a un periodo nel quale ancora non erano nati. Piuttosto spero che il romanzo possa stimolare una riflessione sull’importanza della memoria familiare in ogni tempo, e soprattutto sui rischi insiti nella sete di novità e di progresso che ancora oggi ci domina. Una società basata sul consumo e sullo scarto crea nuove generazioni sradicate e disorientate, e questo, in ogni periodo storico, è un rischio.

Libro Paolo Malaguti

In quegli anni la società italiana era in evoluzione e c’era la volontà di costruirsi un “posto” nel mondo attraverso l’acquisizione di un “mestiere”: quali continuità o discontinuità rintracci rispetto al memento attuale?

Per certi aspetti vedo più discontinuità: gli adolescenti del 2021 sono forse parte della prima generazione che avrà meno opportunità e meno scelte dei propri genitori, invece gli adolescenti degli anni Sessanta hanno goduto del privilegio di vivere in un’onda di sviluppo fatta di grandi opportunità e tante scelte. In secondo luogo all’epoca era valida quell’equazione tra percorso formativo e posto di lavoro che è rimasta in vigore fino agli anni Novanta, ma che ora è “esplosa” in un contesto molto più liquido, nel quale (e la cosa può anche essere vista come un pregio) seguire un certo percorso di studi non necessariamente ti porterà a “quel” lavoro e a “quel” reddito. E, ancora di più, è facile che uno studente del 2021 nel 2030 debba svolgere un lavoro che oggi ancora non è stato inventato. Ma soprattutto credo che la differenza più significativa tra gli adolescenti del boom e quelli di oggi sia semplicemente quantitativa. Siamo in una crisi demografica senza precedenti, i giovani sono pochi in Italia, e purtroppo hanno poco peso politico, faticano a far sentire la propria voce in un paese composto per larga parte da “over 50”.

Quanti ricordi personali o di persone che hai conosciuto ci sono in Se l’acqua ride?

I ricordi personali sono legati soprattutto a episodi secondari nella trama, aneddoti comici o paurosi che sentivo raccontare dai miei genitori o dai miei nonni. La parte più significativa dell’immaginario presente nel romanzo deriva da un incontro ben preciso, quello con gli amici del Museo della Navigazione fluviale di Battaglia Terme, e in particolare con l’ex-barcaro Riccardo Cappellozza, che ho avuto la fortuna di conoscere e di ascoltare. Le sue storie di navigazione, le sue riflessioni su quel mondo oggi scomparso sono senza dubbio la vera miniera alla base di Se l’acqua ride.

 

Teresa Paladin
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