Cambiamenti relazionali ai tempi del covid e rapporti virali

Cambiamenti relazionali ai tempi del covid e rapporti virali

MONDO – La Pandemia da covid-19, esplosa in Cina sul finire del 2019 per poi deflagrare in tutto il mondo nel giro di un baleno, è stata una tragedia, di quelle che segnano un’epoca. Il cambiamento nelle relazioni e nella psicologia delle relazioni, già in atto, ha preso direzioni ben definite. 

La pandemia ci ha cambiati, non in meglio, probabilmente, come avevamo già avuto modo di riflettere in precedenza. Appare pleonastico dirlo, e forse lo è, ma occorre ribadirlo per calcarne la portata tragica ed epica, per parlare di cambiamenti relazionali e per non lasciare adito e spazio a speciose dietrologie che scorgono nella pandemia un complotto planetario ordito dai potenti del mondo per ridisegnare nuovi assetti.

Solo in Italia, da febbraio 2020 fino ad oggi, si contano più di 130.000 vittime con un’intera generazione, quella degli ottantenni in particolare, rasa al suolo e sterminata silenziosamente in asettiche e buie stanze di rianimazione dei nosocomi italiani. Il morire a frotte, indistintamente, divenendo quotidianamente numero, cifra, perdendo così di nome, storia, identità, accomunandosi così solo nel principio ultimo della fine, è stato il tratto più crudele e straziante di questa triste storia.

Avvicendarsi alla televisione, alzare di quel poco che bastava il volume della televisione, ascoltare il bollettino emanato dalla Protezione Civile, anch’esso divenuto rituale stanco e posticcio, rappresentava l’unico momento di novità ed attesa per giornate che avevano perso temporalità e spazialità e che godevano di una sola fissità emotiva che ognuno, arbitrariamente, gli assegnava. E’ un momento al quale bisogna risalire, se si vuole parlare di cambiamenti relazionali.

PANDEMIA E ORIGINI DEI CAMBIAMENTI RELAZIONALI

Senza mai dimenticare, quindi, il bagaglio funereo e funesto di questa immane catastrofe, questo articolo si pone l’obiettivo di provare a ragionare sul dopo, che è poi già oggi, sugli sprofondi psicologici ed emotivi generati, sui cambiamenti relazionali innestati, su dinamiche viziose già in azione in rapporto al proprio prossimo, all’altro da sé. In altre parole, questo articolo vuole ragionare sui feriti, tanti, e non utilizzare il vessillo dei morti, come fanno in molti, ahinoi, come spiegazione a tutto, come riduzione all’uno.

Ce la ricordiamo tutti la stazione di Milano presa d’assalto poche ore prima che l’allora Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, in conferenza stampa comunicava la delimitazione di una zona rossa che impediva lo spostamento dei connazionali residenti, o abitanti, nelle zone del nord più colpite all’inizio dalla pandemia. Era un muovere disarticolato, disomogeneo, un incedere impanicato, nevrotizzato, all’agguato e alla conquista degli ultimi treni in partenza per abbandonare l’epicentro infetto.

Già in quel frangente, alimentato e acuito da una stampa vorace di notizie e incurante delle naturali conseguenze, si è assistito da un lato alla rottura del patto sociale voluto dal governo e dalla comunità scientifica per contenere e arginare l’epidemia e dall’altro ad un individualismo sanitario che osservava nella fuga del proprio corpo l’unica fonte e ragione di salvezza. Si è assistito all’origine dei cambiamenti relazionali successivi.

L’opinione pubblica, i mass-media, i governatori delle regioni del Sud della penisola additavano come irresponsabili le persone in fuga, traditrici di un patto di salute pubblica collettivo, espressione di un’animalità comportamentale che veniva meno alle richieste di responsabilità e saggezza invocate dallo Stato.

I cambiamenti relazionali erano già in atto: il nemico, l’irresponsabile, il colpevole, il pericolo era rappresentato dall’altro da me, dal mio prossimo, andando a scrutare nel mio vicino non una eventuale possibilità conoscitiva ma una raggiera dalla quale partivano una serie di spie rosse e di allarmi che era bene evitare.

UN CAMBIAMENTO GIA’ IN ATTO

Questa dicotomia di rapporto amico-nemico/responsabile-irresponsabile, si era ben palesata anche prima dell’esplosione del virus in terra italica. Nella narrazione di alcune forze politiche, di alcuni media e anche dalla scelta del governo di bloccare i voli da e per la Cina, era già stata inscenata la polarizzazione di noi italiani e occidentali sani e loro cinesi infetti figli di subculture enogastronomiche retrive e, ancora una volta, responsabili di zoonosi planetarie e letali.

Il posizionamento di scelta culturale, di attribuzione di valore alle proprie tradizioni, ai propri stili di vita, aveva repentinamente solcato una linea demarcativa che sanciva la nostra supremazia di usi e costumi sui loro e il nostro conseguente scetticismo sulla loro presenza in territorio nazionale. Dei cambiamenti relazionali già in atto.

La prima fase diffusiva dell’epidemia in Italia aveva poi alimentato la mitologia del paziente 0, la sua caccia, andando alla ricerca quasi platonica del “principio primo” del morbo in una concezione stregonica dello stesso. Tornare all’origine per dare una spiegazione, e un colpevole, al susseguirsi degli avvenimenti maligni, circoscriverne il campo e il raggio d’azione e far sentire tutti in pericolo.

Tutti divenivamo minaccia e pericolo latente, tutti scannerizzavamo l’esistente con le lenti della cultura del sospetto, tutti arruffavamo il pelo di fronte al potenziale asintomatico, colpevole di non saperlo, o al conclamato contagiato, colpevole di aver partecipato attivamente all’espandersi dell’epidemia.

NUOVA TOPOGRAFIA DEI RAPPORTI E CAMBIAMENTI RELAZIONALI

Questa semplificazione e schematizzazione dei rapporti ha ridisegnato e riregistrato una nuova topografia relazionale, a quei cambiamenti relazionali in atto, andando a rendere il corpo individuale perfettamente combaciante con quello collettivo. La moltitudine dei morti aveva trovato il suo corrispettivo contrario nella moltitudine dei colpevoli, due masse informi e anonime che condividevano il regno dell’indistinto e dell’inesatto.

Il rapporto dualistico innescatosi tra corpo sano e corpo malato, tra morbo e salute, tra untore e infettato ha mutato le antropologie dei legami, li ha resi sfilacciati, sfibrati, reciprocamente sospettanti. La progressiva territorializzazione dell’esistenza, il progressivo confinamento della mobilità, la capillare e claustrofobica scelta delle relazioni “sicure e possibili”.

La deriva verso una sorta di “microfisica applicata” al contesto domestico nel quale si suddividevano e spartivano porzioni di spazio tra i diversi abitanti della stessa, la chiusura e la carcerazione dell’istruzione all’interno di una scatola informatica escludendo così sul nascere ogni tentativo comunicativo (la didattica è solo in presenza).

Il pubblicizzato e accorato richiamo – con tanto di altoparlanti nelle stazioni – al distanziamento sociale non ha fatto altro che slabbrare e slatentizzare ancora di più una tela sociale già minata di suo da un individualismo galoppante. Non ha fatto altro che dare adito a cambiamenti sociali destinati a verificarsi.

RISTABILIRE LA COMUNICAZIONE DEI CORPI

Recuperare psicologie funzionali in tempi deliranti come questi non è certo facile ma, facendo mie le parole dell’antropologo indiano naturalizzato statunitense Arjun Appadurai:

Bisognerebbe abbandonare la retorica della colpevolezza per promuovere un’etica della possibilità e una politica della speranza.

Rifuggire la giusta distanza, aborrire la morale paternalistica e rassicurazionista, picconare il neo-etnocentrismo isolazionista per contrastare i cambiamenti relazionali e abbracciare una rinnovata cittadinanza critica e consapevole, che vada a ristabilire una ritrovata comunicazione dei corpi.

 

Claudio Troilo

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