ACCADDE OGGI – Il 14 Gennaio del 1919 nasceva a Roma Giulio Andreotti. Sette volte primo ministro, otto volte ministro della Difesa, cinque volte ministro degli Esteri e delle Finanze, bilancio e industria. Infine, passò anche per le stanze del Tesoro, l’Interno e le Politiche Comunitarie. Andreotti è stato, a torto o a ragione, un pezzo di storia della politica italiana.
Giulio Andreotti, un perno strategico della Prima Repubblica e rappresentante di un potere – spesso occulto – che nessun altro uomo politico ha mai avuto nella storia repubblicana del nostro Paese, sia all’interno del suo partito, la Democrazia Cristiana, sia negli apparati burocratico-istituzionali.
TUTTI I SEGRETI DEL DIVO
Nel corso della sua lunga vita politica e personale, vuoi per invidia e riverenza e vuoi per ostilità e disprezzo politico, venne soprannominato in diversi modi. Il Divo a seguito di un articolo di Mino Pecorelli, giornalista e direttore della rivista Op, da cui prese anche il titolo il film di Paolo Sorrentino su Andreotti del 2008, il gobbo per la pronunciata conformazione fisica della sua schiena, lo zio per le accuse che affiliavano la sua figura alla mafia e che vennero confermate dai giudici della suprema corte di Cassazione di Roma che provarono i rapporti del politico romano con Cosa Nostra fino al 1980. Belzebù a braccetto con Belfagor-Licio Gielli e la volpe.
A tutto questo Andreotti rispondeva col suo solito fare sornione, serafico, con quell’ironia romanesca di tradizione antichissima che faceva apparire tutto marginale e che lo rendeva, agli occhi dei suoi elettori, inscalfibile nelle sue ragioni profonde. Andreotti smitizzava la sua immagine agli occhi dell’opinione pubblica, raffigurandosi come un uomo d’apparato al servizio delle istituzioni repubblicane, e la rinfocolava tra le segrete stanze del potere romano.
Cominciò alla tenera età di 20 anni a fare politica presso la Fuci, la Federazione Universitaria Cattolica Italiana, che allevò al suo interno uomini politici di riferimento del secondo dopo guerra italiano, tra cui Aldo Moro, Francesco Cossiga, Giuseppe Dossetti e Giuseppe Lazzati. Nel 1948 Alcide De Gasperi lo volle all’interno dell’Assemblea costituente e, appena dopo, lo candidò alle prime elezioni libere dopo il ventennio Fascista. Da quel momento Andreotti fu sempre presente in parlamento fino al 1991 quando, l’allora Presidente della Repubblica Francesco Cossiga, lo nominò senatore a vita.
GIULIO ANDREOTTI: RIVERITO E ODIATO
Dotato di indiscusse capacità strategico-diplomatiche, egli le fece notare subito nel 1952 con il sabotaggio della cosiddetta Operazione Sturzo. Nella capitale si apparecchiavano le elezioni che vedevano la DC presentarsi con a capo Luigi Sturzo e appoggiata da monarchici e postfascisti. Andreotti odorò subito puzza di bruciato per una inevitabile crisi di governo data la forte contrarietà di repubblicani, liberali e socialdemocratici, e così attraverso l’intercessione di Pio XII sfruttò il supporto di suor Pascalina, la sua più stretta collaboratrice. Fece naufragare il progetto politico e così guadagnò spazio all’interno dei palazzi e del suo partito. Nel 1954, anno della morte di Alcide De Gasperi, Andreotti divenne per la prima volta ministro alla giovanissima età di 35 anni e si ritrovò a dirigere gli Interni, il dicastero della pubblica sicurezza.
Verso la fine degli anni ’50 Andreotti conquistò la poltrona del Ministero della Difesa e qui vi sostò fin quando non scoppiò lo scandalo dei dossieraggi del Sifar, 150mila fascicoli riguardanti politici e personalità pubbliche, che avrebbero dovuti essere bruciati presso un inceneritore di Fiumicino e che poi vennero parzialmente recuperati all’interno dell’archivio uruguaiano della P2. Se gli anni Sessanta furono anni di burrasca ma di consolidamento della forza politica di Andreotti, gli anni Settanta non furono da meno.
Nell’autunno del 1974, dopo lo scandalo che vide protagonista Michele Sindona con le malversazioni delle sue banche e che vedeva il politico romano a stretto contatto con chi cercava di tutelare gli interessi del banchiere siciliano, venne nominato il liquidatore Giorgio Ambrosoli che dopo 5 anni di lavoro e di ricostruzioni movimentistiche, venne assassinato nel 1979 per mano del killer William Joseph Aricò incaricato da Sindona. E poi ancora la strategia della tensione, l’assassinio Moro, la loggia massonica P2, il processo per mafia che lo vide prescritto e non assolto e che ne provò i rapporti con Cosa Nostra fino al 1980.
Quella di Andreotti è stata una figura politica divisiva, amata e riverita tra le stanze del potere e tendenzialmente detestata da gran parte dell’opinione pubblica. Se Moro rappresentava la parte più nobile e pulita di un partito opaco e di potere, quella andreottiana era il controcanto ideologico.
Giulio Andreotti è stato un nefasto uomo politico, se la politica viene intesa come servizio e aiuto per il prossimo, e al contempo è stato un grande uomo di potere. Esaltare la statura politica e istituzionale di Andreotti significa, mio avviso, disprezzare la politica, umiliarne le sue ragioni profonde, concepirla come mera gestione del potere a salvaguardia della sua conservazione. Per me, amare la politica significa detestare quella di Andreotti.