Specchi e risonanze: il nuovo libro di Alessandro Attucci

Specchi e risonanze: il nuovo libro di Alessandro Attucci

ITALIA – Alessandro Attucci dà, nelle poesie di Specchi e risonanze, voce al suo sentire, sapendo che è un percorso di conoscenza quello che si rintraccia  nei versi, soprattutto di sé stesso: “mi trovo a sentire specchiati, in un rimando dell’animo, per evocazione, momenti e situazioni: fuori e dentro di me, nel passato e nel presente”.

A partire dalla citazione illuminante della prima lettera ai Corinzi, “Vediamo infatti adesso in uno specchio in enigma” Alessandro Attucci ci incanta col suo terzo libro si poesia, Specchi e risonanze; frase scelta non per assegnarle un valore di universalità, ma in quanto il celebre lacerto di Paolo di Tarso ha indubbiamente valore ermeneutico ed esistenziale insieme. Le difficoltà e gli itinerari che incontriamo nella vita umana, soprattutto quando cerchiamo di decifrarli, ci sembrano riflessi più che contorni nettamente individuati.

Presentazione alla Biblioteca Lazzerini. Da sx: Sara Pecchioli, Alessandro Attucci, Simone Mangani (assessore), Riccardo Mazzoni, Monica Attucci

Un fondo pozzo è a volte l’anima/ da cui dolorosi vengono pensieri.” In questa immagine poetica di Specchi e Risonanze c’è un enigma che ci comprende e ci sovrasta, che spinge ad  approfondire la consapevolezza del nostro vivere mentre consideriamo i giorni che passano. A volte amare e a volte dolci sono le esperienze che l’esistenza ci fa attraversare: i versi di Alessandro Attucci diventano allora interrogativi di ricerca esistenziale.

Specchi e Risonanze

La risonanza è la voce che si alza dal profondo, generata da sentimenti e sensazioni varie strappate alla profondità dell’anima. A guidare la composizione lirica è la vita, quella concreta più che pensata, quella che ti mette in relazione con altre persone. da dove derivano ispirazioni e evocazioni. Da qui nascono poesie che intensamente rappresentano “Fonda risonanza di momenti/ del mio vivere che si specchiano”.

Non solo la dimensione umana costituisce l’origine di questo fluire poetico .  “Sono al nostro animo/specchio, risonanza del vivere umano/le stagioni della terra, dell’acqua, dell’aria”. La natura stessa allude alla condizione dell’uomo: “i suoi rami scarniti e i suoi grappoli d’oro/volge al cielo e alla terra/l’albero dei pomi” che diventa metafora del vivere umano”.

Non poco però dell’ispirazione è venuto dalla mia esperienza culturale…Il dipinto riprodotto in prima di copertina viene da Gabriele Vicini, che rimanda alla semplicità, bella e profonda se la si ama, del quotidiano, ai suoi colori e tratti e alla disposizione degli oggetti nello spazio”, afferma Alessandro Attucci. Inoltre  è anche dalla letteratura che giungono le vibrazioni del verseggiare, in un impianto complessivo che è senz’altro di tipo classico,  uno stile certo non univoco, che partendo da una base antica data da maestri, soprattutto greci e latini, è stato nei secoli riforgiato mantenendone dei tratti di fondo, includendo però anche, tiene a precisare l’autore,  “tratti ed elementi di quelle correnti che erano nate nel solco dell’anticlassicismo”.

L’analisi…

La riflessione poetica è condotta sull’onda della leggerezza e del fluire del tempo:  “Sono state lunghe le ore/della vita a compiersi/ e di grumi d’amore, di pena/di gioia fondi anche al tempo/i mesi; eppure a volgerla allo sguardo/pare sia stata breve cosa questa vita,/da tenersi in una mano,/tanto lesto a oggi il suo corso.”

Mentre passano le stagioni   “L’anima, con più ansia, sente invece/che il tempo passa/ e i traguardi agognati, nel mondo/ e in lei, /non giungono”.

Con i suoi incantamenti e le sue fatiche la vita si afferma comunque come una forza irresistibile e generosa che strappa dalle inquietudini e dall’ombra dolorosa di certi momenti: “attraversa a volte l’anima una luce”. Così, davanti agli interrogativi, alle ombre, al vedere e non vedere  implicito nell’esperienza che si dipana e ci avvolge,  Attucci scrive nei suoi versi: “Amo la vita”….”Ma luce e tenebre si susseguono/anche nell’anima./E un giorno basta /a rendere la vita/mistero o abisso”.

                                                                                            Presentazione a Bacchereto

Domina su tutto la percezione che anche in fondo al tremore dell’anima e delle carni è possibile percepire il miracolo degli attimi che si susseguono e si rafforza l’idea che l’amore sincero e vissuto  è in grado di lenire e trasformare il peso delle vicissitudini in bagaglio prezioso, rendendo “finissimo oro l’argento/che ci era dato, o cupo piombo.

Il mistero che riverbera tra Specchi e risonanze in questi versi profumati di struggente vitalità si interseca con la domanda sovrana e ineludibile nella poesia Dio: “che tu governi, /anche se incolpe/, questa melma di sangue e di dolore/che dicono tua opera/ancora non credo/. Ma di più t’amo/ e ancora ti cerco,/speranza drammatica dei nostri giorni”.

In qualità di Editore, qual è la tua ultima produzione editoriale nell’ambito letterario?

 

Un testo postumo di Raffaello Pecchioli, dal titolo VIA DELLE BOCCHE DEL LUPO, 73. (Sinfonia in Si minore per archi ed orchestra) che ho pubblicato con l’aiuto della figlia Sara, seguendo la promessa da lei fatta al padre di portare alla stampa questo romanzo. In esso, oltre alla struttura articolata della narrazione, troviamo una notevole densità di temi sociali, esistenziali, politici, psicologici di indubbia attualità.

Grande attenzione è rivolta alla donna, che ha centralità assoluta nel romanzo, attraverso la presenza di varie figure femminili. Così come fondamentale è il gruppo dei tre amici: Carlo, Ulisse e Antonio. Tutti abitanti di Borgo al Cornio, in Toscana (antico nome di Prato). Nel novembre del 1989  il primo dei tre si uccise, impiccandosi; Ulisse rimase ucciso il giorno dopo, per un’esplosione di gas avvenuta nella sua casa. Quel giorno morirono anche i tre dipendenti dell’Azienda Acqua e Gas, autori involontari dell’esplosione avendo premuto il campanello dell’abitazione. Carlo fu ucciso cinque mesi dopo dalla sua stessa moglie.

I tre amici avevano tra l’altro compiuto un viaggio in Africa. Continente che resterà un pensiero dominante con la nostalgia indistruttibile dei suoi spazi e silenzi sconfinati.

Come è scritto, secondo quale stile, Via delle bocche del lupo, 73?

E’ caratterizzato da una scrittura varia  e però armonica, dove il realismo non appare mai volgare  e  l’eleganza dello scrivere conquista il lettore.

Il variegato plurilinguismo, con parole del quotidiano unitariamente a vocaboli inconsueti, permette un ritmo costantemente affabulante; la struttura richiama le Ultime Lettere di Jacopo Ortis, per avere al suo interno molte pagine in stile epistolare.

Come si conclude questo romanzo?

Indicando sicuramente quanto è forte il mistero delle varie componenti nella vita umana e di quanto c’è nell’universo tutto. Pecchioli manifesta corrispondenza e attenzione verso il grande   e l’infimo, verso “ il cielo notturno” e il “tarlo” che morde la trave.

E’ rintracciabile nelle sue pagine una dilatazione del pessimismo gnoseologico di Montale, nella percezione del travaglio della vita. Ma i rimandi culturali sono decisamente molti. Rintracciamo rimandi al mondo antico di Saffo, Plauto, Orazio espressioni riprese da Dante e Lapo Gianni, legami con Foscolo, la nostalgia del continente nero richiama  Bacchelli col suo Mal d’Africa, troviamo inoltre riferimenti a Majakovskij, Dostoevskij, a  poeti quali Ungaretti, Penna, Malaparte e tanto altro.

Il centro della narrazione è una visione dell’uomo e della natura, con le sue sconfitte e i suoi istinti non sempre temprati dalla forza dell’intelligenza.

Teresa Paladin
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