Thierry Mugler (1948-2022). Un protagonista dell’Extreme Glamour

Thierry Mugler (1948-2022). Un protagonista dell’Extreme Glamour

MONDO – Il 21 gennaio 2022 ci ha lasciato uno dei grandi interpreti del post modernismo nella moda. Per quasi due decenni le sue collezioni e sfilate hanno contribuito a perpetuare il mito di Parigi capitale della couture e delle tendenze. Molte sue innovazioni/sperimentazioni estetiche hanno contagiato numerosi colleghi della sua generazione e giovani stilisti come Galliano e McQueen. Oggi la marca che porta il suo nome ha certamente un posizionamento diverso. Ma dal punto di vista storico la visionarietà esplosiva di Thierry Mougler è fuori discussione: dall’inizio degli ‘80 per un lungo arco di tempo i suoi atti creativi sono stati una delle forme dell’avantgarde più spettacolari mai viste prima negli scenari della moda.

 

 

1.Thierry Mugler non ha avuto la formazione standard del couturier. Sappiamo che la sua passione giovanile non era la moda bensì la danza classica che interpretò a livello professionale. Sappiamo inoltre che frequentò l’Ècole Superiore des Arts Decoratives a Strasburgo. Probabilmente fu qui che maturò il sua abilità nel disegnare abiti e look che alludevano alle apparenze che possono trasformare in profondità la propriocezione del corpo umano; involucri spettacolari immaginati essere il ricettacolo di intuizioni artistiche libere di sperimentare soluzioni creative d’avanguardia. I suoi disegni si vendevano benissimo, tanto da far capire al giovane Mugler che grazie ad essi poteva crescere, farsi un nome, viaggiare…

2.Trasferitosi a Parigi nei primi anni dei settanta si impegna a far circolare i disegni dei suoi look. Attira subito l’attenzione di partner commerciali, investitori, altri stilisti dal brand affermato e quindi per 7 anni, spostandosi e vivendo tra Londra e Amsterdam, accumula risorse ed esperienze del sistema moda lavorando come stilista indipendente.

3. Nel 1973 suscita clamore la sua prima collezione presentata con l’etichetta Cafè de Paris. Nello stesso anno fonda la marca che porterà il suo nome. Nel 1976 appare la prima campagna pubblicitaria firmata da Helmut Newton con il quale Mugler ebbe all’inizio qualche attrito. Ma la scelta di un immaginario trasgressivo, e nessuno in quel periodo a parte Bourdin poteva rivaleggiare con il fotografo tedesco (naturalizzato australiano) in quanto a provocazioni percepite dal pubblico alla stregua di ingiunzioni erotiche, questo immaginario dicevo, si compenetrava perfettamente con l’idea creativa centrale di Mugler ovvero la glorificazione di una imago femminile che trasudava un sovrano e perverso fascino.

Gli attriti con Newton probabilmente erano dovuti al fatto che lo stesso Mugler aveva l’occhio e il talento di un grande fotografo. Le sue continue interferenze sul set immagino facessero incazzare oltremodo il “tedesco” abituato, come lo stilista del resto, a muoversi in totale libertà. Quindi non fu certo per caso se nel 1978 Mugler progettò e realizzò personalmente la campagna pubblicitaria della sua marca. In seguito lo stilista alternò le sue incursioni nel campo della fotografia di moda a collaborazioni con grandi fotografi come lo stesso Newton, Peter Knapp e David LaChapelle,  maturando una padronanza tecnica ragguardevole grazie alla quale più avanti nel tempo produrrà immagini di straordinaria suggestione. Una testimonianza autorevole del talento fotografico di Mugler possiamo avvicinarla sfogliando il libro pubblicato nel 1989 da Regard intitolato per l’appunto Thierry Mugler photographs.

Foto 1. Scatto realizzato da Thierry Mugler nel 1996

4. Verso la fine dei settanta i lussuosi look pret à porter di Mugler, grazie anche alle eccitanti emozioni prodotte dalle sue famose sfilate, diventano teatro e spettacolo di arte totale applicata al corpo. Le sue collezioni sono percepite dal pubblico specializzato come espressione di una creatività avant-garde che non solo allude alla presentificazione di un futuro possibile (le famose “tendenze”) bensì amplifica tra i pubblici più sensibili alla moda, il sentimento di trovarsi di fronte a quel momento decisivo per le apparenze a partire dal quale funzionano come un dispositivo performativo, cioè agendo sul corpo più che significarlo con parole e concetti. In breve, il fashion show spettacolare con la giusta orchestrazione dei suoi determinanti, dona al look  la consistenza percettiva dell’evento.

Si comprende bene allora quali potevano essere i primi referenti delle apparenze visionarie create dallo stilista: erano i soggetti più esposti della società dello spettacolo nella quale l’apparire, il mostrarsi, rappresentava un gioco ludico di identità fasulle, caricaturali ma forse per questo così efficaci per incorporare e diffondere passioni. Immagino che di tutto ciò fosse cosciente David Bowie, uno dei protagonisti più intelligenti della musica pop/rock, quando nel 1979 scelse un abito di Mugler per la clip del suo Boys Keep Swinging e continuò in seguito, lungo l’arco della sua carriera, a chiedere più volte la collaborazione dello stilista come curator della propria immagine soprattutto quando impegnato in tour in giro per il mondo, doveva interpretare la figura del front Man dell’onda musicale prodotta nei concerti che lo vedevano protagonista.

Nei primi anni degli ottanta tutto il mondo della moda o quasi, sembra adeguarsi alla silhouette femminile che Mugler più di altri aveva contribuito a diffondere. La sua Donna ideale indossa abiti con spalle larghissime, fianchi molto stretti, aderenti; spesso unisce all’aggressività di giacche da combattimento vertiginose minigonne; la Gestalt offerta alla fruizione di un pubblico catturato dal suo glamour estremo, era spesso contaminata da materiali innovativi per il pret à porter di lusso, tale da accentuarne la significanza che pur con le prevedibili variazioni tattiche da stagione a stagione, donava ai suoi look una suggestiva e innovativa aura futuristica. In un certo senso dunque, Mugler si inserisce nella scia inaugurata nel 1971 da Yves Saint Laurent con la collezione “40”, esasperandone i contenuti percettivi (spalle rinforzate, gusto retrò e sconfinamento nel kitsch), conferendo così alla seduzione aggressiva femminile una determinazione che trascende i residui del mito dell’eterno femminino al quale YSL rimaneva fedele anche nei momenti più trasgressivi della sua carriera. Vale la pena di ricordare che il mito sull’esistenza di invarianti della femminilità polarizzate su effetti passionali legati a processi seduttivi è originata dal successo culturale del Faust di Goethe. Ovviamente ogni riferimento al glamour possiamo facilmente ancorarlo al perpetuarsi dell’eterno femminino. Per esempio molti critici e giornalisti hanno visto in YSL un costante, nostalgico, romantico riferimento al citato mito. Con Mugler, a mio avviso, appare una diffrazione: non sono tanto le invarianti seduttive della femminilità a dominare la scena bensì il loro carattere performativo. In altre parole i look di Mugler ci parlano di una Donna che si auto-legittima da sè senza alcun bisogno di rendere esplicito l’orientamento all’indietro della freccia del tempo della narrazione. Il design della silhouette perde la sublime poesia che YSL aveva magistralmente coltivato pur sovvertendo le regole della couture; e al suo posto arriva l’enfasi sull’efficacia/efficienza dei look. Il fatto che, il primo fosse innanzitutto un couturier formatosi da Dior aggiungeva al suo glamour quel tocco di nobiltà e autorevolezza che nemmeno l’evento più trasgressivo poteva cancellare. Per contro Mugler era in questa fase il tipico stilista creativo: i suoi look erano funzionali a uno stile di vita oramai affermato (grazie anche alla rivoluzione fatta da YSL) che si manifestava in una costante competizione delle apparenze fatalmente assorbite da un gioco di esasperante emulazione competitiva.

Ma oltre ai look techno glamorosi, ad abiti dalla teatralità spettacolare che strizzavano l’occhio al lusso sfacciato, esibizionista, irriverente, l’enorme accumulo di notorietà e di autorevolezza presso i pubblici specializzati della moda, come ho scritto sopra, dipendeva dalle sofisticate sfilate evento che Mugler come un provetto regista sapeva progettare, organizzare e condurre. L’esempio più citato dagli storici della moda è senz’altro il fashion show organizzato allo Zenith di Parigi nel 1984. Era il decimo anniversario dalla fondazione, e lo stilista volle fare le cose in grande: 340 look furono presentati ad un pubblico di 6000 persone, molti dei quali pagarono il biglietto. L’evento per gli standard della moda di allora fu memorabile, ma molti colleghi di Mugler cominciarono a chiedersi cosa rimaneva del design dell’abito fruibile da un largo pubblico, quando veniva sottoposto alle specifiche trasformazioni indotte dalla necessità di incapsularlo in un ambiente dominato da un pirotecnico spettacolo. Naturalmente oltre ad abiti o collezioni trasformati in dispositivi spettacolari, emergeva il problema della distorsione cognitiva che subiva il pubblico specializzato travolto dalla esuberante ricchezza di stimoli percettivi che impedivano una visione chiara, lucida e razionale degli abiti.

Secondo molti colleghi di Mugler, il rischio di messe in scena eccessive era la perdita di contatto con le specificità dell’abito, trasformato in una sorta di epifenomeno – fatto accessorio – degli effetti percettivi dominanti prodotti da dispositivi così potenti (musica e scenografie spettacolari, enormi video, luci intrusive…) da scombussolare i termini di giudizio di una collezione. Non c’è dubbio che le sfilate evento demoliscano tra i più, il livello d’attenzione necessario per cogliere i punti moda stagionali, per velocemente dissolverla in un illogico entusiasmo diffuso. Tuttavia, comunque la pensiate, per Mugler la collezione e la spettacolarità artistica delle presentazioni erano due facce della stessa moneta. Credo che questa sua convinzione lo abbia portato a concepire il suo precipuo atto moda ben aldilà del gesto sartoriale o dello schizzo stilistico, ovvero come un’applicazione al corpo e al processo che grazie al gioco di superfici dell’abito/involucro lo trasforma in un potente simbolo, a concepire il suo stile creativo, dicevo, come attualizzazione dei principi dell’arte totale.

5. È sempre difficile nella moda stabilire gerarchie nell’attribuzione di scoperte, innovazioni e altro. Tutti i protagonisti del fashion system fondamentalmente si guardano, si studiano, imitano, emulano anche se spesso al pubblico dicono il contrario. Mugler detestava il marketing: l’analisi di mercato di ciò che facevano colleghi e altre marche destava forse la sua curiosità ma non sarebbe mai potuta divenire una rigida maniacale emulazione di forme, controllata dallo sguardo dei manager. Mugler quando lavorava per la sua couture o per il pret à porter di alta gamma del suo brand, seguiva fondamentalmente le tracce delle sue imperscrutabili intuizioni.

Se pur appariva un certo ordine nelle sue collezioni, non dipendeva da analisi di mercato o da opportunistici calcoli bensì dal suo stile, che dovendo in qualche modo ripetersi pena una ferita nell’identità della marca, creava la disposizione del pubblico specializzato a riconoscere alcune invarianti dell’estetica stravagante dello stilista che suscitavano clamore e attenzioni, in un contesto contraddistinto perlopiù dalle programmate e ordinarie sistematiche variazioni necessarie alla moda per perpetuare il suo mito. Insomma Mugler amava rischiare – il colpo creativo, l’evento clamoroso – e questo mi induce a congetturare che in molti aspetti della modazione sia stato un vero innovatore; ma che al tempo stesso avesse maturato uno stile sufficientemente riconoscibile da permettere l’incremento di notorietà della sua marca.

Foto 2. Giacca anni ottanta di Mugler

6. Come tutti gli stilisti di grande notorietà, Mugler verso la metà degli ottanta e in seguito cominciò a guardare oltre la moda. Si impegnò nel creare costumi di scena per il teatro, per commedie musicali, per protagonisti dello show-business. Nell’89 realizzò gli abiti di scena per il tour di Mylène Farmer. Concepì inoltre numerosi cortometraggi cinematografici. Realizzò spot pubblicitari e clip per star della musica. La più nota è quella che ideò per Too Funky di George Michael.

7. Nel 1992 Mugler prese la decisione di dedicarsi con il suo brand all’Haut Couture, anche se il suo pret à porter di alta gamma, dal punto di vista creativo aveva ben poco da invidiare a quella sorta di laboratorio di concetti e sperimentazione di materiali che era divenuta l’Alta Moda dopo i sessanta. Le sue creazioni couture, con il senno di poi, risultano straordinariamente intriganti; una eleganza spiazzante, certo, ma gravide di una strana bellezza: penso alla collezione couture del 1997 dedicata agli insetti.

Tuttavia è bene ricordare che quando Mugler lanciò la sua Alta Moda il contesto sociale era profondamente cambiato rispetto gli anni dei suoi favolosi successi. Lo yuppismo della prima parte della decade degli ottanta, che con consumi vistosi aveva supportato la strabiliante crescita della moda, si era trasformato in un ricettacolo di disvalori. Impazzava il minimalismo – Prada -, i giapponesi – Kawakubo e Yamamoto – stavano imponendo una revisione radicale dell’eleganza così come veniva codificata dalla moda occidentale.

Sulla loro scia, Margiela e gli stilisti belgi cominciarono a decostruire le strutture della moda a cominciare dagli abiti, raccogliendo ampi consensi. Il severo glamour di Armani presidiava il nuovo star system e insieme al sexy glamour di Versace e Tom Ford – per Gucci – occupavano spazi importanti del lusso. Insomma, Parigi rimaneva la capitale della moda ma con un impatto diverso su un mercato divenuto globale. L’haut couture di Mugler trascinata dalle sue sfilate consolidò il primato di Parigi come luogo di eccellenza delle presentazioni del lusso assoluto.

Ma per il pret à porter di alta gamma la concorrenza delle grandi città della moda ovvero di New York, Londra e Milano era sempre più difficile da arginare. Chi si riconosceva nel paradigma dell’avanguardia ora guardava sempre di più a cosa succedeva a Londra: Vivienne Westwood, Galliano, un po’ più avanti McQueen. A Milano, punto focale della più agguerrita e completa filiera della moda sul pianeta, sfilavano i grandi brand del Made in Italy che intercettavano i buyer del pret à porter più orientato a fare fatturati.

Bisogna altresì ricordare che le holding del lusso divenute particolarmente aggressive alla fine degli anni ottanta, avevano alzato l’asticella dei costi per competere: per esse la notorietà parigina non era più sufficiente per affrontare la globalizzazione e gli enormi investimenti che comportava. I ‘90 furono un decennio caratterizzato dalle continue acquisizioni di marche da parte di chi gestiva capitali finanziari.  Il posizionamento del brand creato da Mugler ancorato a Parigi, indipendente ma impossibilitato a competere a livello finanziario con le holding del lusso, risultava sempre più difficile da difendere.

Per farla breve, nel 1997 Mugler cedette la maggioranza delle azioni della sua marca al gruppo Clarins. Per qualche anno collaborò con i manager che avevano ereditato responsabilità strategiche. Poi intorno al 2001, probabilmente irritato da ciò che il management decideva per il brand che portava il suo nome, abbandonò la moda vestimentaria, concentrandosi sui suoi profumi.

Foto 3. Pubblicità del profumo Angel

8. Con il breve excursus storico del capoverso precedente, non intendevo mettere in discussione la verve creativa dello stilista negli anni a cavallo del terzo millennio. Come ho già scritto sopra, le sue collezioni couture e i fashion show rimasero un costante punto di riferimento per tutti i protagonisti della moda fino alla fine della carriera di Mugler. Ma i concetti moda sviluppati dallo stilista stridevano con le tendenze globali che intercettavano un desiderio femminile diverso da quello tipicamente anni ottanta. La Donna anni novanta era sempre meno attratta da abiti che presupponevano una vita vissuta come se fosse uno show senza fine.

Le trasfigurazioni zoomorfe, fetish, cyborg, veri capolavori di creatività applicata alla couture, difficilmente potevano essere tradotte in formato pret à porter per poi generare i fatturati necessari all’espansione della marca in mercati divenuti strategici come Russia, Cina… Naturalmente non conosco i bilanci della azienda di Mugler relativi a quel periodo. Ma sono pronto a scommettere che una parte importante di essi era rappresentata da Angel, il sorprendente profumo creato dallo stilista divenuto immediatamente un vero best seller capace di rivaleggiare con il celeberrimo N.5 di Chanel.

Quindi complessivamente, fin quando era Mugler a prendere decisioni strategiche per la marca non credo ci fossero insormontabili difficoltà finanziarie; semplicemente i suoi prodotti d’abbigliamento perdevano posizioni nell’immaginario della moda del momento – il glamour seducente, aggressivo, esibizionista non era più trainante – e inoltre le sue collezioni non erano supportate da un sufficiente numero di punti vendita direttamente controllati.  Di conseguenza non potevano avere rinforzanti dosi di doping comunicazionale che in quel periodo, implicava enormi investimenti in campagne pubblicitarie, per eventi, per ristrutturazioni delle boutique nelle città più costose al mondo.

D’altronde la storia della marca Mugler è simile a quella di tante altri brand di successo: messi di fronte al dilemma <investo ciò che ho accumulato e mi indebito ad oltranza, rischiando il tutto per tutto per competere oppure cerco alleanze e/o fusioni?>, la scelta di stilisti che nei ‘70/80 avevano creato brand performanti, era quasi sempre la seconda. Ma non erano fusioni indolori bensì acquisizioni che dopo poche stagioni, governate con l’aggressività manageriale e finanziaria tipica di top manager il cui principale obiettivo era l’aumento dei profitti degli azionisti, allontanavano brutalmente chi aveva fondato e fatto crescere la marca.

9. Comunque mi piace ricordare che, pur senza un ingombrante Thierry Mugler tra i piedi, il gruppo Clarins con i suoi manager intorno al 2002 perdeva soldi in modo preoccupante. Nel 2003 cedette 4 delle sue 7 boutique a Balmain e chiuse le fabbriche che Mugler aveva assorbito – fu uno dei primi stilisti ad acquisire le strutture che producevano le sue collezioni – : prima quella a Saint Berthelemy d’Anjou e poi quella di Saint-Denis La Plaine. Da quel momento la marca cominciò ad operare solo su licenza.

10. Dopo il suo ritiro dalla moda Mugler continuò la sua carriera di multidimensionale artista visionario. Le stigmate di geniale creativo che si portava addosso, continuarono a generare un forte interesse per garantirsi la sua collaborazione. A memoria ricordo: strabilianti costumi per un tour di spettacoli del Cirque du Soleil (2003), gli abiti di scena del tour mondiale di concerti intitolato I Am… di Beyoncé (2009); abiti e scenografie per balletti e opere teatrali. Ad eccezione dei suoi profumi, ceduti nel 2020 al gruppo Oréal, pur continuando ad essere in vita uno degli interpreti della moda più conosciuti al mondo, non ha più avuto collaborazioni significative con la moda ufficiale.

11. Come potremmo collocare l’atto creativo di Mugler nella Storia della moda? A mio avviso è stato un protagonista assoluto per una dozzina di anni. Dall’inizio degli ottanta a fine decennio; poi, con la sua couture e un diverso impatto, è stato fonte di ispirazione fino al ‘97/98. La moda francese gli deve molto. Fu soprattutto lui, nel periodo in cui Milano e il Made in Italy sembravano inarrestabili, a sostenere Parigi e l’immagine della moda francese. Infatti nella prima parte degli ottanta lo scenario d’oltralpe era più o meno questo: Yves Saint Lauren devastato dalle droghe aveva perso di smalto e il suo brand manifestava una fragilità mitigata con fatica dall’acume di P.Bergè; Dior, si trovava ancora sotto la direzione creativa di un generoso ma spompato Marc Bohan e, a voler essere generosi, diciamo che manteneva a stento le posizioni, Chanel, dopo la morte nel 1972 dell’inarrivabile Coco perdeva da anni colpi dai quali si riprenderà solo dopo l’arrivo di Karl Lagerfeld; Lacroix ancora non esisteva – la marca fu lanciata con successo mediatico solo dopo ‘86 – e Ungaro ridivenne un punto di riferimento significativo nell’ ‘87 quando attaccò le linee a V che avevano dominato sin lì la decade.

In quegli anni di ristrutturazione economico/finanziaria dalla quale emergeranno le potenti Holding del lusso che cambieranno radicalmente la moda, in quegl’anni dicevo, nei quali uno stilista quasi dal niente poteva far nascere marche planetarie, furono Mugler e J.P. Gaultier, con stili creativi diversi, i grandi protagonisti sulle scene parigine a difesa dell’onore dello stilismo francese; ai quali aggiungerei Azzedine Alaìa che condivideva con Mugler l’idea che l’abito perfetto fosse un lussuoso involucro aderente al corpo, quasi una seconda pelle.

Al nostro eroe inoltre va il merito di aver ridato slancio all’Alta Moda e alle sfilate di Parigi, dopo che erano finite un po’ in ombra all’inizio dei ‘90. Mi rendo conto che detta in questo modo le parole rischino di risultare impregnate di sterili storicismi. Non sono sicuro che nella post-modernità abbia ancora senso utilizzare parole e concetti collettivi, generalizzanti come moda francese, anni ‘80..90… o altro. In definitiva Mugler e la generazione di stilisti nati dopo il Secondo Conflitto mondiale, si sono formati e sono cresciti come singolarità in un mondo via via sempre più aperto e globale, nel quale i processi ideativi e progettuali tradizionali venivano costantemente negati. Probabilmente le domande più corrette per celebrare la memoria di Mugler potrebbero essere queste: che tipo di creatività possiamo ascrivergli? Quale era la sua specificità? Cosa percepiva la gente, le donne soprattutto, degli involucri per il corpo che creava? In parte ho già risposto a queste domande. Mugler appartiene al cluster di creativi che etichettiamo come visionari.

L’imago femminile che gli veniva spontanea, fondeva la seduzione estrema con l’aggressività di chi è pronta alla sfida. Lo stilista immaginava una Donna che utilizzava un glamour rinforzato per rispondere di conserva ai giochi di potere tipici delle schermaglie erotiche tra i sessi. La gomma, il lattice, il vinile, il metallo che spesso Mugler utilizzava al posto o insieme a tessuti elegantissimi, erano metafore materializzate per donne che accettavano le regole del torneo relazionale con l’altro/a e applicavano la tattica guerresca la miglior difesa è l’attacco. Spesso risultavano un po’ perverse e stronze, ma sempre femminili e coerenti con le regole spesso non scritte del grande gioco della erotizzazione delle esperienze. Anche quando apparivano come freddi androidi o evidenziavano lo spirito animale che le attraversava. Alcune splendide fotografie,mche seguono, aiutano a comprendere meglio delle mie parole ciò che voglio dire: la prima (foto 4) è di Helmut Newton e il look appartiene alla collezione autunno-inverno 1994/95.

Foto 4. Helmut Newtono per Mugler

La seconda e la terza raffigurano look della collezione insetti primavera-estate Insetti 1997.

Foto 5 e 6

La quarta e la quinta sono scatti che raffigurano look apparsi nel video clip Too Funky del 1992 creato da Mugler per fare pubblicità al pezzo pop e al tour di concerti di George Michael. Le interpreti della clip, vestite da Mugler, formavano un casting eccezionale: Linda Evangelista, Eva Herzigovà, Nadja Haureman, Emma Sjoberg,,.le mannequin transgender Connie Girl, Larissa e Lipsinka…le attrici Julie Newmar, divenuta famosa interpretando Catwoman nella serie Tv Batman e Rossy de Palma…La clip divenne subito cult. Senza nulla togliere alla musica pop di George Michael, l’ingaggio emotivo più evidente prodotto dal video è dominato dai look spettacolari dello stilista.

Foto 7 e 8

Per concludere, cercando una risposta alle domande sopra riportate, vorrei dire che a mio avviso la specificità degli atti creativi visionari di Mugler discendono dalla sua sensibilità attratta dall’orchestrazione degli effetti multidimensionali che donano una particolare energia emotiva ai suoi look. Lo stilista era consapevole dell’importanza delle sinestesie che introducono le forme moda nelle agenzia della mente che, prima di tutte le parole utilizzate per razionalizzarle, le fa esperire al soggetto come una travolgente ondata emoestetica. Se si vuole realmente affrontare le sue creazioni occorre analizzare l’ambiente percettivo di odori, musiche, luci, materie, stili nel quale esse apparivano sia negli eventi che con maniacale cura Mugler programmava, sia nelle immagini che utilizzava per promuoverle.

La sua moda era in definitiva un epifenomeno derivato da applicazioni o sperimentazioni di Arte Totale all’abito in motion ovvero una ricerca di eterogenei effetti percettivi, opportunamente orchestrati, che modificano la presa in carico delle apparenze da parte di un soggetto, sublimandone le ordinarie funzioni per farle ascendere sempre più in alto, là dove possono arrivare solo i sogni.


ADDENDA 1

Con l’abbandono di Thierry Mugler il brand per un lungo periodo non ebbe più l’appeal internazionale dei suoi anni gloriosi. Solo recentemente grazie a stilisti susseguitisi in rapida successione, Nicola Fermichetti (2011), David Kama (2014) Casey Cadwallander (2018) ha cominciato a recupere le posizioni perdute. Utilizzando testimonial come Lady Gaga, Celine Dion e Kim Kardashian la marca sta scalando le classifiche dei fatturati. Ma non c’è ancora il fuoco creativo delle origini. Tuttavia al netto delle provocazioni erotiche e della spettacolarità da entertaiment di lusso che pur funzionando a sufficienza oramai non possono più garantire da sole la lucida follia glamour che Thierry sapeva orchestrare benissimo, la marca sembra veramente tornata da protagonista sulla scena della moda d’élite.

 

ADDENDA 2

Una straordinaria mostra al Musèe des Arts Décoratives di Parigi, intitolata Couturissime, aperta fino al 22 Aprile 1922, presenta 130 creazioni di Mugler e numerosissime altre testimonianze del suo multidimensionale talento, tra le quali segnalo gli audiovisivi che fanno assaporare il senso dello spettacolo degli eventi concepiti dallo stilista. Per info, consultare il sito del museo.

Lamberto Cantoni
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25 Responses to "Thierry Mugler (1948-2022). Un protagonista dell’Extreme Glamour"

  1. Antonio Bramclet
    Antonio   2 Febbraio 2022 at 16:45

    D’accordo,però se lo stilista ha ceduto l’azienda non è colpa dei manager. Anzi mi viene da pensare che avrebbe avuto bisogno di più marketing e non di meno. La creatività da sola non arriva da nessuna parte.

    Rispondi
  2. Anna   3 Febbraio 2022 at 10:59

    Non pensavo che Mugler fosse tanto importante. Credevo che YSL e Coco Chanel fossero i dominatori. Mi chiedo: tra i nostri stilisti chi poteva essere simile al francese?

    Rispondi
    • Lamberto Cantoni
      Lamberto Cantoni   3 Febbraio 2022 at 19:49

      Come ho scritto la marca fondata da Coco Chanel, dalla morte della protagonista fino a quando arrivò come creativo Karl Lagerfeld perdeva di anno in anno prestigio e appeal, probabilmente anche fatturati. Le decadi nelle quali Yves Saint Laurent ha fatto la differenza sono i ‘60 e ‘70. Uomo di grande cultura, contaminava le sue collezioni con geniali citazioni tratte dall’arte. Era amatissimo in Francia. Tuttavia a un certo punto l’eccessiva esposizione a droghe e uno stile di vita eccessivo minarono il suo fisico. All’inizio degli ottanta il grande couturier e stilista era certamente al culmine della sua notorietà. Fu il primo creativo della moda ad essere onorato nei primi ottanta con una grande retrospettiva dal MET. Ma non era più in grado di incidere sulle traiettorie della moda che da quei giorni viene etichettata come avanguardia oppure di tendenza.
      Non credo sia esistito uno stilista italiano peragonabile a Mugler. Forse Versace aveva la stessa sensibilità per lo spettacolo, per l’evento, per la sperimentazione. Forse Moschino è stato trasgressivo e graffiante quanto Mugler. Ma il glamour di Versace era più vivace, bello nel senso ordinario della parola, elegante. Moschino costruiva la propria immagini contestando prendendo la moda come sistema a rovescio, facendo finta di non amarla. Era certo un visionario, ma andrei cauto con le similitudini.

      Rispondi
      • Anna   5 Febbraio 2022 at 11:23

        Io invece pensavo a Dolce & Gabbana. Hanno ad esempio vestito Madonna per i suoi concerti. Ho visto su YouTube alcune loro sfilate e le ho trovate, come dice lei, percettivamente esaltanti. Ricordo bene ancora alcune loro campagne fotografiche perchè avevo la sensazione di trovarmi in un set del cinema.

        Rispondi
        • Lamberto Cantoni
          Lamberto Cantoni   5 Febbraio 2022 at 17:45

          Mah! D&G non li descriverei col termine “visionari”. Immagino siano spesso trasgressivi, scioccanti. Sfruttano abilmente la logica della provocazione. Molti loro look sono dei capolavori … Ma non mi suscitano alcun parallelismo con Mugler.

          Rispondi
  3. Lucio   5 Febbraio 2022 at 10:39

    In poche parole il fashion show risulterebbe più importante del design dell’abito? Sarebbe questo lo stile di TM? Io non ho mai visto nessuno andarsene il giro vestito con un sound system o un light system! E poi il francese non ha inventato nulla. Le spalle larghissime c’erano già da decenni. La vita stretta c’era già ai tempi delle crinoline. Con questo non voglio dire che non sia stato uno stilista importante. Però per me J.P. Gaultier era lui la vera avanguardia.

    Rispondi
    • Lamberto Cantoni
      Lamberto Cantoni   7 Febbraio 2022 at 12:26

      Apprezzo il tuo umorismo e ammetto che in passato guardando certi look da sfilata non sono riuscito a trattenere l’impressione di trovarmi di fronte ad alberi di Natale. Tuttavia, personalmente distinguo il “pensiero veloce” dalle congetture razionali, ovviamente più lente.
      Oggi sappiamo che, grazie a Kahneman, il pensiero veloce è correlato al rischio di distorsioni percettive che sembrano avere lo scopo di rafforzare i nostri pregiudizi. A questo punto ti chiederai: cosa c’entra tutto questo con il mio commento? È semplice da capire; ad un testo possiamo applicare il pensiero veloce e quindi fidarci delle nostre intuizioni oppure possiamo ricostruirne la logica. Io credo che tu abbia scelto il primo. Di conseguenza, lettura veloce + pensiero veloce = rischio interpretativo.
      E infatti mi trovo costretto a comunicarti che non hai capito quasi nulla del testo. Era mia intenzione cercare di capire la “specificità” dello stile Mugler. A questo punto entrano in gioco delle invarianti. Tra queste le più difficili da discorsivizzare sono quelle che afferiscono all’ingaggio percettivo dal quale emerge la valenza dello stile. L’estrema attenzione che lo stilista riservava al fashion show mi ha portato a congetturare che le sue forme, fin dall’inizio, fossero pensate in relazione diretta con l’ambiente-spettacolo cioè con suoni, colori, forme, scenografie… Di solito chi è bravo ad orchestrare la trasduzione di effetti appartenenti a segni eterogenei per materia e sostanza espressiva, dando ad essi il sentimento percepibile di unità o di sincronia, chi è un bravo regista del flusso percettivo/emotivo legato all’oggetto estetico dicevo, noi per semplificare diciamo che i suoi progetti afferiscono all’idea di un Arte totale.
      Verso la metà dell’800 fu Wagner il primo a trasformare l’arte totale in concetto operativo. Ma per Mugler io penserei piuttosto a Kandinsky ovvero all’idea che suoni, luce, colori, articolati con maestria possano restituirci una esperienza interiore primaria. Al netto di ogni deviazione misticheggiante, seguendo questo punto di vista, possiamo dunque sostenere che l’emozione specifica la forma nel senso che la deposita nel nostro cervello come evento.

      Rispondi
      • Lucio   7 Febbraio 2022 at 16:52

        Sono felice di averla divertita. Purtroppo non ho capito un … della sua risposta.

        Rispondi
        • Lamberto Cantoni
          Lamberto Cantoni   7 Febbraio 2022 at 17:00

          Leggi la citazione riportata nel commento di Gaia. Forse dopo capirai meglio quello che ho scritto.

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  4. Gaia Candeli   6 Febbraio 2022 at 17:56

    Thierry Mugler evidenzia il concetto dell’apparire con forme stravaganti; la creatività e l’ingegno dell’artista servirono anche per auto sostenersi come dimostra lo scatto pubblicitario realizzato dallo stesso artista nel 1978, creandosi una vera e propria scalata verso la celebrità in autonomia. Le creazioni di Thierry Mugler dimostrano una logica al di là del colore di tendenza, della popolarità delle fantasie floreali o delle paillettes, costruisce una sottospecie di mondo tutto suo, dove gli abiti indossati sembrano far sfilare la metamorfosi umana, superando il concetto di moda e subentrando in quello artistico; è come se la nascita del suo percorso, partito dalla danza, lo avesse ispirato a spingersi oltre, evidenziando tutte le doti di questo grande artista. Vanity Fair Italia scrisse nell’articolo dedicato a Thierry Mugler, di quando invitò Diana Ross a sfilare, prima cantante a farlo nel 1991, inserendo anche una citazione dell’artista: ‘’ Ho sempre pensato che la moda non fosse sufficiente a se stessa e che bisognasse mostrarla in un ambiente musicale e teatrale’’; e penso che ci sia effettivamente riuscito con i suoi abiti, modellando l’arte, la metamorfosi, il cambiamento.

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    • Lamberto Cantoni
      Lamberto Cantoni   7 Febbraio 2022 at 16:35

      Grazie per la citazione, ottimo intervento.

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  5. Alice Montanari   6 Febbraio 2022 at 19:30

    Thierry Mugler è stato un grandissimo creativo e visionario, senza ombra di dubbio, sempre molto attento soprattutto all’estetica femminile e alla concezione della silhouette in piene stile parigino, per questo definito anche come scultore del corpo femminile. Sicuramente in anticipo con il tempo, fu il primo a trasformare le celebrità in modelle, come si può ben vedere dagli abiti indossati da Beyonce nel suo tour “ I am “ del 2009, come anche gli abiti indossati nel 2019 da Kim Kardshian in occasione del Met Gala e nel 2020 da Cardi B durante i Grammys.

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  6. Michele Malerba   7 Febbraio 2022 at 16:36

    Thierry Mugler è stato una parentesi unica nel mondo nella moda, che non ha realizzato degli abiti, ma opere d’arte totale. Per questo parlo di parentesi nel mondo della moda, Mugler ha sconfinato in una dimensione concettuale, molto più alta, perché crede vere o possibili cose irreali o irrealizzabili per il resto delle persone.
    La grandezza dei suoi lavori stanno nell’esagerazioni teatrali che i suoi abiti rappresentavano, nel fondere la seduzione estrema con l’aggressività, fortificando l’immagine della donna.

    La creatività espressa da Mugler è legata a una ricerca personale, che punta alla glorificazione delle donne che portano i suoi abiti, attraverso un fascino senza tempo, perché parlando di visionario erano al di là della normale concezione di tendenze del momento.
    Una cosa che ogni artista dovrebbe poter fare, ma che comprendo non sia impossibile in un mondo capitalista, che punta solo al guadagno, è poter creare e lavorare senza preoccuparsi di fare soldi con l’arte.
    Quando non si pongono scadenze o budget alla creatività a grandi artisti il risultato è sempre qualcosa di sbalorditivo, basti pensare a tutti gli architetti, designer, artisti che realizzarono delle opere avendo carta bianca.
    Mugler in un certo senso, in una parte della sua vita, raggiunge questo momento, forse anche perché le sue creazioni non dipendevano da un analisi di mercato anche se appariva un certo ordine nelle sue collezioni, esse erano apprezzate perché erano innovative, strabilianti, inaspettate e se vi era un fine economico esso non andava a modificare le sue creazioni.
    Mugler ha donato le sue creazioni al pubblico fino a quando esso le ha accettate così come erano realizzate e quando la situazione andava ad intaccare la sua visione si è ritirato o ha virato la sua produzione in altri ambiti dove l’autore poteva esprimere se stesso.

    Dopo aver spezzato una lancia a favore di Mugler però bisogna dire che la maggior parte dei suoi abiti erano immettibili in contesti diversi dalle sfilate e andavano a minare il concetto del design funzionale dell’abito, infatti erano pesanti, ingombranti e richiedevano mesi di lavorazione per ogni singolo abito.
    Indubbio è che questi abiti sono stati fonte di ispirazione per altri stilisti e artisti successivi.
    Se si scorrono i suoi abiti più celebri non ve ne è uno che non abbia un ingaggio percettivo enorme, essi sono strabilianti, eccentrici, forse caricaturali, ma per questo così efficaci.

    Ora Mugler è associato solo al profumo, si conosce solo quello di lui, ed è un errore, avevo già incontrato le sue opere in riviste e libri che raccontavano la storia della moda e da ignorante in materia mi ero comunque soffermato ad osservarli rimando stupito dalla bellezza estetica puramente personale che mi suscitavano.

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    • Lamberto Cantoni
      Lamberto Cantoni   7 Febbraio 2022 at 17:12

      Concordo su tutto, meno il passaggio sulla importabilità dei suoi abiti. Mi pare eccessivo. Le sue creazioni erano audaci, spesso innovative e portabilissime…a patto di essere esibizionisti, un po’ sfrontati. Negli anni ottanta molte donne amavano un glamour aggressivo. Se ti riferisci alla sua couture, devi considerare che si tratta praticamente di abiti unici, per un ristretto cluster di clienti.

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  7. Margherita Scialla   7 Febbraio 2022 at 17:47

    Thierry Mugler e il suo brand sono simboli dell’eccesso e della creatività. Si concentrò su forme femminili con vite strette, ad abiti aderenti e spesso con spalle larghe, e sperimenta nelle sue collezioni con materiali come gomma, lattice, vinile, e metallo, cercando sempre di mantenere una visione sensuale della figura femminile, a volte anche aggressiva.
    Ha avuto il suo periodo di massimo successo negli anni 80-90, e anche se dopo aver lasciato il suo marchio al gruppo Clarins ha perso un po’ di fama e di importanza, negli ultimi anni il suo nome si sta facendo riconoscere ancora grazie a nuovi stilisti, e spero vivamente che continuino cosi a portare avanti questa sua immagine e visione anche ora che non è più tra noi.

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  8. Matilde Gasponi   7 Febbraio 2022 at 18:42

    Thierry Mugler fu l’ideatore di uno stile femminile inconfondibile, dedicato a donne forti e dominatrici, che non temono di indossare cybor-corsetti, abiti in lattice o mise da insetto.
    Un esempio di donna rappresentativa dello stile Mugler è senz’altro Madonna: per un decennio, a partire da metà degli anni Ottanta, e forse anche oggi, la popstar ha incarnato l’archetipo della donna dominatrice, combinando le sue canzoni dai testi maliziosi ad un look inedito, molto sexy, in cui a fare la parte del leone era il corsetto, che metteva in evidenza il suo fisico minuto e procace.
    Mugler era affascinato dalla femminilità che portava agli estremi. In un periodo in cui dominava lo stile androgino, lui portava in passerella capi seduttivi e donne fatali, strette in tailleur scolpiti o in corsetti mozzafiato, avvolte in capi architettonici in lattice o ricoperti di strass. il trionfo di una silhouette controcorrente che strizzava il punto vita fino all’estremo e rilanciava una silhouette a clessidra.

    Mugler fu un visionario la cui immaginazione come couturier, profumiere e creatore di immagini ha permesso alle persone di tutto il mondo di essere più audaci e di sognare più in grande ogni giorno. Un artista per il quale il limite non era un limite. Un talento eccezionale, un genio visionario ed inclusivo con un senso sconfinato della creatività.

    La struttura dei suoi look è definita body conscious, nonostante alcune esagerazioni dal gusto teatrale. I materiali accompagnano i movimenti e le cuciture disegnano nuove linee per mettere in scena la donna, avvolgerne il corpo e rimodellarla all’infinito. Vestite di tailleur rigorosi, pellicce, strass, corsetti stravaganti, le donne Mugler sono icone conquistatrici o dive eccentriche.
    Utilizzò materiali inaspettati, sfilate di moda concepite come performance, scoperte olfattive: ha rotto tutti i codici e tutti gli standard. Compreso quello sociale. Libero, avanguardista, non ha mai smesso di portarci nei suoi mondi immaginari e di spingerci nello straordinario, nel senso letterale del termine.
    Vicino alle celebrity, ha disegnato look d’autore per Grace Jones, David Bowie, Diana Ross; così come quelli per il video musicale “Too Funky” di George Michael. Appassionato di profumi, ha lanciato Angel nel 1992, divenuta una delle fragranze più vendute del 20° secolo che ancora io stessa indosso oggi.

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  9. Corinne Balelli   7 Febbraio 2022 at 21:05

    Il fashion designer Thierry Mugler è stato un mostro sacro dell’alta moda ma anche del mondo delle fragranze. Il suo stile si distingue per le linee decise e angolari, il vitino a vespa, le spalline ampie e imbottite e il rifiuto delle stampe: solo tinte unite forti.
    Le sue creazioni sono eccentriche e davvero spettacolari.
    “Quando ero bambino non riuscivo ad accettare il mondo che mi circondava. Sognavo di crearne uno della mia misura, uno tutto per me”, ha spiegato Mugler, il cui estro ha trovato espressione nell’haute couture e nella fotografia, senza dimenticare i profumi tra i più venduti di sempre.
    Mugler è deciso a rivoluzionare forme e materiali, e sceglie solo tinte unite forti. A ispirarlo sono la storia, le automobili americane degli anni 70, i film noir e il mondo degli insetti. Lo stilista crea i corsetti per Madonna e i mini abiti di Sharon Stone. La struttura dei suoi look è definita body conscious e le donne Mugler sono icone conquistatrici o dive eccentriche.
    «Sono sempre stato affascinato dall’animale più bello della terra: l’essere umano. Ho usato tutti gli strumenti a mia disposizione per sublimarlo», aveva dichiarato lui stesso in occasione dell’inaugurazione della mostra al Musée des Arts Décoratifs, Couturissime.

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  10. Melisa Sarajlic   7 Febbraio 2022 at 21:59

    Thierry Mugler ha segnato un’epoca superando limiti e stereotipi, diventando ispirazione per molti, anticipando i tempi. Con il passare degli anni il suo stile è rimasto inconfondibile, quasi senza tempo ed è sempre riuscito con i suoi abiti a dare potere alle donne, permettendogli di diventare ciò che vogliono.

    Probabilmente per Mugler aver esplorato nel corso della sua vita e carriera diversi ambiti artistici è stato un grande punto di forza che gli ha permesso di raggiungere un tale livello nei suoi lavori da realizzare opere d’arte totali, come lui stesso ricorda in un’intervista riguardante una mostra dedicata alle sue creazioni: “il mio lavoro è strettamente legato alla scultura, alla pittura e a tutte le altre arti decorative”.

    “Quando si guardano i suoi vestiti, è impossibile dire di quale decennio siano, perché non ha mai seguito le tendenze, ma ha sempre basato il suo lavoro dal suo mondo e dalla sua immaginazione, cosa che ora è sempre più rara perché penso che le persone vogliano adattarsi agli stereotipi e vogliano vendere.” dice il curatore della mostra “Thierry Mugler: Couturissime” che a Parigi celebra il designer.

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  11. Federico Bartozzi   7 Febbraio 2022 at 23:37

    L’approccio di Mugler alla moda può essere sintetizzato in questa sua dichiarazione  «Sono sempre stato affascinato dall’animale più bello della Terra: l’essere umano. Sono un architetto che reinventa completamente il corpo di una donna».Innovativo, dall’unicità stravagante è stato in grado di squadernare il sistema moda.
    Ritengo che il suo eccentrico e assurdo per certi versi si sposi perfettamente con un personaggio come Madonna spero che il suo stile vengo seguito e non ci siano reinterpretazioni visto la morte

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  12. Sara Bertini   7 Febbraio 2022 at 23:58

    1. Azzarderei a dire che Thierry Mugler più che uno stilista sia un artista visionario che si è dedicato alla moda. È evidente come Thierry Mugler alla fruibilità e alla vestibilità del vestito in sé anteponesse gli artifici scenici, provocatori e creativi delle sfilate. Più che sfilate, le sue erano delle vere e proprie performance.
    2. Non credo sia un caso che nel mondo occidentale il canone di bellezza – per quanto, in realtà, si stanno alzando sempre di più lotte per l’abbattimento di stereotipi estetici, soprattutto del corpo femminile – sia proprio quello della donna ideale di Mugler dal corpo a clessidra. Mi chiedo, però, se Mugler fosse stato così visionario da anticipare di decenni questo stereotipo o se – più probabile a parer mio – è la moda del momento a dare uno sguardo al passato e ad ispirarsi a Mugler.

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  13. Diego Cavalieri   8 Febbraio 2022 at 01:55

    Il brand Mugler è sempre stato sinonimo di moda alternativa: il capolavoro dell’eccesso. Lo stilista è stato uno dei principali artefici di un’estetica della fine degli anni’80, un’estetica molto personale: audace, brillante e all’avanguardia. Ha dedicato la sua intera vita all’arte in ogni sua forma. La sua estetica innovativa si è subito imposta nell’ambiente parigino, li dove respirava a polmoni pieni la couture di Christobal Balenciaga e Christian Dior, che definì “i suoi maestri della moda” aprendo la strada a un nuovo corso dell’alta moda che ha rivoluzionato la percezione comune di bellezza, mettendo al centro la valorizzazione di tutto il potenziale del corpo umano. Mi ha colpito molto una sua citazione in cui diceva:”Sono un architetto che reinventa completamente il corpo di una donna”, e queste sue parole per me racchiudono tutta l’essenza della sua arte. Sì, perché le sue creazioni non erano semplici abiti ma vere e proprie sculture, esempi di un’avanguardia che ha soppiantato il minimalismo dilagante all’epoca per portare la Couture a un stato più avanzato. In anni in cui la moda era ancora “timida”, lui ha fatto sfilare abiti ispirati ad animali, insetti, robot e creature mitologiche; enfatizzando il corpo della donna con venerazione e ammirazione.
    Riusciva a rendere anche il più formale dei tailleur o un semplice tubino nero un’arma di seduzione e trasmetteva alle donne la consapevolezza della provocazione senza mai cascare nella volgarità.

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  14. luca dellapasqua   8 Febbraio 2022 at 10:26

    un incredibile stilista e artista in generale, Mugler ha avuto “la fortuna” di aver preso a cuore una disciplina artistica in giovane età: la danza. La contaminazione artistica (soprattutto con una disciplina come la danza) penso abbia dato una spinta allo stilista per quanto riguarda la direzione del suo operato. il fatto che trasuda femminilità nel suo lavoro penso che sia attribuibile alla danza e penso che allo stile di David Bowie si adatti benissimo.
    Le “collezioni spettacolo” per me sono eccezionali e mi ricordano un po’ gli “Happening” dove (se pur straordinaria) l’opera non era al centro dell’attenzione, bensì c’era la creazione dell’opera. Dopo tutto la moda è pur sempre una forma d’arte.

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  15. Annalisa Branchetti   8 Febbraio 2022 at 11:39

    Thierrey Mugler artista ultra visionario trovo che abbia portato una ventata di aria fresca alla moda di quegli anni. Non trovo difficile credere come citato nel testo che avesse dei problemi con il marketing poiché un artista del genere non può sicuramente sottostare a quello che è il marketing e alle sue strategie del resto la sua vena da fuoriclasse e visionario la si può notare anche nella grande fama che ha avuto tra grandi artisti come David Bowie che ha scelto proprio Mougler come suo stilista in molte occasioni.

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  16. Anna Mei   8 Febbraio 2022 at 22:17

    Per quanto ad oggi la gente comune metterebbe in forte discussione l’iperfemminilità sensuale di Mugler, il suo concetto e la sua visione di moda e di esaltazione della forma femminile, sarebbe ora più che mai attuale.
    Basti pensare ad una delle più recenti sfilate della famosa cantante Cardi B, la quale, in una imprevedibile messa in scena di un abito firmato dallo stesso Mugler dimostra in modo inequivocabile come, l’esaltazione del corpo femminile possa esprimersi in egual modo adattandosi anche un pò alla moda odierna, ma senza perdere la sua unicità stilistica. Questo perchè attualmente la “stravaganza” è quasi diventata una costante dell’espressione di sè, ora più che mai attraverso il vestiario stesso.
    Sicuramente l’artista nei suoi anni di emersione nel mondo dell’alta moda, aveva in mente concetti di vestiario e visioni futuristiche che non comprendessero l’adattamento forzato dal marketing.
    Pertanto, in un mondo dove per anni è stato emarginato lo stile esibizionista e sensuale che Mugler aveva ideato, ci si ritrova nuovamente a vedere riemergere questo stile con grande richiesta del pubblico, e per quanto l’artista si sia poi dedicato alla creazione di profumi, la sua firma iperfemminilistica ha nuovamente colpito rivendicando un successo che sembrava oramai spento.
    Proprio per l’esempio citato della cantate, mi viene da credere che, questo momento potrebbe essere per Mugler un atto di rivincita nei confronti di una moda che lo ha penalizzato ingiustamente, attraverso anche l’alleanza con l’eleganza e l’aggresività espressiva degli artisti del momento.

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    • Lamberto Cantoni
      Lamberto Cantoni   9 Febbraio 2022 at 12:58

      Sì l’economia della moda presuppone anche il ritorno ciclico di look che alludono un rovesciamento delle disposizioni del pubblico. Come e perché questo succeda è complicato spiegarlo. Le forme del design prendono il loro valore (il loro senso) da investimenti passionali che possono velocemente cambiare di segno. Evidentemente la percezione di un oggetto ha tratti invarianti che però devono prendere posto in assiologie i cui termini sono sottoposti a fluttuazioni correlate alle mutazioni delle “attese” di nuovi pubblici (nuove generazioni di clienti).

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