All’Auditorium Parco della Musica il concerto di Giacomo Lariccia

All’Auditorium Parco della Musica il concerto di Giacomo Lariccia

MONDO – Partirà il 22 Gennaio dall’Auditorium Parco della Musica il nuovo ciclo di concerti per presentare il prossimo album di  Giacomo Lariccia, cantautore che lascia l’Italia e trova l’America nella città di Bruxelles. Il primo brano inedito s’intitola Liberi. Un percorso musicale ed un background che colpiscono e che abbiamo deciso di approfondire intervistando l’artista.

Dopo aver percorso in autostop le autostrade d’Europa, chitarra in spalla, Giacomo Lariccia si innamora di Bruxelles. Pianta le tende, si diploma in chitarra al conservatorio e pubblica il suo primo disco da chitarrista: Spellbound. Un giorno, dopo anni passati a suonare nei festival in giro per il mondo, scopre la potenza della parola, inizia a scrivere canzoni e in sette anni pubblica tre dischi come cantautore: Colpo di Sole nel 2012, Sempre Avanti nel 2014 e Ricostruire nel 2017.

Due volte fra i cinque finalisti della Targa del Premio Tenco ha cantato in teatri e centri culturali in Francia, Belgio, Germania, Italia, Svizzera, Inghilterra, Olanda, Medio Oriente e Sud America.

LIBERI, IL NUOVO SINGOLO DI GIACOMO LARICCIA

Liberi è il nuovo singolo di Giacomo Lariccia, cantautore europeo e musicista senza confini. La canzone è pubblicata su tutte le piattaforme digitali dalla label Avventura in musica. Prodotto da Marco Locurcio è uno dei brani che precede il nuovo disco, previsto per il 2022 inoltrato, che prevede la partecipazione di numerosi artisti del panorama italiano e internazionale.

Giacomo Lariccia, infatti, è un artista particolare: vive a Bruxelles ma suona le sue canzoni in diversi paesi dell’Unione Europea e con la sua musica ha portato un soffio d’Europa in Italia e un profumo d’Italia in Europa.

Liberi è la storia di due ragazzi e del loro amore che sboccia all’ombra delle incertezze di questi anni. Un’epoca in cui il desiderio di libertà deve affrontare le limitazioni di un mondo in costante emergenza, dove la paura è diventata la nuova normalità. Incisive le parole di Lariccia a questo proposito:

“La ricerca della libertà, in questo nuovo millennio, si è scontrata con gli eventi, reali e virtuali, che hanno generato una diffusa sensazione di angoscia e quindi una richiesta di sicurezza e di limitazione della libertà. La libertà interiore, però, è indipendente da qualsiasi condizione esterna: è il risultato di un percorso solitario che deriva dalla conoscenza, dalla scoperta dell’amore o della fede e, per questo, fondamentalmente resta una scelta.”

Giacomo Lariccia canta: Siamo liberi soltanto se ci liberiamo un po’ di noi. Libertà è liberarsi:

“Si diventa liberi abbandonando l’egoismo tipico dell’infanzia, la pretesa del controllo assoluto sulla vita e sulla morte, i desideri indotti dai meccanismi del consumismo o gli status symbol del successo a tutti i costi.”

Liberi è una canzone che affronta poeticamente una tema dibattuto ovunque nel mondo e che Lariccia aveva già affrontato, in parte, con il brano Limiti, finalista alla Targa Tenco alla miglior canzone nel 2020. Il singolo è stato prodotto e arrangiato da Marco Locurcio, che accompagna il percorso di Lariccia da ormai 10 anni e ospita, direttamente da Los Angeles, la tromba di Giulio Carmassi, polistrumentista e musicista del Pat Metheny Unity group. Carmassi ha collaborato, fra gli altri, con Lew Soloff, Will Lee’s Family band.

La collaborazione spontanea tra i due artisti nasce anche dall’incontro tra due eccellenze della musica italiana che da anni lavorano, con successo, tra la California e il Belgio raccogliendo consensi internazionali molto prestigiosi. Nonostante ciò la voglia dei due di affermarsi nel proprio paese è fortissima e questo brano ne è la prova nonché l’inizio. Liberi è stato registrato negli studi Lanewood di Bruxelles e presso il Truffle Sound Studio di Los Angeles.

MUSICA E LIBERTA’, SECONDO IL CANTAUTORE

Foto da: Ufficio Stampa

Sulla scia del suo successo e del profondo senso di libertà che emerge nella ricerca del linguaggio musicale, abbiamo intervistato il cantautore e scoperto qualcosa in più su di lui e sull’anima della sua musica.

Giacomo, emerge il tuo profondo legame con Bruxelles, ma anche con l’America e con l’Europa intera, che hai percorso in autostop con la chitarra in spalla. Puoi raccontarci un aneddoto particolare di quel viaggio e del tuo percorso di conoscenza del mondo al di fuori dell’Italia, che ritieni abbia cambiato la tua vita e la tua visione della musica?

Di racconti particolari ne ho molti. È stato un periodo in cui la mia ricerca della libertà mi ha portato verso l’avventura che a vent’anni può declinarsi solo in quel modo. Potrei raccontarti di quando in Germania, mi diede un passaggio un pullman con una squadra – di baseball? Non ricordo esattamente – . Mi dissero: Ti diamo un passaggio se ci suoni qualcosa. E quindi mi pagai quella tratta cantando e suonando per tutti loro. Era un periodo della mia vita in cui non aveva scadenze: la durata dei miei viaggi poteva durare anche tantissimo tempo. Dipendeva dalla fortuna ed erano scanditi da lunghissime attese o da imprevisti ai quali ci si doveva adattare. Una delle prime volte che arrivai a Bruxelles non riuscii ad accedere all’appartamento di un amico che mi ospitava. Avevo una piccola tenda con me, guardai la piantina di Bruxelles e presi la metro nella direzione del primo bosco (sarà stato probabilmente la Forest des Soignes) dove piantai le tende per quella notte. La mattina successiva andai a fare colazione alla Grand Place.

Cosa ti ha dato vivere all’estero, dal punto di vista musicale, che non ti ha dato l’Italia e che credi manchi al nostro Paese?

Ho vissuto 25 anni in Italia e sono poi partito inseguendo la mia musica. Tutta la mia carriera musicale, prima come chitarrista e poi come cantautore, è stata all’estero. In Belgio, in Francia e in tanti altri paesi. Paradossalmente ho trovato tante opportunità cantando in italiano per chi l’italiano non lo conosce. Difficile fare paragoni con l’Italia. So però che manca un sostegno alla creazione e alla produzione musicale, cosa che questa pandemia ha evidenziato ancora di più.

A quali cantautori italiani ti senti musicalmente più legato e perché?

Edoardo Bennato, Francesco De Gregori, Gaber, De Andrè. Sono i primi che ho ascoltato anche se adesso difficilmente li riascolto.

Ti sei diplomato in chitarra jazz e hai pubblicato come jazzista. Come ti sei avvicinato a questo genere? 

Da adolescente, già dal liceo quando ascoltavo Benny Goodman, Charlie Christian, Jim Hall. Probabilmente anche perché era una tipo di musica popolare e non colta che aveva un percorso di studi già strutturato e questo mi dava sicurezza e un sentiero da percorrere e da scoprire. Una formazione jazz è utile a qualsiasi livello per scrivere, comporre, interpretare.

Il tuo nuovo singolo, da poco uscito, s’intitola Liberi. Oggi più che mai, è importante parlare del tema della libertà. In questi anni di restrizione e in cui ancora non siamo tornati ad essere totalmente padroni delle nostre vite, in che modo la musica credi possa donarci nuovi attimi di libertà?

La vera libertà è interiore. Questo deve essere ben chiaro. Ci si può trovare in un carcere ma essere liberi interiormente e al contrario vivere in libertà ma non essere liberi nell’anima. Detto questo ovviamente ognuno di noi deve fare particolare attenzione al mondo che ci circonda, a eventuali degradazioni delle nostre libertà civili. Oggi ci stiamo abituando a parole come coprifuoco, divieti di muoversi, DPCM, PLF. Penso che deve essere chiaro a tutti che queste imposizioni sono temporanee e dovrebbero essere cancellate il prima possibile.

Nel 2017 è uscito il tuo album dal titolo Ricostruire. Una sorta di bilancio e riflessione interiore attorno ad anni difficili che il mondo si è trovato ad affrontare, soprattutto Bruxelles. Anni d’incertezza e paura anche dal punto di vista sociale. Questo album sembra essere, alla soglia di questo 2022, incredibilmente attuale. Il mondo dell’arte e della cultura in generale è stato in assoluto il più colpito dalla pandemia. A tuo parere, c’è molto da ricostruire nel mondo della musica e come si può ricominciare?

In Ricostruire parlavo di una ricostruzione interiore che si rispecchiava in un periodo storico in cui la terra tremava (non solo letteralmente). Oggi davvero ci troviamo nella situazione in cui un continente intero deve ricostruirsi, senza però avere macerie nelle strade come accadde dopo la Seconda Guerra Mondiale. Forse proprio per questo la ricostruzione sarà ancora più difficile. Nella musica c’è molto da ricostruire anche perché il crollo è iniziato molto tempo prima del Covid, intorno all’anno 2000 e ancora non si è trovato modo per rimettere in piedi il sistema. Forse delle piattaforme come Patreon giocheranno un ruolo importante nel futuro della vita degli artisti, oltre ovviamente ai concerti e alle situazioni dal vivo che devono ricominciare il prima possibile.

Che consigli daresti ad un giovane talento che si approccia oggi per la prima volta ad intraprendere la carriera del musicista?

Di studiare, studiare, studiare tanto. Di formarsi e crearsi una professionalità da poter utilizzare al servizio della musica e del pubblico che poi è quello che determinerà il suo essere artista.

 

Foto da ufficio stampa.

Michela Ludovici

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