Film La zona d’interesse, un capolavoro da vedere

Film La zona d’interesse, un capolavoro da vedere

MONDO – Vi parlo qui de La zona d’interesse premiato agli Oscar 2024 come miglior film in lingua straniera. Regia di Jonathan Glazer, adattamento cinematografico del romanzo omonimo scritto da Martin Amis. Avrà meritato l’ambito premio?

Il 10 marzo al Dolby Theatre di Los Angeles La zona d’interesse, con 5 candidature agli Oscar, ha vinto come miglior film in lingua straniera e come miglior suono.

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La storia si svolge durante la Seconda guerra mondiale negli anni Quaranta, ad Auschwitz. I protagonisti sono Rudolf Höß, (Christian Friedel) e sua moglie Hedwig, (Sandra Hüller). Lui è il comandante del campo di concentramento che confina con il giardino della loro casa. Vivono con cinque figli e hanno a loro servizio delle domestiche e un giardiniere. La moglie è orgogliosa del suo giardino ed è felice di vivere in quella casa. Suo marito lavora molto e gli piace farlo. Conducono una vita agiata, fatta di gite in barca, di party con gli amici, di giochi in piscina. Tutto scorre molto bene.

Rudolf Höß è stato lo sterminatore di Auschwitz, la mente della più terribile machina mortale concepita dall’uomo.

Il cinema ci ha abituato a vedere molti film sull’Olocausto, per citarne un paio, Schindler’s list (1993) e Il bambino con il pigiama a righe (2008). Nella maggior parte dei film di questo “genere” lo spettatore “vive” l’orrore del più grande sterminio della storia dell’umanità. Scene dure e crudeli, emozioni forti di sofferenza, sentimento di rabbia, ingiustizia, consapevolezza della brutalità del genere umano. In La zona d’interesse lo spettatore non vede nulla di tutto ciò.

A scorrere sulla pellicola per centocinque minuti è il paradosso del Nazismo.

Il mondo di una famiglia nazista che vive concentrata solo su sé stessa e sul suo benessere economico e sociale.

La genialità del regista Glazer sta nell’aver realizzato un film sul Nazismo senza mostrarne direttamente ed esplicitamente gli effetti sugli ebrei. Non si parla mai dell’Olocausto, ma lo si intuisce dai dialoghi della signora Höß con le amiche e da quelli del comandante Höß con gli ingegneri o con i suoi superiori. La presenza umana, aldilà del confine con il giardino, non è mai rivelata e neppure mai si parla delle migliaia di persone uccise. Il comandante e gli ingegneri li definiscono con la parola  “carico”.

La signora Höß personifica l’egoismo e la noncuranza dell’atrocità che si manifesta al di là del suo rigoglioso giardino. Seduta sotto al gazebo con sua madre che è venuta a farle visita, ride dicendole: Rudy mi chiama la regina di Aushwitz. Espressione raggelante. Lei è la rappresentazione dell’indifferenza degli uomini verso eventi tragici e crudeli del passato e del presente.

La colonna sonora curata dalla compositrice Mica Levi e realizzata con l’elettronica esprime perfettamente il senso della narrazione voluta da Glazer.

Il suono, meritatamente premiato con l’Oscar, “mostra” ciò che gli occhi non vedono; urla strazianti, spari, abbaio di cani e rumori sinistri. Il sound designer, Johnnie Burn, ha curato il film che si “ascolta”, scegliendo con Glazer dove inserire i suoni del campo di concentramento. Ci sono infatti delle scene in cui si vede la vita felice della famiglia e in sottofondo i rumori del campo. Un contrasto agghiacciante.

La fotografia diretta da Lukasz Zal, rende perfettamente l’idea del regista, ovvero mostrare oggettivamente il brutto e il male. Quindi inquadrature semplici, nessuna ricerca di luce “buona” per le riprese. Il focus è rappresentare il tutto nel modo più reale, quindi senza artifici estetici.

Le riprese all’interno della casa sono state fatte con delle telecamere posizionate ovunque senza la troupe a seguire gli attori. Hanno realizzato una specie di casa del Grande fratello. La troupe seguiva le riprese dalle telecamere direttamente dal seminterrato.

In conclusione, prendiamo un regista con una buona sceneggiatura, un suono comunicativo, una fotografia ed un montaggio oggettivi e a venirne fuori è un capolavoro!

Se voi, lettori di Mywhere, non siete ancora stati al cinema a vederlo, fatelo, perché la banalità non appartiene di certo a questo film. Durante tutto il film rimarrete ad aspettare un “qualcosa” e il finale potrà avere diverse interpretazioni. Nulla è scontato in questo film.

 

foto instagram

Anita Orso

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