“Dico sempre quello che penso”: ma è davvero un pregio?

“Dico sempre quello che penso”: ma è davvero un pregio?

MONDO – Parola d’ordine: avere sempre un parere su tutto. Esprimerlo e condividerlo a gran voce, in nome di un presunto amor di verità. E anche se la nostra opinione (non richiesta) non rappresenta un valore per nessuno, non importa. Quel che conta è dire sempre e a ogni costo, tutto, proprio tutto, quello che si pensa.

A chi di voi non è capitato di dialogare amabilmente con qualcuno che, sul più bello, con vanto e orgoglio, pronuncia la fatidica frase: “E ma, sai, io ho questo difetto… dico sempre quello che penso.

(Se a pronunciarla e a crogiolarti nella vanità di questa innocente affermazione invece sei proprio tu, beh, temo che ci saluteremo qui. Voglio però darti atto di una cosa: dici bene amico mio. Hai un difetto. E neanche tanto piccolo).

Dicevo, vi è capitato? A me spesso. Con mio sommo disappunto. Tanto che il malcapitato di turno viene estromesso seduta stante dalla lista di persone che amo frequentare. Non perché io non apprezzi le persone franche e genuine. Anzi. È proprio perché le amo così tanto che fatico a tollerare che le due cose vengano confuse, come spesso accade.

Cadiamo sovente nell’errore, infatti, di chiamare schiettezza quella che in realtà è incapacità di valutare l’appropriatezza di quel che diciamo, finendo col mettere la maschera della sincerità sul più rude dei volti.

Viviamo tempi strani: se da un lato, complici anche i social network, godiamo come mai prima della possibilità sconfinata di dire quello che vogliamo, in qualsiasi momento e a una platea vastissima, dall’altro, paghiamo due volte penitenza per questo grande privilegio. Non solo perché siamo spesso costretti a fare da spettatori involontari della filippica declamata dal compiaciuto di turno; ma anche perché, altrettanto spesso, siamo proprio noi stessi a peccare di arroganza e a cadere vittime del fascino irresistibile di quei famosi quindici minuti di celebrità (cosa che a ben pensarci sto facendo anche io nel momento esatto in cui scrivo). 

Negli ultimi anni riuscire a piazzare, tra una battuta e l’altra, l’inciso “Io sono una persona vera e sincera”, è diventata una sorta di moda che ha preso il posto dell’altrettanto noiosissima espressione “Io sono solare”, molto in voga qualche anno fa quando, anche andando in farmacia, rischiavi di imbatterti puntualmente in qualcuno pronto ad autoproclamarsi gioioso e pieno di vita. Ma se con la solarità cercavamo di giustificare qualche risata sguaiata di troppo, con la sedicente sincerità, pretendiamo di legittimare ogni nostra uscita infelice e fuori luogo, se non addirittura brutale e offensiva.

Che le parole siano importanti, ce l’ha insegnato tempo fa Nanni Moretti nel suo Palombella rossa. Ma c’è un’altra cosa che forse lo è ancor di più: il tempismo. Il saper scegliere il momento opportuno per pronunciarle. 

Dire quello che ci passa per la testa vuol dire seguire l’istinto del momento, è un lampo che abbaglia per qualche secondo; niente di più distante dal pensiero, che si porta dietro l’atto del ragionare, del riflettere, del pensare appunto. Pensare a cosa dire significa soprattutto scegliere con cura cosa non dire.

Qualcuno dirà che la democrazia prevede anche che si possa godere della libertà di espressione. Giusto. Ma il fatto che ci si possa esprimere come più ci piace, non dovrebbe esimerci dal valutare anche la bontà dei contenuti, anche a costo, per una volta, di anteporre il rispetto per gli altri alla nostra vanità. 

Mi piace chiudere rubando le parole a chi, negli anni, ha saputo dare voce, prima e meglio di me, ai miei pensieri. E questa volta tocca a Michela Murgia, che nel suo Chirù, recita cosi:

Quello che io chiamo pensiero […] è il risultato di un delicato processo di risalita da certi fondali solo miei. Anche dopo avverto il bisogno di filtrarlo attraverso l’esperienza, una maglia che con gli anni si è fatta sempre più stretta. E comunque, nemmeno alla fine di questo percorso le cose che ho ragionato mi sembrano quasi mai pronte per essere dette. Per questo ho paura di quelli che affermano di aver l’abitudine di dire tutto quello che pensano: il flusso scomposto di giudizi avventati, umori e temerarietà brucia allo stesso modo le labbra di chi lo pronuncia e le orecchie di chi lo ascolta, e lo fa nell’istante stesso in cui vi prende forma.

E una volta che quello che pensavamo l’abbiamo detto, mandando tutto a fuoco, oltre alla cenere cosa resta? 

 

Marianna De Mare

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