MONDO – Ribattezzata la “Greta Thunberg italiana”, Federica Gasbarro, attivista per il clima, scrittrice e divulgatrice, ha fatto della crisi climatica la sua battaglia. E insieme a tanti altri ragazzi, ha deciso di far sentire la sua voce e battersi per un futuro migliore.
Se vuoi ottenere qualcosa nella vita devi sudare, studiare e lottare. Questo è quello che pensa Federica Gasbarro, green influencer entusiasta e determinata che, seguendo le orme di Greta Thunberg, è scesa in piazza al fianco di migliaia di giovani per sensibilizzare l’opinione pubblica su un tema che le sta molto a cuore: la tutela della nostra casa, il nostro Pianeta.
Federica vive a Roma dove studia Scienze Biologiche all’Università Tor Vergata; è attivista di Fridays for Future, il movimento internazionale ispirato da Greta Thunberg che, nel 2018, cominciò a scioperare tutti i venerdì per chiedere al governo svedese di ridurre le emissioni di CO2. È stata l’unica italiana a partecipare, nel settembre 2019, al primo Youth Summit, il vertice ONU sul clima a New York. Recentemente inclusa da Forbes Italia tra i cento under 30 italiani più influenti per il suo contributo alla lotta ai cambiamenti climatici e già autrice di due libri: Diario di una Striker e COVID-19 e cambiamento climatico: la lotta contro il riscaldamento globale nel tempo dell’epidemia.
Ho avuto il piacere di intervistarla e questo è quello che mi ha raccontato.
Federica, cominciamo dagli inizi: sei una giovane ragazza che fino a qualche anno fa muoveva i primi passi sui social come fashion e travel blogger. A un certo punto hai avvertito un’urgenza diversa e hai deciso di voler apportare un contributo concreto per “cambiare il mondo”. Qual è stato l’evento chiave che ha acceso quella coscienza ambientale per la quale oggi ti conosciamo?
L’evento che ha acceso quella coscienza, che in realtà già avevo, ma che ha fatto sì che diventasse poi qualcosa di più concreto, fu un seminario al quale partecipai all’università, in cui dei ricercatori ci illustrarono quale fosse la situazione a livello climatico e ambientale, gli impatti sugli ecosistemi e chiaramente anche quelli su noi umani. Da lì ho pensato che dovevo fare anche io subito la mia parte, non potevo aspettare di finire gli studi e diventare scienziata. Così ho iniziato a parlarne sui social. In concomitanza ho sentito parlare di Greta Thunberg al telegiornale e contemporaneamente sono scesa nelle piazze e da lì, venerdì dopo venerdì, sono diventata portavoce dei Fridays for Future della mia città, per poi arrivare alle Nazioni Unite.
Il tema del cambiamento climatico e dell’emergenza ambientale sembra non riguardarci mai abbastanza, perché tendiamo a pensare che noi come singoli non abbiamo sufficienti strumenti per cambiare la rotta, dimenticando che se tutti cominciassimo ad apportare piccoli cambiamenti nel nostro quotidiano, potremmo stravolgere l’ordine delle cose. Tu, ad esempio, come vivi nel quotidiano il tuo essere attivista?
Innanzitutto con la divulgazione, tramite i miei social, il blog, i libri che scrivo, gli scioperi. Ma attivista lo si è tutti i giorni nel proprio quotidiano, non solo nelle piazze. Cerco di adottare quei trucchetti per essere a impatto minimo; ho iniziato ad autoprodurre tutto quello che potevo: il burro cacao per esempio. Se lo fai a casa ti eviti tutte le microplastiche che ci stanno dentro. Quindi è importante anche per la tua salute oltre che per l’ambiente. Quando vado a fare la spesa cerco il km 0; cerco di comprare direttamente dagli agricoltori. Utilizzo buste in panno, in tessuto per la frutta e verdura. Quando compro cerco di guardare sia le certificazioni, sia tutta la filiera produttiva e la trasparenza del brand, perché stanno spuntando tante certificazioni come fossero funghi e tante sono molto light, ecco… Fondamentalmente sono partita da una domanda: “Come posso sostituire quello che ho in mano, quello che sto per usare con qualcos’altro?” Facendo qualche semplice ricerca su internet ho trovato il mondo! Quindi se posso farlo io, possono farlo tutti.
Quando parliamo di emergenza ambientale, non possiamo non parlare anche di acquisto consapevole, di azzeramento degli sprechi, comprare solo quello che è veramente necessario: uno stile di vita molto vicino a quello delle passate generazioni. Si fa molta fatica, però, a rinunciare alle comodità e a volte si ha l’impressione che a fare a meno del superfluo debbano essere solo quelli con limitate possibilità economiche. Come possiamo slegare questi temi da un mero fattore economico e associarlo invece a un concetto di etica, di coscienza ambientale che riguarda tutti?
Penso che l’uomo sia un essere molto egoista ed egocentrico. Quindi per riuscire ad associare il tema dell’eliminazione del superfluo a un concetto etico, credo lo si debba far diventare una sorta di moda o comunque non debba richiedere particolari sforzi. Vivere in mezzo a tonnellate di vestiti crea a te stesso confusione. Ti crea disordine, lavoro in più da dover fare. Vivere in una casa con il minimo indispensabile o poco più è sicuramente diverso dal dover spolverare decine di suppellettili e mettere a posto centinaia di magliette. A tal proposito, la moda del minimalismo può aiutarci in questo senso. È chiaro che non nasce da un’esigenza ambientale o non solo, ma può essere un nostro alleato per portare anche chi è più abbiente a seguire la moda del minimalismo, magari osservando chi già lo fa. La gente copia ciò che è di moda, ciò che è figo. Poi una volta che è diventato il proprio stile di vita sarà più facile interiorizzare il concetto di tutela ambientale, che spesso viene percepito come qualcosa lontano da noi, che non ci riguarda, invece ci riguarda eccome! Tutti i metalli pesanti, i coloranti che utilizzano nella moda della fast fashion, e non solo, sono scaricati nelle acque in cui nascono e crescono i pesci che poi mangiamo e nell’acqua che scorre sul terreno in cui cresce l’insalata che mangiamo o che ci spediscono in Italia. Secondo me essere ambientalisti non significa rinunciare a qualcosa, al viaggio in aereo o al cellulare. Vuol dire modificare il proprio stile di vita adesso, in vista del progresso scientifico che ci porterà delle tecnologie che ci daranno le stesse comodità che abbiamo ora ma senza andare ad inquinare.
Sentiamo parlare spesso di punto di non ritorno; giusto qualche mese fa a New York è stata inaugurata l’opera “Climate Clock”, un countdown che segna gli anni che mancano alla Terra prima che l’innalzamento delle temperature ci condanni all’estinzione. Ci aiuti a capire meglio in cosa consiste questo calcolo?
Questa penso sia stata un’ottima idea per far aumentare la percezione del rischio e del problema all’opinione pubblica. Purtroppo quel tempo segna l’inizio del non ritorno, ma questo non ritorno in realtà già c’è. Diciamo che tra 7 anni la situazione sarà molto più grave; gli scienziati hanno fatto questo calcolo basandosi su vari studi secondo i quali dobbiamo far sì che la decarbonizzazione e la transizione ecologica siano antecedenti al 2030 o al 2050. Tante aziende parlano di carbon neutral al 2030, ma al 2030 sarà già troppo tardi. Dovremmo addirittura andare in negativo con le emissioni di CO2 per ipotizzare un minimo miglioramento. Purtroppo recenti articoli scientifici dicono che se anche stoppassimo oggi stesso l’emissione di CO2, quella che è già in atmosfera causerà un innalzamento delle temperature non più di 1,5 gradi ma di 3,5 gradi rispetto all’epoca pre-industriale. Credo sia un’opera a effetto, in modo che anche gli scettici siano spinti a prendere l’iniziativa e fare la loro parte. Il cambiamento climatico è un processo che non si arresta però si mitiga e per il quale dobbiamo studiare politiche di adattamento.
Come hai avuto modo di ricordare anche sui tuoi profili social, noi siamo l’ultima generazione che può salvare il mondo. Se uniamo questo al conto alla rovescia di cui parlavamo prima, dovrebbero tremarci le gambe. Ma è evidente che ci sia qualcuno che non sente il peso di questa responsabilità. La prima domanda è, se mai sia possibile trovare una risposta, come siamo arrivati a questo?
Io credo che l’essere umano sia spinto a fare qualcosa solamente quando è con l’acqua alla gola, quando ormai è troppo tardi. Esempio banale? Mettono il semaforo all’incrocio solo quando ci è già scappato il morto. Riportato su scala globale, questo è quello che hanno fatto e stanno facendo con il cambiamento climatico. Siamo arrivati a questo punto per questo motivo. Mettere il semaforo richiede soldi, tempo ed energia, così come cercare di riconoscere come crisi climatica quella che è una crisi climatica ed esistenziale, quindi meglio lasciarla come ipotesi. Meglio lasciare che “ok, va bene, faremo qualcosa”, però all’atto pratico si è fatto ben poco.
Cosa possiamo fare ancora per scuotere le coscienze? Mi sembra chiaro che il terrorismo mediatico e il clima di angoscia che si crea intorno a questo tema non ci stia aiutando a raggiungere i risultati sperati. Secondo te quale potrebbe essere la chiave per combattere il menefreghismo e approcciarci al problema in maniera più serena?
Io sono generalmente ottimista nella vita di tutti i giorni. Però a tal proposito non mi sento di dare una risposta ottimista. Il terrorismo mediatico e gli scioperi in piazza hanno fatto sì che l’opinione pubblica diventasse un pochino più affine e legata al tema del cambiamento climatico in quanto tale, un po’ più rispettosa. Però non è sufficiente; non credo ci sia un approccio concreto per combattere il menefreghismo. Semplicemente credo si debba continuare per la propria strada. Continuare con la divulgazione, portando esempi e pian piano anche quelli più restii, nel momento in cui vedranno che verranno toccati loro stessi per primi, a quel punto forse cambieranno idea. Mi viene da fare una correlazione con il Covid-19. Quanti negazionisti ci sono? Alcuni hanno continuato a negare l’esistenza del virus anche dopo che l’hanno preso. Altri invece, un po’ più flessibili, nel momento in cui sono stati toccati dal vivo in prima persona, hanno cambiato idea. Il cambiamento climatico è la stessa cosa. Purtroppo ci sarà un cambiamento epocale in termini di politiche quando ormai sarà troppo tardi. Però dai, oggi qualcosa si sta muovendo, ci sono nuove tecnologie, ci sono tante aziende multinazionali che hanno abbracciato la sfida climatica, non sono sicura ci credano davvero, ma almeno per quanto riguarda la parte economica hanno capito che il mondo girerà in quell’altro verso e si stanno adeguando. Questo gioca senz’altro a nostro favore.
Greta Thunberg è stata spesso oggetto di ironia, vista come la ragazzina, probabilmente manovrata da altri, da prendere poco sul serio. Hai mai avvertito su di te lo stesso pregiudizio, anche in quanto donna?
Forse sì, però sono sincera, lei ha fatto un po’ da apripista a me ma anche ad altre ragazze esposte un po’ più mediaticamente in Europa, come Luisa [ndr: L. Neubauer, attivista tedesca] e Anuna [ndr: A. de Wever, attivista belga]. Sicuramente essere donna non è proprio semplice, non tanto nell’attivismo, bensì nel mondo scientifico. In Italia, se è una ragazza giovane a riportare un dato scientifico dell’IPCC è una cosa; se a parlare dello stesso dato e a citarlo è un uomo, secondo me viene percepito con un peso diverso. Apertamente, tranne alcuni messaggi sui social poco carini, non ho subito troppe offese. Però ho percepito quello che ti dicevo prima. Magari non è così, forse sono io che ho un pregiudizio nei confronti degli altri. Però l’impressione è stata questa e di solito le impressioni non sbagliano mai…
Greta, Federica, Isra Hirsi, India Logan-Riley, Anna Taylor, Marinel Ubaldo e molte altre. Perché secondo te tra gli attivisti maggiormente coinvolti in questa militanza, ci sono molte più donne a far sentire la loro voce?
Su questo non ho una risposta. Non posso sapere perché ci siano più ragazze. Posso sapere perché l’ho fatto io. E io l’ho fatto perché non vorrò dire a chi verrà dopo di me, per esempio ai miei figli, che sono stata con le mani in mano. Sono cresciuta in una famiglia che mi ha trasmesso dei valori forti, che mi ha insegnato quanto fosse importante lottare in prima persona per vedere i cambiamenti che si volevano vedere nel mondo. Tuttora, a 26 anni, mi piace un sacco ascoltare i racconti di mia nonna e so che grazie a suo papà, a chi ha combattuto al suo fianco, l’Italia oggi è il paese che è e il mondo per la maggior parte vive nella pace. Per questo motivo ho percepito la battaglia contro i cambiamenti climatici come la battaglia della mia generazione, la mia battaglia per la quale anche io dovevo andare al fronte. Chiaramente è un fronte diverso, nessuno spara a nessuno, non ci sono morti, almeno tra gli attivisti europei, tra quelli di altri Paesi non è proprio così. È sicuramente una guerra più pacifica, ma non meno importante e non meno difficile. Qui il nemico non è un altro stato più o meno alla pari. Qui il nemico sono tutti coloro che, senza alcun rispetto dell’ambiente e del nostro futuro, hanno profitto da produzioni di materiale, trasporto di cose e hanno un forte potere sia da un punto di vista economico che sociale. Mentre noi attivisti siamo semplicemente ragazzi. È una battaglia squilibrata, se così si può chiamare.
Si parla sempre di giovani poco interessati alle tematiche sociali, dediti ad attività più frivole. Tu però, da attivista del movimento Fridays for Future, puoi testimoniare come effettivamente siano stati propri i giovani a rivendicare un intervento tempestivo per sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema del cambiamento climatico. Perché, secondo te, chi occupa posizioni tali da poter apportare un cambiamento, anziché agire, tergiversa?
Tergiversano perché hanno forti motivi economici, hanno sempre fatto così, perché cambiare? E comunque gli adulti sono meno tendenti a cambiare il loro stile di vita, figuriamoci il loro stile di produrre cose che poi vengono vendute. Si dice che noi ragazzi non abbiamo voglia di fare niente, che alla nostra età una volta erano sposati con 10 figli e lavoravano. Ok, forse è vero, ma ora è cambiato il tempo. Ognuno ha le proprie battaglie, ognuno ha i propri step. Anzi, noi giovani al contrario, abbiamo dimostrato di essere protagonisti del nostro tempo. Poi è chiaro, anche qui non si può fare di tutta un’erba un fascio. Ci sono giovani un po’ inetti, che subiscono la vita anziché viverla e costruirsi da soli le opportunità perché di fatto l’opportunità non te la regala nessuno. Per qualsiasi cosa devi sudare, lottare, studiare e devi crearti tu l’opportunità, devi proporti tu.
Vorrei salutarti con un’ultima domanda. Sul tuo blog hai riportato il tuo motto: “Be brave, be happy, be bright”, “Siate coraggiosi, siate felici, siate splendenti”. Tu dov’è che hai trovato il coraggio di far sentire la tua voce e quale obiettivo raggiunto grazie anche alla tua militanza, ti renderebbe davvero felice?
Sì, esatto, ho riportato quel motto perché credo che nella vita bisogna essere coraggiosi in generale. Coraggiosi con la propria vita, cercare di mettere fine a una relazione tossica, cambiare lavoro quando non va, scendere in piazza e dare fastidio a un po’ di persone, perché alla fine è quello che abbiamo fatto, andare a rompere le uova nel paniere di tante multinazionali, di tanti sistemi e politiche che non stanno girando affatto bene…
Io non so dove abbia trovato il coraggio, non è stata una cosa razionale, non ho pensato “Ok, mi faccio forza e vado”. È stato più che altro un sentimento, mi sono detta “come posso io stare ferma?”. Quindi a quel punto sono scesa in piazza e semplicemente ho fatto del mio meglio come tanti altri ragazzi. Fortunatamente la mia voce è stata ascoltata al punto da arrivare alle Nazioni Unite. L’obiettivo che mi piacerebbe fosse raggiunto? Forse è un po’ utopistico, ma come dico spesso, bisogna essere un po’ visionari nella vita e non dei sognatori. Mi renderebbe felice vedere che in ogni angolo del pianeta si sia messo un punto a queste emissioni di gas climalteranti e questo inquinamento sconsiderato dell’ambiente e si prenda tutti coscienza del problema, studiando e documentandosi. Ecco, questo probabilmente mi renderebbe davvero felice.
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